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Saggio

Tutela dei creditori vs. tutela dell’ambiente nella liquidazione giudiziale*

Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell'Università degli Studi del Molise
Simona Cammarata, Dottoressa in giurisprudenza

25 Luglio 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’articolo si inserisce nel dibattito in materia di obblighi ambientali del curatore per affrontare la questione della natura giuridica dei costi di bonifica in sede di ripartizione dell’attivo e, in particolare, del rapporto tra costi di ripristino ambientale e crediti titolari di garanzie reali cercando di risolvere il conflitto tra l’interesse dei creditori a massimizzare il risultato della liquidazione e l’interesse della collettività a rimuovere gli effetti nocivi alla salute pubblica derivanti dal mancato rispetto dell’ambiente si acuisce, richiedendo all’interprete di reperire soluzioni in grado di bilanciare i diversi valori costituzionali in gioco.
Riproduzione riservata
1 . Inquadramento della questione
Da quando le “questioni” ambientali sono divenute centrali nell’adeguamento del nostro Paese ai principi di tutela della salute pubblica, del paesaggio, dell’armonico sviluppo economico, il recinto delle procedure concorsuali è divenuto permeabile e molti dei problemi che anni fa erano trascurati, oggi sono venuti in superficie. La legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, ha modificato gli artt. 9 e 41 della Costituzione dando pieno risalto, sia nella prospettiva giuspubblicistica che in quella giusprivatistica, alla tutela dell’ambiente: quella auspicata è una tutela preventiva, ma non si può trascurare quella repressiva o sanzionatoria[1].
Ed infatti, purtroppo, l’esperienza ci insegna che in molte occasioni i siti industriali sono stati gestiti senza alcuna attenzione alla tutela ambientale e le ‘contaminazioni’ sono state scoperte quando ormai l’impresa era decotta.
L’emergenza ambientale non fa sconti e se esistono siti contaminati la collettività deve reagire: sennonché, il tema che si pone è quello che pertiene alla selezione del soggetto che debba farsi carico, sia dal punto di vista materiale, sia dal punto di vista della assunzione dei costi, degli oneri connessi alla rimessione in pristino dei luoghi. 
Prima dell’avvento del codice della crisi il lemma ‘ambiente’ era assente dal tessuto normativo del mondo delle crisi; vi è entrato, anche se in modo prudente e non prepotente, con un innesto nell’art. 87 CCII laddove si prevede che il piano concordatario debba tener conto dei costi correlati alla tutela dell’ambiente e ciò al fine di evitare che i costi della ristrutturazione non tengano nel dovuto rilievo i bisogni di protezione ambientale. Questo innesto potrebbe anche significare che la tutela dei creditori debba risultare coerente con la tutela di “valori altri”[2], ma senza indugiare su questi profili, peraltro di assoluta importanza in un sistema che veda adeguati e proporzionati i valori da ponderare, ci pare che sia qui interessante concentrare l’attenzione su tematiche di carattere più “tecnico”.
Le fattispecie che si possono presentare sono diverse: può capitare che nell’area acquisita alla procedura siano rimasti depositati cumoli di rifiuti, come pure può accadere che sia il sottosuolo ad essere ‘inquinato’, come pure può essere la stessa tipologia dell’attività d’impresa a provocare danni all’ambiente. 
Spesso sono le autorità municipali, con l’emissione di ordinanze contingibili e urgenti ad ordinare ai curatori di effettuare tutti gli interventi necessari alla messa in sicurezza dell’area inquinate e a scongiurare la diffusione della contaminazione. 
Ancora di recente il Consiglio di Stato[3] ha statuito: “L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 3 del 2021, ha affermato che «la Curatela fallimentare, che ha la custodia dei beni del fallito (…), anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale» non può andare esente da responsabilità «lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall’attività imprenditoriale dell’impresa cessata». Diversamente argomentando i costi «finirebbero per ricadere sulla collettività incolpevole, in antitesi non solo con il principio comunitario “chi inquina paga”, ma anche in contrasto con la realtà economica sottesa alla relazione che intercorre tra il patrimonio»” (cfr. infra).
Questa decisione, su cui torneremo, rende esemplare la presenza di un conflitto tra tutela della collettività incisa dalla violazione delle norme fissate a protezione dell’ambiente e tutela della ‘micro’-collettività dei creditori. Ed allora occorre chiedersi se davvero debba ricadere sul curatore (e di riflesso sui creditori concorsuali) l’onere di far fronte ai costi derivanti dall’adempimento delle ordinanze sindacali contingibili e urgenti attingendo dalle risorse ricavate dalla liquidazione dell’attivo, il che si traduce, quasi sempre, nel dover attingere dalle somme ricavate dalla liquidazione di beni oggetto di garanzia ipotecaria. 
In non pochi casi, poi, accade che il curatore abbia ritenuto di rinunciare ex art. 213 CCII alla liquidazione del bene a cui attengono i costi di bonifica ed anche degli effetti di tale scelta occorre occuparsi.
L’esame delle varie questioni che si pongono decolla (i) dall’analisi della giurisprudenza in materia di obblighi ambientali del curatore, per poi (ii) verificare quale sia la qualificazione preferibile dei costi di bonifica, cui si deve far seguire (iii) l’indagine sul rapporto tra crediti ipotecari e costi di bonifica, nell’ipotesi in cui quest’ultimi venissero qualificati quali crediti prededucibili per terminare ipotizzando di considerare i costi di bonifica quali spese generali.
2 . I riflessi esterni sulla tutela dell’acquirente
Le riflessioni che seguono non prenderanno in esame un tema altrettanto delicato e controverso; occorre, infatti, interrogarsi su quale tutela possa spettare a chi si sia reso aggiudicatario, nel contesto della liquidazione concorsuale, di un bene che si rivela, poi, inquinato.
Se già appare ostico imporre al curatore gli oneri correlati al ripristino ambientale, a maggior ragione pensare che un ignaro acquirente debba farsi carico di sopportare i costi di bonifica ci sembra ingiustificabile; tuttavia, a questa prima impressione, deve seguire un percorso giuridico razionale e il percorso passa per la proposizione di un’azione di risoluzione del contratto[4].
Sono ben note le criticità connesse al fatto che le vendite forzate non ‘soffrono’ le azioni di risoluzione contrattuale per vizi della cosa, ma la giurisprudenza, per contemperare i diversi interessi, è giunta virtuosamente a riconoscere l’ammissibilità dell’azione di risoluzione quando il bene trasferito possa essere definito diverso da quello oggetto di offerta, secondo la classica figura dell’aliud pro alio.[5]
Poiché, a ben vedere, la tutela dell’aggiudicatario risulta ben scolpita, nei Parr. che seguono ci intratterremo soltanto sulla posizione del curatore e sulla natura dei crediti afferenti i costi di ripristino ambientale. Il terreno è particolarmente sdrucciolevole, data l’assenza di chiare indicazioni legislative e giurisprudenziali, e intendiamo provare a risolvere un interrogativo pratico: il curatore può far fronte alle spese di bonifica attingendo indistintamente dall’attivo, e quindi anche a danno dei creditori titolari di garanzia reale? 
Il tema del credito, all’evidenza, non si pone quando il curatore affida l’incarico di effettuare opere di bonifica, posto che in tal caso non è in discussione la natura (prededucibile) del credito che matura; la questione sorge, ed è complessa, quando (i) le opere sono assunte da qualcuno che poi chiede di essere ammesso al passivo e quando (ii) le risorse finanziarie di cui dispone il curatore non sono sufficienti.
3 . La giurisprudenza amministrativa in materia di obblighi ambientali del curatore
La questione degli obblighi di ripristino ambientale del curatore della liquidazione giudiziale è stata oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali, le quali non sempre si sono orientate secondo i medesimi principi[6]. Il contrasto giurisprudenziale è stato recentemente affrontato da una decisione dell’Adunanza plenaria[7] alla quale era stato chiesto “di chiarire se, a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita ai sensi dell'art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 (con la ricaduta sulla finanza pubblica e con un corrispondente vantaggio patrimoniale dei creditori della società fallita e sostanzialmente di questa), pur se il curatore fallimentare - in un'ottica di continuità - 'gestisce' proprio il patrimonio del bene della società fallita e ne ha la disponibilità materiale”. 
A tale quesito il Consiglio di Stato ha dato risposta negativa, affermando il seguente principio di diritto: “ricade sulla curatela fallimentare l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare”. 
L’iter logico seguito dall’Adunanza plenaria può essere così riassunto:
- il curatore è qualificabile quale detentore dei rifiuti, sia secondo la normativa nazionale che comunitaria, “è perciò senz'altro obbligato a metter[e i rifiuti] in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero”;
- è perciò coerente con il principio comunitario “chi inquina paga” che vi sia la sopportazione dei costi di smaltimento dei rifiuti da parte dell’attivo economico dell’impresa che li ha prodotti;
- non assume rilievo l’eventualità che la procedura di liquidazione giudiziale sia, in tutto o in parte, incapiente rispetto ai costi della bonifica, poiché ciò che rileva è l’imputabilità alla procedura concorsuale dell’obbligo di realizzare le attività di bonifica. Si provvederà in tal caso con “gli strumenti ordinari azionabili qualora il soggetto obbligato (fallito o meno, imprenditore o meno) non provveda per mancanza di idonee risorse”;
- non è necessaria la prova dell’elemento soggettivo né del nesso di causa tra condotta del curatore e danno contestato.
Tuttavia, né la decisione dell’Adunanza plenaria, né la giurisprudenza successiva, la quale si è sostanzialmente uniformata al dictum del Consiglio di Stato[8], ha chiarito le modalità con cui la curatela debba far fronte alle spese di bonifica e di messa in pristino dei luoghi, nell’ipotesi di attivo insufficiente. Ed infatti l’affermazione per cui “i relativi costi gravano sulla massa fallimentare” è espressione di per sé ambigua, che può significare genericamente che i costi gravano sul passivo concorsuale[9], non determinando la natura di tale credito.
Invero, il Consiglio di Stato, nel precedente appena menzionato, sostiene che “l'abbandono di rifiuti e, più in generale, l'inquinamento, costituiscono 'diseconomie esterne' generate dall'attività di impresa (cd. "esternalità negative di produzione"), appare giustificato e coerente con tale impostazione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell'imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti dell'ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento”[10]. Sembrerebbe, dunque, che il Consiglio di Stato riconosca – tra le righe - natura prededucibile a tale credito, il quale dovrebbe “gravare” sull’intera massa concorsuale con priorità.
Ciò non senza ambiguità, poiché più avanti si legge che, ove i costi di bonifica siano sostenuti dal Comune e non dalla curatela, il credito sarebbe privilegiato – e non prededucibile – in forza dell’art. 253, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006 (“E il Comune, qualora intervenga direttamente esercitando le funzioni inerenti all'eliminazione del pericolo ambientale, potrà poi insinuare le spese sostenute per gli interventi nel fallimento, spese che godranno del privilegio speciale sull'area bonificata a termini dell'art. 253, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006”). In questo senso il ragionamento del Consiglio di Stato appare evidentemente anomalo nella parte in cui attribuisce “natura” diversa ai costi di bonifica a seconda del soggetto che li realizza[11]. 
Si consideri poi che l’Adunanza plenaria non ha affrontato specificamente l’ipotesi in cui il curatore decida di abbandonare ex art. 213 CCII il bene oggetto di bonifica[12]. La questione è stata affrontata successivamente dal Consiglio di Stato, ed è stata ritenuta irrilevante l’avvenuta derelictio del bene oggetto di bonifica ex art. 213 CCII, dal momento che “[i]n definitiva «la Curatela non può ritenersi liberata dalle responsabilità alla discarica per il solo fatto di avere rinunciato a liquidarla».[13]
Da ultimo, è intervenuta una recentissima decisione con cui il Consiglio di Stato – pur con un obiter dictum – ha ritenuto fondata la censura di parte ricorrente che lamentava l’individuazione da parte del T.A.R.[14] delle specifiche modalità con cui la curatela avrebbe dovuto far fronte alle spese di ripristino (prededuzione), invadendo la competenza del tribunale concorsuale, unico organo che "può esercitare la vis actractiva dei giudizi tesi al riconoscimento dei crediti nei confronti della curatela”.[15]
Rebus sic stanti bus, la giustizia amministrativa, la quale si è attestata su posizioni non del tutto condivisibili, non ha fornito elementi certi per determinare la natura dei costi di bonifica sostenuti dal curatore. Sembrerebbe emergere la natura prededucibile di tali costi, a prescindere dall’avvenuta o meno derelictio, ma ciò non senza ambiguità. Si dubita, altresì, che indicazioni più precise in tal senso possano derivare dal Consiglio di Stato, il quale così facendo finirebbe per invadere ambiti di competenza non propri. È, infatti, solo il giudice del procedimento di accertamento del passivo che può stabilire quale debba essere il rango del credito.
Si deve, infatti, rammentare che quand’anche il credito possa essere qualificato come prededucibile (art. 6 CCII), il creditore ha l’onere di proporre la domanda di ammissione al passivo (art. 151 CCII)[16], sì che sarà sempre e soltanto il giudice delegato in prima battuta e il tribunale, in caso di opposizione, a stabilire se il credito meriti il rango della prededucibilità.
4 . La giurisprudenza civile: la qualificazione dei costi di bonifica quali crediti prededucibili a vantaggio della massa, e la conseguente partecipazione al concorso in caso di "derelictio"
La giurisprudenza civile ad oggi edita propende per la qualificazione dei costi di bonifica quali crediti prededucibili, dal momento che questi comportano un vantaggio per la massa concorsuale, permettendo una liquidazione del bene privo dell’onere reale di cui all’art. 253, comma 1, D.Lgs. n. 152 del 2006.
La Corte di cassazione, nell’unico arresto giurisprudenziale in materia, ha affermato:
 “La bonifica del sito consente di escludere che gli immobili acquisiti alla massa vengano alienati – in sede di liquidazione dell'attivo - gravati da tale onere reale. Pertanto, la spesa relativa alla bonifica si qualifica come prededucibile alla luce del principio sancito da questa Sezione secondo il quale "ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, ora menzionato dalla L. Fall., art. 111, va inteso non soltanto con riferimento al nesso tra l' insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e dunque risponda agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare. Invero, la prededuzione attua un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma anche tutte quelle che interferiscono con l'amministrazione fallimentare ed influiscono sugli interessi dell'intero ceto creditorio" (Sez. 1, Sentenza n. 3402 del 05/03/2012)”[17].
Essenziale è poi il passaggio successivo in cui la Corte ammette: “Alla luce dei principi innanzi enunciati la prededucibilità, peraltro, assiste soltanto il credito per i costi di bonifica che avvantaggiano gli immobili acquisiti alla massa”. Tale ragionamento risulta del tutto condivisibile in quanto realizza un opportuno collegamento tra debito e utilità, tale da giustificare la prededucibilità: il credito relativo ai costi di bonifica sarà prededucibile fintantoché esso sia di qualche utilità per la massa. Così impostato il tema, si può ricondurre questa situazione al paradigma dei crediti prededucibili (art. 6 CCII) nella misura in cui i costi di ripristino corrispondano a “crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore”.[18]
Questi principi vanno poi rapportati all’ipotesi in cui il curatore decida di rinunciare alla liquidazione del bene ai sensi dell’art. 213 CCII., ritenendo l’attività di liquidazione “manifestatamente non conveniente”. Ne deriva che in questo caso nessun vantaggio potrebbe derivare alla massa concorsuale dall’espletamento dei costi di bonifica, venendo meno il presupposto stesso per l’operare della prededucibilità[19]. Conseguentemente, i costi di bonifica dovrebbero partecipare al concorso quale credito chirografario[20], essendo del tutto incoerente addossare questi costi ai creditori che alcun vantaggio hanno tratto né possono trarre dallo stesso. 
In tal senso si è recentemente espressa una corte di merito[21] che ha richiamato il precedente della Corte di Cassazione appena menzionato, per sostenere quanto segue:
In punto richiesta di ammissione del credito risarcitorio[22] in prededuzione, la Suprema Corte nella pronuncia richiamata da entrambe le parti (v. Cass. Civ. n. 5705/12 cd. Stoppani, v. pagg. 15 e 21) ha statuito che detto rango assiste soltanto il credito per i costi di bonifica sostenuti e da sostenersi che avvantaggiano gli immobili acquisiti alla massa. Il medesimo principio è stato richiamato anche da questo Tribunale (v. Trib. Milano 2.1.12, pure prodotto in atti), laddove ha ricondotto l’ammissione in prededuzione dei costi di bonifica alla loro funzionalità ad apportare migliorie ai beni facenti parte dell’attivo fallimentare, coerentemente col disposto dell’art. 17 del D. Lgs. n. 22/1997, che ne attesta la natura di onere reale. 
In ossequio a detto principio, non essendo la [omissis] titolare dei beni immobili oggetto degli interventi di bonifica, non può essere riconosciuto il rango prededuttivo richiesto.
Il privilegio previsto dall’art. 253, comma 2, TUA, che è speciale e di stretta interpretazione (v. Cass. Civ. n. 5297/09 sulla non applicabilità dell’interpretazione analogica in materia di privilegi, correttamente richiamata dalla pronuncia resa dal Tribunale di Udine in data 9.3.12, in atti), non è invocabile nel caso di specie, gravando esso soltanto sui beni immobili che, pacificamente, non sono acquisiti all’attivo della procedura opposta. 
Il credito risarcitorio come sopra determinato deve, pertanto, essere ammesso al rango chirografario”.
Il Tribunale di Milano è stato, dunque, chiaro nel collegare la natura prededucibile del credito alla funzionalità dello stesso ad apportare un vantaggio ai beni facenti parte dell’attivo della procedura conseguentemente senza tale funzionalità non ha motivo di ricorrere la natura prededucibile del credito.
Tale soluzione appare altresì preferibile perché evita l’aporia di attribuire un regime diverso al credito a seconda che gli oneri siano sostenuti dalla pubblica amministrazione o dalla curatela. Infatti, in caso di derelictio, il credito sarà soggetto alle regole del concorso, senza che rilevi l’esistenza o meno del privilegio immobiliare di cui all’art. 253, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, poiché trattandosi di un privilegio speciale, questo insiste sul bene, e se il bene viene abbandonato, l’amministrazione non potrà che far valere tale privilegio nell’esecuzione immobiliare che concerne il bene abbandonato[23]. L’amministrazione, dunque, potrà fare valere il privilegio nei confronti della liquidazione giudiziale solo nell’ipotesi in cui il sito contaminato sia acquisito all’attivo[24].
Non si ritiene di dover argomentare oltre circa l’irrilevanza del privilegio speciale di cui all’art. 253, comma 2, D.Lgs. cit., dal momento che tale privilegio assiste le spese sostenute dall’autorità competente per gli interventi effettuati d’ufficio sui siti contaminati, e non rileva quindi nel caso di costi di bonifica sostenuti dalla curatela.
Quando il curatore acquisisce il bene all’attivo e procede alla sua bonifica svolge una attività di gestione del patrimonio del debitore e, quindi, si rispetta la prescrizione di cui all’art. 6 CCII. Diversamente, quando il bene resta estraneo alla gestione del curatore, tenuto conto che i costi derivano da un’attività illecita svolta precedentemente alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale è coerente che il credito, come un qualunque altro credito conseguente ad atti illeciti del debitore sia collocato in chirografo[25]; pertanto, la prededucibilità potrebbe, invece, affermarsi nel caso in cui l’inquinamento sia conseguenza dell’esercizio provvisorio dell’impresa[26].
Risultato di queste considerazioni è che le spese di bonifica, sostenute dalla curatela ma relative ad un bene abbandonato ex art. 213 CCII, dovranno essere soddisfatte secondo l’ordine di distribuzione delle somme di cui all’art. 221 CCII, dunque, in via postergata rispetto ai crediti prededucibili e ai creditori ipotecari.
5 . In subordine, i costi di bonifica quale credito prededucibile e il rapporto con i crediti ipotecari
Le superiori riflessioni inducono a concludere che non vi sia alcun onere per la massa quando il bene “contaminato” non sia oggetto di liquidazione. In questo caso il bene resta nel patrimonio del debitore e potrà essere oggetto di espropriazione, sicché il Comune dovrà sì assumersi i costi ma potrà poi agire in via esecutiva contro il debitore.
Sennonché, è opportuno confrontarsi anche con un’ipotesi differente: quella, da noi non condivisa, secondo la quale i costi di bonifica vanno, sempre, qualificati come crediti prededucibili. Dato questo per ammesso, dobbiamo verificare, al fine di comprendere il rapporto con i crediti ipotecari, se i costi di bonifica vadano considerati:
a) spese specifiche, ex art. 223, comma 3, CCII;
b) crediti prededucibili da soddisfare ai sensi dell’art. 222, comma 2, CCII;
c) spese generali di procedura da soddisfare pro-quota.
Ognuna di queste opzioni, infatti, comporterà un rapporto diverso tra costi di bonifica, intesi quali crediti prededucibili, e crediti ipotecari. 
Nel contesto del codice della crisi il rapporto tra crediti prededucibili e ipotecari si ricava alla luce del combinato disposto degli artt. 222 e 223 CCII.
L’art. 222, comma 2, prevede: 
I crediti prededucibili vanno soddisfatti per il capitale, gli interessi e le spese con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti, salvo il disposto dell'articolo 223. Il corso degli interessi cessa al momento del pagamento”.
Il comma 2 chiarisce il rapporto tra crediti prededucibili e crediti muniti di garanzia reale (pegno e ipoteca), stabilendo che il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare va destinato ai creditori garantiti e solo de residuo alla soddisfazione dei crediti prededucibili[27].
Quanto appena detto va coordinato con il comma 3 dell’art. 223: “Il curatore deve tenere un conto autonomo delle vendite dei singoli beni immobili oggetto di privilegio speciale e di ipoteca e dei singoli beni mobili o gruppo di mobili oggetto di pegno e privilegio speciale, con analitica indicazione delle entrate e delle uscite di carattere specifico e della quota di quelle di carattere generale imputabili a ciascun bene o gruppo di beni secondo un criterio proporzionale”.
Tale disposizione comporta che sul ricavato della vendita dei beni oggetto di pegno/ipoteca graveranno le spese di carattere specifico, ovvero quelle attinenti all’amministrazione e alla conservazione di un determinato bene, nonché una quota delle spese generali, ovvero delle spese che sono state sostenute a vantaggio di tutti i creditori (es. compenso del curatore).
Le due disposizioni, le quali devono essere lette congiuntamente, come ora esplicita l’art. 222, comma 2 CCII[28], stabiliscono che i creditori muniti di garanzia reale devono essere soddisfatti con priorità sul ricavato del bene oggetto di pegno o ipoteca, al netto però delle spese specifiche e della quota delle spese generali. Solo l’ammontare eventualmente residuo potrà essere destinato al pagamento dei crediti prededucibili[29]. 
Questa prevalenza dei creditori ipotecari su quelli prededucibili, nella distribuzione del ricavato dei beni oggetto di pegno o ipoteca, trova la sua principale giustificazione nello scarso interesse che i creditori ipotecari presentano alla partecipazione all’esecuzione collettiva, e ciò dal momento che la garanzia che assiste il loro credito assicurerebbe comunque il soddisfacimento delle loro ragioni anche attraverso l’esecuzione singolare[30].
Tale soluzione intermedia, dunque, riduce il rischio che i crediti prededucibili rimangano parzialmente incapienti, come avverrebbe in caso di completa postergazione ai crediti ipotecari, limitando altresì “il danno” che i creditori titolari di garanzie reali abbiano a subire dalla partecipazione al procedimento di esecuzione concorsuale[31].
Alla luce di quanto appena esposto appare evidente che il rapporto tra crediti ipotecari e costi di bonifica sarà differente a seconda che questi ultimi si qualifichino quali spese (generali o specifiche) o quali crediti prededucibili.
Il legislatore non detta, tuttavia, un criterio di individuazione delle spese generali e specifiche; perciò, è necessario procedere in via interpretativa. Bisogna innanzitutto considerare che tale categoria non coincide con quella dei crediti prededucibili, argomentare diversamente significherebbe abrogare implicitamente l’art. 222, comma 2, CCII.; per cui si ritiene che sui beni oggetto di garanzie reali, possono gravare soltanto gli oneri correlati all’amministrazione e alla liquidazione di tali beni, ovvero attinenti ad attività di amministrazione direttamente rivolte alla conservazione o all’incremento dei beni stessi (spese specifiche) o comunque destinate a realizzare un’utilità a beneficio dei creditori garantiti (spese generali)[32]. 
Le spese specifiche sono quelle specificamente dirette all’utilità del singolo bene e che quindi creeranno un vantaggio diretto a quei creditori titolari di garanzie reali che hanno diritto a soddisfarsi in via prioritaria su tale bene (es. spese per l’acquisizione, l’amministrazione e la liquidazione di un singolo bene).
Le spese generali, invece, rappresentano una particolare species del genus crediti prededucibili, caratterizzata dall’essere sostenute nell’interesse generale del ceto creditorio. Si tratta, cioè, di spese non riferibili ad un determinato bene ma comunque destinate a realizzare un’utilità generica anche in favore dei creditori garantiti[33]. Rientrano in tale categoria, quindi, tutte le spese connesse alle varie fasi cui sono tenuti gli organi della procedura: spese per il compenso del curatore ed eventuali coadiutori, il rimborso al comitato dei creditori, le spese per l’apposizione dei sigilli, per la redazione della relazione e dei rapporti, ecc.[34]. Queste spese graveranno anche sul ricavato dei beni oggetto di ipoteca secondo un criterio proporzionale (cfr. infra).
L’art. 222 si occupa, invece, degli altri debiti, diversi dalle spese, da soddisfare in prededuzione, ma senza priorità sul ricavato dei beni oggetto di pegno o ipoteca, ad esempio: quelli sorti nel corso dell’esercizio provvisorio o in conseguenza di subentro o scioglimento di rapporti pendenti o di altre operazioni compiute dagli organi della procedura oppure in occasione o in funzione di precedenti procedure concorsuali[35].
Da quanto appena esposto, emerge che le spese di procedura (specifiche o generali) vanno tenute distinte dagli altri debiti di massa, poiché solo le prime possono gravare sui beni oggetto di pegni e di ipoteca, mentre questi sono sempre esenti dal contribuire ai secondi[36]. 
Passando quindi alla questione della qualifica dei costi di bonifica sostenuti dal curatore nell’ipotesi di derelictio del bene, si deve escludere che gli stessi possano valere quali:
a) spese specifiche, dal momento che non si procederà alla liquidazione del bene a cui le spese di bonifica direttamente afferiscono, essendo stata esercitata la facoltà di derelictio di cui all’art. 213 CCII;
b) spese generali, poiché alcun vantaggio, nemmeno potenziale, deriva ai creditori, compresi quelli titolari di garanzie reali, dalla realizzazione della bonifica dell’area.
Ne consegue che ove si ritenesse di qualificare i costi di bonifica come prededucibili, essi dovrebbero essere soddisfatti solo de residuo rispetto ai creditori titolari di garanzie reali sul ricavato dei beni oggetto di pegno o ipoteca, ai sensi dell’art. 222, comma 2, CCII. 
6 . Ipotesi residuale: qualificazione dei costi di bonifica quale spesa generale
Qualora nonostante quanto appena esposto, e contrariamente al nostro avviso, si ritenga di qualificare i costi di bonifica quali spese generali, queste dovranno gravare sui creditori titolari di garanzie reali solo pro-quota ai sensi dell’art. 223 CCII. La quota delle spese generali deve rispecchiare il rapporto proporzionale fra il valore, inteso quale ricavato della vendita, dei beni gravati da garanzia specifici e la restante parte dell’attivo realizzato[37].
Calcolando l’incidenza dei beni ipotecari sull’attivo realizzato si ottengono dunque le quote delle spese generali che devono essere imputate con priorità sul ricavato dei beni immobili ipotecari. 
7 . Conclusioni
L’analisi sopra proposta mostra in modo cristallino l’esistenza di un conflitto tra l’interesse dei creditori a massimizzare il risultato della liquidazione e l’interesse della collettività a rimuovere gli effetti nocivi alla salute pubblica derivanti dal mancato rispetto dell’ambiente.
Trovare un punto di equilibrio non è agevole; tuttavia, dovremmo preferire un sistema che non cancelli i diritti dei creditori a causa di condotte illecite del debitore[38]. L’impresa deve essere responsabile, anche socialmente (ma non solo), e coloro che violano le regole devono essere adeguatamente sanzionati. Ma la sanzione deve colpire l’autore dell’illecito e non coloro che a ciò siano del tutto estranei. 
Piuttosto, l’equilibrio tra valori andrebbe sempre misurato sul piano della prevenzione: da un lato vanno intensificati i controlli affinché si riducano i casi di inquinamento e dall’altro lato vanno parimenti intensificate le azioni di coloro cui spetta il controllo sull’impresa.
Quando i rimedi preventivi latitano e si passa alla patologia delle relazioni, dovremmo ritenere preferibile propendere per la partecipazione al concorso dei costi di bonifica, i quali non potranno essere qualificati quali crediti prededucibili, tutte le volte che non vi sia alcuna utilità per la massa dei creditori, come nell’ipotesi di avvenuta derelictio del sito inquinato. Ed in ogni caso, in particolare, i costi di bonifica potranno essere soddisfatti solo de residuo sul ricavato dei beni ipotecari, essendo necessario che il ricavato della liquidazione di tali beni sia destinato con priorità ai creditori ipotecari ex art. 222, comma 2, CCII.
È ovvio, concludendo, che in ipotesi di attivo insufficiente rimane irrisolto il problema di come ripristinare il sito inquinato, problema che potrebbe aversi anche qualora si decidesse di destinare tutto l’attivo a tal fine data l’entità che spesso assumono i costi di bonifica, resta dunque necessario un intervento del legislatore sul punto in grado di bilanciare i diversi valori in gioco[39].

Note:

[1] 
G. Alpa, Note sulla riforma della costituzione per la tutela dell’ambiente e degli animali in Contratto e impresa, 2022, p. 361 ss.; G. Azzariti, Tutela dell’ambiente in costituzione in Lo Stato , 2022, 8, p. 185.
[2] 
G. D’Attorre, Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it; B. Inzitari, Il concorso dei creditori tra sostenibilità dell’impresa ed ESG, paper presentato al Convegno nazionale di Orizzonti del diritto commerciale, Roma, 26 maggio 2023.
[3] 
Cfr. C. Stato, 14 marzo 2022, n. 1763, in Foro.it, 2022, 3, 6, p. 337 ss.
[4] 
M. Fabiani, Natura giuridica della vendita forzata ed effetti sulla traslazione del rischio da “bene non a norma” in AA.VV., Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, p. 1455 ss.
[5] 
Cass., 24 gennaio 2023, n. 2064, in foroplus.it; Cass., 12 luglio 2016, n. 14165, in foroplus.it.; Cass., 14 ottobre 2010, n. 21249, in Il Fall., 2011, p. 197.
[6] 
Possono individuarsi almeno tre diversi orientamenti, per una disamina dei quali si rimanda a M. Fabiani – F. Peres, La posizione del curatore e gli obblighi di ripristino ambientale, in Il Fall., 2021, p. 615 ss., spec. 618.
[7] 
C. Stato, Ad. Plenaria, 26 gennaio 2021, n. 3, in Foro.it, 2021, III, c. 294 (con annotazioni difformi di A. Albè); in precedenza, in senso conforme, cfr. C. Stato, sez. IV, 25 luglio 2017, n. 3672, Foro.it, Rep. 2018, voce fallimento, n. 368; T.a.r. Toscana, sez. II, 28 aprile 2000, n. 780, id., Rep. 2001, voce Sanità pubblica, n. 674; C. Stato, sez. V, 17 maggio 1996, n. 563, id., Rep. 1996, voce Comune, n. 358. In senso contrario, invece, e cioè in linea con quanto sostenuto nel testo, v., T.a.r. Sicilia, sede Catania, sez. IV, 23 dicembre 2019, n. 3061, T.a.r. Basilicata, sez. I, 4 aprile 2017, n. 293, e T.a.r. Trentino-Alto Adige, sede Trento, 20 marzo 2017, n. 93, ; T.a.r. Lombardia, sez. III, 3 marzo 2017, n. 520, in ForoPlus; C. Stato, sez. V, 30 giugno 2014, n. 3274, id., Rep. 2015, voce fallimento, n. 251; T.a.r. Abruzzo, sez. I, 17 giugno 2014, n. 564, id., Rep. 2014, voce Sanità pubblica e sanitari, n. 670; T.a.r. Toscana, sez. II, 19 marzo 2010, n. 700, id., Rep. 2011, voce Sanità pubblica, n. 686; 1° agosto 2001, n. 1318, id., Rep. 2002, voce fallimento, n. 322.
[8] 
Cfr. C. Stato, 2 marzo 2023, n. 2208, in Ambiente e Sviluppo, 2023, 4, p. 250 ss., ove si legge: “Che poi il fallimento stesso, a suo dire, non disponga dei mezzi economici necessari per fare quanto l'ordinanza prescrive è un problema di fatto, che può riguardare l'eseguibilità concreta del provvedimento, ma non ne inficia certo la legittimità”; T.a.r. Campania Salerno, 27 ottobre 2022, n. 2862, in onelegale.wolterskluwer.it; T.a.r. Marche Ancona, 8 aprile 2023, n. 221, in onelegale.wolterskluwer.it.
[9] 
M. Fabiani – F. Peres, op. cit., p. 626.
[10] 
In senso critico rispetto a tale affermazione cfr. G. Capobianco, Costi ambientali e procedura fallimentare, tra interessi collettivi e tutela creditoria, in Dir. fall. e soc. comm., 2021, p. 1060 ss.
[11] 
G. Gabassi, Gli obblighi ambientali del curatore fallimentare. Note a margine di C. Stato 3/2021, in Dirittodellacrisi.it, 14 aprile 2021, spec. p. 16.
[12] 
L’Ad. Plenaria ha solo vagliato il verificarsi dell’ipotesi di cui all’art. 42, comma 3, L. fall., sostenendo a tal proposito: “costituisce una mera eventualità di fatto, riguardante la gestione della procedura fallimentare e il ventaglio di scelte accordate dal legislatore al curatore e non incide sul rapporto amministrativo e sui principi in materia di bonifica come sopra rappresentati.
[13] 
Cfr. C. Stato, sez. IV, 8 giugno 2021, n. 4383, in onelegale.wolterskluwer.it; C. Stato, 14 marzo 2022, cit.
[14] 
Cfr. T.a.r. Lombardia Brescia, 23 agosto 2019, n. 767, in onelegale.wolterskluwer.it.
[15] 
C. Stato, 23 maggio 2023, n. 5109, in dejure.it.
[16] 
M. Fabiani, La prededuzione nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it.
[17] 
Cass., 7 marzo 2013, n. 5705, in Il Fall., 2013.
[18] 
Sulla nuova prededuzione v., F. Pani, La prededuzione prima e dopo il codice della crisi, in ristrutturazioniaziendali.it; ma, per una sottovalutazione delle novità, v., invece, G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, p. 13; S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, Milano, 2021, p. 101; G. Trisorio Liuzzi, L’ambito di applicazione e i principi generali, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bari, 2023, p. 28; C. Cecchella, Il diritto della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2020, p. 401; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, p. 308.
[19] 
Si deve ritenere anzi che a stretto rigore, che in tale ipotesi il curatore non sarebbe tenuto a farsi carico dei costi di bonifica che dovranno essere sostenuti dall’impresa o dalla pubblica amministrazione. Sul punto anche G. Capobianco, Costi ambientali cit., p. 1077-1078.
[20] 
M. Fabiani – F. Peres, op. cit., spec. p. 624.
[21] 
Trib. Milano, 27 aprile 2022, n. 3623, in Dirittodellacrisi.it
[22] 
Nel caso di specie il ricorrente (Ministero della Transizione ecologica, Ministero dell’Economia e della Finanze, e Presidenza del Consiglio dei Ministri) aveva chiesto l’ammissione al passivo del proprio credito a titolo di risarcimento del danno ambientale provocato dalla società.
[23] 
Si ritiene che l’amministrazione dovrebbe procedere esecutivamente in via prioritaria sul bene abbandonato, potendo poi essere ammesso al passivo solo per la parte residua cfr. Sub art. 104 ter L. fall, in Commentario breve alla legge fallimentare, a cura di A. Maffei Alberti, Padova, 2013, spec. p. 730. G. Capobianco, op. ult. cit., p. 1079, ritiene: “Ne consegue che, far gravare i costi della diseconomia esterna direttamente sulla curatela, quindi sull’attivo della procedura, generalmente incapiente in pratica, rischia di porti in aperto contrasto con l’art. 2741 c.c. Al contrario, a mio avviso, la soluzione più fedele alla disciplina concorsuale è quella di far partecipare il costo della diseconomia al concorso con gli altri credit(or)i”.
[24] 
V. Giorgi, Rinuncia all’acquisizione e siti contaminati. Derelizione dei beni o “abbandono”…dei creditori?, in Dir. fall. e soc. comm., 2019, 1, p.131 ss., spec. p. 143.
[25] 
Si tratta, infatti, di un credito anteriore derivante da un illecito commesso dal debitore.
[26] 
V. Giorgi, op. cit., spec. p. 144. L’ A. rileva altresì che nel caso dell’ILVA il legislatore (D.L. 5 gennaio 2015, n. 1, convertito in L. 5 marzo 2015, n. 20) ha espressamente previsto la prededuzione per i crediti “anteriori all’ammissione alla procedura, vantati da piccole e medie imprese individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, relativi a prestazioni necessaria al risanamento ambientale, alla sicurezza e alla continuità dell’attività degli impianti produttivi essenziali..”. Tale previsione non avrebbe senso se tali crediti fossero già prededucibili per loro natura (ivi, spec. p. 144 e 147). 
[27] 
Cfr. sub Art. 111 bis L. fall., in op. cit., a cura di A. Maffei Alberti, spec. p. 786.
[28] 
L’art. 222 CCII, nel riprodurre l’art. 111 bis L. fall., attraverso l’inciso “salvo il disposto dell'articolo 223” chiarisce ora il necessario coordinamento con l’art. 223 CCII (art. 111 ter L. fall.) cfr. G. Bozza, Frutti civili nel ricavato dalla liquidazione di immobile ipotecato tra creditori in prededuzione e ipotecari (Nota a Trib. Messina Sez. fall., 12 aprile 2021), in Il Fall., 2022, p. 251 ss., spec. 256; v., anche, F Pani, Prededuzioni e riparto: il rebus dei criteri di distribuzione in presenza di garanzie reali, in ristrutturazioniaziendali.it.
[29] 
Sul punto si veda anche L. Balestra, Brevi note su crediti prededucibili e crediti ipotecari e pignoratizi, in Il Fall., 2017, p. 5 ss.
[30] 
G. Bozza, La ripartizione dell’attivo, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario sistematico, diretto da A. Jorio – M. Fabiani, Torino, 2010, spec. p. 636.
[31] 
In tal senso G. Bozza, Frutti civili cit., p. 256.
[32] 
G. Bozza, La ripartizione dell’attivo cit., spec. p. 627-628.
[33] 
M. Fabiani, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, spec. p. 482.
[34] 
G. Bozza, op. ult. cit., 628, nota 54. Cfr. Cass., 17 novembre 2022, n. 33977, ove si legge: “Del resto, che sul ricavato della vendita degli immobili gravati da ipoteca, di natura fondiaria, debbano gravare in prededuzione non solo le spese riconducibili alla conservazione e liquidazione del bene ipotecato, ma anche - sia pure in misura proporzionale - il compenso del curatore e le spese generali della procedura, è un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Cass. 11500/2010, 23482/2018, 12673/2022, 18882/2022), che peraltro risponde a logica, prima ancora che a diritto, tenuto conto che l'attività di curatore, coadiutore e legali eventualmente nominati a tutela della massa è prevista dalla legge nell'interesse dell'intero ceto creditorio (compreso il creditore fondiario, L. Fall., ex art. 52)”.
[35] 
G. Bozza, Frutti civili cit., p. 255. L’A. nota (ivi, nota 7) che è il legislatore stesso, talvolta, a distinguere crediti prededucibili e spese di procedura, come agli artt. 102, comma 1, e 118, comma 1 n. 4, L. fall. (artt. 209, comma 1, e 233, comma 4, CCII).
[36] 
In tal senso G. Bozza, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni tra il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario, in Il Fall., 2015, p. 700 ss., spec. 708-709.
[37] 
G. Bozza, La ripartizione dell’attivo cit., p. 628.
[38] 
A. Giordano, L’ambiente come valore e la responsabilità da ‘posizione’ del curatore fallimentare, in ceridap.eu., 15 giugno 2022.
[39] 
Ed in generale non si può negare la necessità di un migliore coordinamento normativo tra disciplina amministrativa, penale e civile; sul punto cfr. G. Capobianco, La responsabilità della curatela fallimentare per omessa bonifica, ripristino e recupero dello stato dei luoghi inquinati, in Dir. fall. e soc. comm., 2022, p. 962 ss., spec. p. 983; Sul punto anche Id., La (mancata) tutela ambientale nel diritto concorsuale, tra discrezionalità legislativa e dubbi di legittimità costituzionale, in Ristrutturazioni Aziendali, 8 giugno 2022; D. Stanzione, Liquidazione dell’attivo e interessi degli stakeholders, Napoli, 2023, spec. p. 255 ss.

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