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Il trattamento concorsuale dei crediti garantiti da SACE e MCC*

Paolo Manganelli, Head of Restructuring and Special Situations Practice of Ashurst Llp
Tommaso Paltrinieri, Senior Associate of Ashurst Llp

19 Febbraio 2024

*Scritto edito su “Il finanziamento alle imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza”, Quaderno della Commissione crisi, ristrutturazione e risanamento d’impresa presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano, a cura di G. Rocca, con prefazione di S. Leuzzi.
Gli A. si soffermano sullo spinoso tema del trattamento dei crediti assistiti da garanzia pubblica.
Riproduzione riservata
1 . Breve inquadramento normativo sui finanziamenti garantiti da SACE e da MCC
L’emergenza epidemiologica da Covid-19, prima, e le conseguenze sull’economia globale determinate dalla guerra russo-ucraina, poi, hanno spinto il legislatore europeo [1] e, quindi, nazionale a incrementare in modo significativo le agevolazioni pubbliche alle imprese, soprattutto sotto forma di garanzie sui finanziamenti erogati da terzi.
Pur nel rispetto delle diverse finalità istituzionali dei due enti garanti [2] (nel prosieguo, «SACE» e «MCC»), è possibile individuare un fil rouge negli interventi normativi del legislatore italiano che, in parallelo con l’evolversi dell’emergenza sanitaria e, quindi, con l’acuirsi della crisi energetica e delle materie prime: (i) dapprima, ha delineato con il Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23 («Decreto Liquidità», convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020, n. 40) le caratteristiche delle «nuove» garanzie, la cui operatività è stata successivamente prorogata, con la legge di bilancio 2022 (Legge 30 dicembre 2021, n. 234), al 30 giugno 2022; (ii) quindi, con il Decreto legge 17 maggio 2022, n. 50 («Decreto Aiuti», convertito con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2022, n. 91), ha disciplinato la seconda «tornata» di garanzie, specificatamente correlate alle ripercussioni negative che le imprese italiane hanno subìto per effetto dell’interruzione delle catene di approvvigionamento ovvero del rincaro dei prezzi di materie prime (gas naturale, energia elettrica) e dei fattore di produzione correlati all’applicazione delle misure economiche restrittive, incluse le sanzioni internazionali, alla Russia, da ultimo prorogate, con esclusivo riferimento alle garanzie SACE, fino al 31 dicembre 2023 [3].
Le garanzie sono a titolo oneroso, a prima richiesta e incondizionate. In tutti i casi, nel rispetto delle indicazioni europee, (i) l’importo massimo del capitale del prestito da garantire è conteggiato, in percentuale, sulla base di parametri predefiniti (i principali: il fatturato e la spesa salariale per quanto concerne le garanzie Covid-19; il fatturato medio degli ultimi tre esercizi e i costi sostenuti per fonti energetiche negli ultimi dodici mesi per quanto riguarda le garanzie «crisi russo-ucraina»); (ii) le garanzie non possono superare un ammontare predeterminato del capitale oggetto di prestito; (iii) la durata delle garanzie non deve eccedere un limite temporale preindicato; e (iv) i finanziamenti correlati alle garanzie sono concessi per precisi scopi predeterminati.
Gli interventi normativi che precedono non hanno, però, costituito l’occasione – e così nemmeno il differimento dell’entrata in vigore del Codice della Crisi e la successiva adozione del decreto legislativo correttivo del 17 giugno 2022, n. 83 – per una razionalizzazione delle disposizioni relative al privilegio dei crediti dei garanti pubblici, sì che, a oggi, le norme che – nei modi che verranno illustrati di seguito – sono invocate con riferimento ai crediti di SACE e MCC restano:
• l’articolo 9, comma 5, del D. lgs. 31 marzo 1998, n. 123 (Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della Legge 15 marzo 1997, n. 59), in forza del quale «per le restituzioni di cui al comma 4, i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, a eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’articolo 2751 bis del codice civile e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi» – laddove con «restituzioni» si intendono le restituzioni dell’intervento «in conseguenza della revoca di cui al comma 3, o comunque disposta per azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria, e della revoca di cui al comma 1, disposta anche in misura parziale purché proporzionale all’inadempimento riscontrato» [4]; e
• con riguardo alla sola MCC, l’articolo 8 bis, comma terzo, del Decreto legge 24
gennaio 2015, n. 3 (convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2015,
n. 33), che stabilisce che il «il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario
finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal
Fondo di garanzia di cui all’articolo 2, comma 100, lettera a), della Legge 23 dicembre
1996, n. 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione,
da qualsiasi causa derivante, a eccezione del privilegio per spese di giustizia
e di quelli previsti dall’articolo 2751 bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti
di prelazione spettanti a terzi. La costituzione e l’efficacia del privilegio non sono
subordinate al consenso delle parti».
In entrambi i casi, si tratta di un «super-privilegio» che, per quanto non formalmente qualificato, è ritenuto un privilegio generale mobiliare [5], antergato, dunque, a tutti i privilegi di cui all’articolo 2778 del Codice civile.
2 . Il riconoscimento del privilegio: evoluzione giurisprudenziale
È un percorso di matrice prettamente giurisprudenziale e, precisamente, a opera della Corte di Cassazione [6], quello che ha portato al riconoscimento del privilegio ex art. 9 D.Lgs. n. 123/1998 in relazione ai crediti vantati da SACE e/o da MCC a seguito dell’escussione di garanzie prestate per finanziamenti a favore di prenditori successivamente assoggettati a procedura concorsuale. Se le pronunce della Suprema Corte a oggi edite, ratione temporis, non si riferiscono alle «garanzie Covid-19» ovvero alle «garanzie crisi russo-ucraina », è pressoché certo che i principi ivi delineati saranno applicati – non esistendo, del resto, particolari ragioni per ipotizzare un cambio di rotta della Cassazione [7] – anche allorquando le predette garanzie, negli anni a venire, si affacceranno nelle aule dei tribunali.
Il quadro degli interventi della Corte di Cassazione con riferimento all’applicabilità dell’art. 9 D.Lgs. n. 123/1998 alle garanzie pubbliche è così riassumibile:
a. portata generale del privilegio
Esiste un disegno di impianto unitario sotteso agli interventi pubblici di sostegno alle attività produttive, i cui principi, dettati nel D.Lgs. n. 123/1998, trovano applicazione anche a interventi pubblici disciplinati da fonti diverse (e successive). In particolar modo, in tutti i casi di operatività del sistema di revoca e restituzione viene in considerazione l’esigenza del soggetto pubblico di recuperare il sacrificio patrimoniale in concreto sopportato in funzione dello sviluppo delle attività produttive, procurando la provvista per lo svolgimento di interventi futuri.
b. applicabilità del privilegio anche alle garanzie (e non solo ai finanziamenti diretti)
Proprio per l’esistenza di un disegno unitario, in assenza di una definizione del termine «finanziamento», lo stesso deve intendersi riferito a tutte le misure di sostegno
previste dal D.Lgs. n. 123/1998 (in particolare, dall’articolo 7); in altre parole, il presupposto abilitante il sorgere del privilegio è il procedimento di irrogazione del contributo pubblico stesso, senza che abbia rilevanza la conformazione «tecnica» (finanziamento, garanzia, etc.) tramite cui esso è rilasciato.
c. non necessità della «revoca» in senso tecnico della garanzia per l’operatività del privilegio/ equiparazione dell’inadempienza civilistica alle patologie genetiche del rapporto ai fini della revoca.
I principi enucleati dalla Suprema Corte prevedono che: (i) gli interventi pubblici si realizzano attraverso un procedimento complesso a doppia natura (amministrativa, di selezione dei beneficiari) e privatistica (conclusione del negozio di finanziamento o di garanzia), nella cui struttura causale si inserisce la destinazione delle somme a uno specifico scopo di tratto pubblicistico; (ii) sia le deviazioni dallo scopo (e, dunque, le patologie genetiche del rapporto indicate al comma primo e terzo dell’articolo 9) sia l’inadempimento a tale rapporto negoziale determinano la violazione della causa del contrato di finanziamento e/o di garanzia e costituiscono, dunque, presupposto della revoca del beneficio erogato; (iii) nessun dubbio può porsi sull’idoneità a integrare gli estremi della revoca della dichiarazione di risoluzione contrattuale di cui all’art. 1456 c.c., come pure della diffida ex art. 1454 c.c. ovvero anche della dichiarazione di decadenza del debitore dal beneficio del termine emessa dal creditore ai sensi dell’art. 1186 c.c. In ogni caso, la revoca opera quale mera condizione (a guisa di una condizione risolutiva espressa) al recupero del credito del garante e non interviene nel momento genetico del credito: il credito del garante deriva, infatti, da un’obbligazione ex lege, azionabile
dopo la revoca.
In altri casi (da ultimo, Cass. 19461/2022) la Corte ha sostenuto che la revoca non sarebbe nemmeno (si ritiene, formalmente) necessaria nel caso in cui l’intervento pubblico si concreti in una garanzia, dal momento che il credito del garante che ha soddisfatto il finanziatore sorgerebbe per effetto del solo pagamento, non occorrendo alcun provvedimento di revoca – che costituisce invece un atto amministrativo strutturalmente
necessario (di segno opposto alla concessione) in caso di erogazione diretta del finanziamento, per fare venire meno il titolo in forza del quale il beneficiario aveva fruito del finanziamento stesso.
d. carattere concorsuale del credito del garante
Il momento della revoca e/o del pagamento in favore dell’istituto di credito garantito non rileva ai fini della concorsualità del credito del garante. La perdita del beneficio (e il conseguente sorgere del privilegio) si determina nel momento di apertura della procedura concorsuale del debitore ovvero nel momento, anteriore, in cui vengono meno i requisiti prescritti. La revoca del beneficio, in altre parole, non ha portata costitutiva:
il privilegio ha infatti giustificazione nella causa del credito che va ad assistere, ex art. 2745 c.c., trovando la propria radice nella concessione dell’intervento pubblico.
Le finalità pubblicistiche perseguite dalla Corte di Cassazione nell’imporre un’interpretazione del D.Lgs. n. 123/1998 che riconosce, senza eccezioni, il privilegio in questione paiono evidenti, presumibilmente motivate dalla considerazione (empirica) delle scarsissime possibilità di recupero per i garanti pubblici – e, dunque, in ultima analisi, per lo Stato italiano – qualora il credito conseguente al soddisfacimento del creditore garantito venisse considerato chirografario.
3 . Il privilegio dei garanti pubblici nella liquidazione giudiziale: un’occasione di coordinamento mancata
Con specifico riferimento alla liquidazione giudiziale, il Codice della Crisi, agli articoli 160 e 161, riporta, senza alcuna modifica, il testo degli articoli 61 e 62 della Legge Fallimentare che, come è noto, limitavano i diritti dei coobbligati in caso di soddisfazione soltanto parziale del creditore.
Parimenti, nessuna modifica è stata apportata alle norme che disciplinano il principio della cristallizzazione della massa passiva del debitore assoggettato alla procedura maggiore: (i) l’articolo 145 del Codice della Crisi è la pedissequa riproduzione dell’articolo 45 della previgente Legge Fallimentare circa le formalità eseguite dopo l’apertura della liquidazione giudiziale; (ii) l’articolo 2916 del Codice civile, che tra le altre cose sancisce l’irrilevanza dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento (invocato anche con riguardo al fallimento/liquidazione giudiziale, quali pignoramento omnia sui beni del debitore), non è mutato.
Il tutto, in un contesto in cui il codice civile prevede delle ipotesi di surrogazione legale del garante (art. 1203 c.c.) e distingue, con riguardo alle azioni del fideiussore che abbia pagato il creditore garantito, l’azione derivativa di surroga (art. 1949 c.c.) dall’azione autonoma di regresso (art. 1950 c.c.).
Pertanto, un’applicazione rigorosa delle norme di legge: (a) vieterebbe al garante pubblico che abbia pagato il creditore garantito dopo l’apertura del concorso di partecipare al concorso fino all’integrale soddisfacimento del creditore garantito (cioè l’istituto di credito erogante il finanziamento: considerato che le garanzie statali sono limitate a una percentuale del capitale di prestito, il garante pubblico sarebbe, dunque, sempre escluso dal concorso); (b) in ogni caso, l’eventuale mancata – o solo parziale – escussione della garanzia al momento dell’apertura del concorso, impedirebbe una «modifica » del rango del credito verso il debitore, che resterebbe, dunque, chirografario; e, in ogni caso, (c) la trasformazione del credito (da chirografario a privilegiato) sarebbe comunque vietata tout court nel momento in cui il garante pubblico esercitasse l’azione derivativa di surroga, poiché lo stesso subentrerebbe ex lege, quale solvens, nella stessa posizione giuridica del creditore soddisfatto (appunto, chirografario).
I limiti del – nemmeno troppo velato – perseguimento di finalità pubblicistiche degli interventi della Corte di Cassazione si colgono proprio con riferimento alle disposizioni suddette, dal momento che la Corte ha statuito che l’obbligazione ex lege del beneficiario verso il garante pubblico, trovando la propria autonoma fonte nel sopravvenuto difetto della causa giustificatrice del beneficio, comporta l’inapplicabilità delle norme sulla fideiussione ordinaria, degli istituti della surroga e del regresso [8] nonché, infine, delle norme dettate dagli articoli 160 e 161 del Codice della Crisi [9]. Al tempo stesso, ai fini del riconoscimento del privilegio, non avrebbe alcun rilievo il momento del pagamento del creditore garantito da parte del garante, trattandosi di credito privilegiato ab origine.
Il tutto va letto, peraltro, insieme alle ulteriori argomentazioni della Corte che, come si è visto sopra, ha statuito la non necessità di un formale provvedimento amministrativo di «revoca» dell’intervento ai fini dell’insinuazione al passivo e del riconoscimento del privilegio e, comunque, l’equiparazione tra le patologie genetiche del rapporto di cui ai commi primo e terzo dell’articolo 9 D.Lgs. n. 123/1998 e gli inadempimenti civilistici del debitore.
La dottrina più attenta [10] non ha mancato di notare che simili costruzioni risultano sovente tautologiche e prive di reale forza motiva, figlie di un «certo ardimento interpretativo » evidentemente piegato alla ragione di Stato più che alle ragioni della legittimità (anzitutto formale); è però indubbio che, a fronte di un orientamento di legittimità ormai consolidato, il curatore, a fronte di domande di ammissione al passivo di SACE e/o MCC, presumibilmente proporrà l’ammissione del credito con privilegio ex art. 9 D.Lgs. n. 123/1998, del tutto prescindendo dal momento di effettivo pagamento del creditore garantito, nonché dall’effettiva «revoca» dell’intervento (e dalle cause della revoca stessa), pena un’(inutile) excalation dei creditori pubblici fino al giudice di ultima istanza che, appunto, nell’ultimo quinquennio ha sempre accolto i loro motivi di impugnazione.
È invece più dibattuta – e, invero, negata (da ultimo, vedasi Cass. 13180/2023) – la possibilità per il finanziatore garantito che non abbia escusso la garanzia di insinuarsi al passivo invocando, pro quota, il riconoscimento del super-privilegio in questione, non potendosi prescindere, al riguardo, «dall’esistenza di un sacrificio patrimoniale sopportato in concreto dal garante, in funzione dello sviluppo delle attività produttive».
4 . Il ruolo e il trattamento dei garanti pubblici negli strumenti del Codice della crisi
I principi suesposti devono essere calati nella realtà di ciascuno degli strumenti di ristrutturazione di cui al Codice della Crisi. Precisamente:
• composizione negoziata (nei suoi esiti «tipici» di cui all’art. 23, comma 1) del Codice della Crisi e piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII.
Trattandosi di strumenti imperniati su accordi a base consensuale con i creditori (o parte di essi), in caso di avvenuta escussione della garanzia pubblica, i garanti dovranno, presumibilmente, essere parte integrante dell’accordo (dovendo, in caso contrario, essere soddisfatti integralmente); in tali ipotesi, verranno anzitutto in considerazione sia eventuali difficoltà di interlocuzione con i garanti sia la capacità dei medesimi di rispettare le tempistiche della ristrutturazione. Le proposte di ristrutturazione non dovranno superare i limiti intrinseci della garanzia (es. si ritiene che il garante non possa ex lege aderire a una proposta di pagamento che ecceda il limite massimo di durata delle garanzie pubbliche). Il garante, al tempo stesso, potrebbe non essere in grado di comparare la convenienza della proposta formulata dal debitore rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e quindi presumere un soddisfacimento migliore, tenuto conto del rango del proprio credito, in ipotesi di liquidazione (cosa che invece non accadrebbe in ipotesi in cui ci sia l’attestazione di un esperto con sottostante valutazione comparatistica come ad esempio nel piano di risanamento attestato ex art. 56 CCII, ovvero negli accordi di ristrutturazione ex art. 57 e ss. CCII);
• accordo di ristrutturazione ex artt. 57-61 CCII.
Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono per gli accordi di ristrutturazione ex artt. 57-61 CCII, con la precisazione che, allo stato, il credito dei garanti pubblici non può essere oggetto di transazione fiscale ex art. 63 CCII e deve, pertanto, essere pagato entro centoventi giorni dall’omologa in caso di mancata adesione. Il giudizio di comparazione con la liquidazione giudiziale (imposto ad esempio dall’articolo 61, comma primo, lettera d CCII) – nella quale, per effetto delle pronunce della Corte di Cassazione, non si potrà non tenere conto del credito super-privilegiato del garante pubblico – renderà assai improbabile il ricorso da parte del debitore a proposte di ristrutturazione che, in assenza
dell’escussione della garanzia di SACE e/o MCC, forzino le banche garantite ad accettare stralci o dilazioni eccedenti i limiti della garanzia pubblica;
• piano attestato di risanamento ex art. 64 bis e 64 quater CCII.
Il piano attestato di risanamento richiede il raggiungimento dell’unanimità delle classi; pertanto, si ritiene estremamente difficile l’utilizzo di tale strumento in presenza di garanzie pubbliche a meno che il creditore non dimostri, in modo rigoroso, che il soddisfacimento del garante pubblico non è inferiore rispetto all’ipotesi di liquidazione giudiziale (con ciò, invero, rinunciando a una delle principali peculiarità dello strumento, cioè la possibilità di distribuire il valore generato dal piano in deroga alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione e agli articoli 2740 e 2741 del Codice civile);
• concordato preventivo con continuità aziendale.
Nel caso in cui, all’avvio della procedura, la garanzia pubblica non sia stata escussa, la prassi consolidata sulla scia degli interventi della Cassazione è quella di appostare nella massa passiva un fondo munito del privilegio di cui all’articolo 9 D.Lgs. n. 123/1998 e di effettuare il giudizio comparatistico con la liquidazione giudiziale assumendo l’escussione della garanzia (e, quindi, il super-privilegio). Il credito del garante pubblico può comunque essere soggetto a cram down, pur con i limiti dell’articolo 112 CCII – tanto più di difficile applicazione quanto più il credito dei garanti pubblici abbia un peso rilevante nella composizione della massa passiva (ovvero non vi siano altri crediti privilegiati
non pagati nel momento dell’accesso allo strumento);
• concordato liquidatorio.
Difficilmente il concordato liquidatorio potrà trovare applicazione in presenza di garanzie di SACE e/o MCC, tenuto conto delle soglie minime di soddisfacimento previste ex lege e dell’assorbimento di risorse del super-privilegio nella comparazione con la liquidazione giudiziale. Il costo della proposta, inteso come finanza esterna da erogare per assicurare il pagamento nella percentuale minima del 20% per la quota chirografaria (ab origine o degradata), potrebbe, pertanto, essere notevole e rendere non appetibile lo strumento.
L’articolo 85, secondo comma, CCII, rende comunque obbligatoria la suddivisione in classi anche in questa tipologia di concordato, essendovi per definizione «creditori titolari di garanzie prestate da terzi» (fermo che, in caso di successiva escussione, si potrebbe paradossalmente avere una modificazione nella composizione delle classi stesse).
5 . Conclusioni
È innegabile che, nei prossimi anni, il super-privilegio dei garanti pubblici SACE e MCC, e i temi a esso correlati, rappresenteranno una delle sfide più significative nella predisposizione di piani di ristrutturazione e risanamento che abbiano ambizioni di successo.
In assenza di specifici interventi normativi (che riteniamo estremamente improbabili), l’interpretazione fornita dalla Cassazione alle norme qui brevemente esaminate impone dunque l’adozione, in qualsiasi percorso di ristrutturazione, di soluzioni che riconoscano prudenzialmente, sin dall’inizio, il super-privilegio ai finanziamenti garanti da SACE e/o MCC, prescindendo, come detto, dall’avvenuta escussione della garanzia da parte del finanziatore. Al tempo stesso, si richiederà ai garanti un atteggiamento responsabile e partecipe alle negoziazioni, in tutti i casi in cui la proposta formulata dal creditore (con riguardo, in particolare, agli istituti più prettamente negoziali e consensualistici del Codice della Crisi, es. composizione negoziata, piano di risanamento) sia comunque «ragionevole», tenuto conto di molteplici varianti – tra cui il rispetto dei limiti imposti dalla disciplina dello strumento di garanzia, il soddisfacimento proposto agli altri creditori, la conservazione del bene-impresa e dei posti di lavoro, ecc…
Analogamente, i soggetti garantiti dovranno tenere un comportamento responsabile e di massima trasparenza nei confronti dei garanti, condividendo tempestivamente ogni informazione rilevante in pendenza di trattative con il debitore, ovvero assicurandone la partecipazione, in veste di semplici «uditori», ai tavoli negoziali.

Note:

[1] 
In data 20 marzo 2020, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la comunicazione della Commissione Europea denominata «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da Covid-19» (2020/C 91 I/01), con la quale la Commissione ha derogato alla disciplina ordinaria sugli aiuti di Stato, riconoscendo alle imprese che non si trovavano «in difficoltà» alla data del 31 dicembre 2019 la possibilità di beneficiare di agevolazioni pubbliche fino al termine – come da ultimo prorogato – del 30 giugno 2022, incluse garanzie sui prestiti, alle condizioni meglio delineate alle sezioni 3.2 e 3.4.
È, invece, del 23 marzo 2022 la comunicazione della Commissione denominata «Quadro temporaneo di crisi per misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia a seguito dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina» (2022/C 131 I/01), che, tra le altre cose, alla sezione 2.2 («Sostegno alla liquidità sotto forma di garanzie») indica le condizioni e le caratteristiche delle garanzie pubbliche affinché siano ritenute compatibili con il mercato interno ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), TFUE.
[2] 
SACE S.p.A. è stata istituita con D. lgs. 31 marzo 1998, n. 143 – originariamente come «Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero» e poi trasformata in società per azioni per effetto dell’art. 6 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con Legge n. 326 del 2003; nel decreto istitutivo, SACE è stata autorizzata a «rilasciare garanzie, nonché ad assumere in assicurazione i rischi di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e di cambio ai quali sono esposti, direttamente o indirettamente, gli operatori nazionali e le loro controllate e collegate estere nella loro attività con l’estero», con precisazione che le predette garanzie e assicurazioni possono essere rilasciate anche a banche nazionali o estere per crediti concessi sotto ogni forma e destinati al finanziamento delle suddette attività, nonché quelle connesse o strumentali. Il Fondo di garanzia è stato, invece, istituito presso Mediocredito Centrale S.p.A. con Legge 23 dicembre 1996, n. 662 (precisamente, articolo secondo, comma 100) al fine di agevolare l’accesso delle piccole e medio imprese al credito bancario, per il tramite della concessione di una garanzia pubblica a parziale copertura dei finanziamenti accordati dagli istituti di credito (con le parole, non particolarmente felici, della norma costitutiva, «allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese»).
[3] 
Peculiare, per quanto concerne la tecnica di redazione legislativa, che le garanzie SACE correlate alla crisi russo-ucraina siano autonomamente disciplinate all’articolo 15 del Decreto Aiuti, mentre l’articolo 16 del medesimo Decreto Aiuti istituisca le corrispettive garanzie MCC introducendo il comma 55-bis all’articolo 1 della Legge 30 dicembre 2021, n. 234.
[4] 
Il comma 3 e il comma 1 dell’articolo 9 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123 prevedono, rispettivamente, che sia disposta la revoca degli interventi: (a) qualora i beni acquistati con l’intervento siano alienati, ceduti o distratti
nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all’intervento; (b) in caso di assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili.
[5] 
Così Cassazione, 20 aprile 2018, n. 9926.
[6] 
Si vedano, inter alia, le pronunce: Cass. 13180/2023; 19461/2022; 15857/2022; 1485/2022; 1453/2022; 39433/2021; 8601/2021; 8600/2021; 27159/2020; 8882/2020; 6508/2020; 25336/2020; 2457/2020; 2664/2019. Al contrario, le Corti di merito – e, con esse, la dottrina – si sono sempre dimostrate particolarmente scettiche all’estensione della norma in questione alle garanzie. Ex multis in materia, Tribunale di Milano, 3 luglio 2014; Tribunale di Pistoia, 14 maggio 2015, Tribunale di Udine, 2 febbraio 2017, Tribunale di Roma, 2 marzo 2017, Tribunale di Milano, 1 marzo 2018, Tribunale di Udine, 14 aprile 2019.
[7] 
Per quanto ci sia chi ha provato a leggere il Decreto Liquidità come una norma autosufficiente, negando la possibilità di un’interpretazione analogica del privilegio ex art. 9D.Lgs. n. 123/1998 (con conseguente applicazione delle regole codicistiche sulla surrogazione legale ex art. 1203 c.c.) proprio perché tale decreto non è espressamente richiamato dalle disposizioni «emergenziali» e in forza del principio di tassatività dei privilegi – così, ad esempio, S. Delle Monache, «Garanzie rilasciate da SACE S.p.a. e privilegio ex art. 9 D.Lgs. n. 123/1998», in giustiziacivile.com.
[8] 
Del resto, la Corte di Cassazione aveva già affermato che «l’azione di regresso spettante al debitore solidale, che abbia effettuato il pagamento, è in sostanza un’azione di surrogazione» e che il termine «regresso» e il termine «surroga», che in concreto vengano utilizzati, sono da ritenere tra loro equivalenti; per il primo punto, si veda ad esempio Cass., 5 giugno 2007, n. 13180; per il secondo, Cass., 28 luglio 2017, n. 18782 (così Cass. n. 2664/2019).
[9] 
Le pronunce della Corte di Cassazione si riferiscono, invero, agli articoli 61 e 62 della Legge Fallimentare. Secondo la Suprema Corte: «[La revoca del beneficio] pur mirando al medesimo risultato economico di quella di surrogazione o di regresso, ovverosia alla neutralizzazione della diminuzione patrimoniale conseguente all’esborso effettuato, si distingue dalle stesse, non costituendo esercizio del diritto precedentemente spettante al creditore garantito, nel quale l’ente concedente subentra a seguito dell’escussione della garanzia, né di un nuovo diritto derivante dal pagamento effettuato in favore del creditore garantito, ma trovando fondamento nell’atto di concessione o nella convenzione che costituiscono il presupposto della garanzia, e postulando la revoca del beneficio, che comporta, non diversamente da quanto accade in caso di finanziamento diretto, il venir meno della causa giustificatrice dell’erogazione, nei rapporti con il debitore beneficiario, e quindi l’insorgenza del diritto alla restituzione del relativo importo. Il provvedimento in questione è stato ritenuto non necessario ai fini dell’esercizio dell’azione di surrogazione o di regresso, in virtù della considerazione che in caso di concessione di garanzia, a differenza di quanto accade per altri interventi di sostegno pubblico, il relativo diritto non origina da un’erogazione diretta di somme di denaro nelle mani del beneficiario, ma dal pagamento effettuato in favore dell’istituto di credito che abbia erogato il finanziamento (cfr. Cass., Sez. I, 9/03/2020, n. 6508). Tale rilievo può ritenersi tuttavia appropriato soltanto con riguardo al rapporto privatistico scaturente dalla concessione della garanzia, che, comportando l’instaurazione di un vincolo di solidarietà, consente all’ente concedente, in caso di escussione della garanzia da parte del creditore, di avvalersi dei mezzi di recupero posti a sua
disposizione dal diritto comune delle obbligazioni; esso non appare invece pertinente in riferimento all’azione scaturente dall’inadempimento del rapporto concessorio, la quale risulta svincolata dalla solidarietà, traendo origine dal sopravvenuto difetto della causa giustificatrice dell’intervento, la cui constatazione richiede l’adozione di un formale provvedimento di accertamento da parte dell’ente concedente, indispensabile per poter procedere al recupero dell’importo pagato. L’inoperatività del vincolo di solidarietà, in conseguenza del mancato esercizio dell’azione di surrogazione o di regresso, comporta inoltre l’inapplicabilità della disciplina dettata della L. Fall., artt. 61 e 622, con la conseguenza che, in caso di fallimento del beneficiario, l’ente concedente può insinuare il proprio credito al passivo, anche nel caso in cui il pagamento, effettuato dopo l’apertura della procedura concorsuale, non sia risultato interamente
satisfattorio per l’istituto di credito, il quale abbia a sua volta ottenuto l’ammissione al passivo» (Cass. 1453/2022).
[10] 
M. Fabiani, I crediti SACE per le garanzie ai finanziamenti alle imprese: le contraddizioni tra il sistema dei privilegi e la ragion di Stato, in il Fallimento 4/2022.

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Articoli 12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR)

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