Il legame tra le misure protettive e cautelari ed il buon esito delle trattative spiega perché l’art. 19, comma 6, preveda la revoca o la limitazione della durata delle misure sia protettive che cautelari quando il buon esito delle trattative non sia più soddisfatto e quando tali misure appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori. Anche l’art. 54, comma 4, riferendosi all’area degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, lega la proroga delle misure a significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione e alla circostanza che la proroga non arrechi ingiusto pregiudizio ai diritti e agli interessi delle parti interessate.
Poiché sempre il riferimento del fumus boni iuris è il buon esito delle trattative, da intendersi come obiettivo che non può essere perseguito in termini di rigorosa certezza, diventa centrale l’assenza di ingiusto pregiudizio ai diritti delle parti interessate.
Poiché le misure protettive possono essere chieste soltanto nei confronti dei creditori, la definizione di parti interessate si riferisce alle misure cautelari che possono essere rivolte anche verso soggetti che non sono creditori. La formula parti interessate richiama l’art. 4, commi 1 e 4, CCII che estendono ai soggetti interessati l’obbligo generale di buona fede e correttezza nella composizione negoziata nelle trattative e nei procedimenti di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e l’obbligo di leale collaborazione e di riservatezza. Rientrano in questa nozione il terzo offerente per l’acquisto dell’azienda o di uno o più beni dell’impresa, il terzo garante, i soci anche di minoranza.
Nei confronti di tutti questi soggetti, creditori e no, non deve essere arrecato danno ingiusto. La formula è amplissima e la necessità di determinarne il contenuto nasce dal fatto che, come si è detto, manca qui il parametro rappresentato dal riferimento all’anticipata tutela del diritto fatto valere o che sarà fatto valere in sede di giudizio di merito.
Ancora va notato che non ogni pregiudizio è vietato, ma soltanto quel pregiudizio che può essere considerato ingiusto e che, in quanto tale, darebbe altrimenti luogo alla tutela risarcitoria.
L’art. 21 CCII prevede che nella composizione negoziata l’imprenditore in crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, vale a dire secondo regole usuali proprie della gestione di un’attività che comporta il rischio d’impresa. L’impresa può proseguire anche in caso di insolvenza, ma in tale ipotesi occorre che esistano concrete prospettive di risanamento e l’impresa va gestita nel prevalente interesse dei creditori. Ne deriva che l’accumulo di nuove perdite assume carattere fisiologico perché è insito nell’attività d’impresa in fase di ristrutturazione e non può essere considerato illegittimo. Non rappresenta quindi un danno ingiusto.
Si tratta comunque sempre di previsioni ragionevoli, fondate sulla scienza aziendalistica, che non possono mai proporsi in termini di certezza.
Tuttavia, il buon fine delle trattative richiesto dal legislatore non comporta soltanto la verosimiglianza di un accordo con i creditori, ma anche che le trattative si inseriscano in un piano che dovrà almeno avere le caratteristiche indicate per il concordato in continuità dall’art. 87, comma 1, lett. f) CCII per il piano in continuità aziendale: che esso non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza. Va peraltro tenuto presente che l’art. 23 CCII, subordina l’autorizzazione del tribunale dei finanziamenti in prededuzione e al trasferimento dell’azienda alla funzionalità degli atti alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori. Il rifiuto di tali autorizzazioni potrà incidere sulla valutazione della ricorrenza del buon fine delle trattative.
Ci si può domandare se rappresenti un inammissibile pregiudizio per i creditori il fatto che la continuazione delle trattative possa pregiudicare il diritto dei medesimi di conseguire in caso di liquidazione giudiziale il valore di liquidazione. Al quesito non si può dare sempre risposta affermativa. Il principio del creditor no worse off riguarda il riparto del ricavato tra i creditori, eventualmente raggruppati in classi, nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, ma in sede di trattative la prosecuzione dell’attività d’impresa, come chiarisce anche l’art. 21 prima citato sui poteri gestori dell’imprenditore, va considerata in termini di ragionevole previsione e non di certezza.
Le misure protettive incidono sempre sulle azioni esecutive e cautelari promosse dai creditori. Le misure cautelari possono avere anche questo contenuto, ma, nella composizione negoziata, e negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza insieme alle misure protettive atipiche, possono comprimere altri diritti dei creditori.
In dottrina[9] si è sottolineato che gli obblighi di buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative impongono non soltanto dei doveri passivi, ma anche degli obblighi attivi che rientrano nel generale dovere di leale collaborazione, come precisa anche l’art. 16, comma 6, CCII, che richiede che la collaborazione sia sollecita e che si dia riscontro alle proposte e richieste del debitore con risposta tempestiva e motivata. Per le banche, gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari del credito la partecipazione alle trattative deve essere attiva e informata (art. 16, comma 5, CCII).
A questi doveri di carattere generale si aggiungono nella composizione negoziata i doveri di tutti i creditori di non rifiutare, nel caso siano state disposte le misure protettive, l’adempimento dei contratti pendenti (art. 18, comma 5, CCII) con la conseguenza della compressione dei poteri di autotutela negoziale. Anche le linee di credito non possono essere revocate. Il potere di sospensione è limitato ed escluso dopo la conferma delle misure protettive, salvo i limiti connessi con la disciplina di vigilanza prudenziale. Dall’accesso alla composizione negoziata anche la classificazione del credito è vincolata alla mancata considerazione del procedimento di composizione negoziata in quanto tale, fermo restando che la classificazione dovrà seguire le regole previste dalle autorità di vigilanza.
Queste norme comportano, in un con la natura stessa, atipica, delle misure protettive, nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e delle misure cautelari che altri limiti possano essere aggiunti con tali misure ai poteri di autotutela dei creditori.
Va peraltro sottolineato che l’obbligo di prosecuzione dei contratti pendenti è più rigoroso nel caso della composizione negoziata che nel concordato preventivo in continuità, dove l’art. 94 bis, comma 2, CCII lo limita, nel caso di mancato pagamento di crediti anteriori, ai soli contratti essenziali.
L’ulteriore estensione del divieto di autotutela negoziale va quindi valutata con prudenza e tenendo ben conto del limite rappresentato dal pregiudizio ingiusto per i creditori.
Tutti i commentatori concordano sul fatto che il limite invalicabile ai poteri del giudice è rappresentato dall’autonomia negoziale e dal fatto che non esiste nel nostro ordinamento un potere generale, attribuito al giudice, di modificare od imporre una disciplina negoziale[10].
Va infatti ricordato che l’art. 17, comma 5, ultima parte prevede che nel corso delle trattative della composizione negoziata l’esperto possa invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio dei rapporti in ragione di circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni, ma non è più previsto, diversamente da quanto disponeva l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, il potere del giudice di rideterminare equamente tale contenuto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile per assicurare la continuità aziendale[11]. Proprio la circostanza che tale potere sia stato introdotto nel nostro ordinamento in termini espressi da una norma eccezionale, in costanza della pandemia, e che non sia stato mantenuto nel codice della crisi, porta ad escludere che si possa ritenere trattarsi di un principio di carattere generale, suscettibile di essere ricavato dal sistema in via interpretativa.
Va sottolineato che gli artt. 16, comma 5, e 18, comma 5, CCII ribadiscono il principio, insito nel fatto che durante la composizione negoziata il debitore è in bonis e non è alterata, se non per quanto è strettamente indispensabile, la disciplina contrattuale, che i contratti pendenti proseguono. L’accesso alla composizione negoziata e il coinvolgimento nelle trattative non costituiscono causa di sospensione o revoca delle linee di credito. Quando scattano le misure protettive i creditori, non soltanto le banche e gli intermediari finanziari, non possono rifiutarne l’adempimento, e comunque incidere sul regolare svolgimento per il solo fatto del mancato pagamento dei crediti anteriori. Non si applica quindi la disciplina dell’autotutela contrattuale.
Se si tratta di banche e soggetti equiparati le linee di credito non possono essere revocate o sospese salvo nei casi in cui sia questione dell’applicazione della disciplina di vigilanza prudenziale, formula questa che implica che il rapporto di finanziamento è affetto da profili patologici che comportano la sospensione o la revoca secondo le regole che disciplinano l’attività del bonus argentarius.
Il divieto di sospensione o di revoca comporta che il rapporto negoziale, già in essere, rapporto di durata o ad esecuzione differita, debba proseguire. Non vi è obbligo di erogare nuovi finanziamenti o nuove forniture.
La compressione dell’autonomia negoziale c’è, tanto che il legislatore ha cura di precisare che la prosecuzione del rapporto di per sé non è causa di responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario e lo ripete tre volte, nell’art. 16, comma 5, e nell’art. 18, commi 5 e 6. Essa però non assume caratteristiche sostanzialmente diverse, anche se talune differenze vi sono, da quanto è previsto nella disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo dall’art. 94 bis CCII[12].
In altri termini le misure protettive atipiche che possono essere concesse nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e le misure cautelari che possono intervenire nell’ambito della composizione negoziata e degli strumenti anzidetti nei rapporti tra debitore e creditori non possono fondare obblighi nuovi e diversi da quelli che nascono dalla disciplina negoziale in essere. Ciò che può essere limitato sono le forme di autotutela in senso lato che l’ordinamento mette a disposizione del creditore diverse dall’azione esecutiva in senso stretto. La sospensione della prestazione in virtù della clausola inadimplenti non est adimplendum, il diritto alla riscossione immediata nei confronti dell’insolvente ai sensi dell’art. 1186 c.c.[13], la risoluzione del contratto in virtù di clausola risolutiva espressa o di azione giudiziale, l’attivazione della clausola penale, il sequestro che, quando si tratti di misura protettiva concessa sui beni dell’impresa può riguardare anche beni di proprietà di terzi, concessi in licenza o godimento (ad esempio il sequestro dei marchi in caso di composizione negoziata del licenziatario per evitare che la revoca della concessione comporti l’interruzione dell’attività commerciale o produttiva).
La questione si fa più delicata quando il creditore sia la P.A. perché qui è questione sovente di poteri autoritativi dell’Autorità amministrativa e di obblighi previsti ex lege che esulano dai limiti di intervento del G.O.
In tale ipotesi può darsi l’ipotesi che si debba intervenire per ottenere il rilascio del DURC, vale a dire del documento di regolarità contributiva, senza il quale un’impresa rischia di essere esclusa da gare, di non poter accedere ad agevolazioni fiscali e di subire sanzioni, e può subire limitazioni quando debba incassare crediti verso soggetti pubblici. Qui siamo al di fuori della sfera di autotutela da parte del creditore perché il DURC ha moltissime funzioni che, come nel caso dei limiti alla partecipazione alle gare d’appalto, esulano dalla dimensione relativa alla tutela di un rapporto di credito per riguardare invece i vincoli posti dalla legge nei confronti di un soggetto inadempiente a protezione di interessi di carattere generale, a garanzia della collettività.
Nell’ambito del concordato preventivo in continuità il divieto di pagamento dei crediti contributivi pregressi, può essere rimosso ai sensi dell’art. 100 CCII, anche nel caso della domanda con riserva. Ove non intervenga il provvedimento autorizzativo del giudice tale divieto permane. Nella composizione negoziata il debitore è sempre libero di procedere ai pagamenti, salvo quando essi non siano coerenti con l’andamento delle trattative o con le prospettive di risanamento (art. 21 CCII). Ma vi è un’evidente contraddittorietà tra il pagamento e l’esecuzione del piano di ristrutturazione che prevederà il pagamento dei crediti contributivi nei limiti contemplati dalla proposta e comunque nei tempi e modi ad esso propri.
Di qui il gran numero di casi in cui è stato chiesto al tribunale di concedere la misura cautelare dell’ordine del rilascio del DURC. In taluni casi la giurisprudenza ha accolto la domanda concedendo la richiesta misura cautelare. In altri, più esattamente, ha osservato che il provvedimento richiesto si sarebbe tradotto nella condanna della P.A. ad un facere, che è inammissibile davanti al giudice ordinario quando sia questione di poteri autoritativi dell’autorità amministrativa[14]. La giurisprudenza ha tuttavia ritenuto che potesse essere emessa una pronuncia accertante la sussistenza degli estremi della regolarità contributiva al fine della successiva emissione del DURC da parte degli enti contributivi e previdenziali[15].
Altri provvedimenti cautelari che si rinvengono in giurisprudenza sono l’interdizione al creditore di avvalersi dello strumento monitorio e il divieto di segnalazione della sofferenza alla Centrale Rischi[16]. Il divieto del ricorso alla tutela monitoria non pare condivisibile perché tale provvedimento non comporta ancora l’inizio dell’azione esecutiva e può essere efficacemente contrastato dal debitore con lo strumento dell’opposizione. Semmai la tutela potrà essere indirizzata all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, che è già strumento di autotutela che incide sul patrimonio del debitore.
La segnalazione alla Centrale Rischi va valutata alla luce del divieto per le banche e gli intermediari finanziari di tenere in conto nella classificazione del credito dell’accesso alla composizione negoziata (art. 16, comma 5, CCII) e dei mancati pagamenti in caso di concessione delle misure protettive. Rimane ferma, anche in caso di concessione delle misure protettive, la sospensione e la revoca delle linee di credito dovuta alla disciplina di vigilanza prudenziale. Ne deriva che la segnalazione al di fuori dei casi ammessi sarebbe illegittima e non può pertanto disporsi una misura interdittiva in tali ipotesi, sulla premessa indimostrata della violazione di legge da parte del creditore. E nei casi ammessi la segnalazione assume carattere fisiologico.