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Saggio

Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118 del 2021*

Giuseppe Bozza, già Presidente del Tribunale di Vicenza

5 Ottobre 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore, in questo scritto, focalizza l’attenzione sul concordato semplificato, che è una delle novità introdotte dal recente d.l. n. 118 del 2021, scendendo nei particolari della disciplina del nuovo istituto, con delle inevitabili sortite nel terreno della composizione negoziata. Lo scopo dell’Autore non è tanto quello di fare una esegesi analitica delle norme per rilevarne le numerose discrasie, che pur vengono sottolineate, quanto quello di fare un primo punto ragionato sul nuovo istituto, sulle differenze rispetto all’ordinario concordato, sulle implicazioni che il concordato semplificato, quale sbocco della non riuscita fase negoziale, potrà portare sui nuovi assetti organizzativi della crisi e sulle scelte di chi deve affrontare situazioni del genere. 
Riproduzione riservata
1 . Inquadramento del concordato semplificato
Una delle novità introdotte dal recente d.l. 24 agosto 2021, n. 118 è il concordato semplificato, che non è una nuova figura di concordato autonomo cui il debitore possa accedere liberamente, ma una procedura utilizzabile, ad esclusiva iniziativa del debitore, solo come sbocco della composizione negoziata, quando le trattative non abbiano portato ad altre soluzioni. 
Tanto si deduce dall’intera intelaiatura della nuova normativa e, in particolare- come sottolineato anche nella Relazione illustrativa allo schema elaborato dalla Commissione Pagni (in prosieguo, Relazione)- dalla previsione del primo comma dell’art. 18, per la quale “Quando l'esperto nella relazione finale dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili, l'imprenditore può presentare, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di cui all'articolo 5, comma 8, una proposta di concordato per cessione dei beni”. E’ chiaro, pertanto, che questa nuova procedura è utilizzabile soltanto dall’imprenditore che abbia seguito il percorso della composizione negoziata, sempre che le trattative siano state avviate per aver ritenuto l’esperto ricorrere concrete prospettive di risanamento e che, all’esito delle stesse, non sia stata individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendevano probabile la crisi o l'insolvenza. 
Invero, per l’imprenditore che si trovi in queste condizioni di squilibrio, il recente decreto legge ha introdotto la nuova figura della composizione negoziata, che delinea un percorso attivabile solo dagli imprenditori che decidono di farvi ricorso[1], strettamente privatistico e riservato, attraverso il quale un professionista esperto nelle ristrutturazioni aziendali coadiuva l’imprenditore nella ricerca delle concrete possibilità di risanamento dell’impresa idonee al superamento dello stato di crisi (termine al momento utilizzato in senso generico) in cui questo versa..
Nel caso tale percorso porti ad un risultato positivo in quanto si è trovata una soluzione idonea a superare la situazione di crisi, il debitore può concludere un contratto, con uno o più creditori, che produce gli effetti di cui all’articolo 14 (utilizzo delle misure premiali) se, secondo la relazione dell’esperto è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni; può concludere una convenzione di moratoria ai sensi dell’art. 182-octies l. fall., inserito nel tessuto della legge fallimentare dall’art. 20 del nuovo d.l. riprendendo l’art. 62 CCII; può concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), l. fall. (gli effetti, cioè, di un piano attestato), senza necessità dell’attestazione prevista dal medesimo art. 67, terzo comma, lettera d) in quanto alla sottoscrizione dell’esperto è attribuita la medesima valenza dell’attestazione prevista da detta norma.
In questi casi la legge non richiede che sia stato raggiunto un accordo con tutti i creditori o con parte consistente degli stessi per il superamento della crisi, ma che sia stata “individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di cui all'articolo 2, comma 1, in presenza della quale le parti possono, alternativamente, concludere uno degli accordi stragiudiziali accennati, che producono gli effetti richiamati dalle norme citate e che, ovviamente, sono tanto più efficaci quanti più creditori (o crediti) vengono coinvolti.
A questi sbocchi stragiudiziali, indicati nel primo comma dell’art. 11, il secondo comma dello stesso articolo prevede anche uno sbocco giudiziale in quanto l'imprenditore può domandare l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis, anche nella forma degli accordi agevolati e degli accordi ad efficacia estesa, regolati, rispettivamente, dagli artt. 60 e 61 CCII, che il nuovo d.l. ha inserito nella legge fallimentare sostituendo l’art. 182-septies (esteso a tutti i creditori e non solo alle banche e con riduzione della percentuale di adesioni al 60% se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto) e introducendo, oltre all’art. 182-octies, anche gli artt. 182-novies e 182-decies
In tal caso, il secondo comma dell’art. 11 dispone che a queste procedure l’imprenditore può accedere “all’esito delle trattative” e la frase non è retta dalla previsione introduttiva del primo comma, che fa riferimento all’ipotesi che sia stata “individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di cui all'articolo 2, comma 1, sicchè la condizione per pervenire ad uno degli accordi di ristrutturazione descritti è solo quella che si sia arrivati all’esito delle trattative senza trovare una soluzione che giustificasse il ricorso ad uno degli accordi citati nel comma precedente. Fermo restando che l’opera di negoziazione ha potuto comunque consentire di individuare i creditori disponibili ad una soluzione di ristrutturazione, tant’è che nel secondo comma dell’art. 11 si stabilisce che “la percentuale di cui all'articolo 182-septies, secondo comma, lettera c), è ridotta al 60 per cento se il raggiungimento dell'accordo risulta dalla relazione finale dell'esperto”; il che presuppone che l’esperto abbia riscontrato l’esistenza della disponibilità di adesioni nella misura indicata, necessaria per rendere vincolante- in presenza degli altri requisiti di legge- anche per gli altri creditori non aderenti l’accordo di ristrutturazione.
Nel caso, invece, di esito negativo delle trattative e di mancato ricorso ad una delle forme di ristrutturazione, certificato dall’esperto, si apre per il debitore la possibilità di predisporre un piano attestato di risanamento, che non beneficerà dell’esenzione dall’attestazione di un esperto indipendente, o presentare una domanda di concordato preventivo, eventualmente anche nella forma del concordato con riserva, o di accedere ad una delle altre ordinarie procedure regolate dalla legge fallimentare (fallimento in proprio, liquidazione coatta amministrativa) o, in presenza dei requisiti di legge, di ricorrere all’amministrazione straordinaria. In questo contesto si inserisce il concordato semplificato, quale ulteriore e innovativa procedura a disposizione del debitore che abbia invano percorso la strada dell’accordo negoziato. 
Il ricorso a queste procedure è offerto all’imprenditore dal terzo comma dell’art. 11 in “alternativa”; da leggere non come soluzioni alternative a quelle di cui ai commi precedenti in presenza delle stesse condizioni, ma quali soluzioni alternativamente tra loro utilizzabili quando non ricorrono le condizioni che giustificano una convenzione stragiudiziale o una procedura di ristrutturazione ordinaria, agevolata o ad efficacia estesa, nel senso che è il debitore che può scegliere quale procedura adire. 
Né può porsi un problema di priorità tra esse perché, se si fa riferimento ad iniziative del debitore, questi nel momento in cui sceglie una via evidentemente non ne può percorrere un’altra[2]. Se, invece, si fa riferimento anche ad iniziative di terzi e, quindi ad istanze di fallimento, l’art. 6, co. 4, d.l. n. 118 del 2021, dispone che dal giorno della pubblicazione dell'istanza con cui viene chiesta la nomina dell’esperto per la composizione negoziata “e fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata, la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata”; divieto che permane anche nel concordato semplificato, che costituisce, come detto, una delle soluzioni praticabili all’esito negativo delle trattative e che contempla, con il richiamo dell’art. 168 l. fall. (contenuto nel secondo comma dell’art. 18) il divieto delle azioni esecutive e cautelari, nonché la cristallizzazione, negli stessi limiti disposti per il concordato preventivo, del patrimonio del debitore in applicazione delle norme indicate nell’art. 169 l. fall., a sua volta richiamato dal secondo comma dell’art. 18. E la priorità dell’esame delle domande di concordato su quelle di dichiarazione di fallimento, da un lato, come il divieto della tale dichiarazione in pendenza di una procedura volontaria, dall’altro, costituiscono patrimonio dell’attuale giurisprudenza[3] e sono principi codificati dal CCII (cfr. art. 49). 
La lett. b) del comma terzo dell’art. 11 recita: “l’imprenditore può proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 18 del presente decreto”. Espressione che evidenzia come il ricorso a questo tipo di concordato sia possibile solo quando, preso atto della impossibilità di un accordo con i creditori o comunque di trovare altre soluzioni concordate, rimane quale unica via percorribile quella della liquidazione del patrimonio; il che non esclude, come in ogni concordato liquidatorio, la possibilità di una cessione unitaria dell’azienda o di un ramo della stessa, anche basata su un offerta precostituita, come si deduce dall’art. 19, tuttavia, anche in questi casi, non mi sembra richiamabile la figura del concordato con continuità indiretta sia per la chiara terminologia legislativa, che circoscrive la fattispecie in esame finalizzandola alla liquidazione del patrimonio, sia per lo scopo del nuovo istituto, consistente esclusivamente nella liquidazione in funzione satisfattoria, in cui la vendita unitaria dell’azienda costituisce solo una modalità per un maggior ricavo rispetto ad una vendita particellizzata.
Il concordato semplificato è, cioè, costruito dalla legge come la procedura cui il debitore ricorre dopo il fallimento delle trattative della negoziazione, per cercare un regolamento extra fallimentare del dissesto secondo il modello classico della cessione dei beni, in cui manca qualsiasi interesse alla continuità dell’impresa da parte sua o di terzi[4], o, per meglio dire, manca quella componente, di qualsiasi consistenza, di prosecuzione dell'attività aziendale che secondo l’interpretazione della S. Corte[5]rende applicabile la disciplina speciale prevista dall’art. 186-bis, l. fall. Tale norma, infatti, spiega la Corte, non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnato una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una simile organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori”. A sua volta, il legislatore del codice della crisi e dell’insolvenza, ben conscio del travaglio interpretativo intorno alla figura di quei concordati che prevedono la prosecuzione dell'attività aziendale mediante l'utilizzazione di una parte soltanto del complesso aziendale, con previsione di una liquidazione dell'altra parte, pur proponendo come regola il criterio distintivo della prevalenza, ha temperato lo stesso con un criterio qualitativo che valorizza la conservazione del valore dell’azienda, favorendo contemporaneamente la prosecuzione dell’attività d’impresa e la salvaguardia dei livelli occupazionali (art. 84, co 3)[6]. 
Appare chiara l’incompatibilità di un concordato con continuità, come individuato oggi dalla giurisprudenza di legittimità e un domani dal CCII, con il concordato “per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 18 del presente decreto” cui fa riferimento l’art. 11, co. 3, lett. b); art. 18 che, a sua volta, identifica il concordato semplificato in “una proposta di concordato per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell'articolo 161, secondo comma, lettere a), b), c), d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”, ove, al di là della inequivoca terminologia utilizzata (concordato con cessione, piano di liquidazione), è significativo il richiamo della documentazione di cui all’art. 161 e non di quella di cui all’art. 186-bis. Il concordato semplificato, pertanto, è ascrivibile, per qualificazione legislativa, alla categoria dei concordati liquidatori, seppur indirettamente possa favorire la continuità, come lascia intendere il già citato art. 19 quando disciplina la cessione dell’azienda o di ramo della stessa già prima dell’omologa, che è un dato per nulla valorizzato dal nuovo legislatore ai fini della continuazione dell’attività[7].
Ulteriore dato che si ricava dalla definizione e dalla regolamentazione del concordato semplificato è che questo non è una sottospecie del concordato preventivo ordinario, ma una figura giuridica a sè, retta da una propria e autonoma disciplina, che contiene disposizioni proprie e specifici richiami di norme dettate per l’ordinario concordato preventivo, ma non un rinvio generalizzato alle stesse. 
Ne discende che le uniche norme del concordato preventivo applicabili alla nuova figura di concordato semplificato sono quelle espressamente richiamate, con conseguente inapplicabilità delle regole non richiamate; né gli spazi vuoti possono essere riempiti con l’applicazione analogica della ordinaria normativa in quanto detti spazi non sono da colmare, ma sono le caratteristiche della nuova figura, che lo differenziano dal concordato liquidatorio ordinario. Il nuovo concordato è definito semplificato proprio perché non richiede una serie di requisiti e comportamenti che onerano il debitore che intende accedere e accede all’ordinario concordato, per cui applicare al primo le norme del secondo significherebbe vanificare la portata del nuovo istituto.
Infine questa nuova figura di concordato semplificato non è “transitoriamente legata alla fase emergenziale in corso” tale da essere considerata una “introduzione temporanea”[8] in quanto non mi pare avere limiti temporali di applicazione. Invero, il decreto legge n. 118 del 2021 indubbiamente ha introdotto “misure di supporto alle imprese per consentire loro di contenere e superare gli effetti negativi che l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 ha prodotto e sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale” (come si legge, nel preambolo del decreto legge), ma la pandemia in corso ha rappresentato l’occasione per il nuovo intervento legislativo e per provvedere in via di urgenza con lo strumento del decreto legge (anche se poi l’entrata in vigore dei nuovi istituti è rinviata al 15 novembre 2021, data successiva a quella entro il quale il decreto deve essere convertito in legge), per introdurre strumenti più appropriati a far fronte alla crisi d’impresa, accentuata dalla pandemia; ma nessuna norma collega la durata della vigenza delle nuove norme alla fine della pandemia, né è previsto, in via generalizzata, un termine temporale per l’applicazione della procedura di composizione negoziata o per il concordato liquidatorio semplificato[9]. 
Né, un tale limite può vedersi nella data di entrata in vigore del CCII che introdurrà una nuova normativa sostitutiva della attuale legge fallimentare in quanto i nuovi istituti introdotti dal d.l. n. 118 del 2021 non sono parte della legge fallimentare, per cui la recente normativa dovrà essere coordinata con quella del CCII, quando entrerà in vigore. Peraltro, appare del tutto irrealistico che sia creata una nuova procedura di composizione della crisi. con l’annessa nuova figura del concordato semplificato, perché trovi applicazione soltanto per il periodo dal 15 novembre 2021 (data di entrata in vigore del d.l. n. 118 del 2021) al 15 maggio 2022 (data di entrata in vigore del CCII, come da ultimo stabilita proprio con recente d.l.).
Le nuove disposizioni in esame potranno anche essere abrogate, ma al momento questo evento non può darsi per certo; anzi, poiché la novità della composizione negoziata è stata introdotta per sopperire alla farraginosità della procedura di allerta regolata dal CCII e per offrire agli imprenditori in difficoltà ulteriori strumenti, efficaci e meno onerosi, per il risanamento delle attività che rischiano di uscire dal mercato, è prevedibile che questa nuova figura sarà mantenuta ed eventualmente sarà modificata o abrogata quella di allerta.
2 . La procedura. La fase iniziale della presentazione della domanda
Le caratteristiche del concordato semplificato sono, come la stessa denominazione manifesta, la semplicità ed essenzialità del rito attraverso cui si sviluppa, sebbene il presupposto oggettivo su cui si fonda sia il medesimo di quello che regge l’ordinario concordato liquidatorio, ossia lo stato di crisi che, come precisa il terzo comma dell’art. 160, può comprendere anche una situazione di insolvenza.
E’ vero, infatti, che il concordato semplificato costituisce uno degli sbocchi della procedura della composizione negoziata e che con questo strumento si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell’azienda o di un ramo di essa, ma, qualunque sia il significato da attribuire all’espressione “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza” (su cui si tornerà) che condiziona l’accesso alla procedura stragiudiziale, è pacifico che al concordato semplificato il debitore può accedere, come già detto, “quando l'esperto nella relazione finale dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili”. Qui l’uso della congiunzione “e” (e non della disgiunzione “o”) tra le due condizioni, che le trattative non abbiano avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non siano praticabili. sta a significare che la situazione in cui versa il debitore è talmente deteriorata che, non solo non si è trovata in astratto una soluzione capace di portare l’impresa verso il risanamento, ma che non sussiste in concreto la possibilità di uno degli accordi di cui parla il primo comma dell’art. 11 (con le connesse misure premiali), né di pervenire ad un accordo di ristrutturazione nelle sue varie forme, ossia che lo stato in cui si trova (o già si trovava inizialmente) il debitore non è quello di una crisi o insolvenza probabile, ma di una crisi o vera e propria insolvenza in atto[10].
La proposta di concordato semplificato va presentata entro sessanta giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto, resa all’esito del tentativo di composizione negoziata e con la quale certifica l’impossibilità di individuare una soluzione idonea al superamento della crisi; termine evidentemente decadenziale non essendo previste proroghe o eccezioni. Tale proposta, unitamente al piano di liquidazione e alla documentazione richiesta dalla legge, va presentata al tribunale del luogo in cui l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa[11], con un ricorso col quale si chiede contestualmente la omologazione del concordato. 
Dizione che, in linea generale, fa capire, come si vedrà in prosieguo, che è stata eliminata la fase della ammissibilità del concordato, ma, quanto alla individuazione del giudice competente, riprende quella dell’art. 161 l. fall.; tuttavia, nella nuova fattispecie, viene in considerazione solo la sede dell’impresa al momento della presentazione della domanda, non rilevando l’eventuale trasferimento intervenuto nell’anno precedente, di cui si parla nella restante parte del primo comma dell’art. 161, perché tale norma non è richiamata e la nuova legge adotta esclusivamente il criterio della sede principale, senza altra precisazione.
Nulla è detto circa l’assistenza o meno di un legale, ma considerato che, a norma del primo comma dell’art. 161 l. fall., il ricorso per concordato ordinario può essere sottoscritto dal debitore, a maggior ragione è da escludere la necessità dell’assistenza di un legale per la presentazione del ricorso in discussione, che, sebbene dia impulso ad un procedimento di connotazione sicuramente giudiziale, introduce un procedimento più semplificato di quello ordinario, all’esito, peraltro di un altro procedimento seppur di natura stragiudiziale nel corso del quale già sono stati sentiti i creditori.
Nel caso che proponente sia una società, la sottoscrizione del ricorso va eseguita dal rappresentante legale della stessa, ma sorge il dubbio se la domanda di omologazione, debba, in tal caso, essere approvata secondo le procedure previste dagli artt. 152, comma 2, l. fall.[12] richiamato dall’art. 161, comma 4 l. fall. Su questo punto, infatti, rimane qualche incertezza se si sia trattato di una omissione voluta, rientrante nel disegno semplificativo che caratterizza la nuova figura, o di una omissione involontaria, colmabile con l’analogia, ma, a mio avviso, anche in tal caso dovrebbe essere applicabile la disciplina del codice civile dettata con riferimento a ciascun tipo sociale per la delibera di atti di straordinaria importanza per la vita della società, salva diversa disposizione statutaria, e non la norma speciale della legge fallimentare, che riguarda la presentazione della domanda di concordato.
Alla proposta devono essere allegati, alla luce della previsione di cui all’ult. parte del primo comma dell’art. 18, il piano di liquidazione ed i documenti indicati dall’art. 161, comma 2, lettere da a) a d) l. fall. e, quindi: 
a)-una aggiornata[13] relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, che si traduce in un bilancio straordinario ragionato; pertanto, anche nel caso in esame, detta relazione deve contenere, in primo luogo, la rappresentazione delle ragioni che hanno determinato la condizione attuale dell'impresa, con la descrizione dell'andamento della gestione, nonché delle attività e delle passività dell'impresa e l’analisi dei costi e dei ricavi odierni. Considerata, tuttavia, la natura prettamente liquidatoria del concordato in esame, la relazione, esposta la situazione patrimoniale, economico e finanziaria attuale, deve concentrarsi, non certo sulle prospettive future- che interessano un percorso di ristrutturazione- quanto sulla fattibilità del piano di liquidazione presentato. Prevalendo, cioè, un’ottica liquidatoria, è in previsione della realizzabilità della proposta soddisfazione dei creditori che deve indirizzarsi la relazione, in modo da evidenziare, attraverso la descrizione e l’analisi della situazione attuale, che le promesse fatte ai creditori possono essere mantenute; ben diversa, infatti, è la relazione richiesta al momento della domanda per la nomina dell’esperto, ove la lett. b) del terzo comma dell’art. 5 prevede, appunto, “una relazione chiara e sintetica sull'attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative industriali che intende adottare”.
b)-uno stato analitico ed estimativo delle attività, che si compendia in una descrizione dei beni dell’impresa, e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, che ingloba anche i crediti contestati e le ragioni della contestazione che ha determinato eventuali modifiche nell’ammontare o nella collocazione, ed ha lo scopo di rappresentare qual’è, secondo il proponente, il complessivo ammontare del passivo e, quindi, del fabbisogno concordatario; l’indicazione delle cause di prelazione ha lo scopo, nel concordato semplificato che, come si dirà è improntato alla massima flessibilità contenutistica, di consentire il controllo del rispetto dell’ordine di graduazione delle preferenze nella proposta fatta ai creditori.
c)- l'elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; tale elenco nell’ordinario concordato è utile a rappresentare, fin dall'inizio, la reale composizione anche qualitativa del patrimonio dell'impresa del proponente, nell’ottica delle eventuali falcidie, cui si accompagna la stima di cui al secondo comma dell’art. 160, o dilazioni, ma nel concordato semplificato perde la sua utilità, sia perché il debitore gode di ampia libertà nella determinazione della soddisfazione dei creditori, avendo il solo vincolo del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione, sia perché l'elenco dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti scaduti e a scadere e dell'esistenza di diritti reali e personali di garanzia fa già parte del patrimonio documentale allegato alla domanda iniziale di nomina dell’esperto per la negoziazione, in quanto richiesto dalla lett. c) del comma terzo dell’art. 5. Né questa nuova documentazione ha lo scopo di individuare i creditori cui comunicare la proposta, giacché l’art. 18, nel comma quarto, nel prevedere che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori, precisa ai “creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c)” e non quelli risultanti dall’elenco di cui al primo comma dell’art. 18 o di cui alla lett. c) del secondo comma dell’art. 161 l. fall.
d)-il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Anche questo documento è poco rilevante, o meglio ha una utilità solo indiretta. Esso, infatti, ha lo scopo, nell’ordinario concordato, di permettere al ceto creditorio di confrontare l'ipotesi concordataria (che non coinvolge i soci illimitatamente responsabili) con l'alternativa liquidatoria fallimentare (che determina il fallimento per ricaduta anche di detta categoria di soci) sul piano della convenienza, in modo da orientarli nel voto; nel concordato semplificato, in cui i creditori non sono chiamati a votare, la descrizione dell’attivo e del passivo dei soci illimitatamente responsabili può servire ai creditori solo per valutare l’opportunità di proporre opposizione all’omologazione. 
A questo scopo, peraltro, i creditori non sono agevolati, in quanto, come ricordato nella voce che precede, ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c), va comunicato a mezzo Pec, soltanto “la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto”, specificando, inoltre, “dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione”; sicché la documentazione prodotta dal debitore non va comunicata ai creditori, i quali possono prenderne visione nel luogo loro indicato (probabilmente la cancelleria del tribunale).
Significativo è il richiamo nel primo comma dell’art. 18 delle lett. da a) a d) del secondo comma dell’art.161 l. fall., e non anche della lett. e), che richiede (principalmente) un “piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”, a dimostrazione di come il debitore che propone un concordato semplificato non sia tenuto a particolari modalità e tempi di adempimento, come si vedrà in seguito. 
Il ricorso, presentato al tribunale, è comunicato al P.M. e pubblicato dal cancelliere nel registro delle imprese entro il giorno successivo alla sua presentazione, in perfetta corrispondenza a quanto previsto dalla prima parte del comma quinto dell’art. 161; non trova invece applicazione la seconda parte di tale comma, non richiamata e, comunque, poco compatibile con la struttura del procedimento semplificato.
3 . Effetti della presentazione della domanda
Dalla data della pubblicazione del ricorso si applicano gli artt. 111, 167, 168 e 169 l. fall., per cui la pubblicazione della proposta di concordato semplificato produce esattamente gli stessi effetti di quella della domanda di concordato ordinario. 
Di interesse è il richiamo all’intero art. 111 in quanto il primo comma espone l’ordine delle priorità tra crediti prededucibili, preferenziali e chirografari, che costituisce il presupposto dell’altro principio espressamente richiamato del rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione. Il secondo comma, come è noto, ha dato una definizione dei crediti prededucibili secondo la quale sono considerati tali “quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”. 
Con tale norma il legislatore ha esteso l’ambito applicativo della previsione a tutte le procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare, legalizzando il principio della consecuzione ed ha introdotto i criteri generali della occasionalità e funzionalità per il riconoscimento della prededuzione anche al di fuori dei casi previsti da specifiche disposizioni di legge e il recente legislatore, invece che sancire espressamente la prededuzione per i crediti sorti nel corso della procedura di concordato semplificato, ha preferito richiamare l’art. 111 allo scopo di lasciare l’ampio margine interpretativo che la norma consente nel valutare la occasionalità e la funzionalità. 
Questo richiamo crea qualche difficoltà interpretativa nel vigore dell’attuale legge fallimentare- ove però la giurisprudenza è pervenuta o è in procinto di pervenire a risultati condivisi[14]- ma ancor più ne creerà all’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza. 
Nel presente, il problema che si pone è se il richiamo dell’art. 111 e dell’affermazione della prededucibilità si porti dietro anche l’applicazione degli artt. 111-bis e 111-ter l. fall., all’interno della procedura semplificata (ovviamente, se si perviene alla dichiarazione di fallimento, tali disposizioni trovano naturale applicazione). Si tratta, tuttavia di una questione di scarsa importanza perché la conseguenza più rilevante dell’applicazione delle regole poste dalle citate norme compatibili con la procedura in esame è quella della graduazione dei crediti all’interno della categoria delle prededuzioni quando l’attivo è insufficiente a soddisfarle tutte; orbene è evidente che, pur ammesso che una situazione del genere, che non consente il pagamento neanche di tutte le delle prededuzioni, sia ipotizzabile nel concordato semplificato, il richiamo al rispetto della graduazione va applicato anche nella graduazione all’interno delle prededuzioni[15]. 
Ad ogni modo, a mio avviso, i crediti prededucibili, salvo diversi accordi tra le parti, devono, ove non contestati, essere soddisfatti durante il procedimento man mano che vengono a scadenza, senza necessità di attendere l'omologazione e, comunque, prima del soddisfacimento dei creditori anteriori, con la possibilità del differimento del pagamento in assenza di risorse immediatamente disponibili qualora, nel corso della procedura, vengano momentaneamente a mancare le risorse utili a soddisfare i crediti prededucibili scaduti. Se contestati, mancando, come in tutti i concordati preventivi, un subprocedimento di accertamento del passivo, le contestazioni vanno risolte dal giudice ordinario; neanche è ipotizzabile l’ammissione in via provvisoria da parte del giudice delegato, mancando questa figura, nonché la votazione in vista della quale è dettato l’art. 176 l. fall.
Il richiamo in questione, all’entrata in vigore del CCII, richiederà, invece, un profondo adeguamento alla qualificazione della prededuzione data dall’art. 6 del CCI, che, in controtendenza rispetto all’attuale legge fallimentare e agli approdi consolidati della più recente giurisprudenza di legittimità, individua più analiticamente le ipotesi di prededuzione in cui la funzionalità sparisce come parametro generale di identificazione dei crediti prededucibili, per rientrare in alcune previsione, allo scopo di selezionare, nell’ambito di determinate attività, quelle che possono generare crediti prededucibili, assumendo il più modesto scopo di delimitare il beneficio della prededuzione ai soli crediti sorti per lo svolgimento di quelle attività; ed egualmente il criterio della occasionalità è ripreso non più quale strumento identificativo della prededuzione basato sul dato cronologico che un credito sia sorto in pendenza di una procedura concorsuale (neanche nel correttivo soggettivo apportato dalla giurisprudenza), ma per individuare determinati atti o attività, compiute nel corso di una procedura concorsuale, che, in quanto finalizzate a determinati scopi, possono generare crediti prededucibili. 
Pare evidente che nelle procedure alle quali si applicherà la disciplina del CCII, dovranno essere seguiti i criteri di cui all’art. 6, che non contempla, ovviamente, il concordato semplificato, per cui, se questo istituto rimane, la prededuzione, non più regolabile dall’art. 111 l. fall., dovrà essere integralmente rivista per essere adeguata alla futura normativa[16]; il che induce a ritenere che sarebbe stato meglio limitarsi ad attribuire la prededuzione ai crediti sorti nel corso della procedura. 
Il richiamo dell’art. 167 l.fall. ribadisce che anche nel concordato semplificato il debitore, in costanza di procedura, subisce uno spossessamento attenuato che, diversamente da quanto accade nel fallimento, gli consente di conservare l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa fino all’omologa, seppur sotto la vigilanza dell’organo nominato dal tribunale. Pertanto gli atti indicati dal secondo comma di tale norma sono soggetti all’autorizzazione del giudice che, nel concordato ordinario, è il giudice delegato, la cui nomina non è però contemplata nel concordato semplificato mancando, come si vedrà, una fase di ammissione e un decreto di ammissione; presumibilmente, quindi l’autorizzazione compete al tribunale, che è l’organo giudiziario chiamato in causa, come, infatti, espressamente risulta dal terzo comma dell’art. 19, che, appunto, richiede l’autorizzazione del tribunale per la vendita del complesso aziendale o rami della stessa o singoli beni prima dell’omologazione. 
L’applicazione dell’art. 168 l.fall. viene incontro all’esigenza di attuare, fin dall’inizio, una protezione del patrimonio del debitore e dell’impresa dalle aggressioni dei creditori, in modo da consentire il buon esito della procedura, in quanto la concorsualità non consente, a tutela dell’interesse collettivo, che ciascun creditore possa conservare l’iniziativa di agire sui beni del debitore. La protezione, infatti, scatta, come nell’ordinario concordato, con l’iscrizione nel registro delle imprese della domanda di concordato (ed anche questo dato dovrà essere coordinato con il CCII, che detta agli artt. 54 e 55 un sistema completamente diverso).
L’effetto protettivo principale è dato dal divieto delle azioni esecutive e cautelari, ma il richiamo dell’art. 168, nella sua interezza, comporta che oltre a tale divieto, operi nella procedura in esame anche la sospensione della prescrizione e la non rilevanza delle decadenze per quei crediti che avrebbero potuto essere azionati con procedimenti esecutivi e cautelari al momento del deposito della domanda, sino all’omologa del concordato, nonché la neutralizzazione delle ipoteche iscritte nei 90 giorni anteriori e divieto d’acquisto delle prelazioni. Ossia, le misure protettive comprendono tutte quelle dirette ad “evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza” (che è la definizione che offre la lett. p) dell’art. 2 CCI delle misure protettive),
Le misure protettive sono contemplate anche nella fase della procedura di composizione negoziata, il che non significa che il divieto di azioni esecutive e cautelari opera fin dall’inizio del percorso negoziale per poi continuare nel concordato semplificato per due motivi: in primo luogo perché le misure nelle due fasi possono non essere coincidenti dal momento che nella fase negoziata dette misure possono interessare solo alcuni creditori e, comunque queste non possono coinvolgere i diritti dei lavoratori (art. 6) nel mentre nel concordato semplificato, trovando applicazione l’art. 168 l. fall., esse colpiscono indistintamente tutti i creditori[17]; inoltre la legge, sotto il profilo in esame, crea una frattura. Infatti, a norma del comma ottavo dell’art. 5, l’esperto, al termine dell’incarico, qualora siano state concesse misure protettive, deve trasmettere la relazione finale, oltre che all’imprenditore, anche “al giudice che le ha emesse, che ne dichiara cessati gli effetti”, per cui con la fine della procedura di composizione negoziata viene meno la precedente protezione del patrimonio e inizia quella derivante dalla iscrizione della domanda di concordato semplificato nel registro delle imprese.
Questa precisazione è rilevante in ottica futura in quanto l’art. 6 della Direttiva 20 giugno 2019 n. 1023, (per il cui recepimento è stata fissata la nuova data del 17 luglio 2022) nel consentire al debitore di beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali in modo da favorire lo svolgimento delle trattative nelle procedure di ristrutturazione, indica, nel par. 6, la durata massima di quattro mesi della sospensione delle azioni esecutive individuali, poi elenca, le condizioni per ottenere una o più proroghe e, conclude, nel par. 8, precisando che “la durata totale della sospensione delle azioni esecutive individuali, incluse le proroghe e i rinnovi, non supera i dodici mesi”, onde evitare che la sospensione leda eccessivamente i diritti dei creditori. A questa tassativa imposizione si è adeguato il CCII che, all’art. 8, pone una regola di carattere generale secondo la quale “La durata complessiva delle misure protettive non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe”, con le ulteriori precisazioni contenute negli artt. 54 e 55. L’accennata frattura tra le due procedure consente di non cumulare i due periodi (la durata delle misure protettive nella fase della composizione negoziata può arrivare a 240 giorni massimo) per cui il rispetto del termine annuale diventerà abbastanza agevole in quanto, così come strutturato il procedimento del concordato semplificato, l’omologa non dovrebbe mai superare l’anno.
Col richiamo dell’art. 169 l. fall. si rendono applicabili al concordato semplificato, a far data sempre dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese- in quanto così disposto da secondo comma dell’art. 18 e non dalla presentazione della domanda, come prescrive l’art. 169 l. fall.-, l'art. 45 e gli artt. da 55 a 63, così come nel concordato ordinario, sicchè anche nella procedura in esame trova applicazione il principio della inopponibilità delle formalità non iscritte (che riproduce nell'ambito del concordato preventivo la disciplina degli effetti del pignoramento di cui agli artt. 2914 e ss. c.c.), il blocco, alla data di presentazione della domanda di concordato, del corso degli interessi, sia convenzionali che legali, sui crediti, la possibilità della compensazione come nel fallimento, con il divieto anche di cui al secondo comma dell’art. 56 l. fall., la normativa sul trattamento dei crediti infruttiferi (art. 57), delle obbligazioni (art. 58), dei crediti non pecuniari (art. 59), delle rendite (art. 50) e delle obbligazioni solidali (artt. 61, 62 e 63). 
4 . Sviluppi ulteriori della procedura. Il parere dell’esperto e quello dell’ausiliario
A seguito della presentazione della richiesta di omologazione del concordato come risultante dalla allegata proposta e piano di liquidazione, “il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell'esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, nomina un ausiliario ai sensi dell'articolo 68 del codice di procedura civile”, dispone il terzo comma dell’art. 18. 
In questa formulazione manca un dato importante, e cioè quale debba essere il contenuto della valutazione che svolge il tribunale in questa fase iniziale per procedere alla nomina dell’ausiliario e fissare la data dell’udienza di omologa. Sicuramente deve svolgere un controllo sulla regolarità della procedura, visto che la norma richiede una valutazione sulla ritualità della proposta, che attiene evidentemente alla correttezza del percorso relativo alla presentazione della domanda, ma c’è da chiedersi se l’acquisizione della relazione finale dell’esperto e del suo parere, con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, sia finalizzata ad un controllo di merito da parte del tribunale, ovvero sia solo una elencazione dei documenti che vanno acquisiti per poi trasmetterli ai creditori. 
Per come è scritta la norma e per la semplificazione che impronta l’intera procedura, a me pare che il tribunale debba controllare solo la ritualità della stessa, rifiutando la nomina dell’ausiliario e, di conseguenza, la fissazione dell’udienza, solo quando, oltre al riscontro di una irregolarità procedurale, rilevi, per usare le espressioni della nota sentenza delle Sezioni unite sulla fattibilità economica[18], la sussistenza di una manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi che poi dovranno essere oggetto del giudizio di omologa[19]; mancando, infatti, un giudizio sull’ammissione del concordato e stante la rapida scansione che porta al giudizio di omologa, dove invece il tribunale è chiamato a una valutazione comparativa tra proposta, concordataria e liquidazione giudiziale, non vi è motivo per cui il tribunale, in questa fase iniziale, debba svolgere controlli di merito sui presumibili risultati della liquidazione, per cui, ove riscontri la regolarità formale della proposta deve provvedere alla nomina dell’ausiliario ex art. 68 c.p.c. ed a fissare la data dell’udienza di omologa, indipendentemente dal parere dell’esperto, della cui funzione si dirà in seguito.
Come si vede dal richiamato terzo comma dell’art. 18 emergono un nuovo elemento e una nuova figura. 
L’elemento nuovo è costituito dal parere dell’esperto, di cui non si parla nei precedenti articoli. Nel comma ottavo dell’art. 5 viene disposto che “al termine dell'incarico l'esperto redige una relazione finale che inserisce nella piattaforma e comunica all'imprenditore e, in caso di concessione delle misure protettive e cautelari di cui agli articoli 6 e 7, al giudice che le ha emesse” e con questo atto - che contiene, tra l’altro, l’attestazione che non sono praticabili le soluzioni di cui all’art. 11 commi 1 e 2, che è la chiave per accedere alla procedura di concordato semplificato- tale organo sembrerebbe aver concluso ogni sua attività. Invece non è così perché la norma in esame prevede che egli rilasci anche un parere “con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte”, il che lascia intendere che l’esperto- che ha ormai esaurito il suo incarico ed è stato eventualmente anche pagato- sopravviva a sé stesso per rilasciare, nel momento in cui il debitore presenta domanda di concordato semplificato, un parere sui presumibili risultati della liquidazione prospettata. 
Né è ipotizzabile che l’esperto esprima un parere sulla liquidazione al termine dell’incarico, sia perché il comma ottavo dell’art. 5 prevede che, in quel momento, egli rediga soltanto la relazione finale, sia perché è inverosimile che l’esperto fornisca un parere del genere in assenza di qualsiasi ipotesi liquidatoria, potendo, come visto, il debitore, all’esito infausto delle trattative negoziali, scegliere anche altre strade. Per lo stesso motivo non è ipotizzabile che il parere sia parte della relazione finale (che, per la verità, non ha un contenuto predeterminato), tant’è che, a norma del terzo comma dell’art. 18, il tribunale deve acquisire e la relazione finale (con la quale l’esperto dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili) e il parere dello stesso organo “con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte”; il che evidenzia come relazione finale e parere siano considerati dal legislatore come due atti distinti e con finalità diverse.
Al più l’esperto, come viene consigliato al punto 13.1 della Sez. III del Decreto dirigenziale 30 settembre 2021, potrà effettuare in corso di trattative, una stima del patrimonio del debitore[20], di modo che, quando il tribunale gli richiede il parere di cui all’articolo 18, comma 3, egli possa agevolmente pronunciarsi sui presumibili risultati della liquidazione e sulle garanzie offerte dagli eventuali proponenti l’acquisto dell’azienda, di suoi rami o di singoli cespiti (punto 13.2). Queste disposizioni, tuttavia, per un verso, danno atto che non esiste una norma che imponga all’esperto di effettuare già nel corso delle trattative una stima del patrimonio del debitore, tanto che si parla in termini di opportunità, e, per altro verso, confermano, che l’esperto deve essere richiamato, dopo aver cessato la sua attività, per rendere il parere sulla proposta di concordato, eventualmente avvalendosi della stima già effettuata[21]. 
E’ chiaro, pertanto, che il parere di cui al comma terzo dell’art. 18 deve essere fornito dall’esperto al momento della presentazione da parte del debitore della domanda di concordato semplificato e, nella mancanza di una norma che ne stabilisca i tempi e le modalità del rilascio, sembra logico presumere che dovrà essere il debitore, all’atto o prima ancora di richiedere l’omologa del concordato, a comunicare all’esperto il piano liquidatorio in modo che questi possa rilasciare il suo parere in ordine ai presumibili risultati della liquidazione, ma, come accennato, nel citato passo del Decreto dirigenziale si fa riferimento ad una richiesta del tribunale, il che presuppone che il debitore abbia già depositato la sua domanda di omologazione. Presumibilmente sono utilizzabili entrambe le vie. 
A parte queste anomalie in qualche modo risolvibili, è proprio l’improvvisa comparsa sulla scena di questo parere dell’esperto che risulta essere estraneo allo svolgimento processuale, dal momento che, a norma del comma quarto dell’art. 18, ai creditori va comunicata, a cura del debitore, la “proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto”, sicché il comma terzo prevede che il tribunale acquisisca il parere dell’esperto unitamente alla sua relazione finale, e il comma quarto dispone che va trasmessa ai creditori solo la relazione e non anche il parere dell’esperto, bensì quello dell’ausiliario. 
Di conseguenza, in primo luogo diventa inspiegabile perché il tribunale debba acquisire il parere dell’esperto, visto che all’organo giudiziario non serve per lo svolgimento del compito attribuitogli in questa fase, in cui, come si è detto, non è ammessa una valutazione sul merito dei presumibili risultati della liquidazione; lo scopo di tale parere dovrebbe, quindi, essere quello di orientare il tribunale nella scelta dell’ausiliario e nella stessa fissazione dell’udienza, ma, se così fosse, si creerebbe un appesantimento ultroneo rispetto al compito attribuito all’organo giudiziario, che, al momento, si sostanza nell’attività quasi obbligata di fissazione dell’udienza, salvo irregolarità o plateali inattuabilità, dal momento che la legge non ha previsto una fase di ammissione al concordato; né il tribunale, avendo a disposizione la documentazione presentata dal debitore, ha bisogno del parere dell’esperto per orientarsi nella scelta dell’ausiliario o per capire se i risultati prospettati siano chiaramente irrealizzabili, (in caso contrario, infatti, la inattuabilità del piano non sarebbe evidente). Se, invece, il legislatore ha ritenuto che il parere di cui si discute possa servire al tribunale in sede di omologazione, non solo avrebbe dovuto esplicitarlo nel comma quinto dell’art. 18, ove tratta della attività propedeutica alla omologazione, ma, in questa fase è molto più logico utilizzare il parere dell’ausiliario, che ha “seguito” la procedura di concordato piuttosto che quello dell’esperto che ha “seguito” la fase precedente della composizione negoziata.
Ad ogni modo, se al parere dell’esperto si attribuisce il compito di orientare in qualche modo, nella fase iniziale o in quella finale, le valutazioni del tribunale, rimane l’incongruenza che il giudizio del tribunale è “condizionato” dal parere dell’esperto e quello dei creditori, ai quali tale parere non va trasmesso, è orientato dal parere dell’ausiliario, il cui parere va ad essi trasmesso.
C’è da chiedersi, inoltre, come si inserisce nell’iter procedurale delineato l’acquisizione e la trasmissione ai creditori del parere dell’ausiliario.
Invero, a norma del terzo comma dell’art. 18, il tribunale, come detto, “acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell'esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, nomina un ausiliario ai sensi dell'articolo 68 del codice di procedura civile”, per cui è di tutta evidenza che il parere cui si fa riferimento in questo comma è quello dell’esperto (e non dell’ausiliario), non solo per la dizione qualificatoria legislativa, ma perché il parere che il tribunale acquisisce preesiste alla nomina dell’ausiliario, che viene nominato solo dopo o in contemporanea all’acquisizione di tali documenti. “Col medesimo decreto- dispone il quarto comma- il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori” a mezzo pec, per cui è con lo stesso decreto che nomina l’ausiliario che viene disposta anche la comunicazione del parere di tale organo, che non si capisce quando avrebbe potuto redigere un parere che va comunicato ai creditori contestualmente alla sua nomina, visto che non è previsto un termine entro cui detta comunicazione debba essere effettuata. 
Questo dato induce a ritenere che il debitore, che deve provvedere alla comunicazione ai creditori (sebbene non sia prevista una comunicazione a lui del decreto che fissa l’udienza e gli attribuisce questo compito comunicativo, che è altra carenza), lo debba fare immediatamente, appena ha conoscenza del decreto, senza dover attendere che l’ausiliario- che peraltro dispone di tre giorni per far pervenire la sua accettazione- rediga un parere, di contenuto indeterminato (non è ripetuto qui che debba riguardare solo i presumibili risultati della liquidazione e le garanzie offerte, come specificato nel terzo comma) e per il deposito del quale non è fissato un termine, per cui potrebbe richiedere anche molto tempo, a seconda della profondità dell’indagine che l’ausiliario intende svolgere e della sua solerzia; una tale attesa (per quanto tempo?) sarebbe in contrasto con la snellezza e rapidità cui è improntata la procedura perché ne dilaterebbe inevitabilmente i tempi[22], da cui l’immediatezza della comunicazione. 
Il comma quarto prosegue precisando che “tra il giorno della comunicazione del provvedimento e quello dell'udienza di omologazione devono decorrere non meno di trenta giorni”, ma questa disposizione è anodina al fine di individuare un termine entro cui effettuare la comunicazione in quanto espone solo un intervallo temporale tra la data della comunicazione del provvedimento di cui al periodo precedente e la data fissata per l’udienza, allo scopo di consentire ai creditori di valutare se proporre opposizione. Anzi, proprio questa previsione avvalora la tesi che la comunicazione deve essere immediata, altrimenti si corre il rischio che l’udienza fissata, con lo stesso decreto che nomina l’ausiliario, venga a cadere prima del trentesimo giorno dalla comunicazione. 
Per ovviare a questo inconveniente il tribunale dovrebbe tenere conto nel fissare l’udienza del lasso di tempo (non predeterminabile) necessario per la predisposizione del parere, fissando l’udienza sempre ben oltre il trentesimo giorno dall’emissione del provvedimento; ma la norma di cui al quarto comma in esame non prevede la fissazione dell’udienza ad una certa data dall’emissione del decreto, bensì soltanto l’intervallo minimo che deve decorrere dalla comunicazione del decreto, che però il tribunale non sa quando avverrà, se si ammette che prima di detta comunicazione bisogna attendere che l’ausiliario accetti (si ricorda che dispone di tre giorni per far pervenire l’accettazione) e debba redigere un parere.
A mio avviso, quindi, in mancanza della previsione di un termine per la fissazione dell’udienza di omologa, per il deposito del parere dell’ausiliario e per provvedere alla comunicazione, bisogna dedurne che il debitore debba evadere immediatamente l’incombente attribuitogli, con evidente impossibilità di comunicare il parere dell’ausiliario, sebbene rientri nel quadro di un ordinato sviluppo procedurale che sia proprio l’ausiliario che “partecipa” (per ora si usa questo termine asettico) alla nuova procedura a dover esporre la propria opinione sugli esiti della liquidazione e sulle garanzie offerte e che sia proprio questo parere ad essere portato a conoscenza dei creditori per orientarli sulla possibilità di proporre opposizione.
Come si spiega, allora, il richiamo nel quarto comma dell’art. 18 al parere di tale organo?
E’ difficile dare una risposta perché le alternative logiche sono due; o si è inteso valorizzare il parere dell’esperto, allora bisognerebbe disporre la comunicazione dello stesso ai creditorie e non di quello dell’ausiliario, da stralciare dal comma quarto; oppure si è voluto far conoscere ai creditori proprio il parere dell’ausiliario, ed allora, bisognerebbe eliminare dal comma terzo il parere dell’esperto e inserire nel comma quarto quanto meno che il decreto che fissa l’udienza fissi anche il termine per la comunicazione ai creditori, entro il quale l’ausiliario deve rilasciare il parere, precisandone il contenuto.
In attesa di un auspicabile chiarimento, la previsione del quarto comma rimane e, probabilmente, il legislatore avrebbe fatto meglio a richiedere, nella fase iniziale, il parere dell’esperto da trasmettere ai creditori, e, successivamente, un parere dell’ausiliario finalizzato all’omologa, sebbene, la nuova norma non ripeta la previsione finale del secondo comma dell’art. 180 l. fall., per il quale entro dieci giorni prima dell’udienza fissata per l’omologa “il commissario giudiziale deve depositare il proprio motivato parere”. Questo esprime l’opinione dell’organo della procedura, che, avendo avuto la possibilità e il tempo di svolgere i necessari controlli utili per formulare un giudizio documentato, costituisce la principale fonte di valutazione da parte del giudice per decidere se omologare o meno il concordato, posto che tale parere il commissario deve depositarlo anche in caso di mancata di opposizioni; e questa esigenza di avere un parere finale dell’ausiliario/commissario ricorre, a maggior ragione, nel concordato semplificato, ove il ruolo del giudice è configurato come più penetrante che nell’ordinario concordato per sopperire alla eliminazione del diritto di voto dei creditori.
5 . Sviluppi ulteriori della procedura. L’ausiliario
La figura nuova è costituita, come è già emerso, da quella dell’ausiliario. Per la verità non è chiaro, né lo spiega la Relazione, perché il legislatore abbia introdotto questa nuova figura, invece che ri chiamare quella del commissario giudiziale, posto che l’ausiliario ha gli stessi compiti, seppur in misura più ridotta come si vedrà, di quest’ultimo, al punto che il comma ottavo dell’art. 18, rende applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 173,184,185,186 e 236 l. fall. specificando “sostituita la figura del commissario giudiziale con quella dell'ausiliario”.
Si è detto che la ragione di tale innovazione va ricercata nella volontà di evitare duplicazioni di centri decisionali, e di concentrare tutta la procedura nelle mani del tribunale, che si farà assistere dall’ausiliario[23], o anche nel fatto che alla procedura di concordato semplificato possono accedere anche le imprese non fallibili, dove non è prevista la figura del commissario giudiziale[24]. 
La prima spiegazione mi sembra più convincente[25], ma, qualunque sia il motivo della scelta, rimane, a mio avviso, la inopportunità di richiamare la figura dell’ausiliario nominato dal giudice a norma dell’art. 68 c.p.c.. Invero, la nomina dell’ausiliario di cui al codice di rito rientra nella facoltà del giudice che ha bisogno di un esperto in una determinata arte o professione, o comunque sia idoneo al compimento di atti che il giudice non può compiere da solo, nel mentre la nomina dell’ausiliario nel concordato semplificato è, nonostante il richiamo dell’art. 68 c.p.c., obbligatoria in quanto egli è un organo della procedura concordataria, che non può proseguire senza l’attività di tale ausiliario.
E questa distinzione è plasticamente presente nel decreto in esame, in quanto la figura dell’ausiliario nominato a norma dell’art. 68 c.p.c. è opportunamente richiamata nel comma quarto dell’art. 7 per assistere il giudice nel “procedere agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai provvedimenti cautelari richiesti ai sensi del comma 1 e ai provvedimenti di conferma, revoca o modifica delle misure protettive”, ove appunto si fa ricorso a un organo accidentale e occasionale che presta assistenza al giudice in un particolare frangente ed è destinato ad esaurire il suo incarico col deposito di una relazione riassuntiva del compimento degli atti specificamente commessigli, onde assicurare il migliore sviluppo della procedura, che è lo scopo per cui l’art. 68 c.p.c. prevede la nomina di un ausiliario. 
Nell’art. 18, invece, si prevede la nomina obbligatoria di un organo che partecipa alla gestione, seppur in misura minore di quanto faccia il commissario giudiziale, di una procedura concordataria, in modo da fornire al tribunale un strumento di controllo dell'operato dell’imprenditore in concordato rapportato alla semplificazione del rito[26]. Il che non esclude che il commissario possa, a sua volta, farsi coadiuvare da un ausiliario perché le due figure non sono sostitutive e confliggenti tra loro, ma possono coesistere, come ha chiarito la S. Corte[27], che ha precisato che “ancorché il procedimento concordatario preveda la nomina del commissario giudiziale – se del caso anticipata ex art. 161, comma 6, l.fall. – quale figura prestabilita di ausiliario, non è comunque precluso all'organo giudicante di fare ricorso al generale disposto dell'art. 68 c.p.c. per sopperire a peculiari esigenze che si presentino nel corso della procedura onde assicurarne il migliore sviluppo”. 
Il fatto è che il richiamo dell’art. 68 c.p.c. allontana la figura dell’ausiliario da quelle degli organi tipicamente deputati alla gestione o al controllo delle procedure concorsuali e da quelle regolate dallo stesso d.l. n. 118 del 2021. L’art. 18 dispone, infatti, che all’ausiliario si applicano le disposizioni di cui agli artt. 35, comma 4-bis, e 35.1 e 35.2 del d.lgs 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione nonchè nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.) in modo da richiamare le cause di incompatibilità e assicurare la vigilanza sul rispetto delle stesse, ma non richiama l’art. 163 l. fall., che richiede che il commissario giudiziale debba avere i requisiti di cui all’art. 28 l. fall., né l’elenco di cui all’art. 3, comma 3 del d.l, n. 118 del 2021, che delinea le caratteristiche professionale dell’esperto. 
Anche l’ausiliario va scelto tra gli iscritti negli albi presso i tribunali (artt. 22 e segg. disp. att. c.p.c.) ma il giudice è libero di individuare tra questi chi ritiene più idoneo al compito specifico che gli assegna, di modo che l’ausiliario è l’unico organo che compare nelle procedure di composizione negoziata e di concordato per la cui nomina non sono richiesti requisiti professionali specifici indicativi (almeno sulla carta) di una competenza nelle materie della crisi di impresa, posto che gli esperti devono essere scelti negli elenchi presso le Camere di commercio, l’iscrizione ai quali richiede determinate caratteristiche professionali[28] e per il liquidatore, che viene nominato all’atto dell’omologa, viene richiamato l’art. 182 l. fall., che, a sua volta, richiama l’art. 28. 
Questi ultimi non prestano giuramento, nel mentre l’ausiliario nominato ai sensi dell’art. 68 c.p.c. è un consulente del giudice soggetto al giuramento e non ha il limita dettato per l’esperto di non poter ricevere più di due incarichi contemporaneamente (art. 3, co. 7).
Inoltre, il ricorso alla nomina dell’ausiliario ex art. 68 c.p.c. comporta anche conseguenze pratiche rilevanti per l’interessato in quanto, in mancanza di qualsiasi indicazione circa la liquidazione del compenso, è da ritenere che questo vada liquidato secondo le indicazioni degli artt. 52 e 53 disp. att. c.p.c. e art. 49 DPR n. 115 del 2002[29], con una evidente disparità di trattamento rispetto all’esperto e al liquidatore, come rispetto al commissario giudiziale, che poteva essere preso come modello, riducendo di una qualche percentuale il compenso di cui all’art. 5 d.m. 25 gennaio 2012, n. 30 in considerazione del minor carico di lavoro che questi sostiene nel concordato semplificato. Infine, l’ausiliario nell’espletamento del suo incarico, può incorrere sia in responsabilità disciplinare, ma principalmente in quelle penali, indicate dall’art. 64 c.p.c,, e civili, dato che la stessa norma fa salvo il risarcimento dei danni causati alle parti. 
“L'ausiliario fa pervenire l'accettazione dell'incarico entro tre giorni dalla comunicazione”, dispone ancora il terzo comma dell’art. 18, con una formula tanto sintetica quanto prolissa è quella che riguarda l’accettazione dell’esperto. Quest’ultimo, infatti, a norma del comma quarto dell’art. 5, “verificata la propria indipendenza e il possesso delle competenze e della disponibilità di tempo necessarie per lo svolgimento dell'incarico, entro due giorni lavorativi dalla ricezione della nomina, comunica all'imprenditore l'accettazione”[30], e questa differenza ben si spiega col fatto che in quest’ultimo caso l’esperto è libero di accettare l’incarico, nel mentre l’ausiliario nominato ai sensi dell’art. 68 c.p.c., non lo è[31]. La formula richiamata, infatti, fa capire l’esistenza di un obbligo di accettazione, che discende proprio dalla qualifica dell’ausiliario in applicazione dell’art. 63 c.p.c.. al punto da poter essere perseguito per il reato di rifiuto di ufficio legalmente dovuto (art. 366 c.p.), che spiega anche la mancanza nel decreto legge in esame di eventuali specifiche sanzioni al diniego di accettazione. 
Benchè la nuova normativa non richiami il primo comma dell’art. 165 l. fall. (ripreso testualmente dal pari comma dell’art. 92 CCII), che attribuisce al commissario giudiziale la qualifica di pubblico ufficiale per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni (né l’art. 30 che attribuisce la stessa qualifica al curatore), tale qualifica va comunque riconosciuta a tale organo, sia perché è espressamente qualificato quale ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c., sia perché l’art. 357 c.p.- che offre la definizione di pubblico ufficiale, a seguito delle leggi n. 86/90 e n. 181/92, ha focalizzato l'attenzione sulla funzione del soggetto e non più sul ruolo, per cui tale qualifica va attribuita a tutti quei soggetti che "concorrono a formare la volontà di una pubblica amministrazione, che sono muniti di poteri: decisionali, di certificazione, di attestazione di coazione, anche se si tratta di collaborazione saltuaria. pertanto l’ausiliario è tenuto alla denuncia dei reati di cui abbia conoscenza in ragione del suo incarico[32].
La figura dell’ausiliario corrisponde, come già si è detto, a quella del commissario giudiziale, ma i suoi compiti sono più limitati in quanto non svolge alcuna attività di controllo sulla veridicità dei dati contabili, né verifiche prodromiche al giudizio di ammissibilità attribuite al precommissario dall’art. 47 CCII, nè è tenuto alle incombenze di cui all’art. 172 l. fall., per cui non è obbligato a redigere l’inventario del patrimonio del debitore, né a svolgere le indagini per la redazione della relazione, che non è prevista, anche perché alcune di queste informazioni sulla condotta del debitore e sulle cause del dissesto sono, o dovrebbero essere, contenute nella relazione dell’esperto. 
L’ausiliario, per il richiamo dell’art. 167 l. fall. contenuto nel secondo comma dell’art. 18, esercita la vigilanza sull’attività del debitore, come in un qualsiasi concordato preventivo, e rileva eventuali fatti e circostanze interessanti ai fini del sub procedimento di cui all’art, 173 l. fall., espressamente richiamato dal comma ottavo dell’art. 18 e, quando il piano di liquidazione prevede una offerta di acquisto dell’azienda, di rami della stessa o di singoli beni che deve essere accettata prima della omologazione, dà esecuzione all’offerta e, quindi alla vendita, verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato (comma terzo art. 19 d.l. n. 118 del 2021).
Per la verità quest’ultima disposizione è eterodossa rispetto ai compiti dell’ausiliario in quanto si attribuisce a questi il potere di procedere alla vendita, qualificata espressamente come coattiva con il richiamo degli artt. da 2919 a 2929 c.c.[33], come se avesse la disponibilità del patrimonio del debitore, nel mentre egli, a norma del richiamato art. 167 l. fall., esercita solo una attività di vigilanza sulla gestione dei beni e dell’esercizio dell’impresa che rimane in capo al debitore. 
Il fatto è che il legislatore nel comma terzo dell’art. 19 ha riprodotto la disposizione del comma secondo, che però è riferita al liquidatore (che ha i normali poteri del liquidatore di un ordinario concordato liquidatorio stante il richiamo dell’art. 182 l. fall.), limitandosi a richiedere, nel terzo comma, l’autorizzazione del tribunale che, tuttavia, nulla cambia sotto il profilo in esame; anche nel concordato ordinario per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione nel corso della procedura è richiesta l’autorizzazione del giudice delegato (figura che manca nel concordato semplificato, per cui correttamente si parla di autorizzazione del tribunale), ma, come si desume dal secondo comma dell’art. 167 l.fall.- espressamente richiamato dall’art. 18 del nuovo decreto legge- è il debitore che chiede l’autorizzazione e provvede a dare esecuzione all’atto autorizzato, rispetto al quale il commissario esprime il proprio parere.
L’applicazione dell’art. 173 l. fall. richiedeva, in mancanza di un provvedimento di apertura della procedura, una espressa previsione che sopperisse a tale situazione ed a questo scopo è stato previsto, nell’ult. parte del comma ottavo dell’art. 18 che “ai fini di cui all'articolo 173, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il decreto di cui al comma 4 equivale all'ammissione al concordato”.
Il richiamo di questa norma fallimentare, che dovrebbe consentire la revoca del concordato semplificato per gli stessi motivi per i quali può essere revocato l’ordinario concordato, come è stato correttamente sottolineato[34], viene depotenziata nella sua portata in quanto essa, nell’ambito della procedura semplificata, consente di colpire i comportamenti fraudolenti precedenti, ma non il compimento di atti di straordinaria amministrazione o di pagamenti che non appaiono coerenti rispetto alle trattative, qualora l’imprenditore abbia preventivamente informato degli stessi l’esperto e questi ritenga che tali atti non siano pregiudizievoli per i creditori, per le trattative o per le prospettive di risanamento (solo se li ritiene pregiudizievoli, segnala il proprio dissenso all’imprenditore), nonché il compimento di atti di ordinaria amministrazione e l'esecuzione di pagamenti coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento, che non vanno comunicati e sfuggono alla valutazione per il possibile dissenso dell’esperto.
Tali atti sono legittimi e quindi non possono essere considerati come atti idonei alla revoca del concordato ex art. 173 l. fall., a meno che non siano stati fraudolentemente compiuti.
Apparentemente l’ausiliario non sembra avere altri compiti durante la procedura, tuttavia considerato che il tribunale in sede di omologa deve svolgere una serie di valutazioni che, come si vedrà, investono la fattibilità e la convenienza del concordato per i creditori, non è estraneo alla disciplina rivalutare quel parere richiesto all’ausiliario dal comma quarto dell’art. 18, nel senso che, se tale parere non può, per i motivi esposti, essere rilasciato all’atto della nomina e della comunicazione della proposta ai creditori, può diventare il risultato dell’attività principale dell’ausiliario, in modo da consentire al tribunale di prendere una decisione, sia sulle opposizioni sia finale sull’omologazione, basata non solo sugli esiti dei mezzi istruttori assunti, richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, e sulla documentazione acquisita, ma che sia corroborata dalle indagini svolte dall’organo della procedura, Così come, del resto, richiesto dal secondo comma dell’art. 180 l. fall., per il quale nel termine di almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata ”il commissario deve depositare il proprio motivato parere”, visto che anche nel concordato semplificato “i creditori e qualsiasi interessato possono proporre opposizione all'omologazione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell'udienza fissata”; qui manca la richiesta del parere motivato del commissario, ma tale parere non è estraneo alla procedura dal momento che se ne parla, seppur impropriamente, nel quarto comma.
In tal modo il parere dell’ausiliario non solo assume una funzione coerente e rilevante in quanto non è riferibile solo ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, ma è anche realizzabile in quanto nel tempo, seppur breve (venti giorni, come si vedrà) a disposizione, potrà svolgere una indagine che, partendo dall’esame dell’andamento storico dell’impresa, esamini in prospettiva la realizzazione del piano proposto dal debitore, raffrontandolo agli esiti di una liquidazione fallimentare, in modo da consentire al tribunale di verificare se la proposta arrechi o meno un pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa fallimentare; ed in questo compito ci sta tutto, in quanto entrano in gioco la disamina dei comportamenti del debitore ai fini di azioni di responsabilità a carico degli organi di gestione e di controllo e di azioni revocatorie, esperibili nel corso di eventuale dichiarazione di fallimento, nonché i costi e i tempi di una procedura fallimentare rispetto a quella proposta, e così via[35]. 
Il richiamo contenuto nell’ult. comma dell’art. 18 all’art. 185 l. fall. comporta che l’ausiliario non cessa la sua attività con l’omologa, giacchè in forza della norma richiamata egli deve sorvegliare l'adempimento del concordato e, quindi l’opera del liquidatore, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione e deve riferire al giudice ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio ai creditori. Richiamo opportuno perché di questa ulteriore attività non se ne parla in altra parte della normativa, anche se questo residuo potere di controllo (diretto dell’ausiliario ed indiretto del tribunale) finalizzato a garantire l'interesse dei creditori al rispetto degli impegni assunti dal debitore proponente è in gran parte vanificato dalle modalità della liquidazione dettate dal secondo comma dell’art. 19, di cui si parlerà.
Questa è, comunque, l’unica parte della norma dell’art. 185 (unitamente all’applicabilità dell’art. 136) compatibile con il concordato semplificato perché nella restante parte introdotta nel 2015, il legislatore si è preoccupato di prevedere alcuni possibili interventi sul debitore che rimane inerte o addirittura assume comportamenti ostruzionistici nella esecuzione di proposte concorrenti omologate, dato che nella nuova procedura non sono ipotizzabili proposte alternative.
6 . La fase dell’omologa. Procedura
Come già anticipato, il tribunale, con il medesimo decreto con cui nomina l’ausiliario “ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c), ove possibile a mezzo posta elettronica certificata[36], specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione e fissa la data dell'udienza per l'omologazione e fissa la data dell’udienza per l’omologazione” (art. 18 co. 4).
A parte l’equivoco riferimento al parere dell’ausiliario e l’assenza di un termine per la comunicazione ai creditori, di cui si è parlato, dalla lettura della norma richiamata sembrerebbe che la fissazione dell’udienza per l’omologa non sia oggetto della comunicazione ai creditori, posto che il tribunale ordina la comunicazione della proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto e fissa la data dell’udienza”, ma non include la stessa fissazione tra gli elementi da comunicare. E’ evidente che la norma è scritta male essendo inevitabile che anche (e principalmente) la data fissata per l’udienza di omologazione debba essere comunicata ai creditori, dal momento che questi, possono proporre opposizione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell'udienza fissata; operazione che richiede la conoscenza della data dell’udienza che evidentemente va comunicata unitamente agli altri elementi espressamente sottolineati dalla norma[37]. 
Unendo questo rilievo, indubbiamente marginale, a quelli di più consistente spessore evidenziati in precedenza, forse sarebbe stato più corretto formulare il comma quarto dell’art. 18 più o meno nei seguenti termini: “Con il medesimo decreto il tribunale fissa la data dell'udienza per l'omologazione e ordina che questo, unitamente alla proposta del debitore, al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicato, a cura del debitore, che deve indicare dove possono essere reperiti i dati per la valutazione della proposta, ai creditori risultanti dall'elenco depositato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera c), ove possibile a mezzo posta elettronica certificata, entro il termine di giorni tot, dalla comunicazione del presente decreto al debitore stesso”.
In tal modo, modulando il termine per la comunicazione ai creditori sul presumibile tempo necessario perché venga acquisito il parere dell’ausiliario o precisando anche il termine entro cui il parere deve essere fornito, si potrebbe mantenere nel comma quarto il riferimento al parere di quest’ultimo con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, eliminando, a questo punto, dal comma terzo, il parere dell’esperto (che ha cessato l’attività con la stesura della relazione finale) su questi stessi argomenti, dando così coerenza al percorso procedurale.
Non essendo prevista una votazione è chiaro che non vi sono dissenzienti, per cui l’opposizione può essere proposta da qualsiasi creditore. Dovendo questa essere proposta mediante costituzione in giudizio almeno dieci giorni prima dell’udienza, i creditori hanno a disposizione venti giorni per esaminare la proposta e la documentazione e proporre opposizione all’omologazione, che è l’unico mezzo attraverso cui essi possono interloquire non essendo previsto il voto nella procedura in esame; termine di gran lunga più ridotto di quello di cui i creditori dispongono nell’ordinario concordato per esprimere il voto in quanto, il già ricordato n. 2 del secondo comma dell’art. 163 l. fall. consente di fissare la convocazione dei creditori fino a centoventi giorni dalla data del provvedimento che, va comunicato ai creditori in un termine che il tribunale stabilisce.
I creditori, quindi, non solo non possono scegliere se aderire o meno ad una proposta concordataria, non solo vedono spostato in avanti il loro eventuale intervento nella procedura, che può avvenire solo con la costituzione nel procedimento di omologa che, richiedendo la necessaria assistenza di un legale, comporta un costo superiore alla espressione del voto, ma hanno un tempo per valutare questa difesa indiretta e più onerosa costituita dall’opposizione all’omologazione che potrebbe anche non risultare adeguato, considerato a questo tipo di concordato possono accedere. come si vedrà, tutti gli imprenditori commerciali e agricoli di qualsiasi dimensione.
Il provvedimento che fissa la data dell'udienza per l'omologazione non è soggetto a pubblicazione in quanto non è ripetuto il primo comma dell’art. 180 nella parte in cui dispone che l’analogo provvedimento del giudice delegato va “pubblicato a norma dell'articolo 17”; tale provvedimento, infatti, costituisce nel concordato semplificato un ibrido: fissa l’udienza di omologazione ma, contemporaneamente, equivale all'ammissione al concordato semplificato, come precisa l’ult. comma dell’art. 18. 
Lo stesso provvedimento non è impugnabile ex art. 26 l.fall. sia perché manca il richiamo di tale norma e correttamente non sono previste altre forme di reclamo perché comunque il tribunale deve valutare in sede di omologazione la regolarità della procedura, tra cui rientra anche la rituale fissazione dell’udienza e il rispetto dell’intervallo di tempo di cui al quarto comma dell’art. 18. 
Costituendo il giudizio di omologazione una fase necessaria del procedimento di concordato cui si perviene attraverso la fissazione della relativa udienza da parte del tribunale, questo provvedimento va indubbiamente iscritto a ruolo; nel silenzio su chi debba provvedere a tale incombente, è opportuno rifarsi ai traguardi raggiunti nell’interpretazione dell’art. 180 l. fall., secondo cui è il debitore in quanto parte formale e sostanziale e, quindi, necessaria a dovervi provvedere, pena l'improcedibilità del giudizio, equivalendo l’omessa iscrizione a rinuncia implicita, con conseguente nullità del decreto di omologa eventualmente emesso[38]. 
Il tribunale assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, provvede sulla omologa con decreto motivato, immediatamente esecutivo, dispone il comma sesto dell’art. 18, ripetendo inutilmente che il tribunale provvede “assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio”, dal momento che l’incipit del precedente comma quinto è del seguente tenore: “Il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, omologa il concordato quando ….”. 
Tale norma riprende sostanzialmente quella del quinto comma dell’art. 180 l. fall. Il provvedimento di omologazione è, infatti, assunto con decreto motivato immediatamente esecutivo, così come prevede la norma fallimentare, avendo il recente legislatore opportunamente ritenuto di non anticipare la previsione del comma terzo dell’art. 48 CCII- per il quale il tribunale “provvede con sentenza sulla domanda di omologazione del concordato”- considerata la natura semplificata del rito alla cui conclusione meglio si addice il decreto. 
Tale decreto (a differenza di quello che fissa l’udienza) va pubblicato a norma dell'art,. 17 l. fall. e va comunicato dalla cancelleria a tutte le parti del giudizio di omologa- debitore, ausiliario e creditori costituiti - e non, come nel concordato ordinario, solo ai primi due, lasciando poi al commissario il compito di darne notizia ai creditori.
I destinatari della comunicazione nei successivi trenta giorni, possono proporre reclamo alla corte di appello ai sensi dell’art. 183 l.fall.. 
Mancando il richiamo del terzo comma dell’art. 180, che esclude la reclamabilità nel caso di decreto di omologazione in assenza di opposizioni, il reclamo in esame è possibile sia che il decreto abbia negato l'omologazione (in presenza o in assenza di opposizioni), sia che l’abbia concessa, anche in tal caso in presenza o in assenza di opposizioni e non come nel l’ordinario concordato solo in presenza di opposizioni[39].
Il mancato richiamo del settimo comma dell’art. 180 l. fall. non esclude, invece, che il tribunale qualora non omologhi il concordato possa contestualmente pronunciare il fallimento con sentenza, sia perchè il ricorso iniziale è comunicato al P.M., che può quindi formulare domanda di fallimento in vista della definizione negativa dell’omologa, sia perché, non essendo vietata in quel momento (ossia dopo il rigetto dell’omologa) la pronuncia di insolvenza, nulla impedisce che questa possa essere emessa contestualmente al decreto di rigetto dell’omologa, ricorrendone ovviamente i presupposti.
In questo caso il reclamo avverso la sentenza coinvolge anche il rigetto dell’omologa, nel mentre si corre il rischio di conflitto di giudicati (che il secondo comma dell’art. 183 tende ad evitare-) nel caso di non contestuale dichiarazione del fallimento, che intervenga invece in un momento successivo, perché qui il debitore, che ha già impugnato il decreto di rigetto dell’omologa, può reclamare la sentenza di fallimento; rischio evitato nel concordato ordinario proprio con la non impugnabilità del decreto di rigetto dell’omologa, con accompagnato da pronuncia di fallimento, quanto meno in caso di assenza di opposizioni e ovviabile, nella specie in esame, con la riunione dei procedimenti ove possibile o con la sospensione di quello avente ad oggetto il reclamo avverso la sentenza di fallimento, essendo pregiudiziale l’accertamento della non omologabilità del concordato. 
Mancando la categoria dei creditori dissenzienti in assenza di una votazione, legittimati all’impugnazione sono coloro i quali abbiano rivestito la qualità di parte per essersi costituiti nel giudizio di omologa e qui abbiano assunto una posizione risultata soccombente. In conformità degli approdi della giurisprudenza con riferimento al commissario, è da ritenere che anche l’ausiliario, parte formale del procedimento, che deve partecipare al giudizio come legittimato passivo, non sia legittimato al reclamo, poiché non è portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale[40].
A sua volta la Corte d’appello, che procede al riesame dell'intero processo deduttivo che ha portato alla pronuncia negativa (o positiva) sull’omologa, decide con decreto ricorribile in cassazione nei successivi trenta giorni dalla data della comunicazione. Quest’ultima è una giusta precisazione, che sopperisce al silenzio dell’art. 183 l. fall., che la giurisprudenza aveva superato ammettendo il ricorso straordinario in cassazione ai sensi dell’art. 111, co. 7 Cost.[41]; l’attuale previsione apre la strada all’ordinario ricorso in cassazione averso la decisione della Corte d’appello.
7 . La fase dell’omologa. L’istruttoria, la decisione, gli effetti
Nominato l’ausiliario, fissata l’udienza per l’omologa e disposta la comunicazione ai creditori, il comma quinto dell’art. 18 prevede che “il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e comunque assicura un'utilità a ciascun creditore”.
Non è ripetuto, come si vede, il modello contenuto nell’art. 180 l. fall., che disciplina differentemente il procedimento, pur sempre camerale, a seconda che vengano o meno proposte opposizioni all'omologazione, per cui le indagini indicate nel quinto comma il tribunale deve svolgerle che siano o non proposte opposizione; ovviamente in caso di opposizioni, assumendo il procedimento carattere contenzioso, ricorrerà la necessità di svolgere l’attività istruttoria richiesta dalle parti, per cui l’approfondimento delle questioni da trattare sarà sicuramente maggiore dovendo il tribunale dare una risposta ai rilievi mossi dagli opponenti; si può dire, pertanto, che l’omologa o il rigetto è, normalmente ma non esclusivamente, in dipendenza del rigetto o dell'accoglimento delle opposizioni, potendo anche il tribunale rigettare le opposizione ed egualmente non omologare il concordato per motivi diversi da quelli prospettati dagli opponenti.
Sotto il profilo istruttorio, invece, la nuova norma riprende la formula del comma quarto dell’art. 180 l. fall. secondo la quale il tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio[42], per cui, come nel concordato ordinario, non vi sono preclusioni alle richieste istruttorie delle parti che possono, quindi, utilizzare tutti i mezzi di prova previsti dall'ordinamento. Il fatto che la norma in esame detti la medesima disciplina che siano o non presentate opposizioni, supera i dubbi circa l’estensione dei poteri istruttori d’ufficio nel caso non siano proposte opposizioni che nascono dalla laconica formulazione del terzo comma dell’art. 180; nel concordato semplificato il tribunale può sicuramente disporre mezzi istruttori d’ufficio, anche in mancanza di opposizioni trovando applicazione il comma quinto anche in questo caso, sicchè la nuova norma introduce un potere officioso che nel concordato ordinario è discusso e perpetua le incertezze sull’estensione dei poteri d’ufficio; se, cioè il tribunale possa ammettere solo i mezzi istruttori che anche nel rito ordinario possono essere ammessi di ufficio o se la formula della norma (“assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio”) consenta di ritenere che l’attività officiosa abbracci tutte le prove che possono essere richieste dalle parti, con il superamento del principio della disponibilità delle prove di cui all'art. 115 c.p.c..
Nel merito, il tribunale è tenuto ad esaminare le opposizioni e a verificare la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell'ordine delle cause di prelazione e la fattibilità del piano di liquidazione, ed a rilevare se la proposta arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e comunque se assicura un'utilità a ciascun creditore. 
In realtà il tribunale recupera quei poteri di cui godeva anteriormente alla riforma iniziata nel 2005, quando svolgeva un ruolo penetrante nell'ambito della procedura che si estendeva fino a poter valutare la convenienza del concordato rispetto alla liquidazione fallimentare; posizione che veniva comunemente vista come contrappeso alla lesione del diritto soggettivo dei creditori dissenzienti ad essere soddisfatti integralmente loro imposta per effetto della volontà della maggioranza degli altri creditori. Accentuata, con la riforma dei primi anni 2000, la natura negoziale del concordato e ridotto l’intervento pervasivo dell’autorità giudiziaria, la soluzione della crisi è diventata oggetto di un rapporto diretto tra debitore e creditori, che, siano essi considerati uti singuli che come collettività, necessitano di una tutela che passa attraverso un rafforzamento della loro volontà ed in cui il giudice ha perso sia il potere di valutare la fattibilità economica che la convenienza.
Il nuovo legislatore ora ripristina i poteri dell’autorità giudiziaria per giustificare la perdita del diritto di voto dei creditori, ci ricorda la Relazione, ma, a ben guardare, questo ripristino è meno invasivo di quello che appare, specie se visto nell’ottica futura dell’entrata in vigore nel maggio 2022 del codice della crisi e dell’insolvenza, che già si muove in questa direzione. 
Il controllo della regolarità dello svolgimento della procedura è, invero, compito connaturato all’omologa, che evidentemente non può essere dichiarata ove la procedura non si sia svolta regolarmente o non sia rispettato il principio della graduazione delle cause di prelazione; nel caso del concordato semplificato, la mancanza del voto e delle maggioranze elimina gran parte del contenzioso sulla regolarità dello svolgimento del concordato e la semplificazione estrema del rito rende più semplice e agevole anche questo controllo, così come la non previsione delle classi (su cui si tornerà) rende più difficile la violazione dell’ordine della graduazione. 
Egualmente non rappresenta una novità la verifica che la proposta assicuri un'utilità a ciascun creditore (utilità di qualsiasi natura, anche non necessariamente in danaro che, quindi, può essere attuata anche dalla continuazione dei rapporti in corso[43]), posto che già oggi la lett. e) del secondo comma dell’art. 161 l. fall., come riformulata con il d.l. n. 83 del 2015, convertito nella l. n.132 del 2015, prevede che “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”; disposizione che individua uno dei presupposti per la stessa ammissione del concordato (cfr. art. 162 l. fall.), ancor più stringente di quello indicato dal nuovo d.l., che non richiede che l’utilità sia “specificamente individuata ed economicamente valutabile”, il che lascia qualche maggior margine all’interprete[44].
Sulla valutazione della fattibilità sono ben note le soluzioni interpretative della legge fallimentare, che ammettono la verifica della fattibilità giuridica ma escludono quella economica, salvo che il piano non risulti a prima vista non realizzabile; ma questa situazione è destinata a mutare con l’entrata in vigore del nuovo codice che ha reintrodotto la verifica della fattibilità del piano concordataria, sia al momento dell’ammissibilità (art. 47, co. 1, CCII) sia al momento dell’omologa (art. 48, co. 3, CCII), sicchè se è vero che la nuova norma crea una frattura con l’attale legge fallimentare, in realtà anticipa in parte un caposaldo del futuro concordato. 
Per la verità il comma quinto dell’art. 18 richiede una verifica della fattibilità del piano di liquidazione, senza alcuna aggettivazione, a differenza delle citate norme del CCII che parlano di fattibilità economica, ma non può mettersi in dubbio che anche la nuova norma faccia riferimento a questo tipo di fattibilità perché quella giuridica, che oggi svolge il giudice nel concordato preventivo, rientra implicitamente nella sfera dei poteri omologatori del tribunale, come accade infatti oggi nel concordato preventivo; pertanto l’aver previsto esplicitamente che il tribunale omologa il concordato verificata la fattibilità del piano è chiaro indice della volontà di introdurre un controllo sulla fattibilità economica del piano. Inoltre, come è stato correttamente sottolineato[45], il fatto che lo scrutinio del tribunale si fondi sulla relazione dell’esperto e sul parere dell’ausiliario (entrambi i quali si occupano di fattibilità economica) depone in modo sufficientemente perspicuo nel senso che la verifica demandata al tribunale ai fini dell’omologazione non possa prescindere da questo aspetto.
Il tribunale deve infine appurare che “la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare” che introduce un giudizio sulla convenienza, anche se la semplice mancanza di un "pregiudizio" per i creditori è concetto più ristretto di quello della convenienza. La ricerca della convenienza richiede, infatti, il riscontro in positivo di un vantaggio per i creditori rispetto allo scenario alternativo del fallimento, nel mentre per la mancanza di pregiudizio è sufficiente l’accertamento dell’assenza di un danno rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e, quindi, che i creditori ricevano un trattamento economico almeno pari a quello che loro ricaverebbero dalle altre soluzioni alternative; di conseguenza, pur non trovando applicazione l’ult. comma dell’art. 160 l. fall., la soglia minima di soddisfazione (non solo dei chirografari) è costituita da quella presuntivamente ricavabile dalla liquidazione fallimentare.
Anche questa valutazione non costituisce una novità assoluta, giacchè già l’attuale art. 180 co. 4 l. fall. consente una indagine del genere quando un creditore appartenente ad una classe dissenziente ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto, contestino la convenienza della proposta; la nuova norma elimina questi limiti e consente, anzi impone la valutazione in oggetto quale elemento essenziale del giudizio, pur in mancanza di opposizioni.
Chiaramente rispetto alla previsione della legge fallimentare è stato ampliato il campo di indagine del tribunale, ma, ad ogni modo, a questo non è stata rimessa una valutazione che riguardi la prosecuzione dell’impresa in continuità indiretta tramite la cessione di azienda, o la praticabilità e convenienza di una sistemazione in chiave continuativa della situazione di crisi o di insolvenza[46] giacchè, come detto fin dall’inizio di questo scritto, il concordato semplificato è qualificato e strutturato dalla legge come un concordato esclusivamente liquidatorio, al quale è estranea ogni valorizzazione della continuità, rilevando la cessione unitaria dell’azienda esclusivamente quale strumento per la migliore recovery dei creditori, come appunto in ogni concordato liquidatorio. 
A mio avviso, pertanto, l’indagine sulla convenienza, o meglio sulla mancanza di pregiudizio per i creditori, non si sostanzia in una valutazione bilanciata tra il pregiudizio delle ragioni dei creditori e la prosecuzione dell’attività d’impresa, e tanto meno può incentrarsi sul mantenimento dei livelli occupazionali (esigenza presente nell’art. 84 CCII), ma ha ad oggetto solo ed esclusivamente il raffronto tra il presumibile ricavo realizzabile nel concordato in attuazione del piano di liquidazione (sia che questo preveda la vendita del complesso aziendale che analitica dei singoli beni), con quella omologa eventualmente realizzabile nel fallimento, oltre a tener contro delle altre eventuali entrate (ad es. da revocatoria) o risparmi (ad es. per minori spese) che l’una o l’altra procedura possono consentire.
Orbene, se nella prospettiva liquidatoria in cui si muove il concordato semplificato, la convenienza poggia, come detto, su valutazioni esclusivamente economiche, non si vede perché debba essere il tribunale a verificare la convenienza per i creditori della soluzione concordataria rispetto al fallimento o a giudicare le utilità che possono questi ricevere e non i creditori stessi, lasciando loro il diritto di esprimersi con il voto; voto che, eliminata l’assemblea dei creditori, come previsto dal CCII, potrebbe raccogliersi a mezzo Pec in tempi brevi, conciliabili con la velocità che si è intesa imprimere alla procedura e che giustifica l’abolizione della votazione. 
Con il decreto di omologazione, il tribunale nomina un liquidatore, al quale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 182 l. fall., dispone il primo comma dell’art. 19 d.l. n. 118 del 2021. 
In tema di concordato liquidatorio ordinario la S. Corte è ormai concorde nell’affermare che il potere di nomina del tribunale è vincolato alla designazione fatta dal debitore, a condizione che essa sia rispettosa dei requisiti previsti dall'art. 28 l.fall. e che il decreto con il quale il tribunale in sede di omologazione provvede alla nomina di un liquidatore giudiziale diverso da quello indicato nella proposta approvata, è impugnabile per cassazione a norma dell'art. 111, comma 7, Cost.[47]; ne segue che anche nel concordato semplificato il richiamo dell’art. 182 l. fall. fa sì che he l'indicazione del debitore rivesta i tratti e la portata della designazione vincolante, sempre che il soggetto designato abbia le caratteristiche per svolgere questo incarico, solo che il relativo provvedimento, in caso di violazione, è reclamabile, a norma del comma sesto dell’art. 18, avanti alla corte d’appello.
L’art. 182 l. fall. prevede anche la nomina di un “comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione”, ma la presenza di tale organo nel concordato semplificato è completamente svilita, al punto da far dubitare della necessità della sua nomina. Invero, a norma del comma quarto dell’art. 182 l. fall. il compito del comitato dei creditori è quello di autorizzare “le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonche' le cessioni di attivita' e passivita' dell'azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco”, ma il secondo comma dell’art. 19 del d.l. n. 118 del 2021- norma specifica alla fattispecie e perciò prevalente su quella generale- prevede che il liquidatore possa dare esecuzione all’offerta di acquisto dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, semplicemente verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato, senza, quindi, l’autorizzazione del comitato dei creditori; il che, tra l’altro, rende incompatibile l’applicazione dell’art. 107 l. fall., richiamato dall’art. 182, con il suo precetto cardine di attuare le vendite tramite procedure competitive.
Per la verità neanche la richiamata norma di cui al secondo comma dell’art. 19 brilla per chiarezza lì dove prevede che il liquidatore possa dare esecuzione all’offerta “avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, dell'azienda, o di uno o più rami d'azienda,…”, in quanto sorge spontaneo chiedersi come, qualora il trasferimento debba avvenire prima dell’omologa, possa provvedere a darvi esecuzione il liquidatore, che viene nominato proprio con il decreto di omologazione, tanto più che la fattispecie che l’offerta debba essere accettata prima dell’omologazione è regolata nel terzo comma, con l’intervento, come già visto, dell’ausiliario. E le due ipotesi sono sovrapponibili e differenziate solo con riferimento al momento dell’accettazione dell’offerta, non essendo ipotizzabile un piano che preveda il trasferimento prima dell’omologa, ma che l’offerta relativa debba essere accettata dopo l’omologa; sarebbe, pertanto, opportuno eliminare dal secondo comma l’inciso “anche prima dell'omologazione”.
Ad ogni modo, rimane il fatto che il liquidatore, indicato dallo stesso debitore che presenta un piano preconfezionato, contenete una proposta di acquisto dell’intera azienda o rami della stessa o anche di singoli beni, può procedere alla vendita al soggetto indicato dal debitore, senza alcuna autorizzazione del comitato dei creditori o del tribunale, semplicemente verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato, con buona pace della competitività e della tutela dei creditori, che, non solo non hanno diritto al voto, non solo hanno un tempo ristretto per sobbarcarsi alla onerosa opposizione, ma non possono neanche esercitare alcun controllo, neppure tramite il loro organo rappresentativo, sulle scelte del liquidatore che incidono sul livello della loro soddisfazione, né sperare che attraverso una gara tra interessati la liquidazione possa dare risultati più soddisfacenti della proposta iniziale; possono contare solo sulla solerzia dell’ausiliario nell’attività di controllo che, tuttavia, è limitata dal primo comma dell’art. 185 alla sorveglianza sull'adempimento del concordato omologato, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione, sicchè se questa modalità di vendita era stata già rappresentata e accolta nel decreto di omologa, gli spazi di un intervento impeditivo non sono ampi.
Per il resto il liquidatore nominato con il decreto che omologa il concordato semplificato è equiparabile a quello ordinario, con l’applicazione della disciplina richiamata dall’art. 182 l.fall., previa verifica della compatibilità, per cui è pacifico che egli subentra al debitore nei soli poteri di gestione dei beni ceduti nella esclusiva finalità della loro liquidazione..
L’ult. comma dell’art. 18 dispone che al concordato semplificato “Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 173,184,185,186 e 236 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, sostituita la figura del commissario giudiziale con quella dell'ausiliario”.
Degli artt. 173 e 185 si è già parlato, degli altri merita attenzione l’art. 184, che costituisce un cardine fondamentale del concordato in quanto vincola i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda dì concordato preventivo, compresi quelli dissenzienti, al rispetto degli effetti esdebidatori derivanti dall’omologazione. Nella fattispecie in esame, la precisazione della vincolatività per i dissenzienti è superflua perché, mancando una votazione e la possibilità di esprimere un dissenso se non in sede di opposizione, il richiamo di tale norma ha lo scopo di sancire l’obbligatorietà della proposta omologata per tutti i creditori concorsuali. Inoltre trovano applicazione le altre disposizioni dell’art. 184, per cui I creditori conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, e gli effetti del concordato omologato della società si estendono, salvo patto contrario, anche ai soci illimitatamente responsabili della società, con tutto il carico di criticità non risolte che queste disposizioni si portano dietro.
Il richiamo dell’art. 186 rende applicabile alla fattispecie in esame la risoluzione negli stessi termini in cui questa è consentita nell’ordinario concordato, e attraverso questo l’annullamento. Tuttavia, la semplificazione introdotta, che non richiede neanche l’esposizione dei tempi di adempimento, rende il ricorso a tale istituto, che nell’art. 186 è soggetto al termine di decadenza di cui al terzo comma, esercitabile senza limiti, posto che, secondo il consolidato indirizzo della S. Corte, nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell'ultimo adempimento, il termine annuale di cui all’art. 186 “decorre dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive”[48]; sempre che, naturalmente, vi siano disposti a sobbarcarsi all’onere anche economico di un procedimento per la risoluzione.
Il richiamo dell’art. 236 l. fall. nella sua interezza fa sì che lo strumento del concordato semplificato sia inserito tra le procedure cui la norma di carattere penalistico fa riferimento e che lì dove nell’art. 236 si prevede che nel caso di concordato preventivo si applicano le disposizione di cui ai successivi quattro numeri bisogna intendere che dette disposizioni sono applicabili anche nel caso di concordato semplificato, salvo verifica di compatibilità per ciascuna, che mi sembra sussistere, sostituendo ovviamente l’ausiliario al commissario giudiziale. 
Non vi è dubbio che, come è stato immediatamente sottolineato[49], l’estensione al concordato semplificato delle fattispecie di bancarotta fraudolenta diventa problematico in quanto le stesse non sono espressamente richiamate in via diretta e il doppio rinvio non sembra una tecnica idonea a perseguire tutte le possibili condotte depauperatorie che si dovessero riscontrare in una fase di mera crisi aziendale; tuttavia il dato del tutto pa cifico della natura concorsuale del nuovo istituto e del richiamo dell’art. 236, seppur espressione di una tecnica non perfetta, non dovrebbe escludere l’applicazione alla nuova figura di tutte le ipotesi di reato contemplate o richiamate dalla norma penalistica.
8 . Concordato semplificato e concordato preventivo liquidatorio ordinario. Differenze
Nei paragrafi precedenti si è fatto cenno ad alcune delle peculiarità del concordato semplificato che lo differenziano dal concordato liquidatorio ordinario; ora è il momento di vedere più da vicino le diversità di regolamentazione di maggiore spessore.
La prima attiene all’elemento soggettivo. 
Nulla dispone in proposito l’art. 18 né viene richiamato l’art. 1 l. fall., per cui l’individuazione dei soggetti che possono usufruire del concordato semplificato va cercata all’interno della nuova legge, muovendo dal concetto che una prima caratteristica della nuova figura è quella di poter essere utilizzata non in via autonoma e immediata ma solo quale sviluppo della composizione negoziata non riuscita; di conseguenza, alla nuova procedura concordataria semplificata possono fare ricorso, dal punto di vista soggettivo, solo e tutti coloro che possono chiedere la nomina dell’esperto per la composizione negoziata. Poiché tale nomina può chiederla qualsiasi “imprenditore commerciale e agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza”, (art. 2, co. 1), compreso “l'imprenditore commerciale e agricolo che possiede congiuntamente i requisiti di cui all'articolo 1, secondo comma, l. fall,” (imprenditori sotto soglia o imprese minori, secondo la definizione di cui all’art. 2 del CCII), che si trovi nelle medesime condizioni di squilibrio[50], appare del tutto palese l’idea del legislatore di dare accesso alla nuova procedura a qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, soggetto a fallimento o a liquidazione straordinaria o a sovraindebitamento[51], non essendo previsti limiti dimensionali, né verso l’alto né verso il basso. Come del resto precisato anche nella Relazione, ove si dice appunto che ““Non vi sono requisiti dimensionali di accesso alla composizione negoziata, che è concepita con strumento utilizzabile da tutte le realtà imprenditoriali iscritte al registro delle imprese, comprese le società agricole”.
Il nuovo decreto legge contiene una apposita disciplina per l’accesso e lo svolgimento delle trattative in caso di gruppo di imprese, precisando nel primo comma dell’art. 13 che “costituisce gruppo di imprese l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica”. Non è questa la sede per un discorso sul “gruppo di imprese” perché, ai fini che qui interessano è sufficiente rilevare che l’art. 13- che pur detta un criterio unitario per l’individuazione della camera di commercio competente e prevede che unitariamente vengano svolte le trattative per tutte le imprese, salvo che non risultino eccessivamente gravose, ed altro- nel suo ultimo comma stabilisce che “al termine delle trattative, le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all'articolo 11, comma 1, ovvero accedere separatamente alle soluzioni di cui all'articolo 11”.
Orbene, chi sceglie la via del concordato semplificato, non può che accedere separatamente a tale procedura in quanto gli artt. 18 e 19 del d,l. in esame non contengono alcun riferimento alle società di gruppo e manca qualsiasi disciplina dello svolgimento della procedura unitaria delle più imprese del medesimo gruppo. Come è noto il nuovo codice della crisi prevede, negli artt. 284 e segg., che più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo possono proporre con un unico ricorso la domanda di accesso al concordato preventivo di cui all'articolo 40 con un piano unitario o con piani reciprocamente collegati e interferenti e ne regolamenta la fattispecie, ma nessuna di queste norme è anticipata nell’attuale decreto legge. Anche in questo caso, pertanto, si porrà, come già visto per la prededuzione e per la durata delle misure protettive, la necessità di un riesame della attuale normativa quando entrerà in vigore il CCII, sempre che si voglia estendere l’accesso al concordato semplificato di più società dello stesso gruppo per sottoporle ad una procedura unitaria; il che non è scontato giacchè la semplificazione cui si ispira la figura in esame mal si concilia con la gestione di una procedura unitaria di più imprese.
Dal primo comma dell’art. 3 del d.l. n.118 del 2021, che prevede l’istituzione di “una piattaforma telematica nazionale accessibile agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese attraverso il sito istituzionale di ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura”, si deduce che possono accedere alla composizione negoziata solo gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese. Pertanto, non possono chiedere la nomina dell’esperto gli imprenditori non iscritti, quali, ad esempio le società di fatto o le holding individuali di fatto[52], ma neanche gli imprenditori iscritti, ma poi cancellati dal registro delle imprese, anche se non è decorso l’anno da detta cancellazione[53], posto che il requisito dell’iscrizione è richiesto al momento della domanda, senza eccezioni e senza alcun richiamo all’art. 10 l. fall.
Ne consegue che la platea dei soggetti che possono usufruire, in prima battuta della procedura di accordo negoziato e, in seconda, del concordato semplificato, è più ampia di quella che può accedere al concordato preventivo, essendo quest’ultimo riservato ai soli imprenditori commerciali (non quelli agricoli) che non siano sotto soglia (art. 1 l. fall.), nel mentre la nuova procedura è riservata a qualsiasi debitore che svolga attività d’impresa, iscritto nel registro delle imprese e che non abbia già presentato ricorso per l'ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, la pendenza delle quali è ostativa alla presentazione della domanda di composizione negoziata, a norma del secondo comma dell’art. 23 d.l. n. 118 del 2021. 
I soggetti sopra indicati, per accedere al concordato semplificato non sono tenuti a presentare al tribunale competente una domanda di ammissione alla procedura, come invece richiedono l’art. 161 co. 1 l. fall. e l’art. 40 e segg. CCII, ma a questo chiedono direttamente l’omologa della proposta e del piano liquidatorio che sarà comunicato ai creditori, per cui manca un qualsiasi preventivo vaglio di ammissibilità da parte dell’organo giudiziario e, conseguentemente, non si procede alla nomina di un giudice delegato alla procedura. L’omissione di questa fase viene convincentemente spiegata con il fatto che la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e la non percorribilità di altre soluzioni sono state già esaminate dall’esperto indipendente e rappresentate nella relazione finale che chiude la composizione negoziata[54].
La mancanza di una decisione sull’ammissibilità esclude che il tribunale possa concedere un termine al debitore per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, come previsto dal primo comma dell’art. 162 l. fall. e, tanto meno, che possa compiere, in questa fase, una vaglio sulla fattibilità, come consente, invece, l’art. 47 CCII, o che debba emettere un decreto di apertura della procedura, come indicato dall’art. 163, co. 1 l. fall. e dall’art. 47 CCII, tantè che nella parte finale del comma ottavo dell’art. 18, nel rendere applicabile alla fattispecie l’art. 173 l. fall. si precisa che a tal fine “il decreto di cui al comma 4 (quello con cui il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato) equivale all'ammissione al concordato”. 
In sostanza il tribunale deve solo nominare un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c., le cui caratteristiche che lo differenziano dal commissario giudiziale sono state già esaminate e, alla luce di quanto richiesto dal terzo comma dell’art. 18 come propedeutico a tale nomina, deve solo valutare la ritualità della proposta e acquisire la relazione finale dell’esperto con la quale dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili, nonchè il parere reso dallo stesso esperto sui presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte. 
Questo impianto iniziale e la sequenza procedurale esaminata in precedenza, nonché il mancato richiamo dell’art. 161, co. 6, l. fall. portano ad escludere, con sufficiente certezza, che questa nuova figura possa essere preceduta dalla richiesta di concessione di un termine per presentare la proposta e il piano[55]; peraltro il termine decadenziale di 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale negativa dell’esperto entro cui il debitore deve presentare domanda di omologa del concordato semplificato coincide con il termine minimo che il tribunale può concedere ai sensi del sesto comma dell’art. 161, l.fall., sicchè il debitore, se chiede la concessione di quest’ultimo termine non sarà più in tempo per avvalersi del concordato semplificato per intervenuta decadenza. 
A sua volta, il debitore non è tenuto a produrre la relazione dell’attestatore di cui al terzo comma dell’art. 161 l. fall., tant’è che nel primo comma dell’art. 18 d.l. n. 118 del 2021 si dispone che il debitore deve allegare i documenti indicati nell'art. 161, secondo comma, lettere a), b), c), d), l. fall. ma non viene richiamato il terzo comma della stessa norma. Tale attestazione è sostituita dalla certificazione rilasciata all’esito del tentativo di composizione negoziata circa l’impossibilità di individuare una soluzione idonea al superamento della crisi, la cui comunicazione segna, come visto il dies a quo del decorso dei 60 giorni entro i quali il debitore può presentare una proposta di concordato con cessione di beni unitamente al piano di liquidazione, chiedendo al Tribunale l’omologazione del concordato; termine che, ovviamente, non esiste per il debitore che intende accedere all’ordinario concordato.
Il contenuto della proposta è improntato alla massima flessibilità, in cui gli unici criteri da seguire sembrano essere quelli che individuano l’oggetto del giudizio di omologazione, esaminati in precedenza e, quindi rispettare l’ordine delle cause di prelazione, proporre un piano che possa superare il vaglio della fattibilità giuridica ed economica in forza del quale i creditori non vengano a percepire meno di quanto potrebbero ottenere in caso di fallimento e prospettare le utilità, non necessariamente in denaro, per ciascun creditore.
Ed, infatti nel recente decreto legge non è indicata alcuna soglia minima di soddisfacimento in favore dei creditori quale presupposto di ammissibilità del concordato, né vi è alcun richiamo all’ult. comma dell’art. 160 l.fall. (anzi manca qualsiasi richiamo a questa norma nella sua interezza); pertanto, nel concordato semplificato è inesistente l’obbligo di assicurare ai creditori chirografari il pagamento del 20% minimo, come disposto dall’ult. comma dell’art. 160 l. fall., né è richiesto l’apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10%, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale il soddisfacimento dei creditori chirografari, come ulteriormente richiesto dall’ult. comma dell’art. 84 CCII[56]. 
Sembrano passati anni luce dal 2015, quando il legislatore, constatato che la libertà lasciata al debitore concordatario di offrire anche una percentuale irrisoria di pagamento ai creditori chirografari non aveva dato buon esito, imprimeva una nuova svolta legislativa nella direzione di un ripensamento della tutela del ceto creditorio con il d.l. n. 83 del 2015, convertito nella legge n. 132 del 2015, aggiungendo nell’art. 160 un ultimo comma che la proposta di concordato con cessione dei beni deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari; introduceva nuovi istituti tesi a favorire la competitività, quali le proposte e le offerte concorrenti di cui agli artt. 163 e 163-bis, e abrogava quel meccanismo cardine di favor per la soluzione concordata della crisi di impresa, introdotto soltanto nel 2012, e costituito dal c.d. silenzio assenso. 
Altrettanti anni luce sembrano passati dall’epoca in cui in uno dei passaggio della proposta di legge delega elaborata dalla Commissione Rordorf il concordato con cessione dei beni veniva eliminato e poi ripreso, purché caratterizzato dall'apporto di risorse esterne idonee ad aumentare “in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori” (art. 6, co. 1, lett. a) l.19.10.2017 n. 155); apprezzabilità tradotta nell’art. 84 CCII, in un incremento di almeno il 10% rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, (fermo restando che il soddisfacimento dei creditori chirografari non può essere in ogni caso inferiore al 20% dell’ammontare complessivo del credito chirografario), in modo da non privare i creditori del vantaggio che, in tal caso, il concordato liquidatorio effettivamente per loro presenta rispetto all’alternativa della semplice liquidazione giudiziale.
La previsione del nuovo codice della crisi evidenzia chiaramente lo sfavore con cui è visto il concordato liquidatorio, al punto che, quando null’altro v’è da fare, se non liquidare i beni del debitore per soddisfare al meglio le ragioni dei creditori, è preferibile ricorrere alla procedura liquidatoria per eccellenza, a meno che non vi sia un apporto di risorse esterne tale da incrementare di almeno il dieci per cento la soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale; ed in questo quadro il riferimento alla percentuali di soddisfacimento dei creditori chirografari ribadisce la necessità dell’integrale pagamento dei creditori preferenziali nel rispetto del principio della inalterabilità dell’ordine delle cause legittime di prelazione (ripreso nel sesto comma dell’art. 85 CCII).
Orbene il recente concordato semplificato rivaluta nuovamente la libertà discrezionale del debitore, al punto che l’imprenditore che accede al concordato semplificato può offrire qualsiasi soluzione ritenga opportuna purchè rispetti quelle condizioni oggetto di valutazione per la omologazione sopra indicate; non solo, quindi, non è tenuto ad apportare risorse esterne, non solo non è tenuto ad offrire una quota minima ai creditori chirografari, ma non è tenuto neanche a soddisfare integralmente i creditori prelatizi, purchè rispetti il principio dell’ordine dei privilegi che, come ha ribadito anche di recente la S. Corte[57], va interpretato nel senso che esso impone l'integrale pagamento del credito di rango superiore prima di soddisfare quello di grado inferiore. Importante, cioè, è che la proposta non preveda la falcidia di un credito di grado poziore e il pagamento parziale del credito di rango più basso, ma nel rispetto di questa regola nessuna norma dispone che debba soddisfare integralmente il ceto creditorio prelatizio, in quanto l’unico limite è dato dalla potenzialità realizzativa del beni in una eventuale liquidazione fallimentare, che segna il confine massimo della soddisfazione dei creditori, per cui una proposta al di sotto di questo potrebbe essere considerata pregiudizievole per i creditori; ma se la proposta di pagamento parziale dei privilegiati nel rispetto dell’ordine della graduazione è il massimo che la consistenza patrimoniale consente, il concordato semplificato è omologabile, salvo che l’apertura del fallimento non consenta azioni di ripristino del patrimonio che, incrementando l’attivo, permettano una migliore soddisfazione.
Di conseguenza, nel concordato semplificato, la problematica sulla soddisfazione parziale dei creditori prelatizi, con la connessa stima di cui al secondo comma dell’art. 160 l. fall. per rapportare il livello di pagamento offerto alla capienza sui beni gravati, può ancora essere presente, ma non quale limite alla libertà del debitore di ristrutturare i propri debiti liberamente non avendo bisogno di giustificare il pagamento parziale di tale categoria di creditori, bensì nell’ambito della verifica della regolarità della graduazione prospettata[58]. 
L’accennata flessibilità inserita in una struttura volutamente elementare, che consente, rispettato l’ordine della graduazione delle cause di prelazione, di offrire ai creditori qualsiasi soddisfazione, salvo a valutarne la convenienza e l’utilità per i creditori, opera anche nei confronti dell’Agenzia delle entrare e degli enti previdenziali, la posizione dei quali è equiparata a quella degli altri creditori privilegiati e chirografari per i rispettivi crediti; ed, infatti, non è richiamato l’art. 182-ter l. fall. in quanto la transazione fiscale è superata proprio dalla onnicomprensività del procedimento, che non lascia fuori nessun tipo di creditore, sia dal fatto che la procedura ex art. 182-ter poggia necessariamente sulla relazione di un professionista circa la recuperabilità in ambito liquidatorio, non richiesta nel concordato semplificato[59]. Di conseguenza deve escludersi, in sede di omologa, anche la possibilità del cram down fiscale e previdenziale di cui alla seconda parte del quarto comma dell’art. 184 l. fall.[60], anche perché i creditori non sono chiamati ad esprimersi e proprio il silenzio o voto negativo costituisce motivo dell’intervento sostitutivo del giudice.
Egualmente le nuove disposizioni non prevedono l’ipotesi di proposte concorrenti, né richiamano l’art. 162, commi 4 e segg., per cui queste non sono ammesse nel concordato semplificato. Tanto è in perfetta sintonia, per un verso, con la libertà data al debitore di proporre qualsiasi offerta ai creditori senza, quindi, neanche il limite di soddisfazione minima dei chirografari, indicata dal comma quinto dell’art. 163 l. fall. al fine di bloccare la presentazione di proposte alternative e, per altro verso, con la mancanza di una votazione che scelga quale, tra le più proposte, debba essere portata all’omologazione; manca, infine, anche un meccanismo che, sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 125 l. fall. per il concordato fallimentare, attribuisca tale potere di scelta al tribunale o ad altro organo.
Anche le offerte concorrenti e la stessa competitività subiscono un duro colpo nel concordato semplificato giacchè, come si è detto in precedenza, “quando il piano di liquidazione di cui all'articolo 18 comprende un'offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni”- che è la formula prevista dal primo comma dell’art. 163 l. fall.- invece di prevedere l’apertura di un procedimento competitivo, come prescrive quest’ultima norma, l’art. 19 del nuovo d.l. n. 118 del 2021 prevede che l’ausiliario autorizzato dal tribunale e, dopo l’omologa, il liquidatore giudiziale (senza autorizzazione del tribunale), possono procedere alla vendita dall’azienda o di singoli beni “verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato”; ed è chiaro che la verifica dell’assenza di migliori condizioni sul mercato, che può essere constatata attraverso qualsiasi mezzo, anche attraverso informazioni verbali, è cosa ben diversa dall’apertura di una procedura competitiva con le forme di cui all’art. 163-bis. Peraltro le modalità del procedimento competitivo esposte dal secondo comma di detto articolo, con le connesse forme di pubblicità, il meccanismo per la scelta dell’offerta migliore e la possibilità di una gara tra più offerte migliorative di cui al terzo comma sono chiaramente incompatibili con la semplificazione del rito del nuovo strumento concordatario; ed infatti, non è richiamato il comma quarto dell’art. 163-bis, che pone l’obbligo per il debitore di modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all'esito della gara, che è elemento indispensabile per il funzionamento della competitività.
Non contraddice questa conclusione il recente Decreto dirigenziale del 30 settembre 2021. Il punto 12 della Sez. III di questo è rubricato “Cessione dell’azienda nella composizione negoziata o nell’ambito del concordato semplificato (nella fase tra la domanda e l’omologa)”, e contiene una serie di indicazioni all’esperto, tra cui l’utilità e l’opportunità del ricorso a procedure competitive per la selezione dell’acquirente, senza tuttavia mai citare l’ausiliario, che è l’organo del concordato semplificato nella fase tra la domanda e l’omologa; né è possibile estendere automaticamente all’ausiliario questi “consigli” dati all’esperto per la diversità delle procedure in cui essi operano e la diversità delle finalità della cessione aziendale. 
Nella composizione negoziale, infatti, la cessione dell’azienda è configurata come uno strumento di soluzione della crisi, in cui il tribunale interviene per verificare che si tratti di atto funzionale ad assicurare la continuità aziendale e la migliore soddisfazione dei creditori ed, a questo fine, la lett. d) del primo comma dell’art. 10 prevede che i trasferimenti dell’azienda autorizzati dal tribunale avvengano con esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento. Nel concordato semplificato la cessione dell’azienda nella sua interezza (o di rami della stessa) è uno dei modi di liquidazione del patrimonio messo a disposizione dei creditori, preferibile alla vendita particellizzata in quanto presumibilmente più proficua per i creditori; ma è una normale vendita coattiva, per la quale è dettata l’apposita previsione che all’offerta può essere data esecuzione “verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato”, formula che non è, invece, riprodotta per la vendita nel corso delle trattative. 
Nonostante, quindi la rubrica del punto 12 del citato Decreto dirigenziale, l’attività competitiva va riservata alla fase della composizione della crisi, cui il testo del citato punto 12 fa esclusivo riferimento, e non trova applicazione per le vendite in fase di concordato semplificato, sia antecedenti che successive all’omologazione, per le quali è stata emanata apposita specifica disciplina che è incompatibile con il ricorso alla competitività.
Neanche è prevista la formazione delle classi né è pensabile che, nel silenzio della legge, il debitore vi possa procedere perché mancherebbe qualsiasi controllo sulla correttezza della formazione delle stesse, come previsto dal primo comma dell’art. 163 l. fall. La formazione delle classi introduce un meccanismo eccezionale che altera la parità di trattamento tra creditori che si trovino nella medesima condizione, in quanto finalizzata a proporre trattamenti differenziati fra creditori, per cui in mancanza di una norma espressa che lo consenta, e ne preveda il controllo sulla regolarità della formazione, è da escludere che sia possibile fare ricorso alla classazione.
Altra differenza di particolare spessore è la mancata riproduzione nel nuovo concordato di una norma simile a quella di cui al secondo comma dell’art. 69-bis o il mancato richiamo di questa norma, con la conseguenza che il periodo sospetto ai fini delle revocatorie fallimentari, non retroagendo gli effetti del fallimento alla data di pubblicazione della domanda di concordato (e tanto meno, a quella di richiesta di nomina dell’esperto), inizia a decorrere dal momento della dichiarazione di fallimento. Ed il pregiudizio per i creditori è di non poco conto, se si pone mente al fatto che il percorso negoziale può avere la durata massima di centottanta giorni, anche prorogabili e poi vi sono sessanta giorni dalla comunicazione della chiusura della prima fase per chiedere l’omologa del concordato semplificato, cui bisogna aggiungere il tempo di durata di quest’ultimo prima di pervenire ad una dichiarazione di fallimento; in mancanza di retroattività del periodo sospetto, salta la possibilità di revocare ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l. fall. (e forse anche di altre disposizioni) sicuramente gli atti e i pagamenti antecedenti alla nomina dell’esperto, ma anche gran parte degli atti in contrasto con gli interessi dei creditori compiuti nel corso della composizione negoziata; e tutto ciò, alla fin fine, finisce per favorire la tendenza a ritardare quanto più possibile la declaratoria di insolvenza con la presentazione di domande di composizione negoziata non tempestive e di concordato semplificato alquanto disinvolte.
Il momento, tuttavia, di maggiore divaricazione del nuovo concordato semplificato rispetto a quello ordinario è dato dalla mancanza della votazione in quanto i creditori non sono chiamati ad esprimere il loro parere tramite il voto, ma possono solo proporre opposizione all’omologa, e, di conseguenza, l’approvazione della proposta dipende esclusivamente dall’omologazione del tribunale. 
Il concordato senza voto non costituisce una novità assoluta in quanto, come ricordato da altri[61], è previsto in materia bancaria (art. 93 t.u.b.) ed assicurativa (art. 262 codice assicurazioni), nella liquidazione coatta amministrativa (art. 214 l. fall.), nell’amministrazione straordinaria (art. 78 l. 270/1999) e nel caso del piano del consumatore in tema di sovraindebitamento (art. 12 bis l. 3/2012). Tuttavia, in quest’ultima fattispecie la mancanza del voto dei creditori si spiega agevolmente con le prevedibili ridotte dimensioni della crisi rapportata ad “una persona fisica che non abbia svolto attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale”[62], per cui trova giustificazione una procedura semplificata al massimo proprio nell’ottica di agevolare una soluzione concordataria altrimenti troppo complessa e costosa, tant’è che la votazione dei creditori è ripresa nell’accordo di ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato (art. 11 l. n. 3 del 2012) come nel corrispondente concordato minore del CCII (art. 79 CCII). 
Nelle altre ipotesi di concordati coatti, la mancanza del voto è giustificata dalla natura degli interessi pubblicistici perseguiti, che prevalgono su quelli del ceto creditorio, nonchè dalla necessità dell’autorizzazione alla presentazione del concordato da parte dell’Autorità amministrativa che vigila sulla procedura. Ad ogni modo la peculiarità dell’odierno concordato semplificato è che esso non costituisce, come queste altre figure l’unico strumento per risolvere la crisi di un certo tipo di impresa che abbia determinate caratteristiche dimensionali o di specializzazione oggettiva, ma costituisce uno strumento che si aggiunge ad altro dello stesso tipo producendo gli stessi effetti del concordato preventivo con cessione dei beni, per cui la privazione del diritto di voto per i creditori non trova alcuna giustificazione valoriale e si pone in contrasto con il carattere concorsuale della nuova procedura. 
Non persuade, infatti, la spiegazione fornita nella Relazione[63] che questo forte ridimensionamento del ruolo dei creditori trovi una giustificazione nel fatto che il concordato semplificato costituisce uno sbocco della negoziazione precedente, nella quale i creditori sono stati già coinvolti, sia perché manca qualsiasi garanzia che siano stati sentiti tutti[64], sia perchè nell’ambito della composizione negoziata l’ottica in cui le trattative si sono svolte era quella di trovare soluzioni praticabili per prevenire la crisi o per raggiungere il risanamento aziendale, nel mentre nel concordato semplificato- che presuppone il fallimento delle precedenti trattative- l’ottica è prettamente liquidatoria, per cui sarebbe quanto mai opportuno appurare come la diversità di opinioni già raccolte sulle prospettive risanatorie dell’impresa si traduce in un voto su una nuova proposta di carattere liquidatorio, completamente diversa dalle precedenti eventualmente formulate; né si recupera la pienezza delle facoltà creditorie con la concessione del diritto della opposizione all’omologazione in quanto, come già detto, questo è uno strumento meno efficace e più costoso della manifestazione di un voto negativo e, comunque, il diritto stesso viene compresso in termini inadeguati per un sereno e consapevole giudizio, proprio nel momento in cui la mancanza del voto dovrebbe facilitare l’esercizio del diritto dei creditori di esprimere la loro motivata opinione.
Per la verità, il legislatore del codice della crisi e dell’insolvenza, in attuazione dell’art. 6, co. 1, lett. f) della legge delega n. 155 del 2017, ha già abolito l’adunanza dei creditori- che è la massima espressione della collegialità, in cui si realizza un contraddittorio incrociato tra tutti i soggetti interessati- nel concordato preventivo (cfr. art. 47,co.1,, art. 104, ecc.) sostituendola con un sistema di scambi di memorie, complesso e confuso, che non realizza affatto il contraddittorio scritto tra i creditori, sostitutivo di quello orale all’adunanza; e questo già costituisce un vulnus perché un effettivo contraddittorio è elemento coessenziale ad ogni procedura che vincoli tutti i creditori, anche quelli dissenzienti, dato che, in tanto alla minoranza dissenziente può essere imposto un sacrificio in quanto tutti possano partecipare al procedimento destinato a formare la maggioranza. Il vulnus è ovviamente maggiore ove si elimini non solo l’adunanza per esprimere il voto, ma la stessa votazione, rompendo con la tradizione che basa ogni forma di soluzione negoziale della crisi sulla votazione avente ad oggetto una proposta e un piano; questa può assumere la forma di procedura del voto formale, del silenzio assenso, di consultazione e accordo della maggioranza delle parti interessate, ma comunque queste devono potersi esprimere, eventualmente anche non riuniti in una assemblea.
9 . Considerazioni conclusive
Dallo svolto esame della disciplina del concordato semplificato emerge che esso produce, fin dalla presentazione della domanda, gli stessi effetti dell’ordinario concordato, ma, a differenza di questo, non è soggetto al vaglio iniziale di ammissibilità, al vincolo di soddisfare i creditori chirografari ad un livello predeterminato, né deve rispettare le regole della competitività né sottostare al voto dei creditori, per citare alcune soltanto delle numerose differenze di cui si è parlato.
In queste condizioni, alla fine del percorso negoziale, esclusa ogni velleità di risanamento diretto dell’impresa, le alternative di cui parla il legislatore nel terzo comma dell’art. 11 sono solo sulla carta, giacchè questa nuova figura di concordato è talmente vantaggiosa per il debitore rispetto a qualsiasi altra procedura concorsuale, ed anche rispetto ad un piano attestato, da escludere ogni possibilità di concorrenza, a meno che non siano configurabili ipotesi di revocatorie fallimentari da far pendere l’ago della bilancia per la dichiarazione di fallimento. 
In tal modo, il nuovo legislatore ha creato una specie di ulteriore misura premiale per il debitore per invogliarlo a percorrere la strada della composizione negoziale; in caso di buona riuscita di questa si stipula un accordo e scattano gli incentivi contemplati dall’art. 14, in caso negativo il debitore ha possibilità di ricorrere al vantaggioso concordato semplificato e questa prospettiva diventa un’arma molto potente perché, come immediatamente sottolineato da un componente della Commissione che ha elaborato il decreto legge[65], ha, durante la negoziazione assistita dall’esperto, una forza persuasiva (io parlerei di minaccia sottesa, ma neanche troppo recondita) sui creditori i quali sanno che, “all’esito negativo l’imprenditore potrà liberarsi delle sue obbligazioni con un concordato liquidatorio che deve rispettare soltanto le cause di prelazione e che non lo vincola a riconoscere ai creditori più di quanto essi potrebbero ottenere in caso di fallimento”.
Questa prospettava, peraltro, incombe in una fase in cui i creditori non sono nella pienezza dei loro diritti, ma già versano in una posizione di minorata difesa, sconosciuta in altre procedure pur sicuramente concorsuali e a carattere giudiziario, che fiacca ogni loro volontà di resistenza.
Il debitore, invero, con la stessa istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza presentata con le modalità di cui all’art. 5, 1° comma, può chiedere, l’applicazione di misure protettive del patrimonio, con la possibilità anche di selezionare i creditori interessati, ed è presumibile che quasi sempre l’imprenditore formulerà tale richiesta nello stesso ricorso introduttivo o immediatamente dopo. Dal momento della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese, unitamente all’accettazione dell’esperto, i creditori incisi (probabilmente tutti, tranne i lavoratori) non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio dell’imprenditore né acquisire diritti di prelazione senza il suo consenso (art. 6, co. 1) ed è impedita, fino alla archiviazione dell’istanza che apre la composizione negoziata, la dichiarazione di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza[66] (art. 6, co. 4); inoltre i creditori interessati dalle misure protettive non possono rifiutare l’adempimento o risolvere unilateralmente i contratti in corso con l’imprenditore per il solo fatto di vantare, nei suoi confronti, crediti non soddisfatti (art. 6 co. 5), ma devono subire la rideterminazione del contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2, giacchè, in mancanza di accordo sul punto, provvede il tribunale su domanda dell'imprenditore, acquisito il parere dell'esperto e tenuto conto delle ragioni dell'altro contraente, rideterminando “equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale” (art.10, co. 2); le banche e gli intermediari finanziari, a loro volta, non possono revocare gli affidamenti bancari concessi e contestualmente sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato (art. 4, co. 6) e comunque tutti hanno il dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l'imprenditore e con l'esperto, oltre che rispettare l'obbligo di riservatezza (art. 4, co. 7).
Peraltro, solo gli atti di finanziamento e di trasferimento di azienda elencati nelle lettere da a) a d) del primo comma dell’art. 10 godono della prededuzione[67], ove autorizzati dal tribunale, e conservano i loro effetti anche nelle procedure successive (art. 12, co. 1); di conseguenza, viene anche disincentivato l’interesse dei terzi ad iniziare o mantenere rapporti commerciali con il debitore dopo la nomina dell’esperto, giacchè costoro, che siano o non già creditori, rischiano in proprio nel continuare a fornire prestazioni di beni e servizi ad un imprenditore che si trova in una situazione che può essere anche di crisi o insolvenza reversibile. 
Di contro il debitore, per tutto il periodo delle trattative di carattere stragiudiziale, essendo in bonis, non subisce le limitazioni sulla disponibilità patrimoniale tipiche di chi accede al concordato, anche semplificato (art. 167 l. fall.), in quanto, a norma del primo comma dell’art. 9, egli conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa[68], favorita anche dall’accennato divieto di revoca degli affidamenti e dalla sospensione- sino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata- degli obblighi di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. azionabile con semplice dichiarazione dell’imprenditore contenuta nella stessa istanza di nomina dell’esperto (art. 8). Su tale gestione l’esperto può esercitare un controllo solo indiretto, nel mentre il tribunale interviene semplicemente per attribuire, con la sua autorizzazione, la prededuzione ai finanziamenti elencati nelle lett. a). b) e c) del primo comma dell’art. 10 e per attuare la deroga all’art. 2560, 2° comma, c.c. in caso di trasferimento di azienda[69]. 
Il controllo dell’esperto è, infatti, affidato all’iniziativa dello stesso debitore, che è tenuto ad informare “preventivamente l'esperto, per iscritto, del compimento di atti di straordinaria amministrazione nonché dell'esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento circa il compimento degli atti di straordinaria amministrazione”[70] (art. 9, co. 2); a sua volta l’esperto, quando ritiene che l’atto possa arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento, lo segnala per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo (art. 9, co. 3), anche se è difficile che l’esperto, che non ha poteri di monitoraggio sulla gestione dell’impresa per poter valutare la portata dell’atto nel contesto della programmazione economico industriale prospettata, possa esprimere un giudizio del genere. 
Se, nonostante la segnalazione, l’atto viene egualmente compiuto, è sempre l’imprenditore che deve informare immediatamente l’esperto, il quale, nei successivi dieci giorni, può- e nel caso l’atto compiuto pregiudica gli interessi dei creditori deve- iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese e segnalarlo al tribunale che ha confermato le misure protettive, ai fini della loro eventuale revoca (il che, seppur non previsto da alcuna norma, in concreto segna la fine del percorso negoziale). Rimane il fatto che se un imprenditore, poco incline a comportarsi secondo buona fede e correttezza[71], non informa l’esperto del compimento dell’atto compiuto nonostante la segnalazione da questi fatta, non si capisce come l’organo procedurale possa venirne a conoscenza per iscrivere il suo eventuale dissenso, posto che dopo la iniziale informazione non si attribuisce a tale organo alcun nuovo potere sulla gestione dell’impresa, neanche limitato a seguire la sorte dell’atto in discussione; una volta fatta la segnalazione, infatti, l’esperto dovrebbe essere messo in condizione di seguire lo sviluppo dello stesso in modo da poter intervenire con la segnalazione nel caso l’imprenditore compia egualmente l’atto, posto che la segnalazione è anche elemento indispensabile per procedere, in caso di dichiarazione dei fallimento, alla revocatoria di cui agli artt. 66 e 67 l. fall. degli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti effettuati nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico .
Come si vede, l’eventuale scoperta del compimento di tali atti è valorizzata, dal punto di vista patrimoniale, con l’assoggettamento degli stessi a revocatoria fallimentare in caso di apertura di tale procedura, ma questa possibilità, richiede che si arrivi alla dichiarazione di fallimento e che i tempi siano tali da consentire il ricorso a tale strumento, non essendo riprodotta, come già ricordato, la retrodatazione di cui al secondo comma dell’art. 69-bis l. fall. alla data di presentazione della domanda di omologa del concordato semplificato, né, tanto meno, a quella di richiesta di nomina dell’esperto; sicchè l’art. 12, co. 3, che commina la revocatoria degli atti straordinari compiuti nel corso della composizione negoziata nel dissenso dell’esperto, diventa il più delle volte inoffensiva per il quasi sicuro decorso di sei mesi tra la data del compimento dell’atto e quella di dichiarazione di fallimento.
In questa situazione di evidente squilibrio di posizioni, i creditori, già privati del diritto di realizzare i propri crediti e, più in generale, di gran parte dei diritti dispositivi tipici della titolarità di crediti e con la prospettiva che il debitore, in caso di fallimento delle trattative, si liberi dei suoi debiti con le facilitazioni descritte, sono fortemente incentivati ad accettare le proposte che vengono formulate onde evitare il peggio. In tal modo lo scopo di favorire una soluzione negoziata viene raggiunto, ma al prezzo di svilire totalmente i diritti dei creditori, sostanzialmente “costretti” ad accettare le proposte negoziali. 
 Il concordato semplificato, oltre a sbaragliare ogni forma di concorrenza quando, alla dichiarazione dell’insuccesso della composizione negoziata, il debitore si trova a dover scegliere la strada da seguire, sostanzialmente fagocita il concordato ordinario con continuità indiretta e con cessione dei beni, ai quali difficilmente un debitore avrà più interesse accedere.
Si prenda il caso paradigmatico di un debitore in crisi che abbia, o sia in procinto di ricevere, una offerta per l’acquisto della sua azienda. Oggi, costui potrebbe presentare una domanda di ammissione ad un concordato con cessione dei beni o ad un concordato con continuità indiretta, dovendo sottostare, nell’uno come nell’altro caso, alle limitazioni ben note, poste dall’ult. comma dell’art. 160 e dall’art. 186-bis l. fall., dovrebbe passare per un vaglio di ammissibilità, accettare il responso del voto dei creditori, rischiare proposte concorrenti e, comunque, ricorrere a vendite competitive. 
Lo stesso debitore può evitare questo iter, chiedendo la nomina dell’esperto per accedere alla composizione negoziata della crisi[72].
Un ostacolo non è costituito dal presupposto oggettivo posto che le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza- la cui ricorrenza costituisce il presupposto richiesto dal primo comma dell’art. 2 perché il debitore possa chiedere al segretario generale della camera di commercio la nomina di un esperto indipendente- comprendono anche le ipotesi di crisi e di insolvenza in atto, con esclusione soltanto della insolvenza irreversibile, che è l’unica situazione incompatibile con quelle connotate da “una concreta prospettiva di risanamento”.
In tal senso, infatti, si esprime la Relazione, lì dove si precisa che “il capo I del presente schema (che comprende gli artt. da 1 a 23) interviene nella attuale situazione di generalizzata crisi economica causata dalla pandemia da SARS-CoV-2 per fornire alle imprese in difficoltà nuovi strumenti per prevenire l’insorgenza di situazioni di crisi o per affrontare e risolvere tutte quelle situazioni di squilibrio economico-patrimoniale” o quando, affermato che il percorso della composizione è esclusivamente di tipo volontario ed è dunque attivabile solo dalle imprese che decidono di farvi ricorso, aggiunge che “L’imprenditore in difficoltà, in crisi, o in stato di insolvenza reversibile, può decidere quindi di intraprendere un percorso, del tutto riservato finché non viene chiesta la concessione di misure protettive“. Ed ancora, nel decreto dirigenziale del 30 settembre è detto espressamente (punto 2.4 Sez. III) che “se l’esperto ravvisa, diversamente dall’imprenditore, anche a seguito dei primi confronti con i creditori, la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata” purchè “l’esperto reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento che richiedano, per essere ritenute praticabili, l’apertura delle trattative”.
E’ chiaro, quindi, che il rimedio della composizione negoziata è diretto anzitutto a imprese che ancora non versano in stato di crisi e tantomeno di insolvenza, ma attraversano una situazione di temporanea difficoltà, tuttavia la formulazione della norma non esclude che possano accedere alla nuova procedura stragiudiziale imprese che già versino in stato di crisi o anche di insolvenza, purchè reversibile, che copre quasi interamente l’area delimitata dal terzo comma dell’art. 160 l. fall.. Pertanto il “nostro” imprenditore che versa in una situazione di crisi può sicuramente chiedere la nomina dell’esperto.
Il vero ostacolo è costituito dal vaglio iniziale dell’esperto, il quale, a norma del quinto comma dell’art. 5, ha quale primo compito, una volta accettato l’incarico, di convocare senza indugio l’imprenditore “per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, anche alla luce delle informazioni assunte dall'organo di controllo e dal revisore legale, ove in carica”. Passaggio determinante perché “Se non ravvisa concrete prospettive di risanamento, all'esito della convocazione o in un momento successivo, l'esperto ne dà notizia all'imprenditore e al segretario generale della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura che dispone l'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata” (parte finale del comma quinto art. 5), il che preclude sia lo sviluppo della composizione negoziata che l’eventuale successivo accesso al concordato semplificato, che, come detto fin dall’inizio, presuppone il passaggio attraverso la fase negoziale e l’esito infausto della stessa. E’ necessario pertanto per la prosecuzione della procedura che l’esperto ritenga che le prospettive di risanamento siano concrete, nel qual caso “incontra le altre parti interessate al processo di risanamento e prospetta le possibili strategie di intervento fissando i successivi incontri con cadenza periodica ravvicinata” (prima parte comma quinto art. 5).
Questo ostacolo per il “nostro” imprenditore non è però insormontabile. In primo luogo, infatti, l’istanza di accesso alla composizione negoziata si presenta tramite una piattaforma unica nazionale, attraverso la quale l’imprenditore, prima di entrare nel relativo percorso, può ottiene tutte le informazioni utili sulla composizione negoziata, sulle modalità di attivazione del percorso e sui documenti da produrre con l’istanza di nomina dell’esperto e, principalmente può sottoporsi ad un test pratico (le cui caratteristiche sono diffusamente descritte nel citato recente decreto dirigenziale), “con funzione di auto-diagnosi, utilizzabile anche in via preventiva rispetto al deposito dell’istanza, che consente a ciascuna impresa di verificare la situazione in cui si trova e l’effettiva perseguibilità del risanamento” (Relazione); di modo che il nostro imprenditore, alla luce dei risultati della auto diagnosi può modellare la proposta in modo che questa corrisponda ai requisiti richiesti. 
Inoltre. nel caso prospettato l’imprenditore presenta come strumento si risanamento la cessione dell’azienda, per cui in questo caso, l’esperto deve solo “tener conto delle concrete manifestazioni di interesse eventualmente ricevute dall’imprenditore o da terzi, delle ragionevoli stime delle risorse realizzabili pur in assenza degli effetti dell’articolo 2560, secondo comma, del codice civile, e della loro adeguatezza a consentire il raggiungimento di un accordo con i creditori” (punto 2.7 Sez. III). Del resto, quando la crisi non è di carattere organizzativo interno[73], ma principalmente finanziaria collegata alla difficoltà a far fronte ai propri debiti, non è agevole per l’esperto appurare l’inesistenza di concrete prospettive di risanamento prima di sentire il parere dei creditori. La documentazione prodotta, il colloquio con il debitore e le informazioni assunte presso l’organo di controllo (ove è presente) possono fornire indizi (peraltro se la domanda è redatta con un minimo di competenza, questi saranno in senso affermativo), ma è solo l’audizione dei creditori interessati che può evidenziare le possibilità di riuscita, che dipende principalmente dalla loro disponibilità al sacrificio delle loro spettanze. Peraltro, se proprio allo scopo di organizzare il risanamento dell’impresa in crisi o in stato di insolvenza reversibile (che è la situazione ipotizzata per il “nostro” imprenditore) è stata predisposta una procedura che prevede la partecipazione attiva dei creditori, pare evidente che, solo all’esito dell’incontro con costoro, l’esperto può assumersi la responsabilità di bloccare la procedura, salvo casi eclatanti di insolvenze manifeste e irreversibili che si rilevano ictu oculi
E tutto ciò sul presupposto che l’esperto sia dotato delle capacità professionali adeguate ad affrontare problemi di risanamento aziendale, che la qualifica professionale di commercialista o di avvocato o di consulente del lavoro, iscritti all’albo da almeno cinque anni, non assicura, nonostante le specificazioni richieste dal comma 3 dell’art. 3[74]; rimane da vedere che grado di preparazione riuscirà a dare la formazione professionale decritta nel citato decreto dirigenziale.
Vi è poi una ragione molto più prosaica, che è parimenti, o ancor più, rilevante che deriva dai criteri di determinazione dei compensi per l’esperto dettati dall’art. 16. Secondo tale norma, infatti, “il compenso è liquidato in euro 500,00 quando l'imprenditore non compare davanti all'esperto oppure quando è disposta l'archiviazione subito dopo il primo incontro” comma 7), nel mentre se la procedura prosegue perché l’esperto ritiene sussistano concrete possibilità di risanamento, il compenso è liquidato in percentuale sull'ammontare dell'attivo dell'impresa debitrice secondo gli scaglioni indicati nel comma primo, con ulteriori incentivi e, comunque, non può essere, in ogni caso, inferiore a euro 4.000,00 (comma 2). Stante questo rapporto di uno a otto (minimo), non può disconoscersi che la prospettiva di iniziare le trattative e dichiarare la mancanza di possibilità di risanamento dopo qualche incontro è molto più allettante che assumere immediatamente una tale decisione. 
Superato questo ostacolo il “nostro” imprenditore ha vita facile perché, se viene individuata una soluzione idonea al superamento della crisi in cui versava e su cui si trova d’accordo, conclude uno degli accordi indicati nel primo comma dell’art. 11 e risolve così la sua posizione; se non si trova una tale soluzione o comunque il debitore stesso non si rende disponibile a concludere un accordo, l’esperto redige la relazione finale con la quale dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono fattibili e si apre la strada al concordato semplificato, che consentirà al “nostro” imprenditore di accettare l’offerta che aveva nel cassetto e liquidare il suo patrimonio nel modo voluto, con un liquidatore da lui designato, senza bisogno di svolgere gare competitive o di avere il consenso della maggioranza dei crediti, senza dover soddisfare i creditori secondo una soglia minima, senza necessità di apporti esterni, ecc.[75]. Né può preoccupare il ritardo con cui, seguendo questo percorso, egli accede alla procedura di concordato perché l’imprenditore, attraverso la composizione negoziale può ottenere, come si è visto, lo stesso grado di protezione che assicura la presentazione della domanda di concordato ordinario, anzi superiore, cui si allacciano gli effetti protettivi determinati dalla presentazione della domanda di concordato semplificato e, se necessario, può ricuperare il tempo perduto spingendo l’ausiliario a chiedere l’autorizzazione alla vendita prima dell’omologa.
Concludendo, l’introduzione di una procedura stragiudiziale di prevenzione delle crisi meno farraginosa rispetto all’allerta è quanto mai opportuna ed è giustificato che il legislatore adotti anche strumenti per favorirla, ma con la composizione negoziata è stato costruito un meccanismo che si autolegittima come modello preferenziale non solo per prevenire la crisi di impresa, ma anche per risolvere una crisi in atto in via privatistica al di fuori delle aule giudiziarie, in cui la sola prospettiva che l’imprenditore possa accedere al concordato semplificato in caso di insuccesso, agendo come forma di pressione sui creditori, giustifica una indiscriminata tutela del debitore. Ed allora il legislatore una domanda deve porsela, e cioè: vale la pena introdurre questa nuova figura di concordato, così incongruamente asimmetrico in favore del debitore e così sfacciatamente lesivo dei diritti dei creditori pur di favorire la composizione negoziata della crisi? domanda che si riallaccia ad altra di carattere più generale; qual è il limite del sacrificio che può essere imposto ai creditori per favorire una soluzione negoziata stragiudiziale della crisi? 
A mio avviso questo limite, per quanto ho cercato di dire, è stato ampiamente superato, con il rischio che le restrizioni poste agli odierni creditori generino ulteriori crisi un domani.

Note:

[1] 
In presenza della accennata situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, è previsto che gli organi di controllo societari segnalino all’imprenditore l’esistenza dei presupposti per ricorrere alla composizione negoziata, con le eventuali conseguenze in tema di responsabilità per l’imprenditore che non tiene conto della segnalazione o per gli stessi organi di controllo in caso di non tempestivo intervento.
[2] 
Ed, infatti, il secondo comma dell’art. 23 non consente l’accesso alla composizione negoziata, e quindi neanche al derivato concordato semplificato solo alle imprese che, alla data di entrata in vigore del decreto legge, abbiano già fatto ricorso ad un accordo di ristrutturazione dei debiti o ad una procedura di concordato preventivo, allo scopo di evitare l’utilizzo strumentale della composizione negoziata in questa fase iniziale.
[3] 
Cfr. Cass,. sez. un. 15 maggio 2015, n. 9935, in Giur. comm. 2017, 1, II, 21 e n. 9936 in GiustiziaCivile.com 2015, 11 dicembre, per le quali “La pendenza di un procedimento di concordato preventivo non rende improcedibile il procedimento prefallimentare, né lo sospende, ma impedisce soltanto temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli art. 162, 173, 179 e 180 l. fall. Ne segue che il fallimento può essere dichiarato solo quando: a) la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile; ovvero b) sia stata revocata l'ammissione alla procedura; c) non sia stata approvata la proposta di concordato; e, infine, d) sia stato respinto il concordato in esito al giudizio di omologazione”.
[4] 
Di diverso avviso, Ambrosini, La “miniriforma” del 2021: rinvio (parziale) del CCI, composizione negoziata e concordato semplificato, in Dir. fall. 2021, I, 922, per il quale la cessione dell’azienda o di suoi rami, espressamente prevista dall’art. 19 come possibile nucleo del piano di liquidazione, “continua a rappresentare un’ipotesi di continuità alla stregua della disciplina del concordato preventivo”.
[5] 
Cfr. Cass. 19 novembre 2018, n. 29742, in Foro it. 2019, 1, I, 145, che ha definitivamente configurato l’affitto di azienda come uno degli strumenti di attuazione della continuità; Cass. 15 gennaio 2020, n. 734, in Diritto & Giustizia 2020, 16 gennaio.
[6] 
Tale norma, infatti, (nella versione rivisitata dal decreto correttivo) stabilisce che “La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media dei lavoratori in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso”; ove l’inserimento dell’avverbio “sempre” fa capire che la prevalenza deve ritenersi in ogni caso sussistente, in via assoluta, quando ricorrono queste condizioni, senza possibilità di prova contraria.
[7] 
Guidotti, (La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in ilcaso.it, 8 settembre 2021), per il quale quello semplificato “pur essendo un concordato logicamente liquidatorio, se visto dalla prospettiva del debitore, rimane pur sempre un concordato che favorisce la continuità - seppur solo “esterna” / “indiretta” - posto che disciplina proprio la rapida cessione dell’azienda all’esito negativo delle negoziazioni in sede di composizione negoziata”; che fotografa correttamente la situazione vista dal lato del debitore e nei suoi sviluppi, che non interessano la procedura, come si dice nel testo.
[8] 
In tal senso Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, in dirittodellacisi.it, 6 settembre 2021.
[9] 
La situazione pandemica trova espresso riferimento nel decreto in esame al fine di estendere al 31.12.2022 l’orizzonte temporale entro il quale è consentito all’imprenditore in crisi di uscire dalla fase introdotta con il ricorso ai sensi dell’articolo 161, sesto comma, l. fall. ricorrendo al piano attestato di cui all’articolo 67, comma 3, lettera d) (art. 21); di consentire che sino al permanere dello stato di emergenza collegato alla pandemia in atto, il termine di cui all’articolo 161, sesto comma, della legge fallimentare sia concesso nella misura massima anche in pendenza di istanza di fallimento (art. 22); di sancire l’improcedibilità, fino 31 dicembre 2021, dei ricorsi per la risoluzione del concordato preventivo e i ricorsi per la dichiarazione di fallimento proposti nei confronti di imprenditori che hanno presentato domanda di concordato preventivo con continuità aziendale ai sensi dell’articolo 186-bis l. fall., omologato in data successiva all’1 gennaio 2019 (art. 23, co. 1); per rideterminare equamente le condizioni dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2 (art. 10,co. 2). per apportare una modifica temporanea al procedimento di assegnazione delle risorse del Fondo unico giustizia (art. 26).
[10] 
Ritorna alla mente la situazione antecedente alla riforma iniziata nel 2005 quando dopo l’amministrazione controllata- alla quale poteva accedere l’imprenditore che si trovava “in temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni” - veniva dichiarato il fallimento. La giurisprudenza dell’epoca aveva costruito il concetto di consecuzione ritenendo che la temporanea difficoltà ad adempiere non divergesse dallo stato d'insolvenza, se non per la erronea previsione dell’esistenza di comprovate possibilità di un risanamento dell'impresa fondata sul presupposto che la crisi potesse essere superata; di modo che la dichiarazione di fallimento sanciva la constatazione che erroneamente la crisi era stata valutata reversibile, nel mentre fin dall’inizio l’impresa versava in una situazione di insolvenza. Nella specie in esame, quando la composizione negoziata- cui può accedere l’imprenditore che si trovi in condizione di “squilibrio patrimoniale o che rende probabile la crisi o l’insolvenza”, non si conclude con una soluzione idonea a perseguire il risanamento dell’impresa, l’attestazione dell’esperto che esclude che possa essere stipulato uno degli accordi previsti dal primo comma dell’art. 11 o operata una qualsiasi forma di ristrutturazione dei debiti, sancisce la constatazione che quella crisi o pre-crisi o iniziale insolvenza che si credeva potesse essere superata era fin dall’inizio irreversibile, tanto da aprire la strada a tutte le procedure che presuppongono (anche o in via esclusiva) l’insolvenza in atto.
[11] 
Ovviamente la sede del tribunale competente può essere diversa da quella della Camera di commercio, presso la quale si è svolta la composizione negoziata (la cui competenza è data dalla iscrizione del proponente nel relativo registro delle imprese), stante la non coincidenza della circoscrizione di questi enti con quella dei tribunali, specie dopo la forte riduzione dei primi.
[12] 
Che richiede, per le società di persone, l'approvazione dei soci che rappresentino la maggioranza assoluta del capitale e per le società di capitali quella dell'organo amministrativo, salvo che l'atto costitutivo o lo statuto non stabiliscano la competenza assembleare. Inoltre, in forza del terzo comma dell’art. 152, la decisione o la deliberazione assunta deve risultare da verbale redatto da notaio e va depositata e iscritta nel registro delle imprese a norma dell'art. 2436 c.c.
[13] 
Concetto apparentemente relativo dato che la norma non fornisce alcuna indicazione cronologica idonea a definire l’aggiornamento, tuttavia, poiché l’art. 5, co. 3, lett. a) richiede per l’accesso alla procedura di composizione negoziata che l'imprenditore inserisca nella piattaforma telematica “i bilanci degli ultimi tre esercizi, se non già depositati presso l'ufficio del registro delle imprese, oppure, per gli imprenditori che non sono tenuti al deposito dei bilanci, le dichiarazioni dei redditi e dell'IVA degli ultimi tre periodi di imposta, nonché una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima della presentazione dell'istanza”, gli stessi dati cronologici possono essere utilizzati al momento della presentazione della proposta di concordato semplificato.
[14] 
Il riferimento è a Cass. 23 aprile 2021, n. 10885, in Dejure, che ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite di una serie di questioni riguardanti la prededuzione dei crediti del professionista.
[15] 
Nel concordato ordinario una situazione del genere porterebbe alla inevitabile non omologazione del concordato o alla sua risoluzione. Ad ogni modo, va ricordato che con riferimento al concordato ordinario, la S. corte ha affermato che “Il tenore letterale della norma (“... e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”) chiarisce innanzitutto che la disciplina della prededuzione trova applicazione, generale e indistinta, a tutte le procedure concorsuali regolate dalla legge fallimentare e dunque pure al concordato, sebbene la l.fall., art. 111 non sia espressamente richiamato all’interno del disposto della l.fall., art. 169” (Cass. 11 giugno 2019, n. 15724 in Fallimento 2019, 1011); il che comporta l’applicazione nel concordato dell'intero statuto del regime disciplinare della prededuzione fallimentare salva compatibilità (Bozza, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni tra il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario, in Fallimento, 2015, 703; Fabiani, Il delicato ruolo del professionista del debitore in crisi fra incerta prededuzione e rischio di inadempimento, in Giur. comm., 2017, 751).
[16] 
Questione che si riverbera anche sulla fase precedente della composizione negoziata, ove le prededuzioni sono specificamente individuate. Sarà tuttavia, interessante vedere se verrà mantenuta la discriminante previsione del terzo comma dell’art. 6 CCII, secondo cui “Non sono prededucibili i crediti professionali per prestazioni rese su incarico conferito dal debitore durante le procedure di allerta e composizione assistita della crisi a soggetti diversi dall'OCRI”; previsione che, adattata alla composizione negoziale, priverebbe della prededuzione i crediti del professionista che assiste il debitore, benché il quinto comma dell’art. 5 del recente decreto disponga espressamente che questi “può partecipare personalmente o può farsi assistere da consulenti”.
[17] 
E qui si porrà un problema di adeguamento di questa legislazione, come dell’intera disciplina in materia dettata dal CCII alla Direttiva europea n. 1023 del 2019.
[18] 
Cass. sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Foro it. 2013, 5, 1534.
[19] 
Conf. Morri. Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, in ilfallimentarista.it, 24 agosto 2021.
[20] 
“In qualunque momento risulti utile per le trattative, è opportuno (anche perché le stime potranno occorrere ai fini del parere previsto in caso di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio) che l’esperto proceda alla stima delle risorse derivanti dalla liquidazione dell’intero patrimonio o di parti di esso”.
[21] 
Peraltro, in modo non del tutto puntuale si specifica nel punto 13.2, che “In tal caso, ove non si sia già proceduto nei termini di cui al punto precedente (ossia alla stima in corso di trattative), il parere dell’esperto verterà sulla stima presentata dall’imprenditore”, posto che il parere dell’esperto non può che riguardare i presumibili risultati della liquidazione proposta dal debitore e le garanzie offerte, sicché, anche se è stata effettuata una stima in corso di trattativa, questa può essere utilizzata per verificare la bontà di quella prospettata dal debitore, ma il parere non può certo prescindere da quanto il debitore propone.
[22] 
Non a caso, infatti, nel concordato ordinario, la data dell’adunanza dei creditori- che vista dalla parte dei creditori può farsi corrispondere a quella dell’omologa nel concordato semplificato in quanto costituiscono i luoghi ove costoro possono far sentire la loro voce per la prima volta- il n. 2, co. 2 dell’art. 163 prevede che il provvedimento che stabilisce tale data (fino a centoventi giorni dalla data del provvedimento) va comunicato i creditori entro un termine che il tribunale fissa.
[23] 
Morri, op. e loc. cit.
[24] 
Baratta, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Brevi considerazioni introduttive, in ilfallimentarista.it, 13 agosto 2021.
[25] 
E’ irrilevante, al fine in esame, che al concordato semplificato possano accedere anche le imprese minori perché questa è una procedura del tutto nuova, retta dalle stesse regole per tutte le imprese che vi possono accedere, siano esse minori che maggiori, per cui la nomina di un commissario non sarebbe incompatibile, così come non lo è la nomina di un ausiliario, figura anche questa non prevista nelle procedure da sovraindebitamento.
[26] 
Non a caso, alla figura di un organo ausiliario ex art. 68 c.p.c., la giurisprudenza fece ricorso immediatamente dopo la riforma del 2012 e l’introduzione del concordato con riserva, per il fatto che all’epoca non era prevista la nomina di un commissario o precommissario, neppure in via facoltativa, all’atto della concessione del termine, per cui si doveva sopperire alla carenza per ottenere una collaborazione, “per decidere sulle istanze di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione e/o relativi allo scioglimento o alla sospensione di contratti in corso di esecuzione, oppure dalla domanda medesima siano desumibili profili di complessità della procedura in ragione della prevista e dichiarata continuazione dell'attività di impresa, su istanza del ricorrente, o motu proprio al fine assicurare una costante vigilanza sull'attività di impresa” ; nel caso in esame, invece, la legge prevede la nomina di un organo che svolga più o meno queste attività, per cui non vi era bisogno di richiamare la figura dell’ausiliario ex art. 68 c.p.c. avendo il modello del commissario del concordato pieno..
[27] 
Cass. 20 gennaio 2021, n.976, in Giust. civ.Mass. 2021.
[28] 
Inoltre l’esperto dovrà acquisire una specifica formazione, secondo un percorso che è stato tratteggiato dal recente decreto dirigenziale del 30 settembre 2021, che individua le materie di studio e la tipologia del docente, ecc.
[29] 
In base a questo, “agli ausiliari del magistrato spettano l'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico” e “gli onorari sono fissi, variabili e a tempo”, la cui misura è stabilita, a norma dell’art. 50, “mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze”, e, quindi secondo le tabelle di cui al d.m. 30 maggio 2002 e succ. aggiornamenti.
[30] 
Per la verità dovrebbe essere il collegio che nomina l’esperto a verificarne l’indipendenza e il possesso delle competenze necessarie per assolvere all’incarico, e non l’interessato, per cui questa formula è del tutto pleonastica; così come lo è addossare allo stesso esperto la preventiva verifica della disponibilità del tempo necessario per svolgere l’incarico essendo del tutto ovvio che il soggetto nominato debba disporre del tempo per svolgere tale attività, senza bisogno che lo stabilisca una norma di legge, tanto più che si tratta di un dato non controllabile né sanzionato e, comunque, in qualche modo già prefissato in quanto, a norma del comma settimo dell’art. 3, ciascun esperto non può ricevere più di due incarichi contemporaneamente.
[31] 
Quello che, invece, resta oscuro è perché all’esperto siano stati concessi due giorni per l’accettazione e all’ausiliario tre; differenza che non può certo spiegarsi con l’urgenza che regna nella composizione negoziale sia perché la differenza di un giorno è irrilevante, sia perché l’omogeneità potrebbe essere raggiunta fissando il termine più ridotto anche nell’art. 18, essendo il concordato semplificato improntato anch’esso a celerità e non avendo l’ausiliario possibilità di rifiuto , se non per incompatibilità o impossibilità fisica.
[32] 
Morri, op. e loc cit..
[33] 
Tale richiamo è contenuto nel comma due, ma nel terzo comma, di cui si sta parlando ,si specifica che l’ausiliario provvede “con le modalità di cui al comma 2”, ed è univoco il riferimento alla citata disciplina seppur questa non attenga alle modalità ma agli effetti della vendita forzata, come precisa la rubrica del par. 3, sez. I, capo II, del Titolo IV.
[34] 
Bottai, La rivoluzione del concordato liquidatorio semplificato, in Dirittodellacrisi.it, 9 agosto 2021.
[35] 
Così, Baratta, op. e loc, cit., che però collega tale attività sal parere iniziale.
[36] 
Il ricorso non obbligatorio alla comunicazione a mezzo pec si spiega col fatto che la procedura può investire, come si vedrà, anche piccoli imprenditori che possono avere rapporti con privati privi di indirizzo elettronico. e non è stata anticipato il disposto dell’art. 10 CCII.
[37] 
Peraltro, non risulta chiaro quale sia il soggetto che è tenuto a specificare “dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione”, se il tribunale che emette il decreto (nel qual caso tale indicazione dovrebbe essere contenuta nel decreto stesso) o il debitore che effettua la comunicazione. Sembrerebbe il tribunale, che è il soggetto dell’intero periodo, ma l’uso del gerundio (“specificando”), che è un modo verbale indefinito che non ammette declinazione, non esclude che il verbo possa essere riferito al debitore che deve fare la comunicazione.
[38] 
Bozza, L'omologazione della proposta (i limiti alle valutazioni del giudice), in Fallimento 2006, 1067. Secondo altri (Caffi, Il concordato preventivo, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, 2007, 650; Norelli, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Ghia –Piccinini –Severini, Torino, 2011, 509), la natura officiosa del procedimento non impedirebbe la prosecuzione dello stesso anche in caso di mancata costituzione del debitore e in assenza di opponenti.
[39] 
In tal senso nel concordato ordinario, Ambrosini, L'omologazione del concordato, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, IV, Torino, 2014, 372 ss.. Ovviamente l’impugnazione di un provvedimento di omologa in mancanza di opposizioni è ipotesi poco probabile, ma pur sempre possibile, per es. ad opera del debitore qualora il tribunale abbia modificato inopinatamente una clausola del piano o non abbia accolto il nominativo del liquidatore indicato, ecc...
[40] 
Cass. 9 febbraio 2007, n. 2886, in Fallimento 2007, 787.
[41] 
Giur. pacifica; cfr., Cass. 20 novembre 2019, n. 30201, in Giust. civ. Mass. 2020; Cass. 16 giugno 2017, n.14976 , in Diritto & Giustizia 2017, 19 giugno; Cass. 4 maggio 2017, n.10826, in Dejure; ecc.
[42] 
La nuova norma non prevede la delega ad uno dei componenti del collegio per l’assunzione, ma è implicito che il collegio possa disporre tale delega.
[43] 
Eventualità questa che, in presenza di un concordato liquidatorio, rileva solo quando la liquidazione comporta la cessione dell’azienda o rami della stessa, con continuazione dell’attività aziendale da parte dell’acquirente che, come detto avvicina questa figura liquidatoria ad un concordato con continuità indiretta.
[44] 
Panzani, op. e loc, cit..
[45] 
Ambrosini, La “miniriforma” del 202,… cit., 921.
[46] 
In tal senso Panzani, op.e loc. cit.
[47] 
Da ult. Cass. 29 luglio 2021, n. 21815, in Dejure; Cass., 18 gennaio 2013, n. 1237 in Ilfallimentarista.it , 22 aprile 2013; Cass., 15 luglio 2011, n. 15699, in Giust. civ. 2012, 9, I , 2120.
[48] 
Così, da ult., Cass. 20 dicembre 2011, n.27666, in Ilfallimentarista.it, marzo 2012.
[49] 
Bottai, op. e loc. cit..
[50] 
Per queste imprese minori, l’accesso alla composizione negoziata è, a norma dell’art. 17, ancor più semplificato in quanto si avvia con istanza di nomina dell’esperto da presentare all’OCC o al segretario della locale CCIAA unitamente ad una serie di documenti più ridotti rispetto a quella prevista per le imprese maggiori. Anche gli sbocchi sono in parte diversi da quelli previsti dall’art. 11 per il caso che si trovi una soluzione idonea al superamento della situazione di crisi (cfr, comma quarto dell’art. 17), nel mentre in caso di esito negativo delle trattative rimangono le possibilità indicate per le imprese maggiori, tra cui l’eventuale accesso al concordato liquidatorio semplificato.
[51] 
Qualche dubbio può residuare per le start up innovative che abbiano superato i limiti di cui all’art. 1 l. fall., giacchè queste sono espressamente esonerate dalle procedure concorsuali diverse da quelle previste dal capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (art. 31 D.L. 179/2012), ma credo che la nuova disposizione, per la generalizzazione con cui raffigura l’elemento soggettivo e per le finalità di offrire uno strumento negoziale di soluzione della crisi a tutte le imprese, inglobi anche questa figura.
[52] 
Ambrosini, La nuova composizione negoziale della crisi: presupposti e caratteri, in ilcaso.it, 23 agosto 2021.
[53] 
Mancini, Le “imprese sotto soglia” nel d.l. 118/2021: interazioni con il sovraindebitamento, in ilcaso.it, 1 settembre 2021.
[54] 
Guidotti, op. e loc. cit..
[55] 
Il che comporta che il debitore, il quale, a seguito dell’esito infausto della composizione negoziata, abbia presentare un concordato con riserva, possa, poi, nel termine concesso, chiedere l’apertura della procedura di concordato definitivo ordinario (o di ristrutturazione dei debiti), secondo le previsioni dell’art. 161, ma non accedere al concordato semplificato, per i motivi di cui al testo, anche ammesso che sia ancora in tempo essendo il termine minimo previsto dal sesto comma dell’art. 160 proprio di 60 giorni.
[56] 
Nè può sorgere il dubbio- prospettato da Baratta (op. e loc. cit.), che tuttavia lo risolve escludendo l’applicazione della norma fallimentare- sulla necessità di assicurare una soglia minima di soddisfacimento per i creditori chirografari in ragione del fatto che trattandosi di un concordato dovrebbe trovare comunque applicazione il dettato normativo previsto dalla legge fallimentare, pur in carenza di richiami, giacchè, come detto fin dall’inizio. il nuovo concordato semplificato non è una sottospecie di quello ordinario, ma costituisce una autonoma procedura a vocazione liquidatoria, costruita quale possibile sbocco della composizione negoziata, in alternativa rispetto agli strumenti già esistenti e disciplinati dalla legge fallimentare, e retta d auna propria disciplina, che caratterizza l’istituto.
[57] 
Cass. 8 giugno 2020, n.10884 in Diritto & Giustizia 2020, 9 giugno.
[58] 
Offrire, infatti, ad un creditore ipotecario o ad un pignoratizio o ad un privilegiato speciale un importo svincolato dal valore del bene o dei beni gravati, altera l’ordine delle cause di prelazione in quanto non si soddisfa il creditori nella misura data dalla sua garanzia.
[59] 
Morri, op. e loc. cit.
[60] 
Norma che proprio con in d.l. n. 118 del 2021 è stata integrata sostituendo le parole “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto” con quelle secondo cui “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione”, così definitivamente chiarendo che il potere sostitutivo del tribunale si realizza anche in caso di voto negativo dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali.
[61] 
Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in dirittodellacrisi,it, 25agosto 2021.
[62] 
Definizione di consumatore contenuta nell’art. 2 lett. b) l. n. 3 del 2012, come integrata dal d.l. n.137 del 2020, convertito nella legge n. 176 del 2020, che ha ripreso la dizione di cui all’art. 2, co. 1, lett. e) CCII.
[63] 
Si afferma, infatti, nella Relazione che “Sono omesse la fase di ammissione e la fase del voto dei creditori sul presupposto che la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e la non percorribilità di altre soluzioni sia stata esaminata dall’esperto indipendente e rappresentata nella relazione finale che chiude la composizione negoziata e sull’ulteriore presupposto che i creditori siano stati interessati ed informati nel corso delle trattative”.
[64] 
Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta, in ilfallimentarista.it, 25 agosto 2021.
[65] 
Panzani, op. e loc. cit..
[66] 
Il divieto comminato dal comma quarto dell’art. 6, riguarda, quindi, non la proposizione del ricorso per la dichiarazione di fallimento, che di per sé pertanto non è improcedibile, ma la pronuncia della sentenza, sulla scia dell’art. 7, par. 2, della Direttiva 1023/2019, in quanto la dichiarazione di fallimento o di accertamento dell’insolvenza può pregiudicare l’andamento delle trattative.
[67] 
Non vi è alcuna norma che in questa fase attribuisca, in via generale, la prededuzione ai crediti sorti in occasione o in funzione della procedura, tranne quelli espressamente indicati dall’art. 10, cui va aggiunto il credito per il compenso dell’esperto (art. 16, co. 11), né è richiamato l’art. 111 l. fall., come invece è stato fatto nel concordato semplificato.
[68] 
Situazione ben sintetizzata da Pacchi (Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale ovvero i cambi di cultura sono sempre difficili in ilcaso.it, 13 agosto 2021) quando scrive che “La disciplina punta a una gestione dell’impresa che, durante le trattative per la composizione negoziata, sia per l’ordinaria che per la straordinaria amministrazione, rimanga saldamente in mano all’imprenditore libero da controlli invasivi e senza l’inibizione di effettuare pagamenti”.
[69] 
Coerentemente gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell'articolo 10 conservano i propri effetti nelle eventuali successive procedure, (art. 12, co, 1) e, in caso di fallimento, non sono soggetti a revocatoria di cui all'articolo 67, secondo comma, l. fall., “gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall'imprenditore nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto, purché coerenti con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti (art. 12, co. 2); infine il quinto comma dell’art. 12 stabilisce che le disposizioni di cui agli articoli 216, terzo comma, e 217 l. fall. “non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti nel periodo successivo alla accettazione dell'incarico da parte dell'esperto in coerenza con l'andamento delle trattative e nella prospettiva di risanamento dell'impresa valutata dall'esperto ai sensi dell'articolo 5, comma 5, nonché ai pagamenti e alle operazioni autorizzati dal tribunale a norma dell'articolo 10”.
[70] 
Il che comporta che il debitore possa soddisfare anche creditori anteriori, selezionando a sua discrezione, se coerenti con le finalità di risanamento, posto che la valutazione sulle finalità dell’atto che sta per compiere è a lui attribuita ed in base alla stessa deve decidere se informare l’esperto.
[71] 
Questo è l’obbligo che il comma quarto dell’art. 4 impone a tutte le parti. E’ previsto nel comma successivo che “l'imprenditore ha il dovere di rappresentare la propria situazione all'esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l'impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori”, ma le norme oltre a dettare regole di comportamento, peraltro ovvie, dovrebbero costruire il sistema idoneo ad impedire che tali regole vengano violate, a permettere di scoprire le violazione e contemplare sanzioni. Nel caso il primo e il secondo aspetto sono del tutto carenti.
[72] 
Non mi pare, pertanto, che sia presto per dire se questo nuovo impianto sia sufficiente “a sospingere l’imprenditore in affanno, ma pur sempre riottoso, sulla pista della negoziazione vigilata” ( cosi Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di DL recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, in dirittodellacrisi.it, 5 agosto 2021); a mio avviso si può già pronosticare che, appena si scopriranno le implicazioni che la nuova legge contiene, la composizione negoziata diventerà la scelta preferita per accedere alle procedure concorsuali che ancora avranno spazio operativo. Per lo stesso motivo, non mi persuade la considerazione di Lamanna (op, cit.) che L'elefante, di fatto, ha partorito solo un topolino”; i topolini avranno molto spazio e, come è loro costume, prolificheranno tanto, e non certo per le salvifiche potenzialità risanatorie della composizione negoziata, ma per come è stata strutturata la nuova figura in collegamento con il concordato semplificato, che incentiverà i debitori a farvi ricorso e costringerà i creditori a venire incontro alle proposte dell’esperto che il debitore riterrà di avallare.
Del resto, pur in mancanza di statistiche ufficiali, basta sentire i professionisti che trattano la materia, tutti concordi nel dire che da quando è incominciata a circolare la bozza del decreto legge è calato drasticamente il numero delle domande di concordato, proprio in attesa dell’entrata in vigore del d.l. n. 118 del 2021.
[73] 
E’ presumibile che il debitore, prima di accedere alla procedura di composizione negoziata, abbia effettuato quegli interventi risanatori di ristrutturazione interna che non coinvolgono i creditori.
[74] 
Non basta certo aver partecipato a tre accordi di ristrutturazione per fare di un consulente del lavoro un esperto in ristrutturazione aziendale, né, per acquisire questa qualifica, basta ad un avvocato aver maturato precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi di impresa. Peraltro per i dottori commercialisti è sufficiente l’iscrizione all’albo da almeno cinque anni, senza tener conto che in quell’abo possono essere iscritti anche professionisti che non si sono mai interessati di ristrutturazione. Né il sistema di nomina di cui all’art. 3. co. 6, è idoneo ad assicurare una selezione mirata, se si pensa, tra le altre, che uno dei tre componenti della commissione che vi provvede è “un membro designato dal Prefetto del capoluogo di regione”, che non si capisce a che titolo sia stato coinvolto essendo questi eventualmente esperto nel mantenimento dell’ordine pubblico e non certo nelle ristrutturazioni aziendali.
[75] 
Ha, quindi pienamente ragione Galletti (Breve storia di una (contro)riforma “annunciata”, in Ilfallimentarista.it, 1 settembre 2021) quando afferma che “Il concordatino” nasce piuttosto con la “missione” di sanzionare quasi sempre lo sbocco della prima fase, nella direzione del ricollocamento del compendio, non tanto sul mercato (grazie alla “sapiente” disattivazione degli strumenti funzionali ad instaurare la “competizione” sul punto: art. 19), quanto a beneficio di sfere soggettive che molto ottimisticamente saranno terze”.

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Google Fonts è un servizio di visualizzazione di stili di carattere gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

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I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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