La proposta di configurare il rispetto dell’obbligo di segnalazione come “soglia di accesso” al beneficio della responsabilità parziaria - ove condivisa e completata dalla riforma (già in itinere[43]) dell’art. 15 del D.Lgs. n. 39/2010 sulla responsabilità dei revisori (parificati ai sindaci, sia pure nei limiti delle rispettive funzioni, dall’art. 25 octies CCII così come modificato dall’ultimo correttivo n. 136/2024) - potrebbe:
a) spiegare perché il novellato art. 2407 c.c. abbia cura di precisare che il tetto alla responsabilità è applicabile anche nell’ipotesi di internalizzazione del controllo contabile (consentita solo nel sistema tradizionale purché ricorrano le condizioni previste dal capoverso dell’art. 2409 bis c.c.), mentre nulla dica sul caso, tutt’altro che raro nella prassi societaria, in cui i componenti del collegio sindacale rivestano anche il ruolo di organismo di vigilanza (OdV) ai sensi del D.Lgs. 231/2001[44];
b) ridimensionare (anche se non risolvere) la frattura sistematica venutasi a creare rispetto agli amministratori non esecutivi e agli organi corrispondenti dei sistemi alternativi di governance[45] e, quindi, scongiurare i già ventilati incidenti di incostituzionalità dell’art. 2407 c.c. o, “a specchio” degli artt. 2392 e 2409 terdecies, comma 3, c.c. per violazione del principio di uguaglianza e irragionevolezza, q.l.c. che, come l’esperienza recente insegna, potrebbero poi sfociare in sentenze interpretative-manipolative della Consulta, non sempre idonee a sopire i dibattiti[46];
c) superare le perplessità sollevate dall’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dovute alla circostanza che la relazione di cui all’art. 2429 c.c. potrebbe essere “muta” quanto alla capacità di rivelare (alla stessa società) l’esistenza di altri inadempimenti dei sindaci;
d) incentivare la logica dell’early warning, architrave dell’intero Codice della crisi.
I limiti e le finalità di questo scritto non consentono di soffermarsi partitamente su ciascun profilo, ma solo di sottolineare che l’esegesi qui adombrata potrebbe aiutare, se non a superare a piè pari, quantomeno a ridimensionare, le principali critiche e perplessità sollevate dalla riformulazione del comma 2 e dall’aggiunta del comma 4 dell’art. 2407 c.c.
a) In merito all’inciso contenuto nel capoverso dell’art. 2407 c.c., pare sufficiente ricordare che l’OdV non può essere considerato un «organo di controllo societario» ai sensi e per gli effetti dell’art. 25-octies CCII, ma, al più, un organo «con funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa», come tale astrattamente legittimato a presentare domanda di liquidazione giudiziale ex art. 37, comma 1, CCII.
b) Sotto il secondo profilo, è pacifico che, di là da quale refuso[47], l’art. 25 octies CCII sia applicabile anche al consiglio di sorveglianza e al comitato interno per il controllo sulla gestione.
Il tempestivo adempimento del dovere di segnalazione consente ai componenti di tali organi di beneficiare del meccanismo premiale ivi delineato, mentre la violazione del precetto li esporrebbe ad una responsabilità illimitata che però, se ben si riflette, potrebbe trovare una spiegazione plausibile nella circostanza che:
- il CdS può revocare il consiglio di gestione (art. 2409 terdecies, comma 1, lett. a, c.c.), legittimazione idonea, in una valutazione prognostica, ad incidere sulla condotta gestoria in modo tempestivo ed efficace[48] e, quindi, tale da agevolare la ricostruzione del nesso eziologico in eventuali giudizi di responsabilità;
- il CCG, essendo un’appendice del CdA, potrebbe influire sull’eventuale delibera collegiale di revoca o avocazione di specifiche deleghe, con la conseguenza che il nesso causale negli eventuali giudizi di responsabilità potrebbe essere ricostruito con un grado di severità (minore rispetto al consigliere di sorveglianza ma) maggiore rispetto al sindaco[49].
Tramite un’argomentazione “ad incastro”, si potrebbe allora proporre un ragionamento quasi sillogistico:
i) la premessa è la “posizione di garanzia” ricoperta, in tutti i sistemi di governance, dall’organo di controllo, la cui responsabilità deve essere valutata sulla base dell’art. 2407 c.c. (o disposizioni analoghe)[50] e si fonda sul nesso causale tra omessa vigilanza e danno;
ii) il potere di revoca dei controllori spettante al CdS e al CCG sarebbe un elemento “rafforzativo” della suddetta responsabilità;
iii) ergo l’assenza di un meccanismo di limitazione della responsabilità nell’art. 2409 terdecies, comma 3, c.c. e nel capoverso dell’art. 2392 c.c. non sarebbe un “vuoto normativo”, ma una scelta coerente con il ruolo operativo e l’impatto potenziale di questi organi o, quantomeno, una circostanza tale da rendere meno urgente un intervento “livellatore” per salvaguardare la coerenza sistematica dell’ordinamento e scongiurare incidenti di incostituzionalità per contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto è lo stesso principio di uguaglianza a richiedere che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo.
La differenza è rappresentata dal fatto che nei modelli dualistico e monistico, il controllore è, non solo un “osservatore esterno”, ma un organo dotato di poteri diretti o di un’influenza immediata sulle decisioni di gestione. Di conseguenza, la limitazione della responsabilità post-segnalazione ha senso per il collegio sindacale (che, lanciata l’allerta, non ha altri strumenti per salvare l’impresa, salvo rivolgersi all’autorità giudiziaria ex art. 2409 c.c., 2393, comma 3, c.c. o 37 CCII), ma non per il controllore munito di strumenti decisionali incisivi per stoppare la condotta di mala gestio e il danno.
Il messaggio è chiaro: se l’organo di controllo ha il potere di evitare o diminuire il danno e non lo sfrutta, la sua responsabilità resta piena.
Se le considerazioni che precedono sono condivisibili, de jure condito, la disparità rispetto al collegio sindacale non sarebbe così irragionevole come prima facie potrebbe sembrare, anche se de iure condendo occorrerà probabilmente porvi rimedio.
Lo stesso discorso dovrebbe valere, mutatis mutandis, per gli amministratori deleganti (o non operativi) che, dopo la riforma societaria, non hanno più un inattuabile dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione (che aveva finito per configurare una sorta di responsabilità oggettiva), ma un preciso potere-dovere di attivarsi se «essendo» (o potendo venire) «a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose» (arg. desunto, per la s.p.a., dal combinato disposto degli artt. 2392 e 2381 c.c.)[51].
c) Quanto al dies a quo del termine di prescrizione, costruendo un ponte (forse tibetano, ma pur sempre sistematico) tra gli artt. 2407 c.c. e 25 octies CCII, il “silenzio” nella relazione al bilancio sulla violazione della seconda norma non potrebbe più coprire l’inerzia del collegio sindacale in quanto la verifica giudiziale potrà sempre concentrarsi sull’adempimento (o meno) dei prescritti doveri di segnalazione.
d) L’obiettivo della prevenzione sarebbe ulteriormente incentivato aderendo all’esegesi “sdoppiata” dei due commi di cui consta l’art. 25 octies CCII proposta nel lavoro monografico dal quale si sono prese le mosse, ove, al fine di evitare una lettura pleonastica (l’adempimento tempestivo di un dovere esclude, per definizione, qualsivoglia responsabilità), si propone di distinguere tra:
- un dovere (v. comma 1) ed un onere (v. comma 2) di segnalazione, onere che scatterebbe con la pre-crisi e terminerebbe allorquando la segnalazione diventi doverosa e, quindi, nel momento in cui si materializzi la crisi o l’insolvenza;
- il classico dovere di vigilanza di legittimità sostanziale ai sensi dell’art. 2403 c.c. (richiamato dal comma 1) e l’attività, connotata da particolare straordinarietà e difficoltà (si potrebbe dire, ultra munera) e che lambisce il merito (arg. desunto dall’art. 21 CCII), di vigilanza sull’andamento delle trattative (così il comma 2) guidate dall’Esperto della CNC[52].
Una ricostruzione “sdoppiata” che, sebbene suggestiva, pare una forzatura del dato normativo (l’art. 25 octies CCII non parla di pre-crisi[53]) e rischia di scivolare in una interpretatio contra legem, laddove quella qui proposta in via principale (segnalazione come “condizione per l’applicabilità del cap”) sarebbe un’esegesi praeter legem, che collega due norme (gli artt. 2407 c.c. e 25 octies CCII), collocate in Codici diversi, ma che ormai dobbiamo abituarci a far dialogare.
Per contro, la tesi esposta in via subordinata (c.d. de jure condito), pur muovendo da presupposti antitetici rispetto allo studio da cui si è preso abbrivio, finirebbe per convergere, sul piano applicativo, con l’impostazione secondo cui, «assolti gli oneri di segnalazione e di vigilanza […], l’organo di controllo potrebbe ritenersi responsabile, nel corso della composizione negoziata, per gli atti inerenti (o, meglio, teleologicamente e etiologicamente connessi) ad essa e alle trattative (che, in effetti, paiono evocare criteri di perizia più che di diligenza), solo nei limiti del dolo o della colpa grave»[54] e anzi, oggi (alla luce del novellato art. 2407 c.c.), l’elemento soggettivo andrebbe circoscritto al dolo, sebbene solo eventuale.