Nei paragrafi precedenti si è fatto cenno ad alcune delle peculiarità del concordato semplificato che lo differenziano dal concordato liquidatorio ordinario; ora è il momento di vedere più da vicino le diversità di regolamentazione di maggiore spessore.
La prima attiene all’elemento soggettivo.
Nulla dispone in proposito l’art. 18 né viene richiamato l’art. 1 l. fall., per cui l’individuazione dei soggetti che possono usufruire del concordato semplificato va cercata all’interno della nuova legge, muovendo dal concetto che una prima caratteristica della nuova figura è quella di poter essere utilizzata non in via autonoma e immediata ma solo quale sviluppo della composizione negoziata non riuscita; di conseguenza, alla nuova procedura concordataria semplificata possono fare ricorso, dal punto di vista soggettivo, solo e tutti coloro che possono chiedere la nomina dell’esperto per la composizione negoziata. Poiché tale nomina può chiederla qualsiasi “imprenditore commerciale e agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza”, (art. 2, co. 1), compreso “l'imprenditore commerciale e agricolo che possiede congiuntamente i requisiti di cui all'articolo 1, secondo comma, l. fall,” (imprenditori sotto soglia o imprese minori, secondo la definizione di cui all’art. 2 del CCII), che si trovi nelle medesime condizioni di squilibrio[50], appare del tutto palese l’idea del legislatore di dare accesso alla nuova procedura a qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, soggetto a fallimento o a liquidazione straordinaria o a sovraindebitamento[51], non essendo previsti limiti dimensionali, né verso l’alto né verso il basso. Come del resto precisato anche nella Relazione, ove si dice appunto che ““Non vi sono requisiti dimensionali di accesso alla composizione negoziata, che è concepita con strumento utilizzabile da tutte le realtà imprenditoriali iscritte al registro delle imprese, comprese le società agricole”.
Il nuovo decreto legge contiene una apposita disciplina per l’accesso e lo svolgimento delle trattative in caso di gruppo di imprese, precisando nel primo comma dell’art. 13 che “costituisce gruppo di imprese l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica”. Non è questa la sede per un discorso sul “gruppo di imprese” perché, ai fini che qui interessano è sufficiente rilevare che l’art. 13- che pur detta un criterio unitario per l’individuazione della camera di commercio competente e prevede che unitariamente vengano svolte le trattative per tutte le imprese, salvo che non risultino eccessivamente gravose, ed altro- nel suo ultimo comma stabilisce che “al termine delle trattative, le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all'articolo 11, comma 1, ovvero accedere separatamente alle soluzioni di cui all'articolo 11”.
Orbene, chi sceglie la via del concordato semplificato, non può che accedere separatamente a tale procedura in quanto gli artt. 18 e 19 del d,l. in esame non contengono alcun riferimento alle società di gruppo e manca qualsiasi disciplina dello svolgimento della procedura unitaria delle più imprese del medesimo gruppo. Come è noto il nuovo codice della crisi prevede, negli artt. 284 e segg., che più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo possono proporre con un unico ricorso la domanda di accesso al concordato preventivo di cui all'articolo 40 con un piano unitario o con piani reciprocamente collegati e interferenti e ne regolamenta la fattispecie, ma nessuna di queste norme è anticipata nell’attuale decreto legge. Anche in questo caso, pertanto, si porrà, come già visto per la prededuzione e per la durata delle misure protettive, la necessità di un riesame della attuale normativa quando entrerà in vigore il CCII, sempre che si voglia estendere l’accesso al concordato semplificato di più società dello stesso gruppo per sottoporle ad una procedura unitaria; il che non è scontato giacchè la semplificazione cui si ispira la figura in esame mal si concilia con la gestione di una procedura unitaria di più imprese.
Dal primo comma dell’art. 3 del d.l. n.118 del 2021, che prevede l’istituzione di “una piattaforma telematica nazionale accessibile agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese attraverso il sito istituzionale di ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura”, si deduce che possono accedere alla composizione negoziata solo gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese. Pertanto, non possono chiedere la nomina dell’esperto gli imprenditori non iscritti, quali, ad esempio le società di fatto o le holding individuali di fatto[52], ma neanche gli imprenditori iscritti, ma poi cancellati dal registro delle imprese, anche se non è decorso l’anno da detta cancellazione[53], posto che il requisito dell’iscrizione è richiesto al momento della domanda, senza eccezioni e senza alcun richiamo all’art. 10 l. fall.
Ne consegue che la platea dei soggetti che possono usufruire, in prima battuta della procedura di accordo negoziato e, in seconda, del concordato semplificato, è più ampia di quella che può accedere al concordato preventivo, essendo quest’ultimo riservato ai soli imprenditori commerciali (non quelli agricoli) che non siano sotto soglia (art. 1 l. fall.), nel mentre la nuova procedura è riservata a qualsiasi debitore che svolga attività d’impresa, iscritto nel registro delle imprese e che non abbia già presentato ricorso per l'ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, la pendenza delle quali è ostativa alla presentazione della domanda di composizione negoziata, a norma del secondo comma dell’art. 23 d.l. n. 118 del 2021.
I soggetti sopra indicati, per accedere al concordato semplificato non sono tenuti a presentare al tribunale competente una domanda di ammissione alla procedura, come invece richiedono l’art. 161 co. 1 l. fall. e l’art. 40 e segg. CCII, ma a questo chiedono direttamente l’omologa della proposta e del piano liquidatorio che sarà comunicato ai creditori, per cui manca un qualsiasi preventivo vaglio di ammissibilità da parte dell’organo giudiziario e, conseguentemente, non si procede alla nomina di un giudice delegato alla procedura. L’omissione di questa fase viene convincentemente spiegata con il fatto che la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e la non percorribilità di altre soluzioni sono state già esaminate dall’esperto indipendente e rappresentate nella relazione finale che chiude la composizione negoziata[54].
La mancanza di una decisione sull’ammissibilità esclude che il tribunale possa concedere un termine al debitore per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti, come previsto dal primo comma dell’art. 162 l. fall. e, tanto meno, che possa compiere, in questa fase, una vaglio sulla fattibilità, come consente, invece, l’art. 47 CCII, o che debba emettere un decreto di apertura della procedura, come indicato dall’art. 163, co. 1 l. fall. e dall’art. 47 CCII, tantè che nella parte finale del comma ottavo dell’art. 18, nel rendere applicabile alla fattispecie l’art. 173 l. fall. si precisa che a tal fine “il decreto di cui al comma 4 (quello con cui il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell'ausiliario e alla relazione finale dell'esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall'elenco depositato) equivale all'ammissione al concordato”.
In sostanza il tribunale deve solo nominare un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c., le cui caratteristiche che lo differenziano dal commissario giudiziale sono state già esaminate e, alla luce di quanto richiesto dal terzo comma dell’art. 18 come propedeutico a tale nomina, deve solo valutare la ritualità della proposta e acquisire la relazione finale dell’esperto con la quale dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili, nonchè il parere reso dallo stesso esperto sui presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte.
Questo impianto iniziale e la sequenza procedurale esaminata in precedenza, nonché il mancato richiamo dell’art. 161, co. 6, l. fall. portano ad escludere, con sufficiente certezza, che questa nuova figura possa essere preceduta dalla richiesta di concessione di un termine per presentare la proposta e il piano[55]; peraltro il termine decadenziale di 60 giorni dalla comunicazione della relazione finale negativa dell’esperto entro cui il debitore deve presentare domanda di omologa del concordato semplificato coincide con il termine minimo che il tribunale può concedere ai sensi del sesto comma dell’art. 161, l.fall., sicchè il debitore, se chiede la concessione di quest’ultimo termine non sarà più in tempo per avvalersi del concordato semplificato per intervenuta decadenza.
A sua volta, il debitore non è tenuto a produrre la relazione dell’attestatore di cui al terzo comma dell’art. 161 l. fall., tant’è che nel primo comma dell’art. 18 d.l. n. 118 del 2021 si dispone che il debitore deve allegare i documenti indicati nell'art. 161, secondo comma, lettere a), b), c), d), l. fall. ma non viene richiamato il terzo comma della stessa norma. Tale attestazione è sostituita dalla certificazione rilasciata all’esito del tentativo di composizione negoziata circa l’impossibilità di individuare una soluzione idonea al superamento della crisi, la cui comunicazione segna, come visto il dies a quo del decorso dei 60 giorni entro i quali il debitore può presentare una proposta di concordato con cessione di beni unitamente al piano di liquidazione, chiedendo al Tribunale l’omologazione del concordato; termine che, ovviamente, non esiste per il debitore che intende accedere all’ordinario concordato.
Il contenuto della proposta è improntato alla massima flessibilità, in cui gli unici criteri da seguire sembrano essere quelli che individuano l’oggetto del giudizio di omologazione, esaminati in precedenza e, quindi rispettare l’ordine delle cause di prelazione, proporre un piano che possa superare il vaglio della fattibilità giuridica ed economica in forza del quale i creditori non vengano a percepire meno di quanto potrebbero ottenere in caso di fallimento e prospettare le utilità, non necessariamente in denaro, per ciascun creditore.
Ed, infatti nel recente decreto legge non è indicata alcuna soglia minima di soddisfacimento in favore dei creditori quale presupposto di ammissibilità del concordato, né vi è alcun richiamo all’ult. comma dell’art. 160 l.fall. (anzi manca qualsiasi richiamo a questa norma nella sua interezza); pertanto, nel concordato semplificato è inesistente l’obbligo di assicurare ai creditori chirografari il pagamento del 20% minimo, come disposto dall’ult. comma dell’art. 160 l. fall., né è richiesto l’apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10%, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale il soddisfacimento dei creditori chirografari, come ulteriormente richiesto dall’ult. comma dell’art. 84 CCII[56].
Sembrano passati anni luce dal 2015, quando il legislatore, constatato che la libertà lasciata al debitore concordatario di offrire anche una percentuale irrisoria di pagamento ai creditori chirografari non aveva dato buon esito, imprimeva una nuova svolta legislativa nella direzione di un ripensamento della tutela del ceto creditorio con il d.l. n. 83 del 2015, convertito nella legge n. 132 del 2015, aggiungendo nell’art. 160 un ultimo comma che la proposta di concordato con cessione dei beni deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari; introduceva nuovi istituti tesi a favorire la competitività, quali le proposte e le offerte concorrenti di cui agli artt. 163 e 163-bis, e abrogava quel meccanismo cardine di favor per la soluzione concordata della crisi di impresa, introdotto soltanto nel 2012, e costituito dal c.d. silenzio assenso.
Altrettanti anni luce sembrano passati dall’epoca in cui in uno dei passaggio della proposta di legge delega elaborata dalla Commissione Rordorf il concordato con cessione dei beni veniva eliminato e poi ripreso, purché caratterizzato dall'apporto di risorse esterne idonee ad aumentare “in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori” (art. 6, co. 1, lett. a) l.19.10.2017 n. 155); apprezzabilità tradotta nell’art. 84 CCII, in un incremento di almeno il 10% rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, (fermo restando che il soddisfacimento dei creditori chirografari non può essere in ogni caso inferiore al 20% dell’ammontare complessivo del credito chirografario), in modo da non privare i creditori del vantaggio che, in tal caso, il concordato liquidatorio effettivamente per loro presenta rispetto all’alternativa della semplice liquidazione giudiziale.
La previsione del nuovo codice della crisi evidenzia chiaramente lo sfavore con cui è visto il concordato liquidatorio, al punto che, quando null’altro v’è da fare, se non liquidare i beni del debitore per soddisfare al meglio le ragioni dei creditori, è preferibile ricorrere alla procedura liquidatoria per eccellenza, a meno che non vi sia un apporto di risorse esterne tale da incrementare di almeno il dieci per cento la soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale; ed in questo quadro il riferimento alla percentuali di soddisfacimento dei creditori chirografari ribadisce la necessità dell’integrale pagamento dei creditori preferenziali nel rispetto del principio della inalterabilità dell’ordine delle cause legittime di prelazione (ripreso nel sesto comma dell’art. 85 CCII).
Orbene il recente concordato semplificato rivaluta nuovamente la libertà discrezionale del debitore, al punto che l’imprenditore che accede al concordato semplificato può offrire qualsiasi soluzione ritenga opportuna purchè rispetti quelle condizioni oggetto di valutazione per la omologazione sopra indicate; non solo, quindi, non è tenuto ad apportare risorse esterne, non solo non è tenuto ad offrire una quota minima ai creditori chirografari, ma non è tenuto neanche a soddisfare integralmente i creditori prelatizi, purchè rispetti il principio dell’ordine dei privilegi che, come ha ribadito anche di recente la S. Corte[57], va interpretato nel senso che esso impone l'integrale pagamento del credito di rango superiore prima di soddisfare quello di grado inferiore. Importante, cioè, è che la proposta non preveda la falcidia di un credito di grado poziore e il pagamento parziale del credito di rango più basso, ma nel rispetto di questa regola nessuna norma dispone che debba soddisfare integralmente il ceto creditorio prelatizio, in quanto l’unico limite è dato dalla potenzialità realizzativa del beni in una eventuale liquidazione fallimentare, che segna il confine massimo della soddisfazione dei creditori, per cui una proposta al di sotto di questo potrebbe essere considerata pregiudizievole per i creditori; ma se la proposta di pagamento parziale dei privilegiati nel rispetto dell’ordine della graduazione è il massimo che la consistenza patrimoniale consente, il concordato semplificato è omologabile, salvo che l’apertura del fallimento non consenta azioni di ripristino del patrimonio che, incrementando l’attivo, permettano una migliore soddisfazione.
Di conseguenza, nel concordato semplificato, la problematica sulla soddisfazione parziale dei creditori prelatizi, con la connessa stima di cui al secondo comma dell’art. 160 l. fall. per rapportare il livello di pagamento offerto alla capienza sui beni gravati, può ancora essere presente, ma non quale limite alla libertà del debitore di ristrutturare i propri debiti liberamente non avendo bisogno di giustificare il pagamento parziale di tale categoria di creditori, bensì nell’ambito della verifica della regolarità della graduazione prospettata[58].
L’accennata flessibilità inserita in una struttura volutamente elementare, che consente, rispettato l’ordine della graduazione delle cause di prelazione, di offrire ai creditori qualsiasi soddisfazione, salvo a valutarne la convenienza e l’utilità per i creditori, opera anche nei confronti dell’Agenzia delle entrare e degli enti previdenziali, la posizione dei quali è equiparata a quella degli altri creditori privilegiati e chirografari per i rispettivi crediti; ed, infatti, non è richiamato l’art. 182-ter l. fall. in quanto la transazione fiscale è superata proprio dalla onnicomprensività del procedimento, che non lascia fuori nessun tipo di creditore, sia dal fatto che la procedura ex art. 182-ter poggia necessariamente sulla relazione di un professionista circa la recuperabilità in ambito liquidatorio, non richiesta nel concordato semplificato[59]. Di conseguenza deve escludersi, in sede di omologa, anche la possibilità del cram down fiscale e previdenziale di cui alla seconda parte del quarto comma dell’art. 184 l. fall.[60], anche perché i creditori non sono chiamati ad esprimersi e proprio il silenzio o voto negativo costituisce motivo dell’intervento sostitutivo del giudice.
Egualmente le nuove disposizioni non prevedono l’ipotesi di proposte concorrenti, né richiamano l’art. 162, commi 4 e segg., per cui queste non sono ammesse nel concordato semplificato. Tanto è in perfetta sintonia, per un verso, con la libertà data al debitore di proporre qualsiasi offerta ai creditori senza, quindi, neanche il limite di soddisfazione minima dei chirografari, indicata dal comma quinto dell’art. 163 l. fall. al fine di bloccare la presentazione di proposte alternative e, per altro verso, con la mancanza di una votazione che scelga quale, tra le più proposte, debba essere portata all’omologazione; manca, infine, anche un meccanismo che, sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 125 l. fall. per il concordato fallimentare, attribuisca tale potere di scelta al tribunale o ad altro organo.
Anche le offerte concorrenti e la stessa competitività subiscono un duro colpo nel concordato semplificato giacchè, come si è detto in precedenza, “quando il piano di liquidazione di cui all'articolo 18 comprende un'offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni”- che è la formula prevista dal primo comma dell’art. 163 l. fall.- invece di prevedere l’apertura di un procedimento competitivo, come prescrive quest’ultima norma, l’art. 19 del nuovo d.l. n. 118 del 2021 prevede che l’ausiliario autorizzato dal tribunale e, dopo l’omologa, il liquidatore giudiziale (senza autorizzazione del tribunale), possono procedere alla vendita dall’azienda o di singoli beni “verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato”; ed è chiaro che la verifica dell’assenza di migliori condizioni sul mercato, che può essere constatata attraverso qualsiasi mezzo, anche attraverso informazioni verbali, è cosa ben diversa dall’apertura di una procedura competitiva con le forme di cui all’art. 163-bis. Peraltro le modalità del procedimento competitivo esposte dal secondo comma di detto articolo, con le connesse forme di pubblicità, il meccanismo per la scelta dell’offerta migliore e la possibilità di una gara tra più offerte migliorative di cui al terzo comma sono chiaramente incompatibili con la semplificazione del rito del nuovo strumento concordatario; ed infatti, non è richiamato il comma quarto dell’art. 163-bis, che pone l’obbligo per il debitore di modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all'esito della gara, che è elemento indispensabile per il funzionamento della competitività.
Non contraddice questa conclusione il recente Decreto dirigenziale del 30 settembre 2021. Il punto 12 della Sez. III di questo è rubricato “Cessione dell’azienda nella composizione negoziata o nell’ambito del concordato semplificato (nella fase tra la domanda e l’omologa)”, e contiene una serie di indicazioni all’esperto, tra cui l’utilità e l’opportunità del ricorso a procedure competitive per la selezione dell’acquirente, senza tuttavia mai citare l’ausiliario, che è l’organo del concordato semplificato nella fase tra la domanda e l’omologa; né è possibile estendere automaticamente all’ausiliario questi “consigli” dati all’esperto per la diversità delle procedure in cui essi operano e la diversità delle finalità della cessione aziendale.
Nella composizione negoziale, infatti, la cessione dell’azienda è configurata come uno strumento di soluzione della crisi, in cui il tribunale interviene per verificare che si tratti di atto funzionale ad assicurare la continuità aziendale e la migliore soddisfazione dei creditori ed, a questo fine, la lett. d) del primo comma dell’art. 10 prevede che i trasferimenti dell’azienda autorizzati dal tribunale avvengano con esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento. Nel concordato semplificato la cessione dell’azienda nella sua interezza (o di rami della stessa) è uno dei modi di liquidazione del patrimonio messo a disposizione dei creditori, preferibile alla vendita particellizzata in quanto presumibilmente più proficua per i creditori; ma è una normale vendita coattiva, per la quale è dettata l’apposita previsione che all’offerta può essere data esecuzione “verificata l'assenza di soluzioni migliori sul mercato”, formula che non è, invece, riprodotta per la vendita nel corso delle trattative.
Nonostante, quindi la rubrica del punto 12 del citato Decreto dirigenziale, l’attività competitiva va riservata alla fase della composizione della crisi, cui il testo del citato punto 12 fa esclusivo riferimento, e non trova applicazione per le vendite in fase di concordato semplificato, sia antecedenti che successive all’omologazione, per le quali è stata emanata apposita specifica disciplina che è incompatibile con il ricorso alla competitività.
Neanche è prevista la formazione delle classi né è pensabile che, nel silenzio della legge, il debitore vi possa procedere perché mancherebbe qualsiasi controllo sulla correttezza della formazione delle stesse, come previsto dal primo comma dell’art. 163 l. fall. La formazione delle classi introduce un meccanismo eccezionale che altera la parità di trattamento tra creditori che si trovino nella medesima condizione, in quanto finalizzata a proporre trattamenti differenziati fra creditori, per cui in mancanza di una norma espressa che lo consenta, e ne preveda il controllo sulla regolarità della formazione, è da escludere che sia possibile fare ricorso alla classazione.
Altra differenza di particolare spessore è la mancata riproduzione nel nuovo concordato di una norma simile a quella di cui al secondo comma dell’art. 69-bis o il mancato richiamo di questa norma, con la conseguenza che il periodo sospetto ai fini delle revocatorie fallimentari, non retroagendo gli effetti del fallimento alla data di pubblicazione della domanda di concordato (e tanto meno, a quella di richiesta di nomina dell’esperto), inizia a decorrere dal momento della dichiarazione di fallimento. Ed il pregiudizio per i creditori è di non poco conto, se si pone mente al fatto che il percorso negoziale può avere la durata massima di centottanta giorni, anche prorogabili e poi vi sono sessanta giorni dalla comunicazione della chiusura della prima fase per chiedere l’omologa del concordato semplificato, cui bisogna aggiungere il tempo di durata di quest’ultimo prima di pervenire ad una dichiarazione di fallimento; in mancanza di retroattività del periodo sospetto, salta la possibilità di revocare ai sensi del secondo comma dell’art. 67 l. fall. (e forse anche di altre disposizioni) sicuramente gli atti e i pagamenti antecedenti alla nomina dell’esperto, ma anche gran parte degli atti in contrasto con gli interessi dei creditori compiuti nel corso della composizione negoziata; e tutto ciò, alla fin fine, finisce per favorire la tendenza a ritardare quanto più possibile la declaratoria di insolvenza con la presentazione di domande di composizione negoziata non tempestive e di concordato semplificato alquanto disinvolte.
Il momento, tuttavia, di maggiore divaricazione del nuovo concordato semplificato rispetto a quello ordinario è dato dalla mancanza della votazione in quanto i creditori non sono chiamati ad esprimere il loro parere tramite il voto, ma possono solo proporre opposizione all’omologa, e, di conseguenza, l’approvazione della proposta dipende esclusivamente dall’omologazione del tribunale.
Il concordato senza voto non costituisce una novità assoluta in quanto, come ricordato da altri[61], è previsto in materia bancaria (art. 93 t.u.b.) ed assicurativa (art. 262 codice assicurazioni), nella liquidazione coatta amministrativa (art. 214 l. fall.), nell’amministrazione straordinaria (art. 78 l. 270/1999) e nel caso del piano del consumatore in tema di sovraindebitamento (art. 12 bis l. 3/2012). Tuttavia, in quest’ultima fattispecie la mancanza del voto dei creditori si spiega agevolmente con le prevedibili ridotte dimensioni della crisi rapportata ad “una persona fisica che non abbia svolto attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale”[62], per cui trova giustificazione una procedura semplificata al massimo proprio nell’ottica di agevolare una soluzione concordataria altrimenti troppo complessa e costosa, tant’è che la votazione dei creditori è ripresa nell’accordo di ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato (art. 11 l. n. 3 del 2012) come nel corrispondente concordato minore del CCII (art. 79 CCII).
Nelle altre ipotesi di concordati coatti, la mancanza del voto è giustificata dalla natura degli interessi pubblicistici perseguiti, che prevalgono su quelli del ceto creditorio, nonchè dalla necessità dell’autorizzazione alla presentazione del concordato da parte dell’Autorità amministrativa che vigila sulla procedura. Ad ogni modo la peculiarità dell’odierno concordato semplificato è che esso non costituisce, come queste altre figure l’unico strumento per risolvere la crisi di un certo tipo di impresa che abbia determinate caratteristiche dimensionali o di specializzazione oggettiva, ma costituisce uno strumento che si aggiunge ad altro dello stesso tipo producendo gli stessi effetti del concordato preventivo con cessione dei beni, per cui la privazione del diritto di voto per i creditori non trova alcuna giustificazione valoriale e si pone in contrasto con il carattere concorsuale della nuova procedura.
Non persuade, infatti, la spiegazione fornita nella Relazione[63] che questo forte ridimensionamento del ruolo dei creditori trovi una giustificazione nel fatto che il concordato semplificato costituisce uno sbocco della negoziazione precedente, nella quale i creditori sono stati già coinvolti, sia perché manca qualsiasi garanzia che siano stati sentiti tutti[64], sia perchè nell’ambito della composizione negoziata l’ottica in cui le trattative si sono svolte era quella di trovare soluzioni praticabili per prevenire la crisi o per raggiungere il risanamento aziendale, nel mentre nel concordato semplificato- che presuppone il fallimento delle precedenti trattative- l’ottica è prettamente liquidatoria, per cui sarebbe quanto mai opportuno appurare come la diversità di opinioni già raccolte sulle prospettive risanatorie dell’impresa si traduce in un voto su una nuova proposta di carattere liquidatorio, completamente diversa dalle precedenti eventualmente formulate; né si recupera la pienezza delle facoltà creditorie con la concessione del diritto della opposizione all’omologazione in quanto, come già detto, questo è uno strumento meno efficace e più costoso della manifestazione di un voto negativo e, comunque, il diritto stesso viene compresso in termini inadeguati per un sereno e consapevole giudizio, proprio nel momento in cui la mancanza del voto dovrebbe facilitare l’esercizio del diritto dei creditori di esprimere la loro motivata opinione.
Per la verità, il legislatore del codice della crisi e dell’insolvenza, in attuazione dell’art. 6, co. 1, lett. f) della legge delega n. 155 del 2017, ha già abolito l’adunanza dei creditori- che è la massima espressione della collegialità, in cui si realizza un contraddittorio incrociato tra tutti i soggetti interessati- nel concordato preventivo (cfr. art. 47,co.1,, art. 104, ecc.) sostituendola con un sistema di scambi di memorie, complesso e confuso, che non realizza affatto il contraddittorio scritto tra i creditori, sostitutivo di quello orale all’adunanza; e questo già costituisce un vulnus perché un effettivo contraddittorio è elemento coessenziale ad ogni procedura che vincoli tutti i creditori, anche quelli dissenzienti, dato che, in tanto alla minoranza dissenziente può essere imposto un sacrificio in quanto tutti possano partecipare al procedimento destinato a formare la maggioranza. Il vulnus è ovviamente maggiore ove si elimini non solo l’adunanza per esprimere il voto, ma la stessa votazione, rompendo con la tradizione che basa ogni forma di soluzione negoziale della crisi sulla votazione avente ad oggetto una proposta e un piano; questa può assumere la forma di procedura del voto formale, del silenzio assenso, di consultazione e accordo della maggioranza delle parti interessate, ma comunque queste devono potersi esprimere, eventualmente anche non riuniti in una assemblea.