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La nuova scommessa degli accordi di ristrutturazione*

Claudio Silocchi, Avvocato in Mantova

3 Maggio 2020

*Contributo estratto da Dalla Crisi all’emergenza: strumenti e proposte Anti-Covid al servizio della continuità d’impresa, 2020, ebook presente in versione integrale nella sezione La Rivista/Speciali
Lo scritto offre un focus sull’istituto degli accordi di ristrutturazione (c.d. ADR), ipotizzandone in margini di impiego nel tessuto economico sfibrato dalla pandemia. Anche sulla spinta degli incentivi del diritto emergenziale, la minore onerosità degli accordi rispetto agli itinerari concorsuali affini, il tendenziale smarcamento dall’obbligo di rispetto della par condicio e la snellezza e rapidità della fase giudiziale, sembrano consegnare lo strumento ad un’attualità per certi versi inedita.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Dopo dieci anni di non crescita e di crisi più o meno latente per l’economia del nostro paese, l’esplosione della crisi determinata dall’epidemia da Covid-19 (che presto ha assunto le dimensioni di una pandemia, come tale riconosciuta dall’OMS), impone una riflessione circa gli strumenti a disposizione degli imprenditori per fronteggiare la crisi delle proprie aziende, messe a dura prova da un prolungato blocco delle attività imposto dalla normativa emergenziale e dal prevedibile calo dei consumi e della domanda.
Il nostro sguardo sarà rivolto essenzialmente agli Accordi di Ristrutturazione del Debito per valutare, a circa quindici anni dall’introduzione nel nostro ordinamento, l’efficacia di questo strumento e verificare se lo stesso possa ritenersi adeguato per fronteggiare la nuova emergenza: verifica, quest’ultima, che non potrà che essere condotta allo stato dell’arte, senza tener conto delle modifiche all’istituto introdotte dal D.Lgs. 14/2019, posto che l’art. 5 del D.L. 23/2020 ne ha differito l’entrata in vigore al 1° settembre 2021.
In un momento di grande incertezza e fortissima criticità l’opzione è stata quella di proseguire con gli strumenti già rodati ed in relazione ai quali si sono formate prassi consolidate da parte degli Uffici e degli operatori del settore.
Il breve respiro di questo scritto non consente di affrontare funditus la vexata quaestio circa la natura - concorsuale o privatistica - degli accordi di ristrutturazione, questione che non è certamente solo di inquadramento dogmatico, poiché dall’adesione all’uno piuttosto che all’altro orientamento discende anche la possibilità di applicare o meno agli accordi di ristrutturazione norme e principi della concorsualità [1] .
La Cassazione con una serie di pronunce ravvicinate nel corso del 2018, con argomentazioni che non paiono però del tutto persuasive, si è espressa per la natura concorsuale dell’accordo [2] .
Certo non si può negare che gli interventi di modifica della disciplina degli accordi di ristrutturazione del debito succedutisi tra il 2012 ed il 2015 abbiano comportato una certa ibridazione dell’istituto riducendo la distanza dallo strumento concordatario, così come un ulteriore avvicinamento sia stato operato dal Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, tuttavia è evidente che, in mancanza di una definizione di “procedura concorsuale” nella Legge fallimentare vigente (lacuna che neppure il Codice della Crisi ha ritenuto di dover colmare), la soluzione dipende da quali fattori si ritiene di dover assumere quale minimo comune denominatore della “concorsualità”.
Tuttavia, anche a voler seguire l’orientamento della Cassazione e respingere la tesi della natura privatistica, la connotazione negoziale degli accordi di ristrutturazione vale a conferire all’istituto piena autonomia rispetto allo strumento concordatario.
Gli accordi di ristrutturazione sono attesi da una sfida ambiziosa, porsi quale strumento di elezione per il superamento della crisi epidemica e proprio la loro dimensione negoziale, non dovendo sottostare a schemi preconfezionati ed a rigide sequenze procedimentali, può costituire l’elemento di forza in questo momento così convulso per consentire alle imprese di individuare attraverso una tempestiva interlocuzione con i propri creditori la soluzione più idonea, si direbbe “customizzata”, al fine di assicurare una pronta ripartenza non appena i battenti si riapriranno.
2 . L’attuale quadro normativo
Per quanto si tratti di istituto relativamente giovane per il nostro ordinamento, gli Accordi di Ristrutturazione del Debito, strumenti già molto diffusi nella prassi di molte legislazioni straniere per risolvere in via negoziale la crisi dell'impresa, sono stati oggetto di una normazione convulsa.
L'art. 182-bis (aggiunto dal comma 1 dell'art. 2 del D.L. 35/2005, c.d. “decreto competitività” e sostituito dal co. 4 dell'art. 16 del D.Lgs n. 169/2007), attribuisce all'imprenditore in stato di crisi, la facoltà di domandare l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sulla veridicità dei dati aziendali e sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei, nel rispetto dei termini indicati alle lettere a) e b) dello stesso articolo (120 giorni dall'omologazione per i crediti già scaduti a quella data; 120 giorni dalla scadenza per i crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione).
L'accordo deve essere pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia sin dal giorno della pubblicazione.
Tale pubblicazione produce due importanti effetti:
1) entro trenta giorni dalla stessa, sia i creditori che ogni altro interessato possono proporre opposizione innanzi al tribunale, il quale, una volta decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato, a sua volta reclamabile davanti alla corte d'appello ai sensi dell'art. 183 L. fall.;
2) nei 60 giorni successivi alla data di pubblicazione dell'accordo, sono inibite ai creditori, per titolo e causa anteriore a tale data, sia l'avvio o la prosecuzione delle azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, che l'acquisizione di titoli di prelazione, salvo che non siano stati concordati.
Il divieto può essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo, attraverso la presentazione, presso il tribunale competente, della documentazione specificata nel comma 6° dell'art. 182-bis (ovvero la medesima documentazione di cui alle lettere a), b), c) e d) prevista dall'art. 161 L. fall. per il concordato preventivo e una proposta di accordo attestante le trattative in corso con almeno il 60% dei creditori accompagnata dalla relazione di un professionista che ne attesti l'attuabilità e l'idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o hanno negato la disponibilità a trattare).
L'istanza di sospensione viene pubblicata nel registro delle imprese e produce l'effetto del divieto (di inizio o prosecuzione) delle azioni esecutive e cautelari, nonché di acquisire titoli di prelazione se non concordati, sin dalla data di pubblicazione.
In seguito, il tribunale, verificata la documentazione presentata dall'imprenditore, fissa con decreto l'udienza entro 30 giorni, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa.
All'udienza, ove venga riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire all'accordo di ristrutturazione dei debiti, il tribunale dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione nei successivi sessanta giorni, entro i quali va depositato l'accordo definitivo corredato della relazione redatta dal professionista.
Il decreto è reclamabile a norma del quinto comma dell'art 182-bis L. fall..
Più frequentemente, tuttavia, l’effetto sospensivo delle azioni ed il divieto di acquisire titoli di prelazione vengono ottenuti presentando domanda anticipata di concordato preventivo a’ sensi dell’art. 161, comma 6, L. fall..
Dopo il deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, nei termini assegnati dal tribunale, trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 2, 3, e 5 dell'art. 182-bis L. fall..
Se nello stesso termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e settimo.
Sempre all’interno del TITOLO III della Legge Fallimentare (Del concordato preventivo), Capo V (Dell'omologazione e dell'esecuzione del concordato preventivo. Degli accordi di ristrutturazione dei debiti) trovano collocazione le seguenti disposizioni: 
art. 182-ter L. fall. (introdotto dal D.Lgs. 5/2006 e modificato dal D.Lgs. 169/2007, dal D.L. 185/2008, dal D.L. 78/2010 e infine dalla L. 232/2016) che prevede l'istituto della transazione fiscale; 
art. 182-quater L. fall.(introdotto dal D.L. 31/05/2010 n. 78, convertito in L. 30/07/ 2010 n. 122 e modificato dal D.L. 22/06/2012 n. 83, convertito nella L. n. 134 del 7/08/2012 e dal D.L. 83/2015) che, al fine di agevolare l'accesso al credito alle imprese in crisi, riconosce la prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti contratti in funzione o in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti; art. 182-quinquies L. fall.(introdotto dal D.L. 22/06/2012 n. 83, convertito in L. 7/08/2012 n. 134, e modificato dal D.L. 27/06/2015, n. 83, convertito, con modifiche, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) che mira a favorire la continuità aziendale, promuovendo l'accesso al credito (i) attraverso il riconoscimento della prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti, che devono essere autorizzati dal tribunale, funzionali a urgenti necessità relative all'esercizio dell’attività aziendale, (ii) ovvero mediante l’autorizzazione al pagamento di crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori;
art. 182-sexies L. fall. (anch'esso introdotto dal D.L. n. 83/2012), che ha introdotto la sospensione degli obblighi di capitalizzazione della società durante
i procedimenti di concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione;
art. 182-septies L. fall. (introdotto con D.L. 83/2015) che ha introdotto una forma speciale di accordo di ristrutturazione, caratterizzata dall'esposizione debitoria con il ceto bancario, imprimendo una decisa virata verso il modello concordatario, ponendo al centro il principio maggioritario.
Nonostante questi continui interventi additivi, gli Accordi di Ristrutturazione non hanno riscontrato nel nostro paese quel favore che era lecito attendersi, rimanendo uno strumento relativamente poco utilizzato se rapportato invece al molto più elevato numero dei procedimenti di concordato incardinati avanti i tribunali.
Il dato appare distonico rispetto a quello relativo alla percentuale di successo, inteso come conseguito risanamento ovvero recupero dell’equilibrio economico-finanziario, degli Accordi di Ristrutturazione rispetto a quella dei Concordati.
Studi empirici condotti da SDA Bocconi [3] e OCI [4] , sia pure su campioni limitati, hanno rilevato che la percentuale di buon esito degli Accordi di Ristrutturazione
si attesta attorno al 50%, mentre numericamente gli Accordi di Ristrutturazione sono meno di un decimo dei Concordati presentati.
I medesimi studi hanno rilevato che a questo strumento fanno ricorso prevalentemente imprese di dimensioni medio/grandi.
Le ragioni del limitato ricorso a questo strumento dipendono, ad avviso di chi scrive, da caratteristiche intrinseche dell’istituto e da fattori socioeconomici.
La natura di strumento “negoziale” di risoluzione della crisi, ne costituisce il pregio ma anche il limite.
Posto che l’accordo deve essere sempre raggiunto con la maggioranza (almeno il 60%), ma non a maggioranza, esso risulta vincolante solo per i creditori che vi aderiscono in ossequio al principio della libera disponibilità dei diritti individuali.
Questo comporta che l’imprenditore che si avvia verso una soluzione negoziale della crisi deve quanto meno essere dotato di una provvista di liquidità sufficiente per poter provvedere nel termine previsto dalla Legge (120 giorni) al pagamento dei creditori non aderenti.
E proprio la prospettiva di un rapido pagamento induce spesso i creditori, generalmente quelli non istituzionali o meno esposti, a non aderire all’accordo.
A questo tipo di impasse, ma solo per i creditori di matrice bancaria/ finanziaria, il Legislatore ha offerto una prima risposta con l’introduzione dell’art. 182-septies L. fall..
Il problema permane naturalmente per tutti gli altri creditori; e si tratta di un problema spesso difficilmente superabile perché quasi sempre la presa di coscienza da parte dell’imprenditore della situazione di crisi e della necessità di adottare adeguate contromisure è molto ritardata; raramente la reazione è frutto di una tempestiva ed autonoma consapevolezza, più spesso nasce come necessità di difesa da aggressioni del patrimonio aziendale promosse o minacciate dai creditori.
In breve, come l’esperienza dell’ultimo decennio ha dimostrato, la rilevazione della crisi avviene quando la situazione è quasi sfuggita di mano, la continuità è compromessa, i valori patrimoniali e la capacità produttiva deteriorati.
La mancanza di una adeguata riserva di liquidità e la limitata protezione offerta dallo strumento dell’Accordo di Ristrutturazione rispetto alle iniziative dei creditori (per soli 60 giorni), rendono per lo più impercorribile questa soluzione costringendo il debitore a virare verso l’opzione concordataria.
Il dato relativo alle dimensioni aziendali delle imprese che approcciano questo istituto può forse spiegarsi, da un lato, con una maggior capacità delle aziende strutturate di cogliere, prima che sia troppi tardi, gli incipienti segnali della crisi e, dall’altro, con una minor riluttanza da parte dei creditori di matrice bancaria/finanziaria a negoziare una ristrutturazione del debito (prevalentemente con accordi dilatori) in presenza di esposizioni più significative.
3 . Il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
Benché non si possa che fare riferimento alla normativa vigente, appare utile riferire in quale direzione si è mosso il Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza per tentare di rivitalizzare e rendere più efficace questo istituto.
Il Codice, seguendo indicazioni contenute nella legge-delega n.155/2017, ha introdotto tre diverse tipologie di accordo di ristrutturazione:
1. accordo standard o ordinario (art. 57 D.Lgs. 14/2019), del tutto simile a quello disciplinato dalla legge fallimentare all’art. 182-bis;
2. accordo agevolato (art. 60 D.Lgs. 14/2019), che rappresenta invece una novità rispetto alla disciplina precedente; si tratta di un accordo “semplificato” rispetto a quello ordinario, che da questo si differenzia per le seguenti caratteristiche:
(i) la percentuale richiesta dei creditori aderenti (30% contro il 60% dell’accordo ordinario);
(ii) nessuna moratoria nel pagamento dei creditori estranei agli accordi (invece, prevista nell’accordo ordinario);
(iii) rinuncia alle misure protettive temporanee (che possono essere richieste nell’accordo ordinario).
3. accordo ad efficacia estesa (art. 61 D.Lgs. 14/2019) che riprende parzialmente l’art. 182-septies legge fallimentare, ma con una portata soggettiva più ampia, poiché coinvolge anche i creditori non finanziari.
L’accordo ad efficacia estesa postula il rispetto delle seguenti condizioni:
(iv) tutti i creditori appartenenti alla categoria devono essere stati informati dell'avvio delle trattative, messi in condizione di parteciparvi in buona fede e ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, nonché sull'accordo e sui suoi effetti;
(v) l'accordo deve avere carattere non liquidatorio, prevedendo la prosecuzione dell’attività d'impresa in via diretta o indiretta;
inoltre, i creditori vanno soddisfatti in misura significativa oprevalente dal ricavato della continuità aziendale;
(vi) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria devono rappresentare il 75% di tutti i creditori appartenenti alla categoria, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria;
(vii) i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell'accordo possano risultare soddisfatti in base all'accordo stesso in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale
(viii) il debitore deve aver notificato l'accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell'accordo.
Il Codice della Crisi ha quindi tentato di dare una risposta positiva alle voci che da più parti sollecitavano un intervento che potesse dare nuovo (per non dire inedito) slancio ad un istituto le cui potenzialità non sono mai state colte appieno nel nostro paese.
La previsione nel Codice della Crisi di un regime di allerta con il chiaro intento di far emergere precocemente situazioni di potenziale crisi, senza entrare nel merito dei meccanismi di attivazione del sistema, appare coerente con l’obiettivo di favorire il ricorso a strumenti di risoluzione negoziale della crisi.
L’abbassamento della soglia dei creditori aderenti nell’accordo agevolato e soprattutto l’adozione in via generale di un principio maggioritario nell’accordo ad efficacia estesa ci restituiscono uno strumento modulabile, più flessibile ed adattabile alle varie situazioni che in concreto si possono presentare.
La scelta del Legislatore di rinviare de plano l’entrata in vigore dell’intero Codice della Crisi appare giustificata dall’esigenza di evitare che la sperimentazione
del nuovo corpus di norme venga abortita a causa delle criticità contingenti.
Il rinvio dell’entrata in vigore è parso inevitabile per il sistema di allerta che è stato pensato nell’ottica di un quadro economico stabile, caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all’interno del quale gran parte delle imprese non sia colpita dalla crisi.
La medesima scelta risulta invece meno comprensibile per quelle sezioni del Codice suscettibili di immediata applicazione senza determinare un eccesivo carico di lavoro sugli Uffici.
Per i nuovi Accordi di Ristrutturazione, anziché un rinvio, si sarebbe potuta valutare un’anticipazione dell’entrata in vigore.
In questi termini si può forse parlare di un’occasione mancata. La disciplina degli Accordi di Ristrutturazione, quella attuale e quella contenuta nel Codice della Crisi, si snoda infatti in due fasi, l’una di natura stragiudiziale, durante la quale l’imprenditore in stato di crisi deve raggiungere un accordo con i propri creditori. L’altra fase, esclusivamente giudiziale, prende avvio con il deposito dell’accordo in Tribunale e l’iscrizione dello stesso nel registro delle imprese, con la contestuale richiesta da parte dell’imprenditore dell’omologa del Tribunale entro sessanta giorni. Solo eventualmente nella prima fase si può innestare la sollecitazione al Tribunale per ottenere in via anticipata una temporanea protezione.
In linea generale, va quindi osservato come l’intervento del Giudice in relazione agli Accordi di Ristrutturazione è molto meno invasivo e pervasivo che nei procedimenti di concordato e, per altro verso, non sembra che le attività di verifica demandate al Tribunale dal Codice della Crisi siano significativamente diverse da quelle richieste nell’attuale panorama normativo.
4 . La disciplina emergenziale degli ADR itinere.
Il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, all’art. 9, tratteggia una disciplina (estesa anche al concordato preventivo) di carattere emergenziale articolata su tre macroeccezioni
al diritto ordinario: il beneficio di una proroga generalizzata; il privilegio di un termine extra ordinem di modifica dell’accordo; l’opportunità di una modifica celere dei tempi di adempimento.
La prima fa fulcro su una proroga ex lege dei tempi di adempimento di tutti gli accordi di ristrutturazione; la seconda si impernia sulla concessione di uno spazio per la modifica del piano; la terza nella possibilità di una correzione in corsa del piano, mediante deposito di una memoria prima dell’udienza di omologa, quando la modifica riguarda solo i tempi di adempimento.
Sotto il primo aspetto, rileva il primo comma della norma richiamata, che prevede la proroga ope legis di “sei mesi” dei termini di adempimento anche degli accordi di ristrutturazione, qualora “aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 sono prorogati di sei mesi”. Il primo termine di tale segmento temporale (23 febbraio 2020) è stato autoritativamente scandito come il momento del “palesarsi dell'emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19” (così la Relazione illustrativa del D.L.) e combacia con la data di emanazione, e di contestuale entrata in vigore, del D.L. 23 febbraio 2020 n. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 5 marzo 2020, n. 13, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”. Il secondo termine, 31 dicembre 2021, fissa prudenzialmente una data lontana nel tempo, essendo ad oggi impronosticabile il decorso della pandemia.
È stata scelta la via comoda della proroga de jure, smarcata dalla discrezionalità valutativa del tribunale, proprio in ragione del lockdown di sistema cui quasi tutte le attività produttive sono state costrette e dell’impatto diffuso della pandemia.
La seconda misura alligna nella concessione, anche per gli accordi di ristrutturazione in corso di omologazione alla data d’esordio (formale) dell’epidemia (23 febbraio 2020), di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo accordo, pur all'interno del medesimo procedimento già intrapreso.
In mancanza di una indicazione procedimentale specifica, parrebbe possibile formulare l'istanza di modifica dell’accordo di ristrutturazione finché il Tribunale non si sia riservato di decidere in ordine a quello già in itinere (art. 182, comma 4, L. fall.).
La norma non sembra lasciare margine di discrezionalità al giudice, posto che la formulazione della norma prevede l’emanazione di un “decreto con cui il Tribunale assegna il termine”, espressione che sembra non ammettere alternative negative.
Il terzo comma, infine, delinea – per gli accordi di ristrutturazione non ancora omologati – la possibilità di una modifica rapida, che non riguarda le modalità di adempimento e i contenuti della proposta, ma soltanto i tempi di adempimento. In questo caso sarà sufficiente il deposito di una memoria contenente l'indicazione di nuovi termini, corredata da documentazione comprovante la necessità della modifica dei termini. Il differimento dei termini non può essere superiore di sei mesi rispetto alle scadenze originarie.
Per certi aspetti l’art. 9 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, anticipa, semplificandola (come è ovvio, dato il contesto emergenziale) la disciplina relativa alla modifica degli accordi di ristrutturazione (prima e dopo l’omologazione) contenuta nell’art. 58 D.Lgs. 14/2019.
5 . Conclusioni
Certamente gli accordi di ristrutturazione presentano vantaggi competitivi rispetto al concordato: (i) sono meno onerosi; (ii) presentano una maggiore flessibilità (ad esempio, non soggiacciono all’obbligo del rispetto della par condicio) e modulabilità in relazione al caso concreto; (iii) non determinano lo spossessamento, neppure attenuato, del debitore; (iv) il procedimento, nella fase giudiziale, è decisamente più snello e veloce.
È tuttavia difficile immaginare che gli Accordi di Ristrutturazione che, nell’odierna configurazione, non hanno riscosso particolare favore, possano rivelarsi strumento più di tanto efficace nell’attuale contesto economico, di drammatica gravità, se disgiunti da un intervento serio, concreto e rapido di sostegno alle aziende, con mirate politiche sia di supporto finanziario che fiscali.
È evidente infatti che uno strumento concepito per superare la crisi aziendale non può rivelarsi da solo vincente quando la crisi non riguarda la specifica azienda ma permea a tutti i livelli l’intero tessuto economico.
L’assenza (o forte contrazione) dei ricavi dovuta alla forzata inattività delle imprese a causa del lockdown imposto per fronteggiare l’emergenza sanitaria e la difficoltà, in uno scenario economico nazionale ed internazionale del tutto inedito, di formulare ragionevoli ipotesi sul futuro, costituiscono difficoltà di non poco conto per un proficuo ricorso agli Accordi di Ristrutturazione (così come, più in generale, per qualsiasi strumento di regolazione della crisi).
La normativa emergenziale di sostegno alle aziende induce tuttavia a guardare agli accordi di ristrutturazione con rinnovato interesse.
La normativa si è mossa su un duplice binario, da un lato, prevedendo una moratoria ex lege, dall’altro favorendo l’accesso al credito grazie al rilascio di una garanzia pubblica.
Nella prima direzione si è mosso l’art. 56 del D.L. 17.3.2020, n. 18 (limiti alla revoca di affidamenti e sospensioni mutui), stabilendo che alle PMI, con esposizioni debitorie “in bonis” al 17 marzo 2020 e con sede in Italia, che comunicano a banche e intermediari finanziari di “aver subito in via temporanea carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia da COVID-19”:
- non possono essere revocati dal 29 febbraio 2020 al 30 settembre 2020, neanche per la parte non ancora utilizzata, le aperture di credito a revoca e i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti (i.e. Linee di cassa, Anticipo fatture/Ri.Ba/Export/Contratti, linee di factoring);
- sono prorogati fino al 30 settembre 2020 e alle medesime condizioni (unitamente ai rispettivi elementi accessori e senza alcuna formalità) i prestiti non rateali (es. finimport, finanziamenti bullet);
- viene sospeso, dal 17 marzo (anche se la comunicazione di sospensione è stata presentata dopo e la rata non è stata pagata) al 30 settembre 2020 compreso, il pagamento delle rate di finanziamenti (anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie) e dei canoni di leasing. È facoltà delle imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale, continuando a pagare la quota interessi. Le sospensioni si applicano anche ai finanziamenti cartolarizzati e ceduti a società veicolo (SPV) ex lege n. 130/99.
La moratoria ex lege sui finanziamenti determina lo spostamento in avanti, senza alcuna commissione, del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata.
Sull’altro fronte si è mosso il D.L. 8.4.2020 n. 23, cd. decreto “liquidità”, che, tentando di dare una (prima?) risposta alle criticità sopra evidenziate, al fine di assicurare la necessaria liquidità alle imprese colpite dall’epidemia Covid-19, ha introdotto - inter alia - misure urgenti in materia di accesso al credito, di sostegno all’esportazione, all’internazionalizzazione ed agli investimenti delle imprese.
Esula dalle finalità del presente scritto l’analisi circa l’adeguatezza delle predette misure, ma certo la direzione è quella corretta, essendo ormai acquisita la consapevolezza che gli strumenti offerti dal diritto concorsuale, tanto meno gli Accordi di Ristrutturazione, non possono bastare di per sé soli, in molti casi, per superare la crisi.
La moratoria ex lege su mutui ed affidamenti consente di acquisire al piano sotteso agli accordi di ristrutturazione un risultato pressoché certo che, in diversa ipotesi, si sarebbe potuto conseguire solo all’esito di una negoziazione.
I finanziamenti garantiti dallo Stato, sotto altro profilo, dovrebbero - almeno tendenzialmente - ridurre la platea dei creditori con i quali dover trattare, così facilitando la conclusione di accordi con i residui creditori e conferendo nuovo appeal al mezzo negoziale.

Note:

[1] 
Per un’ampia disamina v.: M. Fabiani, Dal codice della crisi d'impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in Il Caso.it, pubb. 14.10.2018; M. Arato,
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il Codice della Crisi e dell'Insolvenza, in Il Caso.it, 9.10.2018; M. Fabiani, Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e varianti del piano e dell'accordo, in Fall., 2013, 770; A. Pompili, In tema di natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in Corriere
Giur., 2019, 11, 1379.
[2] 
Cass. 18 gennaio 2018, n. 1182, in Il Fallimentarista (con nota di C. Ravina); Cass. 12 aprile 2018, n. 9087, in Italgiure; Cass. 21 giugno 2018, n. 16347, in Italgiure.

[3] 
Dieci anni di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L. fall. V. Conca-A. Danovi-L. Riva, Un’analisi empirica nei principali Tribunali italiani, 12 maggio 2015.
[4] 
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L. Fall. – I risultati di un’analisi empirica svolta dall’OCI nel 2016, di Alberto Tron, in www.osservatorio-oci.org

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