Per quanto si tratti di istituto relativamente giovane per il nostro ordinamento, gli Accordi di Ristrutturazione del Debito, strumenti già molto diffusi nella prassi di molte legislazioni straniere per risolvere in via negoziale la crisi dell'impresa, sono stati oggetto di una normazione convulsa.
L'art. 182-bis (aggiunto dal comma 1 dell'art. 2 del D.L. 35/2005, c.d. “decreto competitività” e sostituito dal co. 4 dell'art. 16 del D.Lgs n. 169/2007), attribuisce all'imprenditore in stato di crisi, la facoltà di domandare l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sulla veridicità dei dati aziendali e sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei, nel rispetto dei termini indicati alle lettere a) e b) dello stesso articolo (120 giorni dall'omologazione per i crediti già scaduti a quella data; 120 giorni dalla scadenza per i crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione).
L'accordo deve essere pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia sin dal giorno della pubblicazione.
Tale pubblicazione produce due importanti effetti:
1) entro trenta giorni dalla stessa, sia i creditori che ogni altro interessato possono proporre opposizione innanzi al tribunale, il quale, una volta decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato, a sua volta reclamabile davanti alla corte d'appello ai sensi dell'art. 183 L. fall.;
2) nei 60 giorni successivi alla data di pubblicazione dell'accordo, sono inibite ai creditori, per titolo e causa anteriore a tale data, sia l'avvio o la prosecuzione delle azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, che l'acquisizione di titoli di prelazione, salvo che non siano stati concordati.
Il divieto può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo, attraverso la presentazione, presso il tribunale competente, della documentazione specificata nel comma 6° dell'art. 182-bis (ovvero la medesima documentazione di cui alle lettere a), b), c) e d) prevista dall'art. 161 L. fall. per il concordato preventivo e una proposta di accordo attestante le trattative in corso con almeno il 60% dei creditori accompagnata dalla relazione di un professionista che ne attesti l'attuabilità e l'idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o hanno negato la disponibilità a trattare).
L'istanza di sospensione viene pubblicata nel registro delle imprese e produce l'effetto del divieto (di inizio o prosecuzione) delle azioni esecutive e cautelari, nonché di acquisire titoli di prelazione se non concordati, sin dalla data di pubblicazione.
In seguito, il tribunale, verificata la documentazione presentata dall'imprenditore, fissa con decreto l'udienza entro 30 giorni, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa.
All'udienza, ove venga riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire all'accordo di ristrutturazione dei debiti, il tribunale dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione nei successivi sessanta giorni, entro i quali va depositato l'accordo definitivo corredato della relazione redatta dal professionista.
Il decreto è reclamabile a norma del quinto comma dell'art 182-bis L. fall..
Più frequentemente, tuttavia, l’effetto sospensivo delle azioni ed il divieto di acquisire titoli di prelazione vengono ottenuti presentando domanda anticipata di concordato preventivo a’ sensi dell’art. 161, comma 6, L. fall..
Dopo il deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, nei termini assegnati dal tribunale, trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 2, 3, e 5 dell'art. 182-bis L. fall..
Se nello stesso termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e settimo.
Sempre all’interno del TITOLO III della Legge Fallimentare (Del concordato preventivo), Capo V (Dell'omologazione e dell'esecuzione del concordato preventivo. Degli accordi di ristrutturazione dei debiti) trovano collocazione le seguenti disposizioni:
art. 182-ter L. fall. (introdotto dal D.Lgs. 5/2006 e modificato dal D.Lgs. 169/2007, dal D.L. 185/2008, dal D.L. 78/2010 e infine dalla L. 232/2016) che prevede l'istituto della transazione fiscale;
art. 182-quater L. fall.(introdotto dal D.L. 31/05/2010 n. 78, convertito in L. 30/07/ 2010 n. 122 e modificato dal D.L. 22/06/2012 n. 83, convertito nella L. n. 134 del 7/08/2012 e dal D.L. 83/2015) che, al fine di agevolare l'accesso al credito alle imprese in crisi, riconosce la prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti contratti in funzione o in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti; art. 182-quinquies L. fall.(introdotto dal D.L. 22/06/2012 n. 83, convertito in L. 7/08/2012 n. 134, e modificato dal D.L. 27/06/2015, n. 83, convertito, con modifiche, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) che mira a favorire la continuità aziendale, promuovendo l'accesso al credito (i) attraverso il riconoscimento della prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti, che devono essere autorizzati dal tribunale, funzionali a urgenti necessità relative all'esercizio dell’attività aziendale, (ii) ovvero mediante l’autorizzazione al pagamento di crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori;
art. 182-sexies L. fall. (anch'esso introdotto dal D.L. n. 83/2012), che ha introdotto la sospensione degli obblighi di capitalizzazione della società durante
i procedimenti di concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione;
art. 182-septies L. fall. (introdotto con D.L. 83/2015) che ha introdotto una forma speciale di accordo di ristrutturazione, caratterizzata dall'esposizione debitoria con il ceto bancario, imprimendo una decisa virata verso il modello concordatario, ponendo al centro il principio maggioritario.
Nonostante questi continui interventi additivi, gli Accordi di Ristrutturazione non hanno riscontrato nel nostro paese quel favore che era lecito attendersi, rimanendo uno strumento relativamente poco utilizzato se rapportato invece al molto più elevato numero dei procedimenti di concordato incardinati avanti i tribunali.
Il dato appare distonico rispetto a quello relativo alla percentuale di successo, inteso come conseguito risanamento ovvero recupero dell’equilibrio economico-finanziario, degli Accordi di Ristrutturazione rispetto a quella dei Concordati.
Studi empirici condotti da SDA Bocconi [3] e OCI [4] , sia pure su campioni limitati, hanno rilevato che la percentuale di buon esito degli Accordi di Ristrutturazione
si attesta attorno al 50%, mentre numericamente gli Accordi di Ristrutturazione sono meno di un decimo dei Concordati presentati.
I medesimi studi hanno rilevato che a questo strumento fanno ricorso prevalentemente imprese di dimensioni medio/grandi.
Le ragioni del limitato ricorso a questo strumento dipendono, ad avviso di chi scrive, da caratteristiche intrinseche dell’istituto e da fattori socioeconomici.
La natura di strumento “negoziale” di risoluzione della crisi, ne costituisce il pregio ma anche il limite.
Posto che l’accordo deve essere sempre raggiunto con la maggioranza (almeno il 60%), ma non a maggioranza, esso risulta vincolante solo per i creditori che vi aderiscono in ossequio al principio della libera disponibilità dei diritti individuali.
Questo comporta che l’imprenditore che si avvia verso una soluzione negoziale della crisi deve quanto meno essere dotato di una provvista di liquidità sufficiente per poter provvedere nel termine previsto dalla Legge (120 giorni) al pagamento dei creditori non aderenti.
E proprio la prospettiva di un rapido pagamento induce spesso i creditori, generalmente quelli non istituzionali o meno esposti, a non aderire all’accordo.
A questo tipo di impasse, ma solo per i creditori di matrice bancaria/ finanziaria, il Legislatore ha offerto una prima risposta con l’introduzione dell’art. 182-septies L. fall..
Il problema permane naturalmente per tutti gli altri creditori; e si tratta di un problema spesso difficilmente superabile perché quasi sempre la presa di coscienza da parte dell’imprenditore della situazione di crisi e della necessità di adottare adeguate contromisure è molto ritardata; raramente la reazione è frutto di una tempestiva ed autonoma consapevolezza, più spesso nasce come necessità di difesa da aggressioni del patrimonio aziendale promosse o minacciate dai creditori.
In breve, come l’esperienza dell’ultimo decennio ha dimostrato, la rilevazione della crisi avviene quando la situazione è quasi sfuggita di mano, la continuità è compromessa, i valori patrimoniali e la capacità produttiva deteriorati.
La mancanza di una adeguata riserva di liquidità e la limitata protezione offerta dallo strumento dell’Accordo di Ristrutturazione rispetto alle iniziative dei creditori (per soli 60 giorni), rendono per lo più impercorribile questa soluzione costringendo il debitore a virare verso l’opzione concordataria.
Il dato relativo alle dimensioni aziendali delle imprese che approcciano questo istituto può forse spiegarsi, da un lato, con una maggior capacità delle aziende strutturate di cogliere, prima che sia troppi tardi, gli incipienti segnali della crisi e, dall’altro, con una minor riluttanza da parte dei creditori di matrice bancaria/finanziaria a negoziare una ristrutturazione del debito (prevalentemente con accordi dilatori) in presenza di esposizioni più significative.