L’aiuto consiste nella positiva risposta di una commissione formata da tre autorevoli soggetti di diversa estrazione alla richiesta dell’imprenditore, presumibilmente a ciò sollecitato dai suoi controllori. Senza questa richiesta volontaria nulla si muove: l’imprenditore è libero di percorrere la via in discesa verso il dissesto, salvo il ricorso all’art.2909 cod. civ. e salvo che nel 2023 torni in funzione la procedura incentrata sull’OCRI, ora messa in naftalina, che prevede, come è noto, anche lo stimolo esterno.
In sintonia con quanto più volte ho io stesso sollecitato[9], non posso che condividere la soluzione, indicata dal decreto n. 118/2021, della nomina di un esperto “facilitatore”, che affianchi l’imprenditore, o, meglio, i suoi consulenti nella ricerca di una soluzione alla crisi e nell’interlocuzione con i creditori e terzi interessati[10]. Ma era ben più incisivo il percorso che ipotizzavo, e per due ragioni essenziali: anzitutto perché l’iniziativa per la richiesta del “facilitatore” non doveva essere lasciata completamente alla libera determinazione dell’imprenditore, ma stimolata da una denuncia dei controllori di fronte all’inerzia dell’imprenditore (nonché dall’iniziativa di creditori particolarmente qualificati), ed in secondo luogo perché essa andava indirizzata a un giudice, di fronte al quale il debitore si fosse rivolto spontaneamente o più frequentemente fosse stato fatto chiamare dai controllori.
L’esclusione del giudice, anche solo a questi limitati fini, è stato un mantra che ha connotato tutti i lavori della travagliata riforma, sino al momento in cui, con una sorta di comprensibile ancorché ingiustificata reazione, la riforma è caduta sotto la competenza dei (pur valenti) magistrati che al ministero della giustizia hanno costruito le norme dei decreti attuativi, e alla cui rigidezza si deve, almeno in parte, la reazione tradottasi nell’istituzione e nel prodotto della commissione Pagni. Il richiamo all’ondulazione del pendolo, tra concezione più pubblicistica, quale risultante dalle disposizioni del CCII, e concezione privatistica, quale risultante dal decreto 118/2021[11], è ben condivisibile, ma occorrerebbe ricercare il giusto mezzo[12].
L’allerta prevista dal decreto 118/2021 ha un taglio decisamente più privatistico rispetto a quello delineato dal CCII, e per un verso merita a mio avviso consenso, per altro verso (mi) delude. Apprezzabile è la snellezza con la quale viene delineata la composizione assistita: sulla falsariga del modello francese[13]l’ausilio alla soluzione negoziata è dato dal professionista nominato, che affianca i professionisti dell’imprenditore e non li esclude, come invece prevede di fatto l’art. 6, comma 3, del CCII, con un’attività che può concludersi positivamente o anche negativamente, ma in tal caso senza che intervenga denuncia al Pubblico ministero. Il tutto, finché possibile, in un clima di riservatezza che è previsto anche dalla procedura innanzi all’OCRI: riservatezza destinata a venir meno con la pubblicità delle misure di protezione, che qui vengono previste automaticamente con l’avvio della composizione assistita (salvo successiva conferma o revoca giudiziale). La riservatezza può avere un qualche significato non tanto nei confronti dei creditori (e del sistema bancario), che anzi, salvo forse che nella fantomatica twilight zone, devono necessariamente essere coinvolti, quanto verso la clientela, per evitare che essa corra subito a cercare un altro fornitore, indebolendo le prospettive di ripresa.
Ad impedire l’assalto dei creditori al patrimonio del debitore sono destinate le misure di protezione, che possono essere richieste e intervenire immediatamente con la pubblicazione sul registro delle imprese dell’istanza di nomina dell’esperto e della sua accettazione, e con un rapido procedimento di conferma, modifica o revoca da parte del giudice[14].
Le misure di protezione saranno essenziali in tutte le situazioni di crisi, e tanto più in quelle nelle quali i sintomi dell’insolvenza si siano già palesati. Ma allora sarebbe stato preferibile, a mio avviso, che il giudice fosse il medesimo già destinatario della richiesta di nomina dell’esperto.
Mi delude quindi, nel nuovo procedimento di nomina dell’esperto, il declassamento del giudice, ora annacquato in una burocratica commissione, diversamente da quanto previsto dalla stessa Direttiva Insolvency (art. 5, comma 2°). Ma comunque risulta evidente che, diversamente da quanto da altri pur autorevolmente opinato[15], la commissione Pagni abbia sotto questo aspetto partorito tutt’altro che un topolino. Se mai la barocca procedura di allerta delineata dal CCII entrerà in vigore e se, come è ben possibile, essa troverà contrapposta la soluzione alternativa, e quindi la “concorrenza” di quella delineata dal decreto 118/2021, è facilmente prognosticabile l’esito del confronto. E non è il caso di dolersi della probabile messa in naftalina della procedura di crisi delineata dal CCII, perché se è vero che le misure di prevenzione e la soluzione stragiudiziale della crisi erano i punti più attesi della riforma non è affatto detto che la soluzione delineata dal CCII fosse ….la più attesa! D’altronde, come avrebbe potuto reggere ad una serena critica una procedura che impone all’imprenditore in crisi (ma praticamente già insolvente) di abbandonare i propri consulenti per sottoporsi all’esame di soggetti estranei (con il solo contentino del componente della troika “amico”) e con la prospettiva di una possibile denuncia al PM per la dichiarazione di fallimento (pardon: liquidazione giudiziale)? In verità la procedura di composizione della crisi delineata dal CCII rivela alcuni dei connotati tipici del Processo di Kafka, dove l’imprenditore, privato del sostegno dei suoi tradizionali professionisti e normalmente già insolvente, corre il rischio di essere trascinato in un percorso inclinato, dall’esito assolutamente probabile. E per continuare con i riferimenti letterari, l’ascesa all’OCRI e il possibile percorso a ritroso sino innanzi al PM richiama alla mente il bellissimo racconto di Buzzati, I sette piani.
Ben diverso appare il clima proposto dal decreto; ed è significativo che, tra le incombenze da assolvere al momento della presentazione dell’istanza per l’accesso alla composizione negoziata, sia prevista una relazione “chiara e sintetica, sull’attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative industriali che [l’imprenditore] intende adottare”[16]. Relazione che deve essere ripresentata, con una nutrita documentazione[17], anche al giudice nel procedimento di convalida delle misure protettive. Ciò significa che, assai più incisivamente di quanto previsto per l’accesso all’OCRI, l’imprenditore deve avere già chiara, e convincente, la prospettiva di uscita dalle difficoltà, una prospettiva destinata ad affinarsi nella collaborazione tra l’esperto e i professionisti dell’imprenditore, ma già presente nella visione di costui.
Nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa (art. 9), il che è conforme a quanto previsto dal CCII ed è anzi del tutto ovvio per le situazioni di pre-crisi. Quando però sussiste probabilità di insolvenza, e quindi crisi, i cordoni si restringono: la gestione dell’impresa deve essere tale da “evitare pregiudizio alla sostenibilità economico – finanziaria dell’attività”.[18] Ovviamente questo limite varrà, e a maggior ragione, in caso di insolvenza già presente.