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Saggio

Alcune riflessioni sulla disciplina delle misure protettive e cautelari*

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

24 Novembre 2025

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Le misure protettive e cautelari sono uno tra gli strumenti maggiormente innovatori del codice della crisi ed hanno dato luogo nella prima applicazione ad un vasto dibattito giurisprudenziale e dottrinale. I temi di maggior rilevanza, sui quali l’A. si sofferma cercando di ricostruire sul piano generale alcuni principi fondamentali, riguardano il contenuto delle misure protettive atipiche e delle misure cautelari, anche in rapporto alla legittimità di un’inibitoria che venga a riguardare terzi e parti correlate in rapporto al termine di dodici mesi, anche nel caso di più periodi di sospensione intervallati da altri eventi, previsto dalla Direttiva Insolvency e dall’art. 8 CCII. Ancora riguardano la durata delle misure protettive e delle misure cautelari, quando esse abbiano ugualmente ad oggetto l’inibitoria delle azioni esecutive dei creditori individuali.  

Protective and precautionary measures are among the most innovative instruments introduced by the Code of Crisis and have, in their initial application, given rise to extensive debate both in case law and in legal literature. The most significant issues, on which the author focuses in an attempt to reconstruct some fundamental general principles, concern the content of atypical protective measures and precautionary measures—including in relation to the legitimacy of an injunction that may affect third parties and connected parties with regard to the twelve-month period, even in the case of several suspension periods interspersed with other events, as provided for by the Insolvency Directive and Article 8 of the Code of Crisis and Insolvency. Further issues relate to the duration of protective and precautionary measures, especially when these measures also involve the inhibition of enforcement actions by individual creditors. 
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1 . Il quadro generale di riferimento
Le misure protettive e cautelari possono essere adottate nella composizione negoziata e nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza anche quando la domanda sia stata proposta con riserva, secondo la disciplina degli artt. 54 e 55 CCII, estesa dal decreto correttivo 136/2024 anche al concordato liquidatorio semplificato. 
Per quanto riguarda la composizione negoziata vi sono differenze importanti rispetto alla disciplina prevista dagli artt. 54 e 55 CCII per gli strumenti di regolazione della crisi, perché le misure protettive sono soltanto quelle tipiche, rappresentate, come prevede l’art. 18, comma 3, CCII dal divieto per i creditori interessati, che possono essere anche soltanto determinati creditori o determinate categorie di creditori, di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio o sui beni o sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. La norma precisa che non sono vietati i pagamenti, perché il debitore nella composizione negoziata è in bonis e di conseguenza i pagamenti dei creditori non gli sono interdetti, anche se, analogamente a quanto avviene nel P.R.O. si pone il problema della coerenza tra i pagamenti effettuati dal debitore e le trattative o le prospettive di risanamento (art. 21, comma 2, CCII). 
Nel caso del P.R.O. l’art. 64 bis, comma 6, CCII prevede che il commissario giudiziale possa segnalare al debitore e all’organo di controllo che il pagamento non è coerente con il piano. In tal caso se il pagamento viene ugualmente effettuato, il commissario ne informa il tribunale ai fini di cui all’art. 106 CCII e quindi per la possibile revoca dell’ammissione alla procedura. Nel caso della composizione negoziata l’art. 21 prevede la segnalazione dell’esperto al debitore e all’organo di controllo. Se l’atto viene ugualmente compiuto l’esperto può iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese, con ovvii effetti sulle concrete possibilità che le trattative continuino. Se l’atto reca pregiudizio ai creditori, l’iscrizione è obbligatoria. 
Le misure protettive atipiche, previste dall’art. 54, comma 2, soltanto dopo il deposito della proposta, del piano e, ricorrendone le condizioni, degli accordi, vale a dire dopo la conclusione della prima fase del procedimento aperto con la domanda con riserva, sono dirette ad evitare che “determinate azioni o condotte di uno o più creditori possano pregiudicare sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”. 
La formula, individuata dal legislatore con il decreto correttivo n. 136/2024, riprende la definizione contenuta nell’art. 2, lett. p) CCII tralasciando però l’inciso “anche prima dell’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza”, perché le misure protettive atipiche possono essere adottate soltanto nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza[1].
Le misure protettive e le misure cautelari non hanno necessariamente un contenuto diverso, perché la sospensione delle azioni esecutive può anche essere il risultato di una misura cautelare. 
Il confronto tra la definizione delle misure protettive contenuta nell’art. 2, lett. p), CCII e la definizione delle misure cautelari, considerate dalla successiva lett. q), porta a rilevare che le prime rappresentano la tutela avverso determinate azioni o condotte dei creditori, dove l’inserimento nella formula legislativa del termine “condotte” da parte del decreto correttivo n. 136/2024 sta ad indicare che si tratta di difesa non soltanto avverso le iniziative processuali dei creditori (le “azioni”), ma anche contro altre iniziative che non abbiano contenuto processuale, iniziative che possono riguardare la clausola di autotutela contrattualmente prevista, l’invocazione del principio inadimplenti non est adimplendum con conseguente sospensione delle forniture o dell’erogazione del credito, il recesso ad nutum dal contratto o anche, a nostro giudizio, l’escussione del terzo garante, con tutte le conseguenze che a tale escussione possono seguire. 
Poiché le misure protettive possono essere adottate anche nell’ambito della composizione negoziata la definizione dettata dal legislatore contempla le azioni o condotte del creditore, considerato anche uti singulus perché il rimedio può riguardare il singolo creditore o determinate categorie di creditori, che possono pregiudicare sin dall’inizio delle trattative, non già dalla presentazione della domanda con riserva ex art. 44 CCII, il buon esito della trattativa stessa. 
Va tuttavia sottolineato che soltanto nella composizione negoziata le misure protettive possono riguardare, come prevede espressamente l’art. 18, comma 1, CCII, invece che tutti i creditori determinati creditori o determinate categorie di creditori[2]. 
E poiché tanto per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza quanto alla composizione negoziata la legittimazione è soltanto del debitore, anche per le misure protettive unico legittimato è il debitore. 
Secondo l’art. 2, lett. q) CCII le misure cautelari sono richieste al giudice competente, precisazione questa che non figura nella corrispondente definizione delle misure protettive, perché queste ultime possono scattare dal momento in cui n’è fatta richiesta in sede di presentazione della domanda di accesso alla composizione negoziata o di accesso al procedimento unitario, essendo riservato l’intervento giudiziale al momento successivo della conferma. 
Per esse la legittimazione in caso di avvio del procedimento unitario spetta tanto al debitore che ai creditori. L’art. 2, lett. q), CCII non lo precisa, ma lo indica l’art. 54, comma 1, CCII, quando dispone che il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari su istanza di parte. Del resto legittimati sono tanto il debitore che i creditori, perché la tutela anticipata ha ad oggetto “il patrimonio e l’impresa del debitore” e debitore e creditori possono avere entrambi interesse a questo tipo di tutela. 
Nel caso della composizione negoziata, invece, l’art. 19, comma 1, indica chiaramente che l’istanza sia per le misure protettive che per i provvedimenti cautelari è dell’imprenditore. 
Quanto alle finalità della tutela essa ha carattere cautelare in senso lato. E’ previsto infatti che essa abbia carattere anticipatorio degli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza che si producono per effetto della sentenza di omologazione pronunciata dal Tribunale ed ancora delle procedure di insolvenza, vale a dire la liquidazione giudiziale e la liquidazione controllata, oltre che la LCA e l’amministrazione straordinaria, e ancora l’“attuazione delle relative decisioni”. Si è detto in senso lato, perché l’effetto anticipatorio non è limitato agli effetti di un provvedimento giudiziale, ivi compreso il provvedimento di apertura della fase intermedia dello strumento di regolazione della crisi, secondo lo schema tipico dei procedimenti cautelari disciplinati dal codice di rito, ricomprendendo invece “il buon esito delle trattative”. 
In tal modo il provvedimento del giudice è svincolato dai limiti propri del risultato dell’azione che si intende anticipare ed è determinato secondo una valutazione discrezionale, dal contenuto amplissimo. E poiché anche le misure protettive hanno lo scopo di porre un argine contro le azioni o condotte dei creditori che possono pregiudicare il buon esito delle trattative, facendosi riferimento nella definizione dell’art. 2, lett. p) CCII al buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, si viene a determinare una parziale sovrapposizione tra gli ambiti di applicazione dei due istituti. 
Va peraltro sottolineato che in dottrina si è osservato che la sospensione delle azioni esecutive è prevista come effetto delle misure protettive tipiche. Di conseguenza non si giustificherebbe la previsione di una misura cautelare con tale contenuto quando a richiederla sia il debitore, che deve avvalersi dell’istituto a tal fine previsto nel suo interesse, vale a dire la misura protettiva. Per contro quando la richiesta provenga dal creditore o dal P.M. o da altro soggetto legittimato (si fa qui riferimento alla misura cautelare chiesta con riferimento agli effetti anticipatori della liquidazione giudiziale) l’esigenza di evitare che le azioni dei creditori possano pregiudicare nelle more dell’apertura della procedura l’integrità del patrimonio del debitore o dell’impresa, può riguardare anche un creditore o altro dei soggetti che si sono indicati[3]. 
Rimane una sfera di diversità rappresentata da due profili. Anzitutto perché nelle misure cautelari il provvedimento deve essere a tutela del patrimonio e dell’impresa del debitore, requisito che, per quanto implicito, è certamente comune alle misure protettive tipiche, ma non necessariamente alle misure atipiche, che possono avere come punto di riferimento il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, e quindi soltanto in via mediata il patrimonio del debitore e l’impresa. 
In secondo luogo, le misure protettive hanno necessariamente riguardo alle azioni o condotte dei creditori, mentre le misure cautelari non sono limitate a tale categoria di soggetti, e possono pertanto riguardare anche soggetti terzi.
2 . Contenuto e limiti delle misure
Il primo dei profili indicati consente di evidenziare un tema di rilevante importanza, che è emerso soprattutto nell’ambito della composizione negoziata. Poiché le misure protettive in tale procedimento possono avere soltanto natura tipica, possono in altri termini tradursi soltanto nella sospensione delle azioni esecutive e negli ulteriori effetti connessi, si ritiene che il debitore possa avvalersi delle misure cautelari quale strumento per ottenere i risultati che nel caso degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza potrebbero essere conseguiti con le misure protettive atipiche. 
Tale iniziativa trova fondamento nell’espressa previsione dell’art. 19, comma 1, CCII che stabilisce che il debitore possa chiedere al giudice la conferma o modifica delle misure protettive e, ove occorre, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative[4]. Nel regolare il procedimento l’art.19, comma 4, prevede che se le misure protettive o i provvedimenti cautelari richiesti incidono sui diritti di terzi, costoro debbono essere sentiti, a tutela del diritto al contraddittorio. 
Il legislatore non ha fatto chiarezza sul contenuto dei provvedimenti che possono essere adottati nei confronti dei creditori e nei confronti dei terzi. 
Come si è accennato, le misure protettive secondo la definizione dettata dall’art. 2, lett. p) CCII, hanno lo scopo di evitare che determinate azioni o condotte dei creditori possano pregiudicare il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza. Esse hanno pertanto finalità cautelari in senso lato[5]. Le misure cautelari hanno invece lo scopo, ai sensi dell’art. 2, lett. q), di assicurare provvisoriamente gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza oltre che l’attuazione delle relative decisioni. Il modello è quello dell’art. 700 c.p.c., del provvedimento idoneo ad anticipare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, senza però che occorra, come avverte l’art. 19, comma 7, CCII, che tale giudizio di merito venga promosso. Le misure cautelari sono dirette, inoltre, ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative, che possono essere le trattative che si svolgono durante la composizione negoziata, ma anche le trattative che possono aver luogo in pendenza degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Con riferimento alla fase prenotativa, infatti, le trattative possono riguardare la scelta dello strumento per il quale optare, mentre durante lo svolgimento del concordato preventivo in continuità le trattative possono ugualmente aver luogo con riguardo al contenuto del piano o della proposta, come avverte l’art. 92 CCII nel definire il ruolo del commissario giudiziale. 
Il carattere in senso lato cautelare delle misure protettive e le caratteristiche peculiari delle misure cautelari ed il fatto che nell’uno o nell’altro caso il parametro di riferimento sia rappresentato o possa essere rappresentato dal buon esito delle trattative (nel caso delle misure protettive l’art. 2, lett. p) considera “il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi e dell’insolvenza”, ma almeno nella composizione negoziata tale formula sottintende il buon esito delle trattative, come si evince dall’art. 19, comma 6, CCII che consente la revoca quando non sia più soddisfatto l’obiettivo del buon esito) portano delle conseguenze significative. Nel modello cautelare disegnato dall’art. 700 c.p.c. il provvedimento anticipatorio nel rispondere ai due requisiti tradizionali del fumus boni iuris e del periculum in mora, comporta che il primo debba essere misurato con riguardo agli effetti propri del giudizio di merito che dovrà riconoscere l’esistenza di tale diritto, oltre i limiti della delibazione sommaria propria della tutela anticipata. Vi è quindi un diritto che può esser fatto valere attraverso un’azione di cognizione ordinaria e la cui tutela può essere anticipata quando ricorrono ragioni di urgenza. 
Nel caso che ci occupa, invece, il buon esito delle trattative è un obiettivo di carattere generale che va perseguito in sé e la cui ricorrenza comporta il sacrificio di un diritto dei creditori, sia esso il generale potere di agire esecutivamente a tutela del proprio credito ovvero altro diritto connesso alla tutela del credito. 
Nonostante il carattere generale della formula – il buon esito delle trattative – si è ritenuto che la lettura della disciplina delle misure protettive e cautelari nell’ambito di una visione generale del nostro sistema di tutela dei diritti, porti ad individuare alcuni limiti della tutela. 
Tale operazione esegetica, tuttavia, soffre quantomeno di imprecisione, perché i diritti che possono essere esercitati nell’ambito dei procedimenti e degli strumenti di composizione della crisi e dell’insolvenza debbono essere visti in tale contesto. 
Si è quindi detto[6], in primo luogo, che le misure in parola, soprattutto le misure cautelari, non possono produrre effetti, di accertamento o costitutivi, che sono ordinariamente dipendenti da una pronuncia di merito[7]. Il rilievo è esatto e pacifico, ma occorre dire che tale limite non preclude provvedimenti anticipatori che abbiano a fondamento l’accertamento incidenter tantum della situazione cui si riferisce l’accertamento, come avviene nel caso, di cui si parlerà più avanti, in cui si chieda al giudice della cautela di accertare, alla luce della pendenza della procedura concorsuale, la regolarità contributiva dell’impresa. 
Si è aggiunto che, inoltre non possono essere accordate in sede cautelare misure che si fondano su diritti che non potrebbero venir accertati neppure in sede di merito. Anche tale conclusione, tuttavia, non può essere totalmente condivisa perché nelle stesse misure protettive tipiche, la sospensione delle azioni esecutive non coincide con i diritti che potrebbero essere riconosciuti in sede di merito, perché si fonda sulla disciplina peculiare agli strumenti di regolazione della crisi e alla composizione negoziata, che comunque si fondano su requisiti soggettivi ed oggettivi di accesso alla procedura, da cui seguono effetti predeterminati per legge. 
Si è poi correttamente sottolineato che la misura cautelare non può avere come effetto la disapplicazione di norme di legge. Si può concordare su tale limite[8], perché certamente il buon fine delle trattative non può essere perseguito al di fuori della disciplina esistente, con la precisazione tuttavia che talune norme trovano il loro limite nell’apertura della procedura concorsuale. 
Si è ancora osservato che l’ambito di applicazione delle misure è rappresentato, almeno prevalentemente, dai rapporti contrattuali preesistenti ed esse possono essere tendenzialmente dirette a promuovere quei comportamenti delle parti e dei terzi interessati che rispondono al canone della correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, secondo quanto previsto dall’art. 4 e dall’art. 16 CCII. 
Si è infine aggiunto che tendenzialmente quanto ora sottolineato porta ad affermare che l’ambito delle misure riguarda più un pati che un facere, conclusione su cui si può concordare quando si consideri che, come si vedrà, il terreno elettivo delle misure cautelari è l’interdizione dei poteri creditori di autotutela in senso ampio in sede contrattuale.
3 . I limiti alla libertà negoziale e al potere di autotutela
Il legame tra le misure protettive e cautelari ed il buon esito delle trattative spiega perché l’art. 19, comma 6, preveda la revoca o la limitazione della durata delle misure sia protettive che cautelari quando il buon esito delle trattative non sia più soddisfatto e quando tali misure appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori. Anche l’art. 54, comma 4, riferendosi all’area degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, lega la proroga delle misure a significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione e alla circostanza che la proroga non arrechi ingiusto pregiudizio ai diritti e agli interessi delle parti interessate. 
Poiché sempre il riferimento del fumus boni iuris è il buon esito delle trattative, da intendersi come obiettivo che non può essere perseguito in termini di rigorosa certezza, diventa centrale l’assenza di ingiusto pregiudizio ai diritti delle parti interessate. 
Poiché le misure protettive possono essere chieste soltanto nei confronti dei creditori, la definizione di parti interessate si riferisce alle misure cautelari che possono essere rivolte anche verso soggetti che non sono creditori. La formula parti interessate richiama l’art. 4, commi 1 e 4, CCII che estendono ai soggetti interessati l’obbligo generale di buona fede e correttezza nella composizione negoziata nelle trattative e nei procedimenti di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e l’obbligo di leale collaborazione e di riservatezza. Rientrano in questa nozione il terzo offerente per l’acquisto dell’azienda o di uno o più beni dell’impresa, il terzo garante, i soci anche di minoranza. 
Nei confronti di tutti questi soggetti, creditori e no, non deve essere arrecato danno ingiusto. La formula è amplissima e la necessità di determinarne il contenuto nasce dal fatto che, come si è detto, manca qui il parametro rappresentato dal riferimento all’anticipata tutela del diritto fatto valere o che sarà fatto valere in sede di giudizio di merito. 
Ancora va notato che non ogni pregiudizio è vietato, ma soltanto quel pregiudizio che può essere considerato ingiusto e che, in quanto tale, darebbe altrimenti luogo alla tutela risarcitoria. 
L’art. 21 CCII prevede che nella composizione negoziata l’imprenditore in crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, vale a dire secondo regole usuali proprie della gestione di un’attività che comporta il rischio d’impresa. L’impresa può proseguire anche in caso di insolvenza, ma in tale ipotesi occorre che esistano concrete prospettive di risanamento e l’impresa va gestita nel prevalente interesse dei creditori. Ne deriva che l’accumulo di nuove perdite assume carattere fisiologico perché è insito nell’attività d’impresa in fase di ristrutturazione e non può essere considerato illegittimo. Non rappresenta quindi un danno ingiusto. 
Si tratta comunque sempre di previsioni ragionevoli, fondate sulla scienza aziendalistica, che non possono mai proporsi in termini di certezza. 
Tuttavia, il buon fine delle trattative richiesto dal legislatore non comporta soltanto la verosimiglianza di un accordo con i creditori, ma anche che le trattative si inseriscano in un piano che dovrà almeno avere le caratteristiche indicate per il concordato in continuità dall’art. 87, comma 1, lett. f) CCII per il piano in continuità aziendale: che esso non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza. Va peraltro tenuto presente che l’art. 23 CCII, subordina l’autorizzazione del tribunale dei finanziamenti in prededuzione e al trasferimento dell’azienda alla funzionalità degli atti alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori. Il rifiuto di tali autorizzazioni potrà incidere sulla valutazione della ricorrenza del buon fine delle trattative. 
Ci si può domandare se rappresenti un inammissibile pregiudizio per i creditori il fatto che la continuazione delle trattative possa pregiudicare il diritto dei medesimi di conseguire in caso di liquidazione giudiziale il valore di liquidazione. Al quesito non si può dare sempre risposta affermativa. Il principio del creditor no worse off riguarda il riparto del ricavato tra i creditori, eventualmente raggruppati in classi, nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, ma in sede di trattative la prosecuzione dell’attività d’impresa, come chiarisce anche l’art. 21 prima citato sui poteri gestori dell’imprenditore, va considerata in termini di ragionevole previsione e non di certezza. 
Le misure protettive incidono sempre sulle azioni esecutive e cautelari promosse dai creditori. Le misure cautelari possono avere anche questo contenuto, ma, nella composizione negoziata, e negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza insieme alle misure protettive atipiche, possono comprimere altri diritti dei creditori. 
In dottrina[9] si è sottolineato che gli obblighi di buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative impongono non soltanto dei doveri passivi, ma anche degli obblighi attivi che rientrano nel generale dovere di leale collaborazione, come precisa anche l’art. 16, comma 6, CCII, che richiede che la collaborazione sia sollecita e che si dia riscontro alle proposte e richieste del debitore con risposta tempestiva e motivata. Per le banche, gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari del credito la partecipazione alle trattative deve essere attiva e informata (art. 16, comma 5, CCII). 
A questi doveri di carattere generale si aggiungono nella composizione negoziata i doveri di tutti i creditori di non rifiutare, nel caso siano state disposte le misure protettive, l’adempimento dei contratti pendenti (art. 18, comma 5, CCII) con la conseguenza della compressione dei poteri di autotutela negoziale. Anche le linee di credito non possono essere revocate. Il potere di sospensione è limitato ed escluso dopo la conferma delle misure protettive, salvo i limiti connessi con la disciplina di vigilanza prudenziale. Dall’accesso alla composizione negoziata anche la classificazione del credito è vincolata alla mancata considerazione del procedimento di composizione negoziata in quanto tale, fermo restando che la classificazione dovrà seguire le regole previste dalle autorità di vigilanza. 
Queste norme comportano, in un con la natura stessa, atipica, delle misure protettive, nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e delle misure cautelari che altri limiti possano essere aggiunti con tali misure ai poteri di autotutela dei creditori. 
Va peraltro sottolineato che l’obbligo di prosecuzione dei contratti pendenti è più rigoroso nel caso della composizione negoziata che nel concordato preventivo in continuità, dove l’art. 94 bis, comma 2, CCII lo limita, nel caso di mancato pagamento di crediti anteriori, ai soli contratti essenziali. 
L’ulteriore estensione del divieto di autotutela negoziale va quindi valutata con prudenza e tenendo ben conto del limite rappresentato dal pregiudizio ingiusto per i creditori. 
Tutti i commentatori concordano sul fatto che il limite invalicabile ai poteri del giudice è rappresentato dall’autonomia negoziale e dal fatto che non esiste nel nostro ordinamento un potere generale, attribuito al giudice, di modificare od imporre una disciplina negoziale[10]. 
Va infatti ricordato che l’art. 17, comma 5, ultima parte prevede che nel corso delle trattative della composizione negoziata l’esperto possa invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio dei rapporti in ragione di circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni, ma non è più previsto, diversamente da quanto disponeva l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, il potere del giudice di rideterminare equamente tale contenuto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile per assicurare la continuità aziendale[11]. Proprio la circostanza che tale potere sia stato introdotto nel nostro ordinamento in termini espressi da una norma eccezionale, in costanza della pandemia, e che non sia stato mantenuto nel codice della crisi, porta ad escludere che si possa ritenere trattarsi di un principio di carattere generale, suscettibile di essere ricavato dal sistema in via interpretativa. 
Va sottolineato che gli artt. 16, comma 5, e 18, comma 5, CCII ribadiscono il principio, insito nel fatto che durante la composizione negoziata il debitore è in bonis e non è alterata, se non per quanto è strettamente indispensabile, la disciplina contrattuale, che i contratti pendenti proseguono. L’accesso alla composizione negoziata e il coinvolgimento nelle trattative non costituiscono causa di sospensione o revoca delle linee di credito. Quando scattano le misure protettive i creditori, non soltanto le banche e gli intermediari finanziari, non possono rifiutarne l’adempimento, e comunque incidere sul regolare svolgimento per il solo fatto del mancato pagamento dei crediti anteriori. Non si applica quindi la disciplina dell’autotutela contrattuale. 
Se si tratta di banche e soggetti equiparati le linee di credito non possono essere revocate o sospese salvo nei casi in cui sia questione dell’applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale, formula questa che implica che il rapporto di finanziamento è affetto da profili patologici che comportano la sospensione o la revoca secondo le regole che disciplinano l’attività del bonus argentarius
Il divieto di sospensione o di revoca comporta che il rapporto negoziale, già in essere, rapporto di durata o ad esecuzione differita, debba proseguire. Non vi è obbligo di erogare nuovi finanziamenti o nuove forniture. 
La compressione dell’autonomia negoziale c’è, tanto che il legislatore ha cura di precisare che la prosecuzione del rapporto di per sé non è causa di responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario e lo ripete tre volte, nell’art. 16, comma 5, e nell’art. 18, commi 5 e 6. Essa però non assume caratteristiche sostanzialmente diverse, anche se talune differenze vi sono, da quanto è previsto nella disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo dall’art. 94 bis CCII[12]. 
In altri termini le misure protettive atipiche che possono essere concesse nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e le misure cautelari che possono intervenire nell’ambito della composizione negoziata e degli strumenti anzidetti nei rapporti tra debitore e creditori non possono fondare obblighi nuovi e diversi da quelli che nascono dalla disciplina negoziale in essere. Ciò che può essere limitato sono le forme di autotutela in senso lato che l’ordinamento mette a disposizione del creditore diverse dall’azione esecutiva in senso stretto. La sospensione della prestazione in virtù della clausola inadimplenti non est adimplendum, il diritto alla riscossione immediata nei confronti dell’insolvente ai sensi dell’art. 1186 c.c.[13], la risoluzione del contratto in virtù di clausola risolutiva espressa o di azione giudiziale, l’attivazione della clausola penale, il sequestro che, quando si tratti di misura protettiva concessa sui beni dell’impresa può riguardare anche beni di proprietà di terzi, concessi in licenza o godimento (ad esempio il sequestro dei marchi in caso di composizione negoziata del licenziatario per evitare che la revoca della concessione comporti l’interruzione dell’attività commerciale o produttiva). 
La questione si fa più delicata quando il creditore sia la P.A. perché qui è questione sovente di poteri autoritativi dell’Autorità amministrativa e di obblighi previsti ex lege che esulano dai limiti di intervento del G.O. 
In tale ipotesi può darsi l’ipotesi che si debba intervenire per ottenere il rilascio del DURC, vale a dire del documento di regolarità contributiva, senza il quale un’impresa rischia di essere esclusa da gare, di non poter accedere ad agevolazioni fiscali e di subire sanzioni, e può subire limitazioni quando debba incassare crediti verso soggetti pubblici. Qui siamo al di fuori della sfera di autotutela da parte del creditore perché il DURC ha moltissime funzioni che, come nel caso dei limiti alla partecipazione alle gare d’appalto, esulano dalla dimensione relativa alla tutela di un rapporto di credito per riguardare invece i vincoli posti dalla legge nei confronti di un soggetto inadempiente a protezione di interessi di carattere generale, a garanzia della collettività. 
Nell’ambito del concordato preventivo in continuità il divieto di pagamento dei crediti contributivi pregressi, può essere rimosso ai sensi dell’art. 100 CCII, anche nel caso della domanda con riserva. Ove non intervenga il provvedimento autorizzativo del giudice tale divieto permane. Nella composizione negoziata il debitore è sempre libero di procedere ai pagamenti, salvo quando essi non siano coerenti con l’andamento delle trattative o con le prospettive di risanamento (art. 21 CCII). Ma vi è un’evidente contraddittorietà tra il pagamento e l’esecuzione del piano di ristrutturazione che prevederà il pagamento dei crediti contributivi nei limiti contemplati dalla proposta e comunque nei tempi e modi ad esso propri. 
Di qui il gran numero di casi in cui è stato chiesto al tribunale di concedere la misura cautelare dell’ordine del rilascio del DURC. In taluni casi la giurisprudenza ha accolto la domanda concedendo la richiesta misura cautelare. In altri, più esattamente, ha osservato che il provvedimento richiesto si sarebbe tradotto nella condanna della P.A. ad un facere, che è inammissibile davanti al giudice ordinario quando sia questione di poteri autoritativi dell’autorità amministrativa[14]. La giurisprudenza ha tuttavia ritenuto che potesse essere emessa una pronuncia accertante la sussistenza degli estremi della regolarità contributiva al fine della successiva emissione del DURC da parte degli enti contributivi e previdenziali[15]. 
Altri provvedimenti cautelari che si rinvengono in giurisprudenza sono l’interdizione al creditore di avvalersi dello strumento monitorio e il divieto di segnalazione della sofferenza alla Centrale Rischi[16]. Il divieto del ricorso alla tutela monitoria non pare condivisibile perché tale provvedimento non comporta ancora l’inizio dell’azione esecutiva e può essere efficacemente contrastato dal debitore con lo strumento dell’opposizione. Semmai la tutela potrà essere indirizzata all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, che è già strumento di autotutela che incide sul patrimonio del debitore. 
La segnalazione alla Centrale Rischi va valutata alla luce del divieto per le banche e gli intermediari finanziari di tenere in conto nella classificazione del credito dell’accesso alla composizione negoziata (art. 16, comma 5, CCII) e dei mancati pagamenti in caso di concessione delle misure protettive. Rimane ferma, anche in caso di concessione delle misure protettive, la sospensione e la revoca delle linee di credito dovuta alla disciplina di vigilanza prudenziale. Ne deriva che la segnalazione al di fuori dei casi ammessi sarebbe illegittima e non può pertanto disporsi una misura interdittiva in tali ipotesi, sulla premessa indimostrata della violazione di legge da parte del creditore. E nei casi ammessi la segnalazione assume carattere fisiologico.
4 . L’escussione delle garanzie. Il garante pubblico
 Altra e diversa questione riguarda la possibilità di adozione di provvedimenti cautelari che inibiscano ad un creditore di escutere il garante. Anche in questo caso si tratta di una forma di autotutela in senso atecnico del creditore che agisce nei confronti del coobbligato. 
Va ricordato che lo scopo della garanzia è di aggiungere una tutela in favore del creditore garantito che lo metta al riparo dall’inadempimento e dall’insolvenza del debitore principale. La garanzia ha ad oggetto un patrimonio diverso da quello del debitore che costituisce la garanzia patrimoniale comune dei creditori ai quali si riferisce il concorso. In linea di principio, pertanto, non dovrebbero esserci interferenze tra l’esercizio della tutela del credito ed il concorso sul patrimonio del debitore principale e le analoghe azioni sul patrimonio del garante. 
Ed infatti nel concordato preventivo, nel concordato semplificato, nel concordato nella liquidazione giudiziale e negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa per quanto concerne i creditori non aderenti, i creditori conservano le azioni nei confronti dei coobbligati (artt. 117, 248, 25 sexies, 59 CCII)[17]. 
Ciò, tuttavia, riguarda gli effetti finali dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Per altri versi il legislatore ha da tempo riconosciuto che interferenze vi sono, tanto che nel concordato preventivo ai fini della formazione delle classi è obbligatoria la formazione di una classe separata per i creditori titolari di garanzie nei confronti di terzi (art. 85, comma 2, CCII). 
Il problema in concreto si pone nel nostro ordinamento soprattutto con riferimento all’impatto del meccanismo crisi–escussione–surroga sul risanamento, con riguardo al privilegio del garante pubblico ex art. 9 D.Lgs. n. 123/1998 ed ex art. 8 bis, comma 3, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3. La prima norma si riferisce al privilegio dei garanti pubblici in generale; la seconda ai crediti di Mediocredito Centrale. In entrambi i casi i crediti nascenti dai finanziamenti erogati sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, a eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’articolo 2751 bis del Codice civile e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi[18]. Anche per effetto dell’orientamento consolidato della Cassazione si è determinata una situazione del tutto anomala perché il credito del garante, derivante dall’avvenuta escussione della garanzia da parte della banca erogatrice del credito, comporta il sorgere nei confronti del beneficiario del finanziamento di un credito privilegiato che ex lege prevale sulla maggior parte degli altri crediti, con l’effetto di alterare in maniera sostanziale i termini del soddisfacimento dei creditori nell’ambito della soluzione della crisi[19]. Il problema è ben noto. Proprio in ragione della necessità di tener conto degli effetti dell’ingresso nella massa creditoria del credito privilegiato del garante pubblico, che sorge privilegiato per effetto dell’escussione da parte della banca beneficiaria con efficacia ex tunc sostituendosi ad un credito in origine chirografario, l’art. 87 CCII è stato modificato dal terzo decreto correttivo 136/2024 con l’introduzione di una lettera p-bis che impone l’indicazione nel piano, dove necessario, di fondi rischi con specifico riferimento a finanziamenti garantiti da misure di sostegno pubblico, per tener conto di quanto necessario al pagamento dei relativi crediti nell’ipotesi di escussione della garanzia. La norma si riferisce al concordato preventivo e al P.R.O. e può forse essere estesa, in via di interpretazione analogica, al piano negli accordi di ristrutturazione. 
Nella composizione negoziata non vi sono norme analoghe. Di regola il garante pubblico non è stato ancora escusso dalla banca finanziatrice, anzi la misura cautelare richiesta ha proprio ad oggetto l’interdizione della banca dalla possibilità di procedere in tal senso allo scopo di non alterare la massa creditoria e non pregiudicare il buon fine delle trattative. 
Va osservato in via generale che la disciplina delle misure cautelari nella composizione negoziata ed anche gli artt. 54-55 CCII e la definizione di misure cautelari contenuta nell’art. 2 CCII non fanno parola della possibilità di impedire ad un creditore di agire nei confronti del garante. 
Una previsione in tal senso è contenuta nell’art. 2 della Direttiva Insolvency, che al par. 2, n. 4, nella definizione di “sospensione delle procedure esecutive individuali” considera “la sospensione temporanea, concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa o applicata per previsione per legge, del diritto di un creditore di far valere un credito nei confronti del debitore, e, se previsto dal diritto nazionale, nei confronti di un terzo garante (enfasi nostra), nel contesto di una procedura giudiziaria, amministrativa o di altro tipo, o del diritto di confisca o di realizzazione stragiudiziale dell'attivo o dell'impresa del debitore”. 
È il diritto nazionale che deve prevedere l’estensione al terzo garante della sospensione delle azioni esecutive. Va tuttavia detto che il legislatore unionale aveva in mente situazioni completamente diverse, e cioè gli amministratori e i soci nelle piccole imprese, che hanno garantito con il loro patrimonio le obbligazioni della società e le società che hanno prestato garanzia nell’ambito del gruppo cui appartiene l’obbligata principale. L’estensione dello stay a questi co-obbligati, si osserva, è strettamente legata al tema se il quadro di ristrutturazione preventiva possa riferirsi anche alla composizione delle obbligazioni dei coobbligati, soluzione che il nostro ordinamento, generalmente esclude[20]. 
Nella disciplina della fideiussione gli artt. 1955 e 1957 c.c. stabiliscono gli obblighi del creditore di agire con diligenza nei confronti del debitore per tutelare i diritti del fideiussore. Ai sensi dell’art. 1957 se il creditore non agisce entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale, il fideiussore è liberato dalla sua obbligazione. L'iniziativa deve essere giudiziale, non basta un semplice atto stragiudiziale. Le istanze devono essere "diligentemente continuate". La mancata osservanza del termine e delle modalità di azione comporta la liberazione del fideiussore[21]. 
In caso di sospensione delle azioni esecutive lo stay non pregiudica la posizione del creditore garantito perché sussiste un divieto per legge di proseguire le azioni esecutive e il fideiussore escusso a sua volta non è pregiudicato perché la prescrizione è sospesa e le decadenze non si verificano. Se le trattative vanno a buon fine e si giunge ad un accordo ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. a) e c) CCII troverà applicazione l’art. 1239 c.c. con conseguente liberazione del fideiussore, mentre il creditore garantito non potrà far valere la garanzia per la parte insoddisfatta del credito. Nel concordato preventivo e nel P.R.O. ai sensi dell’art. 117, richiamato dall’art. 64 quater, comma 9, CCII, il creditore garantito conserva la sua azione nei confronti dei coobbligati[22], ma non potrà farla valere ove ne abbia pregiudicato l’azione. Invece negli accordi di ristrutturazione si applica l’art. 1239 in forza dell’art. 59 CCII e quindi il fideiussore si giova della remissione nei confronti del creditore garantito. 
In conclusione, non vi sono ragioni per estendere lo stay al garante, ma certamente egli potrebbe partecipare alle trattative quale parte interessata, perché da una parte non può agire nei confronti del debitore in caso di surroga nei diritti del creditore garantito o regresso perché divenendo creditore rimane vincolato dalla sospensione delle azioni esecutive e deve partecipare alle trattative. D’altra parte, il creditore garantito non può pregiudicare il suo credito verso il fideiussore ex artt. 1955 e 1239 c.c., e pertanto la sua partecipazione alle trattative non può concludersi con un accordo, salvo vi sia il consenso anche del fideiussore. 
La situazione è molto diversa nel caso del garante pubblico. Un’attenta dottrina[23] ha esaminato la posizione di quest’ultimo soggetto tenendo conto delle disposizioni operative contenute nelle norme regolamentari. La garanzia è di natura legale, come risulta dalle norme che la prevedono, già richiamate, e costituisce un rapporto diretto tra garante e garantito, mentre lo esclude tra garante e debitore finanziato[24]. L’intervento del garante nella trattativa non è dunque possibile né può ipotizzarsi che egli rinunci al privilegio previsto dalla legge perché tale privilegio è accordato in ragione della funzione pubblicistica della garanzia. Ma anche il creditore garantito non può addivenire ad un accordo con il debitore senza l’assenso del garante, in ogni caso a condizione che il ricavato sia almeno del 15% del credito. Egli inoltre ha l’onere di escutere il debitore principale[25]. 
In giurisprudenza diversi tribunali hanno ritenuto che nell’ambito della composizione negoziata possa esser concessa la misura cautelare dell’interdizione del creditore garantito dall’escussione del garante pubblico al fine di assicurare il buon esito delle trattative[26]. La situazione, occorre dirlo, è diversa da quella che si configura in caso di concordato preventivo o di P.R.O. perché in queste due procedure il debitore ha l’obbligo in forza dell’art. 87, lett. p-bis, come si è già detto, di effettuare idonei accantonamenti per assicurare il soddisfacimento del garante pubblico ove questi, in caso di escussione da parte del creditore garantito, faccia valere il suo credito privilegiato. In questi casi talune pronunce hanno ritenuto che tale obbligo sia incompatibile con la concessione della misura cautelare nei confronti del creditore garantito, perché il piano deve comunque tener conto dell’eventuale necessità di soddisfare il creditore privilegiato. 
Ciò non toglie, tuttavia, che anche nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi, in modo particolare nel caso di domanda prenotativa, il buon fine delle trattative possa essere agevolato da una soluzione negoziale che escluda l’escussione del garante pubblico, soluzione che ha anche il pregio di evitare di incidere sulla finanza pubblica. L’accordo evita infatti che il garante debba intervenire. 
Ma è legittimo un provvedimento che impone al creditore garantito di non far valere, sia pure in via temporanea, la garanzia? Le perplessità sorgono dal fatto che l’azione nei confronti dei coobbligati rappresenta un diritto del creditore garantito nei confronti di un soggetto terzo. 
La risposta positiva deriva da una serie di considerazioni. La trattativa con il beneficiario del finanziamento, cioè con il debitore che ha fatto accesso alla composizione negoziata, è prevista dalle stesse disposizioni operative che stabiliscono che: a) la proposta deve pervenire al garante per il tramite del creditore garantito; b) che tale proposta è irricevibile se non soddisfa il garante almeno nella misura del 15% e che è in ogni caso soggetta ad un controllo di convenienza; c) che l’assenso del creditore garantito è condizione perché la transazione possa aver luogo. In difetto il creditore garantito non può aderirvi[27]. 
Da quanto ora si è detto si ricava che l’accordo tra debitore e creditore garantito è inscindibilmente interconnesso con l’assenso prestato dal garante pubblico. Il divieto per il garantito di escutere il garante rappresenta lo strumento per consentire che non soltanto che le trattative possano andare a buon fine, ma che tali trattative si integrino con il ruolo del garante ed i vincoli che la natura pubblica della garanzia pone per il raggiungimento dell’accordo. 
Non vi è quindi un’autonomia completa del rapporto di garanzia rispetto al rapporto relativo al credito garantito. Se gli interpreti con riferimento alla possibilità prevista dalla Direttiva Insolvency di sospendere le azioni esecutive nei confronti dei garanti, hanno fatto riferimento al caso che si tratti di soggetti terzi la cui situazione di insolvenza può essere oggetto della medesima procedura o di procedure connesse, come nel caso del gruppo di imprese, e quindi all’ipotesi di un’estensione soggettiva del perimetro della crisi o insolvenza, in questo caso invece la connessione nasce dall’interdipendenza dei rapporti sul piano oggettivo. 
Nella sostanza le misure cautelari interdittive, nelle ipotesi che abbiamo considerato nelle pagine precedenti, riguardano il divieto nei confronti dei creditori di avvalersi di strumenti di autotutela contrattuale nei confronti del debitore che possano compromettere il buon esito delle trattative. Nel caso del garante pubblico il vincolo viene posto di nuovo nei confronti del creditore per impedire che questi si avvalga di uno strumento, l’azione nei confronti del terzo garante, che interagisce con le modalità con cui si svolge il concorso dei creditori sia perché il privilegio del credito del garante lo altera profondamente sia perché il raggiungimento di un accordo tra debitore e creditore garantito non può prescindere dal consenso del garante stesso.
5 . Il termine di durata delle misure protettive e cautelari
Il secondo tema di cui vogliamo occuparci riguarda la durata della sospensione delle azioni esecutive e cautelari nell’ambito della composizione negoziata e negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza in rapporto al disposto dell’art. 8 CCII che stabilisce che la durata complessiva delle misure protettive, fino all’omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o all’apertura della procedura di insolvenza, non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi e proroghe, tenuto conto delle misure protettive di cui all’art. 18, vale a dire delle misure disposte nell’ambito della composizione negoziata. 
Tale termine massimo di durata è conseguenza del disposto dell’art. 6, par. 8, della Direttiva Insolvency che afferma che la sospensione della durata delle azioni esecutive individuali, incluse proroghe e rinnovi, non supera i dodici mesi. 
Ne deriva che occorre distinguere la disciplina dettata dall’art. 8 CCII che si riferisce alle misure protettive in generale, e quindi alle misure protettive tipiche e atipiche, e non riguarda le misure cautelari, dal disposto dell’art. 6 della Direttiva che si riferisce alla sospensione delle sole azioni esecutive individuali. 
Va sottolineato che la sospensione delle azioni esecutive individuali cui fa riferimento la Direttiva è definita dall’art. 6, par. 1, che stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché il debitore possa beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva. L’art. 2, n. 4, della Direttiva definisce la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali come “la sospensione temporanea, concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa o applicata per previsione per legge, del diritto di un creditore di far valere un credito nei confronti del debitore, e, se previsto dal diritto nazionale, nei confronti di un terzo garante, nel contesto di una procedura giudiziaria, amministrativa o di altro tipo, o del diritto di confisca o di realizzazione stragiudiziale dell'attivo o dell'impresa del debitore”. Si tratta quindi di una definizione amplissima sul cui contenuto si dovrà tornare più avanti, prendendo in considerazione i limiti di durata della sospensione per diritto interno. 
Il Considerando 32 chiarisce che questa disciplina è dettata nell’ipotesi che il debitore chieda di beneficiare della sospensione delle azioni esecutive. 
Recita infatti: “Un debitore dovrebbe poter beneficiare di una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali, sia essa concessa da un'autorità giudiziaria o amministrativa oppure per legge allo scopo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione, così da poter continuare a operare o almeno mantenere il valore della sua massa fallimentare durante le trattative…” (corsivo nostro). 
Se ne ricava che il vincolo unionale alla durata della sospensione delle azioni esecutive individuali, che comprende anche l’apertura di una procedura di insolvenza liquidatoria, e quindi la liquidazione giudiziale e la liquidazione controllata, come prevede l’art. 7 della Direttiva, riguarda i soli casi in cui la sospensione è prevista a beneficio del debitore. Tale disciplina è coerente con la natura dei quadri di ristrutturazione preventiva che sono diretti alla ristrutturazione dell’impresa 
Il vincolo pertanto non riguarda i casi in cui la sospensione è conseguenza dell’iniziativa del creditore, come quando la misura cautelare è chiesta da quest’ultimo. 
A sua volta l’art. 8 CCII si riferisce alle sole misure protettive, con l’ulteriore conseguenza che non vi sono vincoli derivanti dal diritto interno nei casi in cui sia questione di una misura cautelare. 
Dottrina e giurisprudenza italiane hanno sostenuto la possibilità del debitore di avvalersi della misura cautelare che abbia ad oggetto la sospensione delle azioni esecutive quando sia maturato il termine finale di dodici mesi sommando i periodi maturati in pendenza delle misure protettive nell’ambito della composizione negoziata e nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza[28]. 
Si è affermato che l’obiezione dell’elusione normativa del termine di 240 giorni, stabilito per le misure protettive per la composizione negoziata, o del termine annuale di cui all’art. 8 CCII, appare superabile “rimettendo al giudice il vaglio concreto della proporzionalità del sacrificio imposto ai singoli creditori oggetto di inibitoria cautelare e la risoluzione negoziata della crisi d’impresa”. A questo argomento si è aggiunto che la prescrizione della Direttiva Insolvency che ha determinato l’art. 8 CCII (art. 6, paragrafo 8) si riferisce al generale divieto di azioni esecutive, e non a misure selettive, rivolte a destinatari determinati, quali sono le misure protettive atipiche e le misure cautelari: dunque, soprattutto se non si chiede che il giudice estenda l’intero ombrello protettivo ma inibisca singole iniziative dei creditori, non sarebbe corretto parlare neppure di superamento del termine previsto dal codice della crisi, ma di una iniziativa mirata, volta a ottenere che sia il giudice, nel contraddittorio con gli interessati, a bilanciare gli opposti interessi. 
Esamineremo in seguito questi argomenti, che a nostro avviso non sono condivisibili, anche se la torsione interpretativa della disciplina di legge trae origine da un problema reale. Si ritiene infatti che il termine di dodici mesi, ma anche i 240 giorni della composizione negoziata, siano troppo brevi per consentire la definizione della situazione di crisi e di insolvenza, in modo particolare quando alla composizione negoziata segua uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Il termine è considerato insufficiente anche quando sia questione dei soli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, soprattutto quando la domanda sia presentata con riserva, ai sensi dell’art. 44 CCII. 
In realtà diversi ordinamenti di Stati membri della UE prevedono termini assai più ridotti. Si veda ad esempio la Germania[29]. Le difficoltà delle imprese italiane si spiegano soltanto considerando i tempi che il nostro sistema bancario impiega per la definizione di una crisi, tempi che non hanno corrispondenza in altri ordinamenti europei. 
La strada maestra, dunque, almeno su un piano di politica legislativa, dovrebbe passare attraverso interventi normativi e azioni di moral suasion nei confronti del sistema bancario che porti a soluzioni più veloci, anche in linea con i doveri che l’art. 16, comma 1, CCII pone alle banche, agli intermediari finanziari, ai mandatari e cessionari dei loro crediti di partecipare alle trattative in modo attivo e informato. Tanto più che la sospensione e il recesso dai rapporti in corso, in caso di mancato pagamento dei crediti anteriori, ove siano richieste le misure protettive, sono ammessi soltanto per ragioni legate all’applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale (art. 19, comma 5, CCII). 
Per completare il quadro normativo va osservato che l’art. 55, comma 2, penultimo periodo, e comma 3, dispongono che le misure protettive perdono efficacia al momento della pubblicazione delle sentenze di omologazione degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza. Com’è stato ben chiarito in dottrina, l’omologazione del concordato preventivo comporta che i creditori siano soggetti alla legge del concordato, obbligatorio per tutti i creditori anteriori (art. 117 CCII, richiamato anche per il PRO), con la conseguenza che essi non possono agire esecutivamente e rimangono soggetti ai tempi e modi di adempimento previsti dalla proposta e dal piano. Analogo effetto si determina nel caso degli accordi di ristrutturazione o per espressa adesione dei creditori aderenti o per l’effetto estensivo previsto nel caso dell’accordo ad efficacia estesa. 
Per converso in caso di apertura della liquidazione giudiziale il divieto di azioni esecutive nella pendenza della procedura discende direttamente dagli effetti propri della procedura concorsuale liquidatoria secondo quanto dispone l’art. 150 CCII, richiamato per la liquidazione controllata dall’art. 270, comma 5, CCII. 
Ai sensi dell’art. 55, comma 3, la durata delle misure protettive confermate dal giudice è al massimo di quattro mesi. Esse possono essere prorogate se sono stati compiuti significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione, nei limiti previsti dall’art. 8 CCII e quindi del termine massimo di dodici mesi (art. 55, comma 4, CCII).
6 . La durata delle misure nella composizione negoziata
Come si è anticipato, nell’ambito della composizione negoziata la durata delle misure protettive è soggetta a termini interni al procedimento più rigorosi. 
Ai sensi dell’art. 19, comma 4, CCII il tribunale, nel confermare le misure protettive, che sono soltanto quelle tipiche che hanno ad oggetto la sospensione delle azioni esecutive, ne determina la durata in un termine che va dai 30 ai 120 giorni. La norma prosegue indicando che il giudice, se occorre, fissa anche la durata dei provvedimenti cautelari disposti. 
L’art. 19, comma 5, stabilisce che il giudice può prorogare la durata delle misure per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative. La norma aggiunge che la durata complessiva non può eccedere il termine di 240 giorni. 
Questa previsione va coordinata con il disposto dell’art. 17, commi 7 e 8. Il comma 8 prevede che al termine dell’incarico l’esperto redige la relazione finale che inserisce nella piattaforma informatica e ne dà comunicazione al debitore e a coloro che hanno partecipato alle trattative ed ancora al giudice, in caso di concessione delle misure protettive e cautelari. Questi ne dichiara cessati gli effetti. Se ne ricava che non vi è possibilità che le misure possano proseguire dopo la redazione della relazione finale da parte dell’esperto e la sua comunicazione ed iscrizione nella piattaforma informatica. Va sottolineato che, sempre in base all’art. 17, comma 8, alla redazione della relazione finale dell’esperto segue l’archiviazione del procedimento da parte del segretario generale della Camera di commercio. Ai fini della dichiarazione di cessazione degli effetti delle misure da parte del giudice sembra non rilevare l’archiviazione da parte del segretario generale della Camera di commercio, ma la comunicazione al giudice della relazione finale. Tuttavia, l’art. 19, comma 6, CCII, prevede che il giudice che ha emesso i provvedimenti cautelari o le misure protettive o ne ha disposto la proroga, li revoca “in ogni caso a seguito dell’archiviazione dell’istanza ai sensi dell’art. 17, commi 5 e 8”. Le due norme sono il frutto di un mancato coordinamento, ma vanno lette congiuntamente. La comunicazione della relazione finale determina il provvedimento di cessazione degli effetti delle misure che, in ogni caso, per effetto dell’archiviazione che segue alla relazione finale dovrebbero essere revocate. 
Non vi è dunque possibilità di un ponte tra le misure protettive e cautelari intervenute nell’ambito della composizione negoziata e le omologhe misure disposte dopo la domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, nonostante l’art. 23, comma 2, CCII consideri l’accesso a tali strumenti uno dei possibili esiti della composizione negoziata[30]. 
La conclusione della composizione negoziata, anche quando essa si chiuda con il passaggio concordato con i creditori ad uno strumento di regolazione della crisi (si pensi al caso in cui l’accordo per l’accesso agli accordi di ristrutturazione sia raggiunto durante le trattative), non consente l’ultrattività delle misure, siano esse protettive o cautelari. 
Va poi ancora osservato che l’art. 17, comma 7, prevede che la durata di 180 giorni della composizione negoziata possa essere prorogata sino ad ulteriori 180 giorni su richiesta di una delle parti con il consenso dell’esperto e in altri casi. Tra questi è rilevante ai fini della nostra indagine l’ipotesi che pendano misure protettive e cautelari. In questo caso la procedura prosegue sino al termine di durata di tali misure, ma comunque non oltre i 180 giorni. Per questa ragione il legislatore ha previsto che l’esperto dia comunicazione della prosecuzione al giudice. 
Si noti che la durata delle misure non può comunque eccedere i 240 giorni. La pendenza delle misure può consentire la prosecuzione della composizione negoziata, ma il legislatore non prevede che le misure possano superare i termini previsti per la loro durata, anche tenendo conto delle proroghe ammesse. Tale termine non potrà eccedere i 240 giorni. 
Anche in questo caso dottrina e giurisprudenza hanno sostenuto, con i medesimi argomenti già visti nel caso del termine di dodici mesi stabilito dall’art. 8 CCII, che anche il limite dei 240 giorni sia superabile[31]. 
Si è sostenuto che le misure cautelari nella composizione negoziata non avrebbero un termine massimo di durata, che coinciderebbe con la durata della composizione stessa. 
L’art. 19, comma 4, CCII dice che “il giudice provvede con ordinanza con la quale stabilisce la durata, non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni, delle misure protettive e, se occorre, dei provvedimenti cautelari disposti…”. 
A nostro avviso, non si può concordare con chi sostiene che l’inciso se occorre possa significare che le misure cautelari potrebbero non avere una durata iniziale stabilita dal giudice e quindi neanche un termine finale. Da tale premessa si ricava che il termine finale sarebbe dato dalla durata massima della procedura[32]. 
È più convincente la spiegazione che l’inciso vada riferito alla natura della misura cautelare, che potrebbe essere ad efficacia immediata e non perdurare nel tempo, non richiedendo in questo caso la fissazione di un termine finale[33]. Ove invece tale termine debba essere stabilito, si applicherà la previsione che esso non sia superiore a 120 giorni, perché il tenore letterale dell’art. 19, comma 4, si riferisce tanto alle misure protettive che alle misure cautelari. Nel caso di queste ultime nella sola ipotesi in cui un termine debba essere stabilito, in relazione alla loro natura. Non vi è ragione per ritenere che per queste ultime misure valga un diverso termine di durata.
7 . La durata delle misure cautelari
Tornando al tema della possibilità, in via interpretativa della disciplina di legge, di ritenere che le misure cautelari chieste dal debitore, che abbiano per contenuto la sospensione delle azioni esecutive individuali dei creditori, possano superare il termine dei dodici mesi, prima di esaminare gli argomenti portati a sostegno di tale tesi, occorre stabilire quale sia il contenuto della disciplina unionale. 
Si è detto che i limiti stabiliti dalla Direttiva Insolvency derivano dall’art. 6 della Direttiva che prevede un termine massimo di dodici mesi. L’art. 6 è inserito nel titolo II che riguarda i quadri di ristrutturazione preventiva. Se la definizione di quadro di ristrutturazione preventiva offerta dall’art. 4, par. 5, è ampia perché comprende “una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi in sede extragiudiziale, fatti salvi altri eventuali quadri di ristrutturazione previsti dal diritto nazionale”, sì che non si identifica in una procedura soltanto e può includere anche semplici misure che si possono realizzare in sede extragiudiziale, va detto che l’art. 8 determina il contenuto del piano di ristrutturazione e gli artt. 9-11 prevedono che il piano debba essere adottato da tutte le classi interessate e debba essere, nella maggior parte dei casi e comunque quando non vi sia l’approvazione di tutte le classi, approvato dall’autorità giudiziaria o amministrativa ad esso preposta. 
Ne deriva che può dubitarsi che la composizione negoziata che non è una procedura in quanto tale, ma soltanto un percorso negoziale extragiudiziale, rientri ex se nell’ambito dei quadri di ristrutturazione preventiva e quindi nell’ambito della disciplina degli artt. 6 e 7 della Direttiva, che regolano la sospensione delle azioni esecutive individuali dei creditori e, in tale ambito, stabiliscono il termine massimo di durata di dodici mesi. 
Tuttavia a nostro avviso la misura protettiva o cautelare prevista dalla legge o concessa dal giudice nell’ambito della composizione negoziata rappresenta a buon diritto una delle misure considerate nella definizione dei quadri di ristrutturazione preventiva, quando alla composizione negoziata possa far seguito uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che sono certamente quadri di ristrutturazione preventiva, cui fa riferimento l’art. 23, comma 2, CCII come esito del procedimento negoziale[34]. 
Si può dunque ritenere che il termine unionale di dodici mesi riguardi non soltanto i casi di sospensione delle azioni esecutive disposte nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza (purché richiesti dal debitore), ma anche le corrispondenti ipotesi relative alla composizione negoziata. Senza che si possa distinguere, a questo proposito, come si è già osservato, tra misure protettive e misure cautelari, fermo restando che deve trattarsi di un provvedimento che comporta la sospensione delle azioni esecutive individuali. 
Per ritenere superabile il termine di dodici mesi, dottrina[35] e giurisprudenza hanno sviluppato argomenti diversi, nessuno dei quali si fonda sulla disciplina unionale. 
Come si è già ricordato, l’orientamento giurisprudenziale prevalente ritiene che l’obiezione che in questo modo si eluderebbe il termine di 240 giorni, stabilito per le misure protettive per la composizione negoziata, o il termine annuale di cui all’art. 8 CCII, sia superabile quando il giudice possa ritenere che il sacrificio imposto ai creditori destinatari dell’inibitoria sia giustificato in termini di proporzionalità rispetto al vantaggio derivante dal prospettato buon fine delle trattative. Si è poi aggiunto che il divieto stabilito nella Direttiva Insolvency si riferirebbe ad uno stay riferito alla generalità dei creditori e non varrebbe quindi nel caso in cui si tratti di misure selettive, indirizzate verso destinatari determinati, come avverrebbe nel caso delle misure protettive atipiche e delle misure cautelari. Se non si chiede che il giudice estenda l’intero ombrello protettivo ma inibisca singole iniziative dei creditori, non sarebbe corretto parlare di superamento del termine, perché saremmo di fronte ad una iniziativa mirata, volta a ottenere che sia il giudice, nel contraddittorio con gli interessati, a bilanciare gli opposti interessi[36]. 
L’argomento è fragile, se riferito alle misure protettive ed al termine stabilito in sede europea, perché il termine massimo di durata della sospensione delle azioni esecutive individuali stabilito dalla Direttiva Insolvency è in funzione della disciplina omogenea di tale termine in ambito unionale per evitare la concorrenza tra ordinamenti e favorire il mercato unico. Non mette in conto pertanto valutare la proporzionalità del termine all’entità del sacrificio dei creditori. E d’altra parte è proprio la normativa unionale con l’art. 6, par. 3, della Direttiva che prevede che la sospensione possa essere limitata ad alcuni creditori, sì che il legislatore europeo ha tenuto conto di tale vincolo. 
Va poi ricordato che se è vero che da un punto di vista letterale l’art. 8 CCII si riferisce alle sole misure protettive, ciò non significa che sia aperta la strada al ricorso da parte del debitore a misure cautelari che inibiscano le azioni esecutive oltre il termine di dodici mesi, perché il superamento di tale termine rimane in contrasto con il divieto unionale, che guarda al contenuto della misura e non alla sua qualificazione.

Note:

[1] 
In questo senso, espressamente, Trib. Modena, 8 marzo 2025, in IlCaso.it, 2025, che ha ritenuto cautelare e non protettiva atipica la misura avente ad oggetto lo stay of executions nei confronti del garante, figura quest’ultima che non rientrerebbe nella nozione di creditore considerata dall’art. 2, lett. p), CCII nella definizione della misura protettiva, qualificazione questa quantomeno opinabile, posto che il garante è pur sempre il titolare di un credito condizionato alla sua preventiva escussione da parte del creditore garantito. 
[2] 
In tal senso, con ampia e convincente motivazione, G. Bozza, Le misure protettive e cautelari, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali a cura di O. Cagnasso e L. Panzani, Milano, 2025, I, 810 e ss. 
[3] 
G. Bozza, Le misure protettive e cautelari, cit., 820. Contra I. Pagni, op.cit., ibidem. 
[4] 
Altra e diversa questione è se il solo debitore nella composizione negoziata possa chiedere i provvedimenti cautelari o se tale facoltà spetti anche ai creditori. In una prima lettura della nuova disciplina ho ritenuto (L. Panzani, Lo schema di decreto correttivo del codice della crisi. Prime considerazioni, in Diritto della crisi), che le misure cautelari potessero essere chieste anche dai creditori in forza dell’ultima parte dell’art. 54, comma 1, che precisa che le misure cautelari possono essere richieste anche dopo la pubblicazione dell’istanza di composizione negoziata ai sensi dell’art. 18, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure già concesse o confermate ai sensi dell’art. 19. In senso contrario, argomentando dal tenore dell’art. 19, comma 1, cfr. ancora G. Bozza, Le misure protettive e cautelari, cit. 883, nota 138. L’A. assume che il precetto contenuto nell’art. 54, comma 1, sia stato mal collocato, ma in verità non pare irragionevole che dopo l’accesso del debitore alle misure protettive, ai creditori sia reso possibile chiedere provvedimenti cautelari a tutela del loro credito sul patrimonio del debitore e dell’impresa. È peraltro indubbio che il tenore dell’art. 19, primo comma, va in senso contrario, sì che il creditore per far valere le esigenze cautelari dovrebbe radicare una domanda di liquidazione giudiziale, vietando l’art. 18, comma 4, CCII la pronuncia della sentenza, ma non l’avvio del procedimento. 
[5] 
I. Pagni, Impresa, società e processo, Pisa, 2025, 270 e ss. 
[6] 
Riprendo qui, per comodità di ragionamento, le considerazioni espresse da Trib. Roma, 23 settembre 2025, in Dirittodellacrisi.it
[7] 
Si veda con riferimento alla disciplina cautelare ordinaria Cass. 7 ottobre 2019, n. 24939; Cass. 2 febbraio 2025, n. 2480. 
[8] 
Si veda con riferimento all’istanza di inibire al socio di minoranza di una società astrattamente suscettibile di essere sottoposta ad amministrazione straordinaria la possibilità di richiedere l’apertura di tale procedura ai sensi dell’art. 2, comma 2, D.L. 23 dicembre 2003 n. 347 introdotto con il D.L. 18 gennaio 2024, n. 4, Trib. Milano, 2 febbraio 2024, in Dirittodellacrisi.it
[9] 
S. Leuzzi, I creditori e la buona fede in concreto nelle crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 3 ottobre 2025. 
[10] 
In giurisprudenza si veda Trib. Salerno, 22 febbraio 2024, in IlCaso, che ha respinto la richiesta di sospensione di un lodo arbitrale con conseguente reviviscenza di un contratto ormai risolto. 
[11] 
Prima della disciplina emergenziale legata alla pandemia dettata dal D.L. 118/21, si erano già registrati forti contrasti in dottrina sulla configurabilità, anche al di fuori del contesto della crisi, di un obbligo legale di rinegoziare il contratto di durata in presenza del mutamento di circostanze esterne che avessero alterato l’equilibrio tra le prestazioni, indicando la buona fede come parametro in base al quale verificare l’esigenza dell’adeguamento, giungendo ad un’interpretazione evolutiva della regola contenuta nell’art. 1467 c.c., anche in nome di un principio di efficienza economica (F. Macario, Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi, in Giust.civile, 2014, 825; Roppo, Il contratto, Milano, 2011, 1046; V.M. Cesaro, Clausole di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000, 165 e ss.). Ai fautori della tesi affermativa si era replicato che il fatto che il contratto fosse o potesse essere divenuto incompleto perché privo di una previsione delle sopravvenienze, significava semplicemente che il rischio gravava sul soggetto così individuato per la ragione che questi aveva stipulato quel contratto e che il rischio non era stato traslato sulla controparte: F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, 689. Si era affermata l’estraneità al nostro ordinamento di poteri di intervento del giudice nel caso del mutamento delle circostanze nella fase esecutiva del contratto: P. Rescigno, L’adeguamento del contratto nel diritto italiano, in AA.VV, Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, 304. Si era negata la ragionevolezza del richiamo alle esigenze di efficienza economica perché sarebbe stata proprio l’economia a chiedere al diritto quale dovesse essere la regola da applicare al conflitto tra soggetti: N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 2004, 11 e ss. (e Id., Diritto e mercato, in AA.VV., Confini attuali dell'autonomia privata, a cura di Belvedere-Granelli, Padova, 2001, 161 e ss.). Si veda anche L. Panzani, Contratti di durata ed emergenza epidemica, in Rinegoziazione: una necessità ed una sfida per il futuro a cura di A. Caiafa, Roma, 2021. 
[12] 
Diversa invece è, com’è noto, la scelta che il legislatore ha fatto negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e nella convenzione di moratoria, dove gli artt. 61, comma 4, e 62, comma 3, escludono che l’effetto estensivo possa comportare il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti oltre che imporre nuovi finanziamenti. 
[13] 
Sulla diversa funzione dei rimedi di cui agli artt. 1186 e 1461 c.c. cfr. A. Scotti, Considerazioni sul rischio di inadempimento del debitore e la qualificazione di “deterioramento” del credito, in Riv.dir.bancario, 2024, 791. Si tratta in entrambi i casi di forme di tutela anticipata che mirano ad evitare l’inadempimento e che, nel primo caso, preludono all’esercizio dell’azione di riscossione coattiva, previa formazione del titolo. Sul tema più in generale E. Gabrielli, Appunti sulle autotutele contrattuali, in Riv. dir. priv., 2016, 493. 
[14] 
Cfr. Cass. 23 maggio 2023, n. 14209; Cass. 23 settembre 2021, n. 25843; Cass. S.U. 3 febbraio 2016 n. 2052; Cass. S.U. 4 ottobre 2012 n. 16848; Cass. S.U. 21 giugno 2012 n. 10285; Cass. S.U. 14 marzo 2011 n. 5926; Cass. S.U. 21 novembre 2011 n. 24410; Cass. S.U. 22 dicembre 2010 n. 25982; Cass. S.U. 13 dicembre 2007 n. 26108; Cass. S.U. 21 aprile 2006 n. 9342; Cass. S.U. 14 gennaio 2005 n. 599; Cass. S.U. 28 novembre 2005 n. 250361; Cass., 4 aprile 2019 n. 9318. 
[15] 
Cfr. Trib. Taranto, 7 febbraio 2025, in Dirittodellacrisi.it https://dirittodellacrisi.it/articolo/trib-taranto-7-febbraio-2025-est-de-francesca, con riferimento ad un concordato preventivo; Trib. La Spezia, 18 luglio 2022, ivi; Trib. Bergamo, 8 settembre 2021, ivi. Nella composizione negoziata Trib. Roma, 27 maggio 2025, ivi; Trib. Milano, 24 gennaio 2025, ivi. In senso contrario nella composizione negoziata Trib. Napoli, 19 giugno 2024, ivi; Trib. Roma, 23 settembre 2025, ivi
[16] 
Per la segnalazione alla centrale rischi in senso affermativo Trib. Trapani, 11 marzo 2025, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Padova, 13 gennaio 2025, ivi, senza altra motivazione che l’utilità del provvedimento al buon fine delle trattative. Trib. Firenze, 9 novembre 2024, ivi, argomenta dal fatto che nella specie il mancato pagamento del credito nei confronti delle banche sarebbe la conseguenza dell’accordo di moratoria in corso di perfezionamento, sì che la segnalazione frustrerebbe il fine della composizione della crisi; Trib. Crotone, 4 gennaio 2025, ivi, argomenta dal rischio che l’imprenditore in composizione negoziata perda l’accesso al credito. In senso negativo Trib. Nola, 15 maggio 2025, ivi, osservando che la conoscibilità dell’inadempimento nella specie già era in atto per effetto della richiesta di misura protettiva pubblicata sul Registro delle Imprese e che le banche già dovevano non prendere in considerazione l’accesso alla C.N. per la classificazione del credito. In termini diversi, sempre in negativo, nel caso di domanda ex art. 44 CCII Trib. Verona, 26 febbraio 2025, ivi, che argomenta dalla disciplina di vigilanza di Banca d’Italia che esclude la segnalazione quando la domanda di concordato non comporti un peggioramento della situazione pregressa già oggetto di segnalazione, sì che l’ipotesi di una segnalazione da parte della banca in violazione della disciplina di vigilanza appare improbabile. 
[17] 
Cfr. tuttavia Trib. Verona, 7 luglio 2025, in Ilcaso.it, nel senso che nel concordato con assuntore, qualificato come concordato liquidatorio, il Fondo di Garanzia è un creditore potenziale, non ammesso al voto, ma è comunque opportuno prevedere classi “virtuali” destinate ad accogliere i crediti del gestore del Fondo pubblico per l’eventualità in cui l’escussione della garanzia intervenga prima dell’inizio o nel corso delle operazioni di voto, con contestuale esclusione della parte del credito della banca garantita soddisfatta. 
[18] 
Su tale disciplina si veda da ultimo, S. Bonfatti, Finanziamenti con garanzie pubbliche: dalla concessione abusiva al danno erariale, in Dirittobancario, 5 settembre 2025. 
[19] 
Va ricordato che la Cassazione ha affermato che “In tema di finanziamenti pubblici alle imprese, la revoca del beneficio…, non ha.. valenza costitutiva del credito recuperatorio della somma finanziata, che nasce privilegiato, in capo all’Amministrazione, ex lege e fin dal momento dell’erogazione. È conseguentemente irrilevante che l’insorgenza dei presupposti per la revoca del finanziamento sia accertata anteriormente o posteriormente rispetto al fallimento che la determina” (Cass. 15 maggio 2023, n. 13152). Lo stesso principio era stato affermato per i crediti SACE da Cass. 18 gennaio 2022, n. 1453. Infine si è ritenuto di ribadire la stessa regola nel caso di crediti di firma (fideiussioni) a garanzia del rimborso di finanziamenti erogati in via diretta da banche ordinarie in favore di imprenditori poi rivelatisi inadempienti (Cass. 15 maggio 2023 n. 13180). Sul tema cfr. P. Manganelli, Il trattamento concorsuale dei crediti garantiti da SACE e MCC, in Dirittodellacrisi.it, 19 febbraio 2024; S. Leuzzi e P. Rinaldi, La ristrutturazione del debito da finanziamento “emergenziale” garantito: una criticità e una proposta, in Dirittodellacrisi.it, 2021. 
[20] 
Cfr. T. Richter, General Provisions, in European Preventive Restructuring, cit., 65. Il caso affrontato da Trib. Firenze, 9 novembre 2024, in Dirittodellacrisi.it, è molto diverso perché la misura cautelare viene concessa vietando l’azione nei confronti dei garanti che hanno messo a disposizione del risanamento le quote del patrimonio immobiliare di propria pertinenza, e l’eventuale escussione della garanzia è quindi suscettibile di condurre all’aggressione del bene con pregiudizio per la prosecuzione delle trattative. Si trascura che la sospensione delle azioni esecutive nei confronti dei garanti permette la definizione della crisi del debitore garantito, ma non incide sulla situazione debitoria dei garanti, per quel che riguarda gli ulteriori debiti che possono gravare sui medesimi. Gli atti di disposizione degli immobili che i garanti sono disponibili a compiere per consentire la sistemazione del debito del debitore garantito potrebbero essere aggrediti in un momento successivo dai creditori dei garanti con l’azione revocatoria ordinaria. 
[21] 
Cass. 17 luglio 2009, n. 16807 che afferma che il fallimento del debitore principale non libera il creditore garantito dall’obbligo di agire giudizialmente perché egli può proporre domanda di insinuazione al passivo. In difetto si determina la decadenza prevista dall’art. 1957 c.c.; conf. Cass. 28 luglio 2017, n. 18779. 
[22] 
Va ricordato che secondo Cass. 6 settembre 2019, n. 22383, nel concordato preventivo la proposta del debitore non può contenere una clausola che preveda l'estensione dell'effetto esdebitatorio del concordato anche ai fideiussori in caso di omologa del concordato, poiché l'art. 184, comma 1, L. fall., ora art. 217 CCII, in deroga alla regola generale posta dall'art. 1301 c.c., assicura in ogni caso ai creditori la conservazione dell'azione per l'intero credito contro i coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in via di regresso. 
[23] 
A. Crivelli, Il garante pubblico e le misure cautelari e protettive nella composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 30 ottobre 2025. 
[24] 
Disposizioni operative, parte VI, punto H. 
[25] 
Disposizioni operative, Parte VI, punto H.1. e Parte VI, punto H.2. 
[26] 
In senso affermativo la prevalente giurisprudenza. Si vedano Trib. Milano, 4.9.24 su IlCaso; Trib. Verona, 13 maggio 2025, in IlCaso; Trib. Vicenza, 23 luglio 2025, ivi; Trib. Genova, 22 settembre 2025, in Ilcaso; Trib. Vasto, 28 dicembre 2024, ivi; Trib. Padova, 19 novembre 2024, ivi; Trib. Milano, 12 maggio 2024. Per Trib. Gorizia 19 marzo 2024, in Unijuris, può essere pronunciato nei confronti del garante pubblico il divieto di pretendere l’azione esecutiva da parte del creditore finanziato. Per Trib. Modena, 8 marzo 2025, può essere emesso nei confronti del garante il divieto di pagare il garantito, allo scopo di congelare la situazione in atto per meglio promuovere le trattative. Per Trib. Bologna, 12 maggio 2025, in IlCaso, la sola pendenza della garanzia non è sufficiente per concedere la misura cautelare perché le Disposizioni Operative del Fondo consentono la sospensione e la transazione anche in corso di escussione (D.M. 2 agosto 2023, parte VI, Sezione C.1.3). 
In senso contrario, negando la legittimità della misura cautelare nei confronti del garante e del creditore garantito, Trib. Pordenone, 26.2.25, IlCaso con l’argomento, di incerta applicazione nel caso della composizione negoziata, che la necessità di appostamento di un apposito fondo rischi che tenga conto della possibilità che il credito della banca finanziatrice sia sostituito dal credito del garante, per sua natura privilegiato. Conforme, Trib. Milano, 22 giugno 2025, relativa ad un caso di domanda di concordato in continuità con riserva. 
[27] 
Si veda per il Fondo di Garanzia delle PMI le Disposizioni operative, Parte II, punto B1, B3 e B4; punto H4. 
[28] 
Trib. Imperia 20 febbraio 2024, in Il Fall., 2024, 1142; Trib. Padova, 19 novembre 2024, in Ilcaso; Trib. Padova, 23 dicembre 2024, ivi, quando la sospensione sia richiesta nei confronti soltanto di alcuni creditori; Trib. Verona, 22 dicembre 2024, ivi; Trib. Imperia, 20 febbraio 2024, ivi; Trib. Padova, 12 settembre 2025, ivi; Trib. Milano, 4 luglio 2025, ivi; Trib. Mantova, 21 febbraio 2025, ivi
In senso contrario Trib. Milano, 22 novembre 2023, in Ilcaso; Trib. Bologna, 19 maggio 2025, ivi; Trib. Roma, 19 marzo 2025, ivi; Trib. Roma, 14 ottobre 2024. 
In dottrina in senso affermativo I. Pagni, Impresa, società e processo, cit. 225; I. Pagni, L. Baccaglini, Misure cautelari e misure protettive nel Codice della crisi: una chiave di lettura per l’impiego anche combinato dei diversi strumenti di tutela, in Dirittodellacrisi.it, 4 marzo 2024; C. Briguglio, La consecutio tra misure protettive e cautelari per il buon esito delle trattative di composizione negoziata della crisi, in Il Fall., 2024, 1142. Entrambi gli scritti in commento a Trib. Imperia, 20 febbraio 2024, cit.; M. Fabiani, Le misure protettive nel codice della crisi, in Foro It., 2019, 227 e ss.; V. Lenoci, Le misure cautelari e protettive nella riforma concorsuale, in Ilfallimentarista.it, 2018. In senso contrario G. Bozza, Le misure protettive e cautelari, cit., 856 e ss. 
[29] 
In estrema sintesi la StaRUG (Unternehmensstabilisierungs- und Restrukturierungsgesetz) entrata in vigore il 1° gennaio 2021, introdotta in attuazione della Direttiva Insolvency, fornisce un quadro giuridico per le ristrutturazioni. Si applica nelle situazioni di insolvenza imminente e prevede un ordine di moratoria emanato dal giudice della durata iniziale di tre mesi, con possibilità di proroghe sino a otto mesi, a seconda dell’avanzamento del piano di ristrutturazione. Per un commento alla disciplina della Starug e una prima comparazione con la disciplina italiana cfr. J. Heck, Singolarità e pluralità nei preventive restructuring frameworks. Profili evolutivi degli strumenti di regolazione della crisi e del Restrukturierungsplan alla luce della Direttiva (UE) 2019/1023, in Dirittodellacrisi.it https://dirittodellacrisi.it/articolo/singolarita-e-pluralita-nei-preventive-restructuring-frameworks-profili-evolutivi-degli-strumenti-di-regolazione-della-crisi-e-del-restrukturierungsplan-alla-luce-della-direttiva-ue-20191023, 12 novembre 2024. 
Diversa è la situazione della Francia, dove il provvedimento che avvia una procedura concorsuale (sauvegarde, redressement ou liquidation judiciaire) prevede un periodo di osservazione durante il quale i creditori non possono agire per il recupero dei crediti. Questo periodo dura inizialmente 6 mesi, prorogabile fino a un massimo di 12 mesi, mentre eventuali proroghe ulteriori non sono più ammesse nella procedura di sauvegarde, dopo la riforma del 2021 che ha recepito la Direttiva Insolvency. I procedimenti paragonabili alla nostra composizione negoziata (mandat ad hoc, conciliation judiciaire) non consentono la sospensione delle azioni esecutive, salvo che per effetto dell’omologazione del Tribunale all’esito della conciliation judiciaire
[30] 
Osserva I. Pagni, Impresa, società e processo, cit. 292, che per l’estensione della protezione oltre la composizione negoziata è possibile ricorrere alla domanda prenotativa ex art. 44 CCII per effetto della quale la protezione potrà essere riattivata a decorrere dall’iscrizione nel registro delle imprese della domanda medesima. Ovviamente, osserviamo noi, ciò potrà avvenire anche nel caso in cui la domanda abbia ad oggetto uno specifico strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. L’A. sottolinea che si avrà comunque un vuoto di protezione, di tempo limitato, nel quale l’unico rischio per il debitore è il venir meno con effetti retroattivi dell’inibitoria degli atti esecutivi e l’esecuzione nelle more di un pignoramento che segua un precetto intimato prima e rimasto in piedi. Ciò perché la cessazione degli effetti delle misure ha efficacia ex tunc
[31] 
Trib. Santa Maria Capua Vetere, 2 ottobre 2024, in Dirittodellacrisi.it, che afferma che il provvedimento può essere concesso se è richiesto un provvedimento specifico nei confronti di destinatari determinati, finalizzato ad assicurare provvisoriamente l’esito delle trattative. Trattasi di tutela interinale personalizzata per lo specifico debitore e per le peculiari esigenze delle trattative in corso con i creditori. Trib. Milano, 7 luglio 2024, ivi; Trib. Udine, 30 aprile 2024, con argomentazioni analoghe. In senso contrario Trib. Milano, 22 novembre 2023, ivi. Si vedano, in sostanza con gli stessi argomenti, le ulteriori decisioni citate alla nota 25. 
[32] 
Trib. Roma, 19 marzo 2025, in Dirittodellacrisi.it, il termine di 240 giorni non si applicherebbe alla misura cautelare. Di conseguenza essa avrebbe una durata pari a quella della composizione negoziata. 
[33] 
In questi termini cfr. G. Bozza, Le misure protettive e cautelari, cit., 910. 
[34] 
Cfr. F. Garcimartin, Preventive Restructuring Frameworks, in European Preventive Restructuring a cura di C.Paulus R. Dammann, Monaco, 2021, 95, che osserva che i quadri di ristrutturazione preventiva may consist of one or more procedures or tools…Member States may also opt for a “toolbox approach” and lay down different and independent measures or tools, i.e. a stay and a restructuring plan. Questi strumenti possono essere variamente combinati dalle parti secondo le circostanze del caso. Da questo punto di vista lo stay assicurato nell’ambito della composizione negoziata, cui può seguire l’approvazione di un piano nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza è certamente soggetto al termine di dodici mesi. 
[35] 
Cfr. nota 25. 
[36] 
I. Pagni, L. Baccaglini, Misure cautelari e misure protettive nel Codice della crisi: una chiave di lettura per l’impiego anche combinato dei diversi strumenti di tutela, in Dir.della crisi, 4 marzo 2024; C. Briguglio, La consecutio tra misure protettive e cautelari per il buon esito delle trattative di composizione negoziata della crisi, in Il Fall., 2024, 1142. Entrambi gli scritti in commento a Trib. Imperia, 20 febbraio 2024, est. Cappello. 

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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