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Accordi di ristrutturazione e gruppi di imprese

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

5 Dicembre 2023

L’A. si sofferma sui margini di operatività dei nuovi ADR nel contesto delle crisi dei gruppi d’imprese.
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1 . Introduzione
Gli accordi di ristrutturazione di gruppo, insieme al concordato preventivo di gruppo e ai piani attestati di gruppo sono le procedure di ristrutturazione (strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza nel linguaggio del codice) espressamente indicate dal legislatore nell’ambito della disciplina dei gruppi dettata dal codice della crisi (artt. 284-286 CCII). Ad esse si riferisce la definizione di gruppo indicata dall’art. 2, lett. h) CCII. A tali procedure si aggiunge la composizione negoziata che non è una procedura, ma un percorso negoziale guidato diretto al raggiungimento di un accordo tra debitore e creditori finalizzato alla rimozione della situazione di squilibrio economico-finanziario e patrimoniale cui fa riferimento l’art. 12 CCII. Anche per la composizione negoziata il legislatore ha dettato una norma specifica relativa alla sua articolazione nella dimensione di gruppo che qui rileva perché tra gli esiti positivi della composizione negoziata l’art. 23, comma 2, lett. b) comprende gli accordi di ristrutturazione nelle loro diverse forme. 
Un posto a parte occupa la liquidazione giudiziale di gruppo, regolata dall’art. 287 CCII. 
La disciplina della crisi o dell’insolvenza di gruppo in linea di principio è diretta, com’è noto, a ripristinare l’unitarietà del gruppo ai fini della risoluzione della crisi o della gestione dell’insolvenza. Le procedure di gruppo consentono infatti di ricostituire la gestione unitaria, che sarebbe altrimenti irrimediabilmente compromessa dalla separazione delle masse attive e passive delle singole imprese che fanno parte del gruppo, impedendo l’esercizio da parte della capogruppo dell’attività di gestione e coordinamento. 
La ricostituzione della gestione unitaria è possibile soltanto entro certi limiti, perché la partecipazione all’accordo di ristrutturazione o al concordato di gruppo o alla composizione negoziata è pur sempre fondata sulla volontà di ogni singolo soggetto facente parte del gruppo e perché, nel caso della liquidazione giudiziale di gruppo, occorre ugualmente che “risultino opportune forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi, in funzione dell'obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo”, come recita l’art. 287, comma 1, CCII.
Com’è stato autorevolmente osservato[1] , la nozione di gruppo presa a riferimento dal codice della crisi, mutuata dalla disciplina del codice civile in tema di direzione unitaria, si muove in una prospettiva diversa dall’estensione necessaria del medesimo tipo di procedura concorsuale a tutte le imprese o società del gruppo quand’anche prive individualmente dei requisiti per accedervi, cui ci aveva abituato la disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Il legislatore ha voluto caso per caso stabilire quando le modalità e la misura dei collegamenti tra le diverse società del gruppo reagiscano, in caso di crisi o di insolvenza, al principio di separatezza e reciproca autonomia delle masse, consentendo soluzioni difformi da quelle che discenderebbero dalla rigida applicazione di quel principio. 
Nel caso delle procedure di ristrutturazione si tratta di procedure il cui avviamento richiede necessariamente l’istanza di ogni soggetto coinvolto. Non è possibile il trascinamento nell’ambito della procedura di gruppo di altre imprese appartenenti al gruppo, come è invece previsto dal legislatore nell’ambito della disciplina dell’amministrazione straordinaria. La giurisprudenza ha affermato il contrario con riferimento alla liquidazione controllata, ma è tesi opinabile[2].
Va ancora aggiunto che la disciplina della procedura di gruppo è unitaria nel senso che prevede alcuni requisiti sostanziali comuni alle imprese del gruppo, non soltanto in ordine all’esistenza del gruppo nei termini di cui alla nozione presa a riferimento dal codice, ma anche con riguardo ai risultati previsti per ciascuna delle imprese coinvolte dall’unico piano o dai plurimi piani collegati. Essa è poi unitaria dal punto di vista procedimentale per gli specifici profili che sono considerati dal legislatore (ad esempio l’unicità della domanda, la deroga alle regole ordinarie in tema di competenza, la nomina di un unico organo della procedura). Per il resto però ciascuna procedura è autonoma e valgono, in quanto non derogati, i generali criteri previsti dalla disciplina ordinaria dettata per ciascun tipo di procedura per così dire monistica. Il legislatore del resto ha cura nel terzo comma dell’art. 284 di ribadire, in conformità alla legge delega, che resta ferma l’autonomia delle rispettive masse attive e passive delle imprese coinvolte.
2 . Accordi e specificità della procedura unitaria di gruppo
La disciplina riservata dagli artt. 284-286 CCII agli accordi di ristrutturazione di gruppo è indubbiamente lacunosa perché il legislatore in queste norme ha considerato principalmente il concordato preventivo di gruppo[3], limitandosi a dettare alcune regole incomplete per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione[4] ed i piani attestati di gruppo. Occorrerà quindi, in diversi casi, integrare tale disciplina con quella generale prevista per gli accordi di ristrutturazione dagli artt. 57 e ss. CCII e verificare quali delle norme in tema di gruppi che fanno menzione del solo concordato preventivo, possano essere estese anche agli accordi.
L’art. 284, comma 2, CCII stabilisce che la domanda di accesso alla procedura di omologazione degli accordi di ristrutturazione di gruppo può essere proposta, con un unico ricorso, da più imprese appartenenti al medesimo gruppo e aventi tutte il proprio centro degli interessi principali nello Stato italiano. Il legislatore richiama espressamente gli artt. 57, 60 e 61 CCII. Ne deriva che la domanda può avere ad oggetto tanto gli accordi di ristrutturazione ordinari, regolati dall’art. 57, che quelli agevolati che, infine, quelli ad efficacia estesa. 
Si è osservato che dalla disciplina degli accordi di gruppo ad efficacia estesa, che possono avere carattere liquidatorio soltanto quando l’indebitamento nei confronti di banche ed intermediari finanziari non è inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo, si ricava che nelle altre due ipotesi degli accordi c.d. ordinari e agevolati, la procedura può essere funzionale tanto alla “prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta” quanto alla liquidazione del patrimonio del soggetto che ne è titolare[5]
Per gli accordi ad efficacia estesa il legislatore afferma espressamente (art. 61, comma 2, lett. b) che l’accordo non può avere carattere liquidatorio, salvo che l’indebitamento verso banche ed intermediari finanziari non sia almeno pari alla metà dell’indebitamento complessivo (art. 61, comma 5). E quindi possibile nel caso degli accordi di ristrutturazione di gruppo che il piano o i piani abbiano carattere liquidatorio anche solo per alcune imprese. 
Non è escluso che la domanda preveda il ricorso a forme diverse di accordo a seconda delle imprese del gruppo che sottoscrivono l’unico ricorso[6]. Per quanto il riferimento ad un piano unitario o a piani reciprocamente collegati ed interferenti sia contenuta nel primo comma dell’art. 284, che regola la domanda di concordato di gruppo, tale previsione riguarda certamente anche la domanda di accordi di ristrutturazione di gruppo, perché la formula è ripresa dal comma 4 dell’art. 284, che richiede tanto per il concordato che per gli accordi di gruppo che la domanda indichi le ragioni di maggior convenienza della scelta del piano o dei piani unitari rispetto alla soluzione monistica, con riguardo al miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese del gruppo[7]. Il comma 4 distingue tra concordato di gruppo e accordi quando dispone che soltanto il piano o i piani di cui al comma 1, vale a dire i soli piani concordatari di gruppo, quantifichino il beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del gruppo. 
L’alternativa offerta dal legislatore tra un unico piano e piani collegati e reciprocamente interferenti, secondo l’espressione lievemente enfatica impiegata dal codice, non pare decisiva. Nell’uno come nell’altro caso infatti i piani o l’unico piano dovranno dare atto dell’esistenza di un programma di risanamento che tenga conto della situazione debitoria e dell’attività di ogni impresa del gruppo, sì che l’unicità o la pluralità dei piani sarà scelta che dipenderà soltanto dalla maggior efficacia e chiarezza dell’uno o dell’altro metodo a seconda dei casi. In entrambi i casi il piano o i piani dovranno contenere un capitolo relativo alla situazione del gruppo in generale ed alla visione unitaria del piano che ne deriva, senza per questo perdere di vista il rispetto dell’autonomia patrimoniale delle singole imprese ed il fatto che i creditori sono chiamati ad esprimere il loro consenso, nelle forme proprie di ogni procedura, con riferimento all’impresa nei cui confronti vantano la loro pretesa. In altri termini il piano di gruppo o i piani collegati e reciprocamente interferenti debbono riuscire vantaggiosi per i creditori di ogni impresa rispetto all’ipotesi di una singola procedura, situazione questa che non si verificherà automaticamente stante l’autonomia patrimoniale di ogni singola componente del gruppo. Va intesa in questo senso la Relazione governativa alla prima versione del codice quando sottolinea che dovrà essere esplicitata la ragione della scelta di un piano unitario o di piani reciprocamente collegati in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori[8].
La regola della maggior convenienza, redatta tenendo sicuramente maggior conto della disciplina del concordato che degli accordi di ristrutturazione, presenta difficoltà applicative nel caso di quest’ultima procedura[9]. Per gli accordi infatti, salvo che per quelli ad efficacia estesa, il grado di soddisfazione dei creditori aderenti è determinato negozialmente dal contenuto dall’accordo stesso. I creditori vi aderiscono espressamente. L’elemento negoziale è prevalente. Quanto ai creditori estranei, invece, è la legge a prevedere all’art. 57, comma 3, e all’art. 60 per gli accordi ad efficacia agevolata, che essi debbano essere soddisfatti integralmente. Non pare possibile sostenere che tale principio soccomba all’espressa disciplina dell’opposizione all’omologazione contenuta nell’art. 285, comma 4, CCII che prevede che il tribunale, sulla base di una valutazione complessiva del piano o dei piani collegati, omologa quando i creditori possano essere soddisfatti in misura non inferiore a quanto riceverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola impresa. 
Questa regola non può riferirsi ai creditori non aderenti perché la disciplina del tipo accordi di ristrutturazione non può che prevalere sul dettato dell’art. 285, perché altrimenti ne verrebbe meno la specificità. La regola contenuta nell’art. 285 è stata chiaramente disegnata pensando al concordato preventivo senza considerare le diverse caratteristiche degli accordi di ristrutturazione.
L’art. 285, comma 4, può trovare applicazione soltanto nel caso degli accordi ad efficacia estesa, dove il trattamento previsto per i crediti appartenenti ad una categoria può essere esteso anche ai creditori non aderenti quando venga raggiunta la maggioranza del 75%, ridotta al 60% nel caso in cui il raggiungimento dell’accordo risulti dalla relazione finale dell’esperto all’esito della composizione negoziata. 
Tuttavia anche in questo caso i creditori trascinati non possono opporre che il trattamento per essi previsto è meno favorevole di quanto possibile nel caso di soluzione monistica, perché per tale ipotesi l’art. 61, comma 2, lett. d) prevede soltanto che ad essi debba essere riservato un trattamento non inferiore a quanto previsto in caso di liquidazione giudiziale. E tale trattamento è esattamente quello che l’art. 285, comma 4, legittima i creditori a pretendere in sede di opposizione all’omologazione della procedura di gruppo. Non è previsto che i creditori possano altrimenti opporsi all’omologazione.
3 . Ammissibilità di una domanda unitaria di gruppo con previsione di procedure diverse per le imprese aderenti
Gli artt. 284 e ss. CCII prevedono il concordato preventivo di gruppo, gli accordi di ristrutturazione di gruppo, il piano attestato di gruppo e la liquidazione giudiziale di gruppo. L’art. 25 CCII considera la composizione negoziata di gruppo, che non è una procedura concorsuale, non è uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza secondo la definizione che ne dà l’art. 2, lett. m) bis del codice, ma un percorso negoziale che può condurre alle soluzioni previste dall’art. 23 CCII, tra le quali il legislatore considera anche il concordato liquidatorio semplificato. Si è pertanto ritenuto che sia configurabile, pur nel silenzio del legislatore, il concordato semplificato di gruppo in quanto soluzione della situazione di squilibrio economico e finanziario dell’impresa che deriva dall’utile esperimento della composizione negoziata[10].
La disciplina del concordato preventivo di gruppo consente di proporre per le imprese del gruppo nell’ambito dell’unico piano o di piani collegati soluzioni sia di continuità, diretta ed indiretta, sia liquidatorie. Così prevede espressamente l’art. 285, comma 1. 
Non vi sono invece norme che espressamente consentano che il piano o i piani reciprocamente collegati e interferenti possano prevedere soluzioni differenti per le diverse imprese facenti parte del gruppo e quindi, ad esempio, il concordato preventivo per un’impresa, gli accordi di ristrutturazione per un’altra, la liquidazione giudiziale per una terza. 
Pur nel silenzio del legislatore, che non ha considerato questa ipotesi, ma soltanto, come già si è detto, il concordato di gruppo, gli accordi di ristrutturazione di gruppo, i piani attestati di gruppo e la liquidazione giudiziale di gruppo (art. 287 CCII), a prima vista essa non parrebbe in contrasto con la ratio legis
Tuttavia manca nel codice della crisi la previsione di un procedimento unitario di gruppo che consideri espressamente imprese che debbono essere oggetto di procedure diverse. Ne deriva che tale soluzione non appare allo stato ammissibile, almeno nei casi in cui la procedura unitaria deroga alle regole ordinarie in materia di competenza, come espressamente dispongono gli artt. 286, comma 1, e 287, comma 4, del codice. Se, come vedremo più avanti, le norme che prevedono la nomina di un unico commissario giudiziale nel concordato di gruppo (art. 286, comma 2) possono forse essere oggetto di interpretazione analogica nel caso in cui la proposta ed il piano unitario prevedano per altra impresa l’accordo di ristrutturazione, anche se tale nomina per gli accordi rimane facoltativa se non è pendente istanza di liquidazione giudiziale, le incompatibilità e la difficoltà di completare per via interpretativa l’assenza di una disciplina specifica non paiono superabili quando per una o più imprese del gruppo si debba far luogo alla liquidazione giudiziale e sia questione di nominare un curatore. La conclusione pertanto è che in siffatta ipotesi si potrà soltanto far luogo a procedure separate per le quali potranno essere invocati gli obblighi di cooperazione previsti dall’art. 288 del codice della crisi.
4 . Vantaggi compensativi
Dalle considerazioni che precedono si può dedurre che la principale differenza tra accordi di ristrutturazione monistici e di gruppo sta nei vantaggi compensativi che il piano unitario di gruppo o i piani reciprocamente collegati ed interferenti delle singole imprese appartenenti al gruppo consentono di sfruttare. Non è questa la sede per trattare funditus la disciplina dei vantaggi compensativi prevista dall’art. 2497 c.c. per l’ipotesi di trasferimenti infragruppo[11]. 
Occorre piuttosto domandarsi se nel caso degli accordi di gruppo siano possibili le operazioni contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo, cui fa riferimento l’art. 285, comma 2, con riguardo espresso ai soli piani concordatari. La norma richiede con riguardo al concordato l’attestazione del professionista indipendente che tali operazioni sono necessarie ai fini della continuità aziendale per le imprese per cui è prevista la continuità e coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo. 
In proposito si può osservare che lo stesso art. 285, comma 4, prevede che il tribunale omologa …gli accordi di ristrutturazione … tenuto conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese del gruppo quando i creditori siano soddisfatti in misura non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola società. Il piano o i piani collegati relativi agli accordi possono prevedere quindi tra le operazioni contrattuali e riorganizzative anche i trasferimenti infragruppo. 
L’espressa previsione del legislatore esclude quindi che la separazione tra le masse attive e passive delle imprese facenti parte del gruppo ed il conseguente rispetto dell’art. 2740 c.c. che impone che l’intero patrimonio di ogni impresa debitrice non possa essere sottratto alla garanzia dei suoi creditori, possano essere opposti alla legittimità dei trasferimenti in parola[12]. 
In realtà l’esistenza dei vantaggi compensativi, che non va intesa in senso formale, ma sostanziale, comporta che non vi sia un’effettiva lesione della garanzia patrimoniale dei creditori delle imprese interessate, perché i trasferimenti che vengono operati trovano la loro ragione in una corrispondente attribuzione al patrimonio altrimenti depauperato[13]. 
Per questa ragione si può ritenere che occorra l’attestazione del professionista indipendente che le operazioni infragruppo sono necessarie ai fini della continuità aziendale, per le imprese del gruppo per le quali l’accordo di ristrutturazione non ha carattere liquidatorio, e sono coerenti con l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo. L’attestazione è richiesta dall’art. 285, comma 2, per i piani concordatari, ma il requisito del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese, da intendersi nel senso ora detto, è previsto anche per gli accordi di ristrutturazione dall’art. 284, comma 4, con la conseguenza che la previsione dell’art. 285, comma 2, deve ritenersi applicabile anche agli accordi, riguardando la disciplina del piano in rapporto al generale principio dettato dall’art. 2740 c.c.
Naturalmente va messo in evidenza quanto si è già osservato e cioè che queste condizioni non riguardano il trattamento dei creditori aderenti all’accordo e di quelli estranei che vengono integralmente soddisfatti, perché per i primi vale l’adesione espressa all’accordo e per i secondi la necessità del soddisfacimento integrale nei 120 giorni dall’omologazione o dalla scadenza del credito se successiva. L’esigenza ora indicata riguarda soltanto i creditori non aderenti nel caso degli accordi ad efficacia estesa per i quali si verifica l’effetto di trascinamento.
5 . Ulteriori requisiti della domanda
La domanda, in tutti e tre i tipi di accordo di ristrutturazione disciplinati dagli artt. 57, 60 e 61 CCII, deve fornire “informazioni analitiche, complete e aggiornate sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali esistenti tra le imprese, come prevede l’art. 284 del codice. Alla domanda dovrà essere allegato il bilancio consolidato di gruppo, se esistente, e la documentazione prevista per la procedura individuale. Per agevolare l’operato del tribunale dovranno essere anche indicati il registro o i registri delle imprese sui quali è stata effettuata la pubblicità ai sensi dell’art. 2497 c.c.
Il legislatore ha cura di ripetere queste prescrizioni nell’art. 289 con riferimento alla domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza presentata da un’impresa del gruppo, anche in via individuale.
6 . Il giudizio di omologazione: la disciplina applicabile
Come si è già osservato, la disciplina degli accordi di ristrutturazione di gruppo è lacunosa perché il legislatore negli artt. 284-286 ha fatto riferimento soprattutto al concordato preventivo di gruppo[14]. 
Così l’art. 286 che regola il procedimento è intitolato procedimento di concordato di gruppo, mentre gli accordi sono soltanto menzionati dall’art. 285, comma 3, con riferimento al giudizio di omologazione. La norma si limita a precisare nell’ultimo periodo che i creditori non aderenti possono proporre opposizione all’omologazione degli accordi di ristrutturazione, mentre il contenuto del giudizio richiesto al tribunale ai fini dell’omologa è meglio indicato dal successivo quarto comma, che tratta congiuntamente del concordato preventivo e degli accordi.
Già si è osservato che i creditori non aderenti hanno diritto all’integrale soddisfacimento dei loro crediti in base alla disciplina specifica prevista dagli artt. 57 e 60 CCII. Soltanto per i creditori non aderenti che subiscano l’effetto dell’estensione degli accordi ad efficacia estesa può trovare applicazione il principio dettato dall’art. 285, comma 4, per cui l’opposizione è ammissibile quando essi non trovino soddisfacimento in misura almeno corrispondente a quanto potrebbero ricavare in caso di liquidazione giudiziale. Ciò non esclude ovviamente che, eccezion fatta per i creditori trascinati, tutti i creditori non aderenti possano proporre opposizione quando l’accordo non garantisca l’integrale soddisfacimento dei loro crediti. Sotto questo profilo verranno in esame anche le conseguenze dei trasferimenti infragruppo previste dal piano unitario o dai piani reciprocamente collegati ed interferenti. 
Va poi osservato che l’art. 285, comma 5, prevede per il solo concordato di gruppo che i soci possano far valere il pregiudizio arrecato dal piano o dai piani alla redditività ed al valore della partecipazione sociale. Nonostante la portata letterale della norma non vi sono ragioni per escludere che l’opposizione possa essere proposta anche nel caso degli accordi di ristrutturazione di gruppo sia perché la posizione dei soci non è diversa nell’uno e nell’altro caso, sia perché l’art. 48, comma 4, per gli accordi monistici prevede la legittimazione a proporre opposizione non soltanto dei creditori, ma di ogni altro interessato. Non vi sono ragioni per ritenere che nel caso degli accordi di gruppo debba valere una regola più restrittiva, che si risolverebbe in una ingiustificata disparità di trattamento e compressione del diritto di difesa[15]. 
Le norme ora considerate vanno lette alla luce degli artt. 120 bis e ss. CCII, che prevedono che al buon fine dell’esito della ristrutturazione il piano di ogni strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e quindi anche di un accordo di ristrutturazione, possa prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale ed altre operazioni straordinarie che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci. Tali modifiche statutarie sono decise direttamente dagli amministratori, che non sono revocabili che per giusta causa, che non è rappresentata dalla domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 120 bis CCII). Gli effetti della delibera relativa alle operazioni straordinarie seguono al provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi (art. 120 quinquies, comma 1, CCII). L’art. 120 quater prevede che i soci possano opporsi all’omologazione al fine di far valere il pregiudizio rispetto all’alternativa liquidatoria con riferimento al solo concordato preventivo, ma è ragionevole ritenere che analogo diritto debba essere riconosciuto ai soci anche in ipotesi di accordo di ristrutturazione[16].
Altra e diversa questione è se la possibilità dei creditori nel caso di concordato preventivo, riconosciuta dall’art. 116 CCII, di far valere nelle forme dell’opposizione all’omologazione l’opposizione alle operazioni di trasformazione, fusione, scissione previste dal piano[17], possa essere estesa all’opposizione all’accordo di ristrutturazione di gruppo. In dottrina si è affermato che l’opposizione ex art. 116 si applica anche agli accordi di ristrutturazione, se non altro in uniformità con le regole previste per l’opposizione dei soci dagli artt. 120 bis e ss[18]. Non vi sono quindi ragioni per ritenere che tale rimedio non possa valere nel caso degli accordi di gruppo. 
Ci limitiamo ad osservare, in contrasto con la tesi che in passato affermava la portata eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica dell’art. 116, che con l’opposizione i creditori non aderenti fanno valere la possibile lesione del loro diritto all’integrale soddisfacimento del loro credito che consegue all’attuazione del piano, di cui l’operazione straordinaria è pur sempre parte[19]. 
Quanto al procedimento alcune delle norme dettate dall’art. 286 hanno portata generale e rispondono ad una ratio che è comune al concordato preventivo e alla domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Altre invece sono specifiche della disciplina del concordato. Soltanto per le prime può proporsi un’interpretazione analogica.
L’art. 48, comma 4, CCII dispone che, quando è presentata una domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione, i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione con memoria depositata entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese. Il tribunale all’esito della comunicazione del provvedimento di fissazione di udienza in camera di consiglio a cura del debitore ai creditori, ai terzi che hanno proposto opposizione, al commissario giudiziale, se nominato, effettuata l’istruttoria e sentito il commissario giudiziale, omologa o respinge con sentenza, eventualmente dichiarando aperta la liquidazione giudiziale se vi è istanza di uno dei soggetti legittimati in tal senso.
La medesima procedura si applica anche nel caso di domanda di accordi di gruppo, perché il legislatore non ha previsto una disciplina diversa. Va sottolineato che l’apertura della liquidazione giudiziale non avverrà nelle forme della procedura di gruppo, in difetto di istanza in tal senso dei soggetti a tanto legittimati e della ricorrenza dei requisiti a tal fine previsti dall’art. 287 CCII. 
L’art. 286, primo comma, prevede nel caso del concordato preventivo di gruppo una deroga alla competenza del tribunale nel cui circondario si trova il COMI del debitore che ha presentato la domanda ai sensi dell’art. 40 CCII, stabilita dall’art. 27, comma 2, del codice per tutti i procedimenti di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Nel caso del concordato di gruppo è competente il tribunale individuato in base al COMI della società, ente o persona fisica che esercita l’attività di direzione e coordinamento secondo la pubblicità prevista dall’art. 2497 bis c.c. ovvero, in mancanza, al COMI dell’impresa che presenta la maggior esposizione debitoria secondo l’ultimo bilancio approvato. In entrambi i casi si guarda ai soli soggetti che hanno presentato l’unico ricorso. 
La norma, come si è detto, non è richiamata per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione di gruppo, ma non vi sono ragioni per applicare una disciplina diversa. Va anzi sottolineato che poiché il procedimento si apre sulla base di un unico ricorso, non vi sarebbero altrimenti criteri per individuare il tribunale competente, salvo concludere che si possa far luogo ad una competenza diffusa di uno qualsiasi dei tribunali nel cui circondario si trova il COMI di una delle imprese che hanno sottoscritto l’unico ricorso relativo all’accordo di gruppo. 
Pare pertanto ragionevole ritenere, stante l’identità di ratio rispetto alla disciplina del concordato di gruppo, che il principio affermato dall’art. 286, comma 1, possa essere applicato anche per individuare il tribunale competente a conoscere dell’unico ricorso per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione e delle relative opposizioni. 
Anche le regole stabilite dal secondo e terzo comma dell’art. 286 possono ritenersi espressione di principi generali. Per il concordato di gruppo la norma prevede che il tribunale, ove accolga il ricorso, nomini un unico giudice delegato ed un unico commissario giudiziale, disponendo il deposito di un unico fondo per le spese di giustizia. Negli accordi di ristrutturazione il legislatore non prevede la figura del giudice delegato, mentre la nomina del commissario giudiziale è facoltativa e rimessa alla valutazione discrezionale del tribunale, salvo il caso che siano pendenti istanze di liquidazione giudiziale, e la nomina sia necessaria per tutelare gli interessi delle parti istanti, come prevede l’art. 40, comma 4, del codice, o sia proposta domanda con riserva ai sensi dell’art. 44 CCII. 
Entro questi limiti non vi sono ragioni per ritenere che il commissario giudiziale, se nominato, non possa essere unico per tutte le imprese che hanno chiesto l’apertura del giudizio di omologazione degli accordi di gruppo. Non è ovviamente questione di nomina di un unico comitato dei creditori, come prevede il comma 7 dell’art. 286, perché tale istituto non si applica negli accordi di ristrutturazione. 
Per le stesse ragioni non vi sono motivi per ritenere che non possa essere previsto un fondo spese unitario o per non applicare il terzo comma dell’art. 286 dove prevede che i costi della procedura siano ripartiti fra le imprese del gruppo che partecipano al procedimento in proporzione alle rispettive masse. 
Non sono suscettibili di estensione agli accordi le disposizioni dell’art. 286 che regolano il voto dei creditori che negli accordi è sostituito dalla manifestazione espressa del consenso. 
La regolazione della risoluzione ed annullamento del concordato di gruppo contenuta nell’ultimo comma dell’art. 286 si riferisce ad una disciplina, quella prevista per il concordato preventivo dagli artt. 119 e 120 CCII, che non trova corrispondenza nell’ambito degli accordi di ristrutturazione. La norma è però espressione del favor del legislatore per la conservazione degli effetti omologatori quando il vizio funzionale o gli effetti dell’inadempimento non coinvolgono l’intero gruppo in crisi o insolvente. 
In dottrina si è affrontato il tema, nel vigore della legge fallimentare, del carattere concorsuale della procedura monistica e della possibilità di applicare anche ad essa la disciplina dell’annullamento e risoluzione prevista per il concordato preventivo[20], dovendosi altrimenti far riferimento alle norme in tema di risoluzione ed annullamento del contratto. La prima soluzione è stata inizialmente considerata non praticabile in ragione del carattere prettamente negoziale della procedura. La progressiva introduzione di profili vincolanti anche per i creditori non aderenti in ordine agli effetti delle misure protettive e al termine di 120 giorni dall’omologazione per il soddisfacimento dei crediti scaduti, in un con la più ampia e diversa nozione di concorsualità accolta dalla giurisprudenza[21], consente forse di ritenere possibile l’estensione della disciplina della risoluzione ed annullamento del concordato anche agli accordi. Il codice della crisi, tuttavia, non ha preso posizione sul punto né ha voluto fornire una nozione di procedura concorsuale[22], lasciando la questione al dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Il tema, tuttavia, ha assunto una minor rilevanza, posto che la giurisprudenza si era orientata, nel vigore della legge fallimentare, nel ritenere, con riguardo al concordato preventivo, che non occorresse la risoluzione o l’annullamento per far luogo, in caso di inadempimento, alla dichiarazione di fallimento, oggi liquidazione giudiziale[23]. Tale soluzione non è stata peraltro seguita dal legislatore che nell’art. 119, ultimo comma, CCII ha affermato il principio opposto. 
Ove si ritenga che l’intera disciplina della risoluzione ed annullamento del concordato preventivo monistico contenuta nell’art. 119 possa essere estesa anche all’accordo di ristrutturazione, non vi sarebbero ragioni per giungere a conclusioni differenti nel caso della disciplina di gruppo. Senza voler sostenere tale conclusione, che presenta obiettivi problemi interpretativi, si può osservare che, anche ammettendo che alla risoluzione o all’annullamento dell’accordo di ristrutturazione per una delle imprese del gruppo si possa giungere ricorrendo agli ordinari strumenti previsti dalla disciplina del contratto, la regola dettata dall’art. 286, ultimo comma, si giustifica in ragione del carattere unitario della procedura di gruppo[24] e dell’esigenza di non pregiudicare gli interessi dei creditori delle altre imprese quando l’inadempimento o la causa di annullamento non comprometta significativamente l’attuazione del piano anche da parte di tali imprese. Si tratta di ratio ragionevolmente comune anche alla soluzione della crisi di gruppo per mezzo degli accordi di ristrutturazione, che trae oltretutto la sua ratio ispiratrice dall’art. 1420 c.c. in tema di nullità nel contratto plurilaterale. La disciplina civilistica riguarda, com’è noto, non soltanto i casi di nullità nel contratto plurilaterale, ma anche i casi di annullamento, risoluzione per inadempimento e impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1446, 1459, 1466 c.c.). 
Se l’art. 1420 richiede che le prestazioni di ciascuna delle parti siano dirette al conseguimento di uno scopo comune, negli accordi di ristrutturazione di gruppo il piano o i piani reciprocamente collegati ed interferenti sono funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori. Vi sono dunque serie ragioni per ritenere che il principio espresso dall’art. 286, ultimo comma, possa essere riferito anche agli accordi di ristrutturazione, quale che possa essere la via per cui si perviene al loro annullamento o risoluzione. 


*Lo scritto riprende i contenuti della relazione tenuta dall’A. nel Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel Codice della Crisi: attualità e prospettive, Centro Malaguzzi (ex area Locatelli) Auditorium Anna Maria e Marco Gerra, Reggio Emilia, 20 ottobre 2023.

Note:

è1] 
G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nei CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, 414.
[2] 
Trib. Catania, 22 marzo 2023, in Fallimento, 2023, 809 con nota di L. Panzani, La liquidazione giudiziale di gruppo al vaglio della giurisprudenza. Cfr. anche in tema di legittimazione a richiedere la liquidazione giudiziale di gruppo Trib. Catania, 9 novembre 2022, ivi, 2023, 389 con nota di L. Benedetti, La liquidazione giudiziale di gruppo: una prima pronuncia giurisprudenziale.
[3] 
Sul concordato di gruppo rinviamo a G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 277: L.Panzani, Il concordato di gruppo, in Dirittodellacrisi, 31 ottobre 2020; G. Ferri, Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in D. Vattermoli (a cura di), I gruppi nel Codice della crisi, Pisa, 2020, 35 ss.; N. Abriani, La disciplina dei gruppi di imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 10 novembre 2022; L. Benedetti, La nuova disciplina del concordato di gruppo: tra separate entity ed enterprise approach, Milano, 2022.
[4] 
Sugli accordi di ristrutturazione nella vigenza della legge fallimentare si vedano, ex multis, S. Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare: prime riflessioni, in Fallimento, 2005, 137; Id., sub art. 182-bis, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Torino, 2007, 2533; S. Bonfatti, Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa: piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione, in Diritto bancario, 26 settembre 2018; B. Conca, L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la convenzione di moratoria: disciplina e prime considerazioni applicative, in Il Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e nuova disciplina in materia bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, 714; M. Arato, Il nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti vs concordato preventivo, ivi, 732; G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, 48; M. Fabiani, Dal codice della crisi d’impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in Ilcaso, 14 ottobre 2018; Id., La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione, in Fallimento., 2018, 296; L. Panzani, Le alternative al fallimento. Il concordato e gli accordi di ristrutturazione dopo il D.L. 83/2015, in Nuovo dir. soc., 2015, 219 ss; F. Rolfi- E. Staunovo Polacco- R. Ranalli, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Autonomia negoziale e concorsualità, Milano, 2016; C. Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono una “procedura concorsuale”: la Cassazione completa il percorso, in Fallimento, 2018, 988 ss.; Id., Piano attestato di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2016.
Sugli accordi di ristrutturazione nel codice della crisi si vedano C. Silocchi, La nuova scommessa degli accordi di ristrutturazione, in Dirittodellacrisi.it, 2020; A. Farolfi, Brevi note in tema di accordi di ristrutturazione, ivi, 2 novembre 2023.
[5] 
N. Abriani, Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, in Dirittodellacrisi.it, 13 maggio 2021.
[6] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, 328 che osserva che “in linea teorica non deve ritenersi vietato includere nella stessa procedura di omologazione accordi con caratteristiche diverse, a condizione, beninteso, che siano integrate le specifiche condizioni richieste per ciascuna tipologia di accordo”. 
[7] 
Del resto anche per i piani attestati di gruppo l’art. 284, comma 5, considera sia il piano unitario che i piani reciprocamente collegati ed interferenti.
[8] 
Relazione governativa, sub art. 284.
[9] 
A. NIGRO, I gruppi nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Notazioni generali, in I gruppi nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di D. Vattermoli, Pisa, 2020, 29.
[10] 
Cfr. implicitamente Trib. Bergamo, 26 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it, 2023.
[11] 
Sulla teoria dei vantaggi compensativi, ex multis, si vedano: P. Montalenti, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, V, 726 ss; Id., Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi: l’evoluzione giurisprudenziale, in Giur. it., XII, 1999, 2317 ss; Id., L’attività di direzione e coordinamento: dottrina, prassi, giurisprudenza, in Giur. comm., 2016, II, 115 ss; A. Valzer, Le responsabilità da direzione e coordinamento di società, Torino, 2011, 69 ss; Id., Commento all’art. 2497 c.c., in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, a cura di M. Campobasso, V. Cariello e U. Tombari, Milano, 2016, II, 3021 ss; G. Sbisà, Commento all’art. 2497 c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L. A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2012, 55 ss; Id., Responsabilità della capogruppo e vantaggi compensativi, in Contr. impr., 2003, II, 291 ss; N. Abriani, Gruppi di società e criterio dei vantaggi compensativi nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2002, V, 616 ss; Marchisio, Usi alternativi del gruppo di società. La regolazione dei gruppi tra disciplina del «governo» delle società e diritto settoriale delle imprese, Napoli, 2009, 102 ss; A. Mambriani, I gruppi di società, in A. Mambriani – G. Racugno, Bilancio e libri sociali. Gruppi di società, Milano, 2019, 502 ss. G. Scognamiglio, I gruppi, cit., 427 ss.; G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Fallimento, 2019, 277 ss.; G. Ferri, Il concordato Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in D. Vattermoli (a cura di), I gruppi nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Pisa, 2020, 49 s. 
[12] 
Si vedano in proposito con riguardo all’ammissibilità del concordato di gruppo prima dell’entrata in vigore del codice della crisi Cass., 13 ottobre 2015, n. 20559. In senso conforme anche Cass., 17 ottobre 2018, n. 26005. In dottrina in merito al tema dell’autonomia delle masse prima del codice cfr. D. Vattermoli, Gruppi insolventi e «consolidamento» di patrimoni (substantive consolidation), in RDS, 2010, III, 586 ss; L. Panzani, L’insolvenza nei gruppi di società, in Riv. dir. impr., 2009, III, 527 ss.
[13] 
Nel senso che l’espressa previsione dei vantaggi compensativi comporta il superamento della questione della possibile violazione dell’art. 2740 si veda per tutti G. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in Orizzonti del diritto commerciale, 2019, III, 701.
[14] 
Sul giudizio di omologazione in generale si veda I. Pagni - M. Fabiani, I giudizi di omologazione nel codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 31 agosto 2022.
[15] 
In questo senso A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Ristrutturazioni aziendali, 11 ottobre 2022.
[16] 
Il tema è naturalmente molto più ampio e riguarda quali altri violazioni dei diritti dei soci possano essere fatte valere con l’opposizione o l’eventuale sopravvivenza di rimedi impugnatori di tipo societario. Non è possibile affrontare tali questioni in questa sede. Ci limitiamo a rinviare a E. La Marca, L. Panzani, Impresa vs. soci nella regolazione della crisi. Osservazioni preliminari su alcune principali novità introdotto con l’attuazione della Direttiva Insolvency, in Nuovo Dir. Società, 2022, 1469 e ss.
[17] 
A. Nigro, La nuova disciplina cit., afferma l’impossibilità di prevedere nel piano operazioni di trasformazione, fusione e scissione destinate a realizzarsi prima dell’omologazione, che invece l’art. 116 espressamente prevede. In questo senso va l’art. 120 quinquies, comma 1, CCII. Aggiunge che l’accoglimento dell’opposizione dovrebbe comportare non soltanto l’inefficacia dell’operazione straordinaria, ma il diniego dell’omologazione.
[18] 
Ancora A. Nigro, op.cit.
[19] 
M. Ferro, Commento sub art. 182-bis l.f., in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, 2014, 2536; G. Nardecchia, Commento sub art. 182-bis l.f., in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, Milano, 2010, III, 815.
[20] 
F. Mancuso, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti: patologie negoziali e rimedi, in Dir.fall. 2018, I, 795 e ss.; E. Capobianco, Le patologie degli accordi di ristrutturazione, ivi, 2013, II, 186.
[21] 
Cass., 25 gennaio 2018, n.1896, in Banca, Borsa, tit.cred., 2018, II, 515; Cass. 21 dicembre 2021 n. 40913, Dejure.it; Cass., 8 maggio 2019, n. 12064, in Fallimento, 2019, 1327, Cass. 18 gennaio 2018 n. 1182; Cass. 12 aprile 2018 n. 9087; Cass. 21 giugno 2018, n. 16347, tutte in Dejure.it; Cass., 8 maggio 2019, n. 12064, in Fallimento, 2019, 1327. In dottrina sul tema rinviamo a G. D’Attorre, La concorsualità “liquida” nella composizione negoziata, in Fallimento, 2022, 301; M. Spiotta, É necessaria o inutile una definizione di procedura concorsuale (o di procedura di regolazione della crisi o di quadro di ristrutturazione)? Quando le categorie generali possono conservare funzionalità, in Dirittodellacrisi.it, 2022; M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza-Roma, 2023, 177; Id., La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione, in Fallimento, 2018, 288; Id, Nuova finanza prededucibile negli accordi di ristrutturazione e nell’esecuzione del concordato preventivo: alla ricerca della razionalità, in Dirittodellacrisi.it, 13 novembre 2023.
[22] 
L’espressione, com’è noto, è utilizzata dall’art. 170, comma 2, CCII, ma si tratta chiaramente di un difetto di coordinamento.
[23] 
Cass. S.U. 14 febbraio 2022, n. 4696, in Fallimento, 2022, 461 con nota di F. De Santis, Le Sezioni Unite e la dichiarazione di fallimento omisso medio. (Concordato preventivo).
[24] 
G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 286 e ss.

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