Va premesso che da analisi effettuate[1], l’esposizione totale nei confronti del garante pubblico ammonta all’incirca a 300 mld di euro.
In particolare, la gran parte di questi debiti verso il sistema bancario garantiti dall’ente pubblico discendono da prestiti erogati in virtù del D.L. n. 18/20 e del D.L. n. 23/20 (emessi per far fronte alla crisi pandemica), che hanno previsto in particolare l’intervento quale garante di Medio Credito Centrale (MCC), e altre disposizioni che hanno esteso la garanzia SACE[2] in relazione alla crisi derivante dalla guerra russo-ucraina. Tali disposizioni hanno tentato di facilitare, proprio attraverso la concessione della garanzia statale gestita da MCC o da SACE, il rifinanziamento e la continuità di imprese attinte da tali crisi. A loro volta i crediti derivanti da queste garanzie[3], una volta escusse dal soggetto finanziatore (cioè, il creditore), sono assistite in sede di surroga dal privilegio stabilito dall’art. 9, D.Lgs n. 123/98[4], il quale è anteposto a tutti gli altri privilegi tranne quello per spese di giustizia, quelli di cui all’art.2751 bis c.c. e le iscrizioni anteriori.
Va anche ricordato che il tessuto imprenditoriale italiano è caratterizzato da una debordante quantità di micro e piccole imprese, che nell’insieme formano circa il 99,4 % del totale.
Ciò detto, come già emerge dalle indicazioni normative e giurisprudenziali indicate, va chiarito che il privilegio spettante al garante in sede di surroga spetta sia in caso di vera e propria revoca per violazione delle finalità appunto di ripresa o rifinanziamento delle imprese attinte dalle crisi che si sono indicate, sia per l’ipotesi di inadempimento, anche ove abbiano generato l’insolvenza o comunque all’apertura di procedimenti concorsuali[5].
Ecco che allora il problema riguarda non solo le procedure stesse, ma anche la composizione negoziata[6]. In altri termini si verifica che a) il debito dell’insolvente è chirografario; b) a fronte dell’inadempimento il creditore garantito può escutere la garanzia statale; c) il garante può a quel punto insinuarsi facendo valere il proprio “superprivilegio”.
Se teniamo conto di tutto ciò, è evidente che questo non può che impattare violentemente sulle prospettive di risanamento ed anche, alla fine, su quelle anche solo di risoluzione della crisi pur a mezzo di uno strumento liquidatorio.
Ecco allora che vengono in rilievo le misure protettive e cautelari, quelle cioè che sono state descritte e che servono appunto, soprattutto le seconde, a consentire (in tema di composizione negoziata) a condurre le trattative a buon fine (art. 19, comma 1, CCII), nel senso, in questo caso, di impedire che azionandosi il meccanismo crisi-escussione-surroga, nessuna prospettiva di risanamento sia sostanzialmente possibile, e quindi la misura deve per forza interporsi all’interno di questo meccanismo per impedirne il progresso, esiziale per le prospettive suddette.
Anzitutto che la questione attenga essenzialmente alla composizione negoziata discende da quanto si è osservato in ordine alla composizione dell’imprenditoria italiana.
Se infatti la stragrande maggioranza delle imprese sono piccole, esse alla fine non potranno che accedere alle procedure concorsuali previste per la risoluzione della crisi da sovraindebitamento.
Ora queste procedure, ed in particolare il concordato minore, prevedono che le misure protettive di cui all’art. 78 CCII, uniche applicabili, sono adottate solo col decreto di apertura, pertanto senza alcuna protezione per tutta la durata del procedimento di ammissione, né si individua alcuno spazio per le misure cautelari, che invece come vedremo sono fondamentali con riferimento alla protezione dall’escussione delle garanzie in parola.
In nulla supporta la previsione dell’art. 271 CCII, che pure consente un (temporalmente molto limitato, cioè dal momento in cui il giudice le concede fino a quello in cui il piano venga depositato) ricorso alle misure protettive anche nella fase “con riserva” relativa alle procedure in parola, visto che ancora una volta il riferimento è solo all’art. 78 CCII (quindi senza possibilità di accesso alle misure cautelari).
Dunque, in questi casi (cioè quelli delle piccole imprese) la possibilità di preservare le trattative dagli effetti dell’escussione delle garanzie qui in rilievo è totalmente affidata alle misure cautelari previste dall’art. 19 CCII, e dunque alla possibilità per la piccola impresa di accedere alla composizione negoziata, come del resto è assicurato dall’art. 25 quater CCII.
Sia ben chiaro che viene anche prospettato come possibile ed anzi dovuto l’azionarsi del meccanismo sopra descritto di crisi-escussione-surroga, ma tale meccanismo – se lasciato a sé – viene a incrinare il principio solidaristico (fondato sulla salvaguardia dell’impresa, e viste le dimensioni descritte del fenomeno, di una parte davvero significativa del tessuto produttivo italiano) che si pone alla base della composizione negoziata, per lasciar trionfare solo quello prettamente individualistico della prospettiva del singolo creditore.
Peraltro senza trascurare che, se il meccanismo consentirebbe un immediato ed integrale soddisfacimento del creditore, il consentire invece lo svolgimento delle trattative proprie della composizione negoziata consentirà comunque il soddisfacimento del creditore bancario (attraverso quanto potrà percepire dall’imprenditore in crisi ed il differenziale che gli spetterà in sede di escussione); solleverà il garante pubblico della parte corrisposta dall’imprenditore, sperabilmente superiore a quella che si potrebbe ottenere in sede liquidatoria; consentirà un soddisfacimento, magari parziale, ma anche agli altri creditori.
In ogni caso, tutti i precedenti che si possono reperire sono in effetti riferiti alla richiesta di misure in sede di composizione negoziata.
E tutti attengono alla richiesta di misure cautelari che in qualche modo intervengano sull’escussione, uniche che, grazie al loro contenuto atipico[7], possono garantire la possibilità di escludere per il creditore finanziatore il diritto ad escutere la garanzia MCC o SACE. Posto che, una volta effettuata l’escussione in parola, non v’è più alcuna possibilità di giungere ad un accordo in sede di composizione negoziata: il garante pubblico, infatti, si surroga sull’imprenditore insolvente facendo valere il proprio super-privilegio e ogni piano è in tal caso destinato a naufragare miseramente di fronte alla necessità di pagare integralmente tale creditore privilegiato, come già detto; né si può pensare che, a fronte dell’escussione, il garante pubblico possa avere un margine per “trattare”, tanto più che le vigenti disposizioni operative, di cui diremo, non consentono alcun rapporto fra imprenditore beneficiario e garante pubblico[8], che può solo rapportarsi col finanziatore garantito. In particolare, poi, non è neppure ipotizzabile, data la natura pubblicistica dei vincoli, che il creditore (surrogato) pubblico possa rinunciare, anche volendo, al privilegio che la legge gli accorda.
Va allora verificato a) quale atteggiamento abbiano assunto i tribunali di fronte alla richiesta di misura cautelare; b) quale sia l’atteggiamento della normativa interna a MCC e SACE a fronte della pendenza di una procedura concorsuale concernente l’imprenditore; c) se sia possibile od utile coinvolgere lo stesso garante nelle trattative.
Prima di fare ciò va anche fatto un riferimento a quale ruolo abbia in tutto il nostro discorso la misura protettiva (tipica) dello “stay”, cioè quella misura per cui non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive in corso. Tale misura, in rapporto specifico con il garante pubblico non hanno nessun rilievo, se non quello – indiretto – di impedire al finanziatore di agire esecutivamente contro l’imprenditore in crisi, e di riflesso allora di non potersi da lui esigere – prima di proporre l’escussione – di aver egli escusso il debitore principale[9], e di averlo fatto in un ristretto margine temporale, come imposto dalle disposizioni operative[10], visto appunto che è l’effetto della legge prima, ed il provvedimento giudiziale di conferma poi, che gli impedisce l’azione esecutiva.
Riprendendo ora il discorso sub a) può dirsi che in massima parte i tribunali accolgono la richiesta di misura cautelare avente ad oggetto il divieto di escutere la garanzia, beninteso se il piano proposto abbia delle prospettive di ragionevolezza.
Tale è sicuramente, ad esempio, la prospettiva da cui parte il Tribunale di Milano[11]. Ed anche se si volesse osservare che espressamente la disciplina della composizione negoziata non affida al giudice un controllo di “fattibilità” del piano di composizione, è evidente che lo stesso costituisca uno dei fondamentali elementi di cui si compone il fumus boni iuris da vagliarsi in sede di concessione di una misura cautelare prevista dall’art.19, comma 1, CCII, dal momento che le misure in parola sono strumentali (come presuppone la finalizzazione alla conduzione a buon fine delle trattative) alla ragionevole perseguibilità del risanamento, elemento quest’ultimo comune anche alle misure protettive[12].
Quanto alla necessità proprio di tale contenuto della misura, essa viene giustificata col fatto che l’escussione “comporterebbe effetti diretti sul patrimonio della Società, cioè la (trasformazione del credito da chirografario a privilegiato, nel senso che con il pagamento alle banche da parte di MCC ed il conseguente esercizio del diritto di surroga nei confronti della debitrice, troverebbe ingresso nel passivo della società un debito privilegiato e maggiorato di penali”, così pregiudicando “ il buon esito della composizione -sussistendo quindi il nesso di funzionalità tra le misure chieste e il buon esito delle trattative- a discapito della possibilità di un concreto risanamento imprenditoriale”[13].
D’altronde è corrente l’osservazione per cui, non bloccando l’escussione, le banche resterebbero indifferenti agli esiti della composizione, contribuendo a farla naufragare.
Importante rimarcare poi che la pronuncia appena citata espressamente ritiene la necessità di coinvolgere direttamente anche gli enti pubblici ed MCC nelle trattative.
Non differenti considerazioni portano però altra giurisprudenza[14], al contrario, a negare la concessione della misura cautelare del divieto di escutere la garanzia, sull’osservazione che i crediti bancari in parola sono assistiti ex lege dalla garanzia MCC, e che piuttosto è l’imprenditore, in sede di trattative, a dover prevedere rispetto al piano che sta predisponendo la necessità di creare un apposito fondo rischi in previsione della trasformazione di buona parte del debito verso le banche da chirografario in privilegiato ex art. 9 cit.
Sembra qui che la decisione faccia applicazione dell’art. 87, lett. p-bis, CCII, in virtù del quale nel predisporre il piano concordatario occorre creare dei fondi rischi per i finanziamenti garantiti da misure di sostegno pubblico.
E’ però evidente, nell’ottica della composizione – il cui piano non va confuso con quello di cui all’art. 87 CCII[15] – che questa problematica nelle trattative può essere presa a monte, e quindi appunto anche se poi l’approdo fosse un concordato, come può anche accadere, proprio per non “distorcere” il comportamento del garantito nel corso delle preliminari trattative, sembra che invece la cautela andrebbe concessa.
Anzi, e qui si fa un passo ulteriore rispetto alla decisione milanese, si giunge a chiedere un diretto coinvolgimento nelle misure proprio di MCC. In proposito il Tribunale di Roma[16], sull’osservazione che al momento delle trattative MCC non è ancora creditore, e tale non diverrà fino al momento della surroga conseguente all’escussione, ha ritenuto che “possono ascriversi alla categoria delle ‘misure cautelari’ rilevanti nell’ambito della composizione negoziata della crisi d’impresa, quegli
interventi giurisdizionali che esulino e superino l’alveo della protezione ex lege di cui all’art 18 comma 1, 4 e 5 CCII e tuttavia siano strumentali alla funzione di quest’ultima di salvaguardare il buon esito di quelle trattative con i creditori preordinate al superamento della crisi risanabile d’impresa”; e tra esse ha annoverato “l’estensione dell’opponibilità delle misure protettive richieste anche a Medio credito centrale, con conseguente esclusione della qualificazione come ‘inadempimento’ della dilazione delle scadenze dell’obbligazione di restituzione del finanziamento da esso garantita e, per l’effetto, della realizzabilità del presupposto della sua inefficacia ex artt. 2, comma 7 e 3, comma 8 del DM n. 248/99[17]”.
Chiaramente, dal punto di vista processuale, tutto ciò comporta il diretto coinvolgimento nel procedimento, come parte, di MCC, cui vanno notificati gli atti e i provvedimenti di fissazione dell’udienza ex art. 19 CCII.
In questa stessa ottica di coinvolgimento di MCC, ma sotto altra prospettiva, si pone altra giurisprudenza[18], che espressamente stabilisce, fra l’altro, che può essere stabilito “il divieto per il creditore bancario di porre in essere qualsiasi iniziativa volta al recupero del credito e comunque di escutere la garanzia MCC sul finanziamento, così come può essere disposto il divieto a carico di MCC di esigere l’azione esecutiva e/o di recupero credito dell’istituto finanziatore garantito in relazione alla garanzia statale MCC, in espressa deroga alle disposizioni operative che regolano il rapporto tra MCC e l’impresa finanziatrice (banca). Non è ammissibile, invece, una misura cautelare che imponga a MCC di accordare il prolungamento della garanzia statale sul finanziamento, in quanto si tratterebbe, in sostanza, di ordinare a MCC un facere consistente nell’esprimere una determinata volontà contrattuale”.
La decisione appare molto equilibrata: da un lato si impone a MCC di non pretendere la prova dell’azione esecutiva recuperatoria in capo al finanziatore, che quindi potrà portare al garante il risultato della “transazione” raggiunto in sede di composizione negoziata, ed ottenere il pagamento del differenziale da parte di MCC senza dover dimostrare di aver agito esecutivamente; dall’altro non si impone un prolungamento della garanzia. Ma il risultato rispetto al caso romano non è dissimile, perché neanche qui, non essendo richiesta l’azione esecutiva, decorrono i diciotto mesi del termine decadenziale entro cui vanno proposte le azioni dal momento dell’inadempienza.
Interessante poi il provvedimento modenese[19], secondo cui pure oltre alla misura cautelare del divieto di escussione (operante sui finanziatori) si avrà quella rivolta direttamente a MCC del divieto di pagare il garantito (nel senso che tale misura serve sia nel caso in cui la banca violasse la misura, sia in quello in cui l’escussione fosse già stata promossa, bloccando anche in questi casi i relativi effetti che poi creerebbero i presupposti per la surroga ex lege), per la durata delle misure protettive, e ciò non solo agli scopi già individuati da precedenti decisioni, ma significativamente anche a quello di consentire un esame sulla genuinità e sul carattere non abusivo della concessione del credito[20], e non ultimo di condurre le trattative “per le vie brevi” direttamente con il finanziatore, senza che si debba coinvolgere e attivare la “trafila” della transazione con MCC in base alle Disposizioni operative, e ciò nel contesto “protetto” creato dalla mancata escussione o dal mancato pagamento.
Tale ultima conclusione è corretta sotto più punti di vista, e con ciò veniamo a sviluppare il punto sub c) delle nostre premesse.
Intanto, come s’è visto, le disposizioni operative escludono che ci possano essere rapporti diretti fra beneficiario e garante pubblico, ma piuttosto si ritiene che i rapporti debbano essere fra MCC e finanziatore.
Poi, va chiarito – e del resto si ricava già dalle premesse che si sono fatte in ordine alla disposizione di legge istitutiva della garanzia, che questa è di natura legale[21], e costituisce quindi un’obbligazione di garanzia ex lege, che non può che determinare un rapporto diretto fra garante e garantito[22].
Ed allora escludere dalle trattative il garante, e prevedere soprattutto che la “procedura” interna MCC sia gestita dal garante, “creditore” dell’obbligazione ex lege, appare corretto.
Qui, dunque la prospettiva non è coincidente con quella di altre decisioni, e in ispecie con quella milanese, visto che si esclude un diretto coinvolgimento di MCC nelle trattative, il quale ove operato non può che comportare l’applicazione delle richiamate Disposizioni operative.
A proposito di queste ultime – e così veniamo al punto b) - recate dalla circolare n. 8/22, prevista dall’art. 2, comma 100, lett. a), della L. n. 662/96, esse recano la disciplina (per quanto qui di interesse) dell’escussione e in particolare per rendere opponibili al fondo gli accordi transattivi – comprensivi di quelli raggiunti in sede concorsuale e di composizione negoziata – raggiunti dal finanziatore col beneficiario. Tali disposizioni, sotto questo profilo, sono dunque improntate alla regola della procedimentalizzazione del consenso, ed a una sorta di evidenza pubblica della sua formazione, propria della natura pubblicistica dell’ente e degli interessi coinvolti, In particolare, oltre ad un rilevante onere documentale, prevedono sotto il profilo sostanziale che in sede concorsuale o comunque transattiva al finanziatore garantito sia riconosciuto non meno del 15 % del credito complessivo (inteso come comprensivo di penali, interessi di mora, C1.1 lett. e)) evidentemente allo scopo di ridurre il più possibile l’obbligo di garanzia statale. E sotto tale profilo, tale requisito non può essere in alcun modo – si direbbe – ridotto od escluso, neppure se MCC fosse direttamente coinvolto nelle trattative, atteso che il limite risponde a un vincolo pubblicistico che ancora una volta non è nella disponibilità di coloro che agiscono per l’ente di negoziare o comunque modificare al ribasso.
Anzi in proposito i finanziatori sono espressamente tenuti a non stipulare l’accordo, in questo caso quello in sede di composizione negoziata, ove si offrisse di meno (punto C2. 3 lett. e).
L’accordo, comunque, rispetto al quale il finanziatore deve anche indicare al Fondo le valutazioni tecnico-giuridiche che l’hanno indotto ad accettarlo, è poi assoggettato alla delibera del Consiglio di Gestione del fondo, che si riserva comunque di verificare tutto quanto dichiarato dal garantito.
Decorsi i termini di pagamento concordati, in caso di inadempimento il finanziatore garantito è comunque tenuto ad agire per il recupero.
Quest’ultimo obbligo rimane senza interferenze rispetto alla misura protettiva, perché esso si pone a valle della composizione, e attiene all’inadempienza rispetto all’accordo ivi raggiunto.
Per tal caso, dunque, la portata di questa disposizione è verosimilmente quella di imporre al finanziatore di non rimanere inerte di fronte all’inadempienza del beneficiario, rispetto agli obblighi assunti in esito alle trattative della composizione negoziata, e gli impongono di azionare i rimedi propri della soluzione raggiunta (che dipendono dalla relativa tipologia, fra quelle indicate in particolare dagli artt. 23 e 25 quater, comma 3, CCII).
Gli accordi che rispettino la misura del 15 %, dovrebbero prevedere l’adempimento diretto verso il finanziatore (poniamo del 15 % appunto); e la facoltà del garantito di escutere la garanzia statale per il restante, che invece il fondo perde (come si ricava dal C.1.4 lett.e), che anzi la perdita dev’essere espressamente indicata e quantificata in quanto dichiarato dal finanziatore. Tale “perdita”, per vero giustificata dalla stessa essenza della composizione negoziata, è frutto appunto della procedura interna di MCC che si è descritta e vera giustificazione delle misure concesse: infatti le misure hanno lo scopo di bloccare il più volte richiamato meccanismo crisi-escussione-surroga con il privilegio; la procedura interna azionata dal finanziatore è tesa a quel punto a rendere “opponibile”, con un consenso per dir così “procedimentalizzato” di MCC, l’esito possibile della composizione negoziata; l’accordo in sede di composizione negoziata riduce il soddisfacimento del finanziatore nella misura prevista ed esclude definitivamente la possibilità per MCC di surrogarsi e far valere il privilegio.
Il comportamento dei finanziatori nel corso delle trattative è peraltro particolarmente delicato. Va in proposito ricordato non solo che in generale tutti i soggetti coinvolti sono tenuti nelle trattative strumentali alla CN al “dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore e con l’esperto” e devono dare “riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata” (art. 16, comma 6, CCII), ma altresì specificamente nei confronti di “banche e intermediari finanziari” è previsto dal comma precedente l’onere di partecipare alle trattative “in modo attivo e informato”.
Ora questi doveri poi si riverberano inevitabilmente, in caso di fallimento delle trattative stesse, nella relazione dell’esperto, e questa a sua volta viene posta a base, in virtù dell’art. 25 sexies CCII, di un’eventuale proposta di concordato semplificato, con tutte le relative conseguenze.
Il concordato semplificato non è detto che in tal caso sia l’unica soluzione possibile, perché le uniche a dover essere impraticabili sono le soluzioni ex art. 23, comma 1 e comma 2, limitatamente però alle lett. a) e b). Ne consegue quindi che l’imprenditore, in presenza di un atteggiamento non allineato agli obblighi e doveri suddetti, può proporre il concordato semplificato anche se sarebbe possibile e fattibile un concordato diverso, od un pro (contemplati infatti dal generale rinvio agli strumenti dall’art. 23, comma 2, lett. d).
Ora, il concordato semplificato può prevedere non solo un soddisfacimento inferiore a quello che avrebbe potuto essere in generale offerto nelle proposte sottoposte alle parti in sede di CN, ma addirittura inferiore al 15 %. E questo, se fosse verificato che la banca non si sia attenuta ai propri specifici obblighi di cui all’art. 16 cit., potrebbe forse giustificare l’inefficacia della garanzia (infatti prevista ove si stipuli un accordo con pagamento inferiore alla suddetta percentuale; il concordato semplificato non è in effetti votato od oggetto di “stipula”, ma tuttavia dipende dall’atteggiamento dei creditori rispetto ad una proposta eventualmente più soddisfacente, e questo ex lege).