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Commento

Concordato semplificato e creditori: un rapporto difficile (nota a Trib. Bologna 18 marzo 2025)*

Alberto Crivelli, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione

14 Luglio 2025

*Commento sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Bologna, 18 marzo 2025, Pres. Est. Atzori

Lo scritto intende procedere, premessa una rapida ricognizione dell’istituto, alla verifica delle condizioni per giungere al concordato semplificato di cui all’art. 25 sexies, in particolare al contenuto della “buona fede” nelle trattative che dev’essere attestata dall’esperto ed alla rilevanza del comportamento tenuto dai creditori. 
 
The paper intends to proceed, after a rapid recognition of the institution, to the verification of the conditions for reaching the simplified composition referred to art. 25 sexies, in particular the content of the "good faith" in the negotiations that must be attested by the expert and the relevance of the behavior of the creditors.
Riproduzione riservata
1 . Il concordato semplificato in generale
Preliminare a questo breve studio risulta una breve ricongnizione sulla disciplina del concordato semplificato, non marginalmente interessata anche dal terzo correttivo, D.Lgs. n. 136/2024[1]. 
Questo istituto è come noto strettamente collegato alla composizione negoziata, potendo essere la relativa proposta avanzata dal debitore dopo il naufragio della composizione stessa, purché l’esperto dichiari nella propria relazione finale che le trattative si erano svolte in quella sede “secondo correttezza e buona fede”, ed inoltre che non sono praticabili le soluzioni indicate all’art. 23, comma 1, e quelle di cui alle lettere a) e b). 
Il debitore in tal caso ha sessanta giorni (termine perentorio, cui si applicano quindi gli artt. 152 ss, c.p.c., trattandosi di una domanda giudiziale) dalla comunicazione della relazione (peraltro in base all’art. 17, comma 8, al segretario generale, che avviene però dopo l’inserimento della stessa nella piattaforma) per presentare una proposta di concordato aventi le caratteristiche indicate dall’art. 25 sexies, CCII. 
Novità del terzo correttivo consiste non solo nell’aver ampliato (all’ipotesi a) del secondo comma dell’art. 23) i casi per i quali l’esperto deve dichiarare la non “praticabilità”, ma altresì nell’aver consentito che nel rispetto del suddetto termine, quindi sempre entro i sessanta giorni, il debitore possa anche presentare una domanda “con riserva” di deposito di piano e proposta. 
A quel punto mi pare di poter concludere nel senso che piano e proposta andranno depositati nel termine indicato dal Tribunale ai sensi dell’art. 44 (che dunque spirerà ben oltre i suddetti sessanta giorni), mentre ovviamente il mancato richiamo espresso di tale ultima norma si giustifica col fatto che la “riserva” non ha ad oggetto anche la scelta dello strumento (es. anche un accordo di ristrutturazione o di p.r.o.), essendo qui necessario che il proponente indichi la volontà di depositare un concordato semplificato. 
Vedremo come affronta il decreto in commento la tematica dell’esame delle condizioni di ammissibilità, con particolare riguardo a quella della presenza della dichiarazione dell’esperto, da parte del Tribunale, ma questo dovrà anche esaminare il parere dell’esperto stesso in tema di presumibili (quindi probabili) risultati della liquidazione e di garanzie offerte. 
Il fatto che in via preliminare le suddette condizioni di ammissibilità, oltre alla presenza della documentazione necessaria e la correttezza della formazione di eventuali classi, debbano essere esaminate, comporta che in effetti anche in questa procedura si ha una sorta – pur piuttosto informale – di fase di ammissione, che culmina in un decreto con cui viene nominato un ausiliario (il che implicitamente comporta un vaglio positivo di ammissibilità). 
Dopodiché, esaminato il parere che renderà l’ausiliario ed effettuati i “mezzi istruttori” richiesti o disposti d’ufficio, si procede all’omologazione della proposta, subordinata alla fattibilità del piano di liquidazione, al rispetto del contraddittorio ed al rispetto delle cause di prelazione. 
Evidente dunque che questo concordato si ascrive nel novero dei concordati coattivi (in cui i creditori non sono chiamati a votare, ma pur sempre possono opporsi all’omologazione allegando la mancanza di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria); a quelli liquidatori (appunto per il riferimento al “piano liquidatorio”); e che lo stesso non richiede un minimo garantito di soddisfacimento – pur dovendo espresamente assicurare a ciacun creditore “un’utilità” (che come tale deve essere economimcamente aprezzabile, altrimenti non potendo essere qualificata come tale), né l’apporto significativo di finanza esterna, come accade invece nell’ordinario concordato preventivo liquidatorio di cui all’art. 84. 
Evidente anche che al tribunale è riservato un giudizio di fattibilità, che significa come noto adeguatezza del piano a sostenere la proposta in termini probabilistici. 
Circa il rispetto delle cause di prelazione, estranea per la natura liquidatoria la questione della distinzione fra absolute e relative priority rule, dovendo sempre seguirsi il primo criterio, è però applicabile per espressa previsione l’art. 84, comma 5, in tema di incapienza del bene su cui si esercita la prelazione. 
Quanto al contraddittorio il controllo si basa essenzialmente sulla verifica dell’avvenuta comunicazione a tutti i creditori della proposta, del parere dell’ausiliario e della relazione finale dell’esperto, con l’osservanza del termine dilatorio di quarantacinque giorni. 
Da notare che pur liquidatorio, il concordato in esame può essere non del tutto indifferente a una forma di continuità, dal momento che oggetto del piano di liquidazione può essere anche l’azienda nel suo complesso, o un suo ramo. 
Il che significa che in questo caso la liquidazione dell’azienda torna a costituire, di là dalla costruzione della stessa come “continuità indiretta”, una forma di liquidazione vera e propria, sebbene sia idonea a preservare, pur sotto altro soggetto e forma, la struttura imprenditoriale. 
Per l’esecuzione del piano, abbia esso ad oggetto la cessione atomistica o anche o solo quella d’azienda, si seguono le regole dell’art. 114 (in tema di concordato liquidatorio), con il suo portato di osservanza delle forme previste – in quanto compatibili – dagli artt. 214 ss, la cancellazione delle formalità a cura del giudice, salvo che diversamente disponga il decreto di omologazione. 
Ovviamente anche qui organo propulsore dell’esecuzione sarà il liquidatore. 
Siffatte forme liquidative risultano piuttosto vincolanti per quanto riguarda il caso di competitività a schema libero, cioè disciplinata dal piano, in quanto si dovranno osservare tutti i limiti indicati dall’art. 216 CCII (stima a cura di un esperto nominato dall’ausiliario; forme adeguate di pubblicità e comunque da effettuarsi sul p.v.p. almeno trenta giorni prima della vendita; previsione del diritto di esame dei beni da parte degli interessati, nelle forme previste dal comma 6 del citato art. 216; previsione di almeno tre esperimenti di vendita nel primo triennio; previsione per l’ipotesi di tre esperimenti deserti di possibilità di dimezzamento della base d’asta; previsione dell’ordine di liberazione attuato dall’ausiliario; la forma telematica; previsione della natura irrevocabile dell’offerta, della validità della c.d. offerta minima, di una cauzione, di un termine per offrire; applicazione della disciplina della decadenza dell’aggiudicatario, implicitamente prevista in base al comma 8 dell’art. 216). 
Se ci si vuol chiedere perché sia stato adottato questo modello liquidativo, invero piuttosto stringente (analoghi vincoli di quelli sopra indicati non si hanno ad esempio nel caso di concordato in continuità, né di concordato minore), ciò dipende evidentemente dal fatto che il legislatore ha pensato che – essendo qui minimo il coinvolgimento dei creditori (mancando il voto) - si richiede una forma la più vincolata possibile nelle cessioni. Insomma un altro contrappeso a favore dei creditori (cfr. anche infra). 
Certo non mancano le contraddizioni, visto che ad esempio nel caso di azienda per la quale sia individuato un offerente, a differenza di quanto previsto dall’art. 91, le forme della “ricerca di mercato” e anche della successiva gara non formano oggetto di un apposito decreto del tribunale (anche se devono ricevere approvazione col decreto di omologazione), tale provvedimento essendo invece previsto per l’ipotesi della ricerca da effettuarsi anteriormente all’omologazione, questa volta a cura dell’ausiliario. 
Il concordato coattivo in parola non risulta disciplinato, neppure previa verifica di compatibilità, dalle disposizioni proprie del concordato preventivo, salvo quelle espressamente richiamate, attesa la sua natura autonoma[2], che per le caratteristiche che si sono sommariamente indicate differisce da tutti i modelli di concordato altrimenti disciplinati dal codice della crisi.
2 . I controlli spettanti al Tribunale
Il Tribunale, ai fini dell’”ammissione” (pur sotto la veste della verifica della “regolarità formale” necessaria per la nomina dell’ausiliario), oltre ai presupposti processuali della competenza, della legittimazione, dell’interesse a ricorrere e dello ius postulandi, deve verificare la sussistenza di tutte le condizioni di ammissibilità stabilite dall’art. 25 sexies, CCII, la cui ricorrenza va ovviamente dimostrata a cura del ricorrente.
Se sotto il piano soggettivo basta essere un’impresa, inclusa quella agricola o sotto-soglia oppure un gruppo d’imprese, sul piano oggettivo le summenzionate condizioni sono anzitutto costituite dall’essersi anteriormente svolte delle trattative in ambito di composizione negoziata; dal trovarsi l’impresa in una situazione di crisi o di insolvenza, anche ai sensi dell’art. 12, comma 1 (quindi quelle dell’art. 1, oltre al requisito della ragionevole perseguibilità del risanamento, e va ricordato che in proposito il requisito sarà già stato esaminato in sede di conferma delle misure protettive o cautelari a suo tempo nella normalità dei casi richieste). 
Un primo quesito è se si possa addivenire all’ammissione ove sia venuta meno la possibilità di risanamento in corso di trattative[3]. 
Fermo restando che il venir meno di tale requisito dopo la chiusura infausta delle trattative non ostacola la domanda di concordato semplificato, invece se essa viene meno nel corso delle stesse sembrerebbe di ostacolo all’ammissione il fatto che, a mente dell’art. 17, comma 5, non si procede da parte dell’esperto alla relazione finale, ma solo alla notizia al segretario generale e alla conseguente archiviazione, facendo allora difetto il presupposto stesso – per l’esperto – al fine di dichiarare le modalità di conduzione delle trattative. 
Detto questo però l’interrogativo più significativo consiste nello stabilire l’ambito di sindacato che spetta al tribunale rispetto alla dichiarazione di essere state le trattative condotte con correttezza e buona fede e in generale sul contenuto della relazione finale sul punto. 
Il decreto qui in commento si pone tale interrogativo, in termini alternativi tra una lettura che limita tale sindacato alla verifica di logicità e non contraddittorietà della motivazione della relazione [4], e una che ritiene lo stesso possa spingersi alla verifica in concreto ed in autonomia circa la sussistenza della buona fede e correttezza[5], fino a giungere ad un contrario avviso rispetto alle conclusioni dell’esperto; e il collegio bolognese giunge a ritenere motivatamente la maggior fondatezza di tale ultima lettura.
 Pare evidente a chi scrive, a fronte degli argomenti spesi dai due distinti orientamenti di merito, la condivisibilità dell’approccio dell’ultima pronuncia citata, condivisa poi dal decreto in commento, dal momento che – partendo dall’osservazione per cui i creditori in caso di omologazione della proposta concordato semplificato devono subire quest’ultima senza possibilità di voto, salvo la facoltà di opporsi per ragioni di convenienza economica, porta a concludere per un’ampiezza di poteri dell’organo giudiziario sicuramente maggiore rispetto all’ipotesi di un concordato la cui proposta sia invece sottoposta all’approvazione del ceto creditorio. 
In tal senso, del resto, depone la stessa devoluzione, senza tutte le condizioni e le “cautele” proprie degli artt. 46 e 112, del giudizio pieno di fattibilità. 
D’altronde in via generale il legislatore mostra sempre di bilanciare l’assenza del voto o del consenso dei creditori con l’attribuzione di maggiori poteri all’autorità giudiziaria (come accade anche in tema di ristrutturazione del debito del consumatore, oppure in caso di cessioni anteriori all’omologazione, cfr. art. 94 CCII). 
Ciò vale indubbiamente, come detto, con riferimento al sindacato sulla fattibilità, ed operativamente (quanto, cioè all’esecuzione) con l’adozione di un modulo maggiormente rigido di competitività delle cessioni (art. 114), come già osservato, ma anche e necessariamente con riguardo al vaglio delle condizioni di ammissibilità. 
Dunque, l’espressione testuale riservata ai controlli del giudice (“ritualità”), peraltro riferita al contenuto della proposta, non vale a circoscrivere il sindacato del giudice sulla relazione e in particolare sulla sussistenza del requisito della buona fede nelle trattative, che proprio in correlazione al ridotto ruolo dei creditori, assurge come vedremo a una posizione centrale atta a mio avviso a spiegare la stessa essenza dell’istituto del concordato semplificato. 
Qualunque sia poi la posizione circa l’ampiezza del sindacato del giudice sulla relazione in ordine alle modalità di svolgimento della trattativa, appare evidente che la motivazione di tale atto dell’esperto sul punto non può mai risolversi in una mera clausola di stile, ma per essere valutata come idonea a produrre gli effetti – o meglio a configurare la condizione di ammissibilità speciale – di cui all’art. 25 sexies – deve contenere riferimenti specifici e chiari: l’assenza di motivazione, oppure una motivazione priva di riscontro con la documentazione in atti[6], rende dunque l’attestazione tamquam non esset. 
Ovviamente si deve concludere nel senso che ove l’assenza di motivazione dipenda esclusivamente dalla riottosità o dalla superficialità dell’esperto, ciò non può risolversi in danno del debitore, e sotto tal profilo il Tribunale potrebbe far leva su uno strumento espressamente previsto proprio dal correttivo, anche se immanente anche in base al vecchio testo in cui lo stesso rimaneva peraltro inespresso, e cioè la possibilità di concedere un termine di quindici giorni per apportare integrazioni e modifiche. 
Perché infatti, se il tribunale può procedere ad un esame autonomo della condizione riguardante le modalità di svolgimento delle trattative, nulla impedisce che i relativi elementi siano tratti anche da quanto potrà dimostrare lo stesso debitore (direi, con qualsiasi mezzo, incluse dichiarazioni dei creditori, verbalizzazioni non prodotte o allegate alla relazione finale, altri documenti).
3 . Il contenuto della condizione circa la correttezza e buona fede delle trattative
Come premesso, la verifica della condizione circa la sussistenza della correttezza e buona fede nelle trattative che hanno caratterizzato la composizione negoziata, assume una posizione centrale perché essa caratterizza la stessa ricorribilità all’istituto del concordato semplificato (se si vuole, un po’ come quella della meritevolezza caratterizza la possibilità per il consumatore a ricorrere all’altro concordato coattivo del codice della crisi, la ristrutturazione del debito del consumatore, di cui agli artt. 67 ss). 
Per questo mette conto avere ben presente in cosa debba consistere la buona fede e la correttezza nell’accezione propria dell’art. 25 sexies CCII. 
Lo sforzo del decreto in commento sotto questo profilo appare veramente apprezzabile. 
Invero ivi si precisa come il debitore debba intanto aver effettuato una completa disclosure circa la propria situazione di crisi, ma aggiungerei (ed è ovvio) anche in ordine alle risorse a disposizione. 
Tale obbligo del resto può ricavarsi nello specifico dal dovere previsto all’art. 16, comma 4, CCII (cfr. sul punto anche infra). 
Quindi, ed è questo un elemento centrale, il debitore deve aver posto “sul tavolo” (come in modo caratteristico si esprime il tribunale) una proposta seria, sebbene perfettibile. Ciò significa né più né meno che senza una proposta almeno astrattamente “fattibile”, supportata da valori idonei a sostenerla, e tale da garantire un soddisfacimento economicamente apprezzabile, il giudizio dell’esperto prima, e del tribunale poi, non potrà andare oltre, e la condizione in esame non può ritenersi presente. 
Ma non deve trattarsi di una proposta compiuta, perfetta, proprio perché costituisce un punto di partenza per delle trattative. 
A ben vedere comunque, l’assenza di una proposta di tal fatta esclude addirittura che ci siano delle vere trattative, che devono avere un punto di partenza qualificante, altrimenti non ha senso parlare del concetto stesso di negoziazione. 
Inoltre il debitore deve dimostrare di essere disponibile a “trattare”, ad accogliere delle modifiche. Ciò è nell’in se di qualcosa che si sottopone a una “trattativa”, e quindi anche mancando questa disponibilità non può certo ritenersi che il debitore sia “in buona fede”. 
Infine si richiede che il fallimento delle trattative non sia addebitabile al debitore. 
Ciò assume un ben chiaro significato, del resto del tutto coerente con lo stesso concetto di buona fede e correttezza, nell’accezione ormai propria in base al codice civile, ed in particolare agli artt. 1175 e 1337 dello stesso. 
Sottolinea quindi il Tribunale che in primo luogo, dunque, l’esito infausto, di fronte a premesse simili, non può che riconnettersi “in primo luogo” alla mancata collaborazione e buona fede in capo ai creditori. 
Il che val quanto considerare la buona fede nelle trattative di cui all’art. 25 sexies, come una specificazione della clausola generale contenuta, in ambito concorsuale, all’art. 4 del CCII, di cui si dirà di nuovo. 
Ma fin d’ora può anticiparsi come tale dovere, essenzialmente di “lealtà”, importa un obbligo di “protezione” pur non semplice da definirsi, anche in considerazione del fatto che le procedure, inclusa la composizione negoziale, riguardano una vasta categoria di soggetti, e i creditori poi sono a loro volta diversi, e possono assumere comportamenti differenziati[7] nell’ambito della composizione negoziata e delle relative trattative. 
Chiaramente non si potrà far capo, senza adattamenti, al concetto di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c., specie con riguardo ai creditori, per la semplice ragione che nel nostro caso essi hanno già a monte un titolo e un diritto di credito conseguente. Tuttavia il rifiuto o l’interruzione delle trattative, può configurare unitamente agli altri elementi suddetti l’effetto previsto dall’art. 25 sexies
Anche sotto il profilo appena considerato, i limiti dell’obbligo di buona fede, incombenti dunque anche sui creditori, vanno allora ricercati piuttosto nell’art. 1175 c.c., relativo appunto ai rapporti fra debitore e creditore ed ai relativi comportamenti in sede di esecuzione dell’obbligazione, ed in particolare in quello che impone siffatto obbligo al creditore purché non oltre un “apprezzabile sacrificio”, che peraltro nella specie va calibrato alla luce dell’evidenza circa la sussistenza di una situazione di crisi od insolvenza. 
Pertanto da un lato il debitore, che si trovi in siffatte situazione ma possa risolvere la crisi, ha il dovere (anche ai sensi dell’art. 1175 c.c.) di comportarsi secondo buona fede tentando di salvaguardare il creditore proprio attraverso le suddette trattative, e deve dunque tenere un comportamento come sopra descritto. Dall’altro il creditore deve considerare, nei limiti di un apprezzabile sacrificio, le soluzioni proposte, discutendole, proponendo acconce modifiche, giustificando le sue scelte. 
Invero proprio a proposito dell’art. 1175 c.c. si individuano gli estremi della correttezza e buona fede in senso oggettivo nel dovere di “lealtà” del comportamento e nell’obbligo ancor più in particolare di salvaguardare l’utilità dell’altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio[8]. 
Chiaramente calando i concetti in ambiente concorsuale, o meglio ancora nell’ambito di una composizione negoziale, va osservato che se da un lato, come detto, ci si trova in presenza non di soggetti che siano qualificati solo dal coinvolgimento in una trattativa, ma rispettivamente di un debitore e dei suoi creditori, dall’altro è evidente il fatto che il legislatore abbia predisposto un apparato molto complesso e completo per consentire a tali soggetti di giungere ad un accordo, che assumerà le varie vesti previste dall’art. 23, a seguito di un iter negoziale del tutto equiparabile e finalizzato a tale esito, e dunque assai prossimo all’ipotesi presa di mira proprio dall’art. 1337 c.c. 
Certamente poi anche il concetto di “apprezzabile sacrificio” va calato nella speciale realtà che ne occupa: esso va comparato non già all’alternativa fra un accordo e l’integrale soddisfacimento, ma tra quanto prospettato ragionevolmente (almeno in termini astratti) dal debitore in sede di trattativa e quanto ragionevolmente perseguibile dai creditori tramite una procedura concorsuale, tenuto conto della condizione di crisi o addirittura d’insolvenza che caratterizza il primo. 
Il che ci porta a pensare che se da un punto di vista dei limiti dello sforzo richiesto ci si debba regolare sulla scorta di quanto previsto dall’art. 1175 c.c., sotto quello dei comportamenti dovuti si debba invece far capo piuttosto all’art. 1337 c.c., mentre circa le conseguenze della violazione si deve escludere qualsiasi riferimento alle norme civilistiche (che almeno in rapporto a tale ultima disposizione evocano rimedi risarcitori) per far capo, come vedremo, alle specifiche previsioni del codice della crisi. 
Del resto che in tal senso vada il legislatore lo si comprende già dalla stessa previsione di misure protettive, ed in particolare di quelle incidenti sulle libertà contrattuali, così come delineate dall’art. 18, comma 5, CCII. 
Se poi i limiti e i contenuti del dovere di buona fede possono rintracciati nelle anzidette norme civilistiche, tenuto conto delle speciali caratteristiche della nostra ipotesi, deve rammentarsi che lo stesso codice della crisi non manca di sottolineare la sussistenza di tali obblighi in generale a carico di entrambi, debitore e creditori. 
In particolare la stessa pronuncia in commento ricorda che l’art. 4 CCII obbliga le parti coinvolte nelle trattative e nei procedimenti di regolazione della crisi a comportarsi secondo buona fede e correttezza, e che siffatti doveri trovano poi specificazione: all’art. 16, comma 4, in base al quale il debitore deve rappresentare in modo completo e trasparente la propria posizione, gestendo l’impresa senza pregiudicare l’interesse dei creditori; nell’obbligo di verificare la completezza della documentazione predisposta ai sensi dell’art. 17 CCII; nel dovere ai sensi dell’art. 21 CCII di gestire l’impresa durante le trattative in modo da evitare il pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività.
4 . Il concordato semplificato come “sanzione” per i creditori e “premio” per il debitore?
Nell’ottica della decisione in commento il concordato semplificato rappresenta una misura “premiale” per il debitore, se non una “sanzione” per i creditori. 
Come premesso, nell’assetto conseguente ad un comportamento di buona fede e correttezza caratterizzato come sopra, è evidente che il concordato semplificato sia una soluzione più agevole per il debitore. 
Come si è premesso esso esime dal voto e non impone – a differenza del concordato preventivo liquidatorio – una precisa soglia di soddisfacimento per i creditori chirografari e risorse esterne che aumentino l’attivo disponibile di almeno il dieci per cento. 
Ma questo può giustificarsi solo se, appunto a fronte di un comportamento corretto e congruo del debitore, che si ricorda deve anche aver formulato una proposta preliminare quantomeno astrattamente fattibile, ci sia stata una risposta non congrua da parte del ceto creditorio. 
L’affermazione, ricavabile dal decreto in commento, pur a fronte delle osservazioni suddette circa la necessità di un contegno in buona fede anche da parte dei creditori stessi, pare piuttosto forte. 
Certamente sembra di doversi affermare che tutto ciò richiede, si ripete, il fatto che la mancata collaborazione dei creditori sia appunto attribuibile ad assenza di buona fede nel loro comportamento nei sensi e nei limiti di cui all’art. 1175 c.c. 
E d’altronde alcuni dati testuali sembrano confermare la tesi sposata dal Tribunale bolognese. 
Come s’è visto, tra le condizioni di ammissibilità, sussiste non solo la dichiarazione da parte dell’esperto circa la buona fede e correttezza nelle trattative, ma altresì l’impraticabilità delle soluzioni di cui al primo comma dell’art. 23, nonché di quelle di cui alle lettere a) e b) del successivo secondo comma. 
Il che però significa che invece possono benissimo essere praticabili, al momento della relazione finale, le soluzioni di cui alle successive lettere c) e d), cioè rispettivamente “una domanda di concordato semplificato” (e fin qui nulla quaestio ovviamente), ma anche “l’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal presente codice” e dal D.Lgs. n. 270/99. 
Questo vuol dire che in alternativa alla proposta di concordato semplificato, il debitore potrebbe anche proporre non solo un concordato preventivo liquidatorio, ma anche un p.r.o. od un concordato in continuità. 
Situazioni ben più tranquillizzanti per i creditori, che ivi godrebbero del diritto di voto, e nel caso del liquidatorio di un trattamento indubbiamente più favorevole (quantomeno in termini di necessaria messa a disposizione di finanza esterna). 
Il fatto allora che si consenta al debitore, pur nell’astratta possibilità di giungere a siffatte soluzioni (pur in negativo, nel senso che l’esperto non deve dichiararne l’impraticabilità), di formulare una proposta avente i caratteri di quella propria del concordato semplificato, non può che configurarsi come una sorta di trattamento deteriore imposto ai creditori, e dunque come una risposta ad una loro mancanza di collaborazione non rispondente ai canoni della buona fede. 
Siffatte conclusioni, andando ad impattare direttamente su un diritto del creditore, qual è quello all’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore, vanno senz’altro condivise con estrema cautela, e leggendo gli obblighi di correttezza sopra individuati con rigore, tanto che – come detto – in assenza di qualsiasi degli elementi sopra identificati (disclosure, disponibilità alla trattativa, sussistenza di una proposta astrattamente ammissibile, ingiustificatezza del comportamento non collaborativo dei creditori), le stesse non si ritiene possano essere tratte. 
Ma che il creditore, nel disegno del codice della crisi, sia tenuto in qualche modo a rendersi disponibile alle soluzioni proposte dal debitore, si ripete nei limiti della ragionevolezza e della susisstenza di una sua collaborazione nei limiti di un apprezzabile sacrificio, pare proprio di poterlo dire. 
A tal proposito si pensi al passaggio contenuto, in caso di concordato in continuità, all’art. 112, comma 2, lett. d), secondo cui il concordato stesso va considerato approvato e quindi va omologato anche se non approvato dalla maggioranza delle classi, purché riceva il voto di una classe che subisca un pregiudizio, cioè solo una parziale soddisfazione e che in caso di applicazione della priorità assoluta avrebbe comunque ricevuto un pagamento, e quindi avesse interesse alla completa applicazione della a.p.r.[9] 
Il che, in altri termini, comporta che è “irragionevole” la mancata adesione di altre classi meno pregiudicate o addirittura favorite dalla proposta[10]. 
Ancora, sono improntate sempre al superamento di un dissenso “irragionevole” (anche se obiettivamente più tutelanti per i relativi creditori) le ipotesi di cram down c.d. fiscale (artt. 63, comma 4; 80, comma 3 e 88, CCII). 
Rimane un dato, e cioè il fatto che come s’è detto i creditori sono molteplici, e il naufragio delle trattative potrebbe essere riconducibile solo ad alcuni, mentre il concordato semplificato viene imposto a tutti. 
Ma il meccanismo delle classi, il rispetto delle cause di prelazione e la sussistenza di altre previsioni (come quella circa la necessaria individuazione di utilità economiche per ogni creditore) costituiscono altrettanti correttivi volti a consentire, unitamente all’assenza del voto e all’assetto dei poteri di verifica del Tribunale, di tener conto anche di tale aspetto.

Note:

[1] 
Sul concordato semplificato si vedano S. Ambrosini, La miniriforma del 2021: rinvio parziale del CCII, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. Fall., 2021, I, 922; A. Pezzano-M. Ratti, Il concordato preventivo semplificato: un’innovazione solo per i debitori meritevoli, funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (ed a qualche salvataggio d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 2021; G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118 del 2021, in Dirittodellacrisi.it, 2021; F. Censoni, il concordato semplificato: un istituto enigmatico in Ristrutturazioni aziendali, 22 Febbraio 2022; M. Fabiani, I nuovi vincoli alla proposta di concordato preventivo visti dal prisma di una lettura difensiva in Il Fall. 2016, 574. A. Farolfi, Le novità del decreto-legge n. 118/2021. Considerazioni sparse a prima lettura, in Dirittodellacrisi.it; F. Lamanna Il terzo correttivo al codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, Milano, 2024; S. Leuzzi, Appunti sul concordato preventivo ridisegnato, 5 maggio 2022; A. I. Baratta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Brevi considerazioni introduttive in ilfallimentarista.it., 13 agosto 2021; I. Pagni-M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata e viceversa, in Dirittodellacrisi.it, 2021; A. Rossi, L'apertura del concordato semplificato, in Dirittodellacrisi.it, 2022; G. D’Attorre, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio in Il Fall., 2021, 1604; S. Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati concordato semplificato vs concordato ordinario, in Dirittodellacrisi.it, 2021.
[2] 
A. V. Romano, sub art. 25 sexies, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, diretto da F. Di Marzio, 139.
[3] 
In tal senso G. Bozza, op. cit.; contra Pizzano Rattivi, op. cit.
[4] 
In tal senso Trib. Milano, 20 dicembre 2023.
[5] 
Così Trib. Santa Maria Capua Vetere, 11 aprile 2024, in Il Fall., 2024, 1462. 
[6] 
Così ancora Trib. Santa Maria Capua Vetere, cit.
[7] 
Sull’argomento della buona fede nelle procedure, cfr. F. Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, 178-179; S. Sanzo – D. Burroni, Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2019, 180. 
[8] 
C.M. Bianca, Il contratto, 476 ss.; F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo, 147; V. Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica e Zatti, 496 ss; in giurisprudenza Cass. n. 2503/1991, Cass. 3185/2003; Cass. 10182/2009.
[9] 
In tal senso V. Lenoci, sub. art. 112, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, diretto da F. Di Marzio, 630.
[10] 
Sul sindacato di ragionevolezza del voto, cfr. G. D’Attorre, I principi generali nel diritto della crisi d’impresa, in NGCC, 2019, 1084-1092.

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