Come si è già osservato, la disciplina degli accordi di ristrutturazione di gruppo è lacunosa perché il legislatore negli artt. 284-286 ha fatto riferimento soprattutto al concordato preventivo di gruppo[14].
Così l’art. 286 che regola il procedimento è intitolato procedimento di concordato di gruppo, mentre gli accordi sono soltanto menzionati dall’art. 285, comma 3, con riferimento al giudizio di omologazione. La norma si limita a precisare nell’ultimo periodo che i creditori non aderenti possono proporre opposizione all’omologazione degli accordi di ristrutturazione, mentre il contenuto del giudizio richiesto al tribunale ai fini dell’omologa è meglio indicato dal successivo quarto comma, che tratta congiuntamente del concordato preventivo e degli accordi.
Già si è osservato che i creditori non aderenti hanno diritto all’integrale soddisfacimento dei loro crediti in base alla disciplina specifica prevista dagli artt. 57 e 60 CCII. Soltanto per i creditori non aderenti che subiscano l’effetto dell’estensione degli accordi ad efficacia estesa può trovare applicazione il principio dettato dall’art. 285, comma 4, per cui l’opposizione è ammissibile quando essi non trovino soddisfacimento in misura almeno corrispondente a quanto potrebbero ricavare in caso di liquidazione giudiziale. Ciò non esclude ovviamente che, eccezion fatta per i creditori trascinati, tutti i creditori non aderenti possano proporre opposizione quando l’accordo non garantisca l’integrale soddisfacimento dei loro crediti. Sotto questo profilo verranno in esame anche le conseguenze dei trasferimenti infragruppo previste dal piano unitario o dai piani reciprocamente collegati ed interferenti.
Va poi osservato che l’art. 285, comma 5, prevede per il solo concordato di gruppo che i soci possano far valere il pregiudizio arrecato dal piano o dai piani alla redditività ed al valore della partecipazione sociale. Nonostante la portata letterale della norma non vi sono ragioni per escludere che l’opposizione possa essere proposta anche nel caso degli accordi di ristrutturazione di gruppo sia perché la posizione dei soci non è diversa nell’uno e nell’altro caso, sia perché l’art. 48, comma 4, per gli accordi monistici prevede la legittimazione a proporre opposizione non soltanto dei creditori, ma di ogni altro interessato. Non vi sono ragioni per ritenere che nel caso degli accordi di gruppo debba valere una regola più restrittiva, che si risolverebbe in una ingiustificata disparità di trattamento e compressione del diritto di difesa[15].
Le norme ora considerate vanno lette alla luce degli artt. 120 bis e ss. CCII, che prevedono che al buon fine dell’esito della ristrutturazione il piano di ogni strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, e quindi anche di un accordo di ristrutturazione, possa prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale ed altre operazioni straordinarie che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci. Tali modifiche statutarie sono decise direttamente dagli amministratori, che non sono revocabili che per giusta causa, che non è rappresentata dalla domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 120 bis CCII). Gli effetti della delibera relativa alle operazioni straordinarie seguono al provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi (art. 120 quinquies, comma 1, CCII). L’art. 120 quater prevede che i soci possano opporsi all’omologazione al fine di far valere il pregiudizio rispetto all’alternativa liquidatoria con riferimento al solo concordato preventivo, ma è ragionevole ritenere che analogo diritto debba essere riconosciuto ai soci anche in ipotesi di accordo di ristrutturazione[16].
Altra e diversa questione è se la possibilità dei creditori nel caso di concordato preventivo, riconosciuta dall’art. 116 CCII, di far valere nelle forme dell’opposizione all’omologazione l’opposizione alle operazioni di trasformazione, fusione, scissione previste dal piano[17], possa essere estesa all’opposizione all’accordo di ristrutturazione di gruppo. In dottrina si è affermato che l’opposizione ex art. 116 si applica anche agli accordi di ristrutturazione, se non altro in uniformità con le regole previste per l’opposizione dei soci dagli artt. 120 bis e ss[18]. Non vi sono quindi ragioni per ritenere che tale rimedio non possa valere nel caso degli accordi di gruppo.
Ci limitiamo ad osservare, in contrasto con la tesi che in passato affermava la portata eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica dell’art. 116, che con l’opposizione i creditori non aderenti fanno valere la possibile lesione del loro diritto all’integrale soddisfacimento del loro credito che consegue all’attuazione del piano, di cui l’operazione straordinaria è pur sempre parte[19].
Quanto al procedimento alcune delle norme dettate dall’art. 286 hanno portata generale e rispondono ad una ratio che è comune al concordato preventivo e alla domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Altre invece sono specifiche della disciplina del concordato. Soltanto per le prime può proporsi un’interpretazione analogica.
L’art. 48, comma 4, CCII dispone che, quando è presentata una domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione, i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione con memoria depositata entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese. Il tribunale all’esito della comunicazione del provvedimento di fissazione di udienza in camera di consiglio a cura del debitore ai creditori, ai terzi che hanno proposto opposizione, al commissario giudiziale, se nominato, effettuata l’istruttoria e sentito il commissario giudiziale, omologa o respinge con sentenza, eventualmente dichiarando aperta la liquidazione giudiziale se vi è istanza di uno dei soggetti legittimati in tal senso.
La medesima procedura si applica anche nel caso di domanda di accordi di gruppo, perché il legislatore non ha previsto una disciplina diversa. Va sottolineato che l’apertura della liquidazione giudiziale non avverrà nelle forme della procedura di gruppo, in difetto di istanza in tal senso dei soggetti a tanto legittimati e della ricorrenza dei requisiti a tal fine previsti dall’art. 287 CCII.
L’art. 286, primo comma, prevede nel caso del concordato preventivo di gruppo una deroga alla competenza del tribunale nel cui circondario si trova il COMI del debitore che ha presentato la domanda ai sensi dell’art. 40 CCII, stabilita dall’art. 27, comma 2, del codice per tutti i procedimenti di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Nel caso del concordato di gruppo è competente il tribunale individuato in base al COMI della società, ente o persona fisica che esercita l’attività di direzione e coordinamento secondo la pubblicità prevista dall’art. 2497 bis c.c. ovvero, in mancanza, al COMI dell’impresa che presenta la maggior esposizione debitoria secondo l’ultimo bilancio approvato. In entrambi i casi si guarda ai soli soggetti che hanno presentato l’unico ricorso.
La norma, come si è detto, non è richiamata per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione di gruppo, ma non vi sono ragioni per applicare una disciplina diversa. Va anzi sottolineato che poiché il procedimento si apre sulla base di un unico ricorso, non vi sarebbero altrimenti criteri per individuare il tribunale competente, salvo concludere che si possa far luogo ad una competenza diffusa di uno qualsiasi dei tribunali nel cui circondario si trova il COMI di una delle imprese che hanno sottoscritto l’unico ricorso relativo all’accordo di gruppo.
Pare pertanto ragionevole ritenere, stante l’identità di ratio rispetto alla disciplina del concordato di gruppo, che il principio affermato dall’art. 286, comma 1, possa essere applicato anche per individuare il tribunale competente a conoscere dell’unico ricorso per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione e delle relative opposizioni.
Anche le regole stabilite dal secondo e terzo comma dell’art. 286 possono ritenersi espressione di principi generali. Per il concordato di gruppo la norma prevede che il tribunale, ove accolga il ricorso, nomini un unico giudice delegato ed un unico commissario giudiziale, disponendo il deposito di un unico fondo per le spese di giustizia. Negli accordi di ristrutturazione il legislatore non prevede la figura del giudice delegato, mentre la nomina del commissario giudiziale è facoltativa e rimessa alla valutazione discrezionale del tribunale, salvo il caso che siano pendenti istanze di liquidazione giudiziale, e la nomina sia necessaria per tutelare gli interessi delle parti istanti, come prevede l’art. 40, comma 4, del codice, o sia proposta domanda con riserva ai sensi dell’art. 44 CCII.
Entro questi limiti non vi sono ragioni per ritenere che il commissario giudiziale, se nominato, non possa essere unico per tutte le imprese che hanno chiesto l’apertura del giudizio di omologazione degli accordi di gruppo. Non è ovviamente questione di nomina di un unico comitato dei creditori, come prevede il comma 7 dell’art. 286, perché tale istituto non si applica negli accordi di ristrutturazione.
Per le stesse ragioni non vi sono motivi per ritenere che non possa essere previsto un fondo spese unitario o per non applicare il terzo comma dell’art. 286 dove prevede che i costi della procedura siano ripartiti fra le imprese del gruppo che partecipano al procedimento in proporzione alle rispettive masse.
Non sono suscettibili di estensione agli accordi le disposizioni dell’art. 286 che regolano il voto dei creditori che negli accordi è sostituito dalla manifestazione espressa del consenso.
La regolazione della risoluzione ed annullamento del concordato di gruppo contenuta nell’ultimo comma dell’art. 286 si riferisce ad una disciplina, quella prevista per il concordato preventivo dagli artt. 119 e 120 CCII, che non trova corrispondenza nell’ambito degli accordi di ristrutturazione. La norma è però espressione del favor del legislatore per la conservazione degli effetti omologatori quando il vizio funzionale o gli effetti dell’inadempimento non coinvolgono l’intero gruppo in crisi o insolvente.
In dottrina si è affrontato il tema, nel vigore della legge fallimentare, del carattere concorsuale della procedura monistica e della possibilità di applicare anche ad essa la disciplina dell’annullamento e risoluzione prevista per il concordato preventivo[20], dovendosi altrimenti far riferimento alle norme in tema di risoluzione ed annullamento del contratto. La prima soluzione è stata inizialmente considerata non praticabile in ragione del carattere prettamente negoziale della procedura. La progressiva introduzione di profili vincolanti anche per i creditori non aderenti in ordine agli effetti delle misure protettive e al termine di 120 giorni dall’omologazione per il soddisfacimento dei crediti scaduti, in un con la più ampia e diversa nozione di concorsualità accolta dalla giurisprudenza[21], consente forse di ritenere possibile l’estensione della disciplina della risoluzione ed annullamento del concordato anche agli accordi. Il codice della crisi, tuttavia, non ha preso posizione sul punto né ha voluto fornire una nozione di procedura concorsuale[22], lasciando la questione al dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Il tema, tuttavia, ha assunto una minor rilevanza, posto che la giurisprudenza si era orientata, nel vigore della legge fallimentare, nel ritenere, con riguardo al concordato preventivo, che non occorresse la risoluzione o l’annullamento per far luogo, in caso di inadempimento, alla dichiarazione di fallimento, oggi liquidazione giudiziale[23]. Tale soluzione non è stata peraltro seguita dal legislatore che nell’art. 119, ultimo comma, CCII ha affermato il principio opposto.
Ove si ritenga che l’intera disciplina della risoluzione ed annullamento del concordato preventivo monistico contenuta nell’art. 119 possa essere estesa anche all’accordo di ristrutturazione, non vi sarebbero ragioni per giungere a conclusioni differenti nel caso della disciplina di gruppo. Senza voler sostenere tale conclusione, che presenta obiettivi problemi interpretativi, si può osservare che, anche ammettendo che alla risoluzione o all’annullamento dell’accordo di ristrutturazione per una delle imprese del gruppo si possa giungere ricorrendo agli ordinari strumenti previsti dalla disciplina del contratto, la regola dettata dall’art. 286, ultimo comma, si giustifica in ragione del carattere unitario della procedura di gruppo[24] e dell’esigenza di non pregiudicare gli interessi dei creditori delle altre imprese quando l’inadempimento o la causa di annullamento non comprometta significativamente l’attuazione del piano anche da parte di tali imprese. Si tratta di ratio ragionevolmente comune anche alla soluzione della crisi di gruppo per mezzo degli accordi di ristrutturazione, che trae oltretutto la sua ratio ispiratrice dall’art. 1420 c.c. in tema di nullità nel contratto plurilaterale. La disciplina civilistica riguarda, com’è noto, non soltanto i casi di nullità nel contratto plurilaterale, ma anche i casi di annullamento, risoluzione per inadempimento e impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1446, 1459, 1466 c.c.).
Se l’art. 1420 richiede che le prestazioni di ciascuna delle parti siano dirette al conseguimento di uno scopo comune, negli accordi di ristrutturazione di gruppo il piano o i piani reciprocamente collegati ed interferenti sono funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori. Vi sono dunque serie ragioni per ritenere che il principio espresso dall’art. 286, ultimo comma, possa essere riferito anche agli accordi di ristrutturazione, quale che possa essere la via per cui si perviene al loro annullamento o risoluzione.
*Lo scritto riprende i contenuti della relazione tenuta dall’A. nel Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel Codice della Crisi: attualità e prospettive, Centro Malaguzzi (ex area Locatelli) Auditorium Anna Maria e Marco Gerra, Reggio Emilia, 20 ottobre 2023.