È ora possibile valutare i corollari della riscrittura dell’art. 2407, comma 2, c.c. in una prospettiva più specificamente giuscommercialistica.
Ammettiamo che il risultato dell’entrata in vigore della nuova norma sia – contrariamente a quanto argomentato – la previsione di una responsabilità parziaria e per di più limitata non all’entità della colpa – secondo i principi generali – ma ai massimali ex lege per i sindaci.
Pertanto, l’esito dell’entrata in vigore del nuovo art. 2407 c.c. consiste, nella s.p.a., nella diversificazione del regime di responsabilità applicabile in caso di esercizio illegittimo dell’incarico di revisore legale a seconda che esso sia rivestito da un soggetto esterno, secondo il regime di default previsto dalla legge, oppure statutariamente attribuito ai membri del collegio sindacale. Nel primo caso si applica l’art. 15 D.Lgs. n. 39/2010, che prevede una responsabilità solidale con gli amministratori; nel secondo si applica la responsabilità per ipotesi parziaria e limitata a un massimale di cui al novellato art. 2407 c.c.[33]. Un problema analogo è peraltro destinato a ricorrere anche nella s.r.l., stante la flessibilità nella scelta sull’organo di controllo, anche obbligatorio, accordata all’autonomia statutaria dall’art. 2477 c.c.[34].
Considerato il nesso indissolubile che sussiste fra l’esercizio di una funzione e la responsabilità che ne deriva[35], l’applicazione di due regimi di responsabilità antitetici in conseguenza del fatto che la medesima funzione (quella di revisione) sia esercitata in concreto da due soggetti differenti (talora dai sindaci, talora dal revisore esterno) appare un esito sistematicamente incongruente oltre che irragionevolmente discriminatorio di situazioni analoghe, e come tale contrario al principio di uguaglianza. Senza dimenticare che l’eventualità per cui la società possa determinare discrezionalmente, nell’esercizio della propria autonomia statutaria, il regime attuativo della responsabilità, facendolo dipendere dall’allocazione interna o esterna della funzione di controllo contabile, appare del tutto incompatibile con la fondamentale funzione di protezione del danneggiato assolta dalla responsabilità stessa.
Quanto affermato risulta corroborato da alcune considerazioni relative alla disciplina concorsuale, ossia all’art. 25 octies CCII come novellato dal correttivo ter.
A dispetto del fatto che i sindaci e il revisore sono stati parificati dall’ultima versione della disposizione quanto al dovere di segnalare agli amministratori l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) e b), CCII, le rispettive posizioni non sono affatto sovrapponibili. Non tanto per l’ovvia ragione che gli ambiti del controllo degli uni e dell’altro sono differenti e quindi diversi possono essere i segnali di crisi o di insolvenza percepiti e oggetto di segnalazione, quanto perché i sindaci, ma non il revisore, sono i “collettori” delle segnalazioni di una serie di soggetti esterni alla società, prescritte dal legislatore proprio per consentire ai primi di fungere all’interno dell’ente da strumento di early warning. Infatti, l’art. 25 novies CCII prevede come destinatari della segnalazione dei creditori pubblici qualificati soltanto l’imprenditore e, ove esistente, l’organo di controllo. E i medesimi destinatari sono previsti dall’art. 25 decies CCII in merito alla segnalazione delle banche.
Dal diritto vigente discende come la portata del controllo dei sindaci sull’esistenza dei presupposti per avviare un percorso volto al trattamento tempestivo e precoce della crisi è più ampia di quella del controllo consentito al revisore, almeno perché i primi possono avvalersi di un set di informazioni più completo di quello a disposizione del secondo. L’informazione infatti è strumento essenziale del controllo: quest’ultimo si articola in fasi successive, la prima delle quali è quella della conoscenza (tramite l’informazione) dell’oggetto controllato[36].
Aggiungasi che una disparità fra sindaci e revisore sussiste anche in ordine ai poteri attivabili a fronte dell’avvenuta segnalazione ai sensi dell’art. 25 octies CCII. In verità il comma 1 della norma non specifica se l’organo gestorio debba riferire sulle iniziative intraprese solo ai sindaci o anche al revisore. Ma a prescindere dalla soluzione che si ritenga preferibile, l’organo di controllo potrà utilizzare, ove valuti inadeguate le iniziative intraprese dagli amministratori, gli strumenti previsti dal diritto societario quali la convocazione dell’assemblea dei soci per discutere la situazione, l’impugnativa di delibere consiliari, l’esercizio dell’azione di responsabilità e la denuncia ex art. 2409 c.c. Ossia poteri non spettanti al revisore che quindi, a fronte della insoddisfacente risposta alla segnalazione da parte degli amministratori, è carente di strumenti reattivi[37].
Ebbene, si deve al riguardo considerare che la responsabilità tanto dei sindaci quanto del revisore è una responsabilità omissiva per inadempimento dei rispettivi doveri di controllo: essa discende dal fatto – costituente il fondamento del nesso di causalità c.d. omissiva – per cui il danno non si sarebbe prodotto in conseguenza della condotta gestoria se tali doveri fossero stati adempiuti.
Ciò premesso, appare allora evidente che ai sindaci dovrebbero essere imputabile una responsabilità più ampia in caso di inadempimento della propria funzione di strumento di early warning rispetto a quella imputabile al revisore in conseguenza i) della maggiore latitudine del controllo sul corretto assolvimento da parte degli amministratori del dovere di rilevare tempestivamente la crisi e di affrontarla precocemente e ii) del più ampio novero di poteri a disposizione degli stessi per impedire un aggravamento della situazione di crisi, una reazione meno efficace alla stessa e, infine, un soddisfacimento minore per i creditori ed eventualmente anche per i soci.
Al contrario, l’esito dell’entrata in vigore della nuova norma è esattamente l’opposto: i sindaci fruiscono di un regime di responsabilità più soft di quello relativo al revisore, così realizzandosi una palese discrasia fra ampiezza e incisività di funzione e poteri, da un lato, e rigore della responsabilità, dall’altro[38].