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Saggio

L’efficacia in Italia di decisioni straniere relative a procedure di insolvenza*

Antonio Leandro, Ordinario di Diritto internazionale pubblico e privato nell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro

23 Maggio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il lavoro affronta con taglio ricostruttivo e critico la disciplina dell’efficacia in Italia delle decisioni straniere in materia di insolvenza confrontandosi dapprima con il regime applicabile ai rapporti tra Stati membri dell’UE e, successivamente, con la normativa concernente le decisioni provenienti da Stati terzi. 
Riproduzione riservata
1 . Osservazioni introduttive
Le decisioni pronunciate nell’ambito di una procedura di insolvenza straniera richiedono la soluzione di due problemi: determinarne le condizioni di efficacia nello Stato richiesto e stabilirne gli effetti sostanziali e processuali. Assumeremo la prospettiva dell’Italia quale Stato richiesto, occupandoci delle decisioni provenienti sia da Stati membri dell’UE sia da Stati terzi.
L’analisi sarà condotta rispetto al primo gruppo di Stati tenendo presente il reg. (UE) 2015/848 del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza («reg. 2015/848»), ricordando che esso non si applica alla Danimarca e non riguarda di determinate categorie di debitori (es. banche).[1] Il reg. 2015/848 ha abrogato e sostituto il reg. 1346/2000, riguardante la stessa materia, lasciandone sostanzialmente invariata la disciplina sul riconoscimento e l’esecuzione. Pertanto, nella presente analisi occorre confrontarsi con le interpretazioni accolte dalla Corte di giustizia sulle disposizioni del reg. 1346/2000 che siano «equivalenti» a quelle del reg. 2015/848.[2] In ogni caso, si noti che il reg. 1346/2000 continua ad applicarsi alle procedure aperte prima del 26 giugno 2017 (art. 84, par. 2, reg. 2015/848).
L’analisi ripiegherà sulla L. 31 maggio 1995 n. 218 e sul Codice della crisi in relazione alle decisioni provenienti da Stati terzi (o dalla Danimarca), avendo riguardo anche ai casi in cui una convenzione internazionale possa disciplinare la materia.
2 . Decisioni intra-UE
Nell’ambito del reg. 2015/848, la decisione di apertura è riconosciuta in tutti gli altri Stati membri non appena produce effetti nello Stato della procedura, ossia lo Stato in cui il debitore ha il centro degli interessi principali («COMI») o una dipendenza. Notoriamente, la decisione apre la procedura principale nel primo caso e una procedura secondaria nel secondo, ovvero una procedura territoriale indipendente qualora la principale non sia aperta. 
Il combinato disposto degli articoli 19 e 20 racchiude il principio del riconoscimento automatico delle decisioni, il quale, a sua volta, è espressione della mutua fiducia tra gli organi giudiziari dei vari Stati membri.[3] 
Ai sensi dell’art. 32, il riconoscimento automatico copre indistintamente la decisione che apre la procedura, le decisioni relative allo svolgimento e alla chiusura della procedura (compreso il concordato), le decisioni che derivano direttamente dalla (e sono strettamente connesse alla) procedura, nonché i provvedimenti conservativi emanati dopo la domanda di apertura della procedura o a questa collegati. 
L’efficacia esecutiva è disciplinata tramite rinvio al reg. (UE) n. 1215/2012 del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale («reg. 1215/2012»). 
La decisione di apertura della procedura principale produce gli effetti previsti dalla lex concursus fintantoché in un altro Stato membro (quello o quelli in cui una dipendenza è localizzata) non sia aperta una procedura secondaria. 
L’art. 20, par. 2 fa intendere che gli effetti della procedura secondaria sono contestabili soltanto dinanzi ai giudici della dipendenza. Pertanto, se alla luce del principio di universalità è naturale ritenere che gli effetti della procedura principale possono essere contestati nello Stato di apertura, il regolamento tratta allo stesso modo la procedura secondaria nonostante i suoi limiti territoriali.
3 . La nozione di decisione di apertura
Stando alla definizione dell’art. 2 n. 7, per decisione di apertura si intende sia la «decisione del giudice di aprire una procedura […] o di confermarne l’apertura» sia «la decisione di un giudice di nominare un amministratore [della procedura]». 
Il riconoscimento non è subordinato alla definitività della decisione, ma al solo fatto che essa cominci a produrre effetti (argomentando, ex art. 2 n. 8 e 19): la lex concursus stabilirà se tale condizione dipende dalla definitività della decisione. 
Poiché la lex concursus detta le condizioni in base alle quali una decisione apre la procedura, un provvedimento potrà essere qualificato o meno come «decisione di apertura» a seconda di quanto dispone l’ordinamento dello Stato in cui la procedura è aperta. 
Il caso Eurofood è emblematico. La Corte di giustizia ritenne che una misura a carattere conservativo e provvisorio (quale era nel caso di specie la nomina del provisional liquidator nei compulsory winding-up proceedings di diritto irlandese) potesse equivalere a una «decisione di apertura» se tali fossero stati i dettami della lex concursus e a prescindere da quanto prevedesse la legge dello Stato richiesto.[4] 
Nel vigore del reg. 1346/2000 era frequente chiedersi se una «decisione di apertura» potesse circolare in altri Stati membri anche se essa apriva una procedura difforme dai criteri di applicazione del regolamento. 
Invero, nulla quaestio se la decisione apriva una delle procedure elencate negli allegati al regolamento: l’applicabilità del regolamento era fuori discussione.[5] Il problema emergeva solo in relazione alle procedure non elencate negli allegati A e B, rispetto alle quali sembrava necessario indagare sulla sussistenza dei criteri di applicabilità previsti dall'art. 1, par. 1. 
Senonché, la Corte di giustizia aveva escluso che il reg. 1346/2000 si applicasse alle procedure estranee agli allegati.[6] Il reg. 2015/848 conferma questo orientamento prevedendo espressamente che le procedure rispondenti ai criteri di applicazione dell’art. 1 sono elencate nell’allegato A (art. 1, par. 1, ult. frase) e precisando nel considerando n. 9 che le procedure estranee all’allegato A non «dovrebbero essere disciplinate» dal regolamento. Logicamente, anche la decisione che apre simili procedure è estranea al regime del riconoscimento previsto dal regolamento. 
4 . Segue: l’apertura come effetto della decisione
Il principio del riconoscimento automatico e della mutua fiducia impongono agli Stati membri di dare effetto nel proprio territorio alla decisione di apertura straniera. 
Gli effetti sono perlopiù determinati dalla legge dello Stato d’apertura (articoli 7, par. 1 e 20, par. 1). La lex fori concursus fissa, in particolare, il dies a quo di produzione degli effetti e il relativo contenuto (a meno che il regolamento non imponga l’applicazione di un’altra legge). Gli effetti stabiliti dalla lex concursus si estendono sul territorio degli Stati membri (eccetto la Danimarca) senza distinzione tra procedura principale o procedura secondaria: il richiamo della lex concursus al riguardo non muta a seconda della portata universale o territoriale della procedura. 
Il principale effetto è l’apertura. Il regolamento prevede che il momento dell’apertura sia agganciato alla circostanza che la decisione cominci a produrre effetti (art. 2 n. 8). L’apertura è riconosciuta negli altri Stati membri non appena produce effetti nello Stato d’origine (art. 19, par. 1). 
La mutua fiducia impedisce ai giudici dello Stato richiesto di sindacare sulla corretta determinazione del COMI o della dipendenza effettuata dal giudice d’origine al fine di dichiarare la propria giurisdizione sulla domanda di apertura.[7] I giudici degli altri Stati membri potrebbero soltanto accertare la sussistenza della giurisdizione sulla domanda presentata dinanzi ad essi ai fini dell’apertura di una diversa procedura secondaria, sempreché una dipendenza si trovi nel loro Stato. 
È intuibile che simili determinazioni dipendono dalla conoscenza dell'apertura della procedura e della natura (principale o secondaria) a questa ascrivibile. Il regolamento detta al riguardo un regime di pubblicità sorretto dall’obbligo del giudice che ha aperto la procedura di «esporre i motivi della competenza giurisdizionale», così da rendere noto se ha aperto una procedura principale o una secondaria (art. 4).[8] Tale obbligo è altresì funzionale al diritto del debitore e dei creditori di impugnare la decisione per «motivi di competenza giurisdizionale» sancito in via uniforme dall’art. 5. 
D’altro canto, l’efficacia prescinde dalla conoscenza che si abbia della decisione di apertura. La Corte di giustizia ha chiarito che gli effetti non dipendono dalla notifica della decisione di apertura – essendo il mutuo riconoscimento accostato alla decisione in sé; la ritardata notifica giustificherebbe semmai il risarcimento di eventuali danni ad essa correlati.[9]
5 . I conflitti tra decisioni di apertura
Può darsi che due istanze di apertura siano presentate nei confronti dello stesso debitore dinanzi ai giudici di due Stati membri diversi. Lo scenario presenta tratti problematici soltanto quando le istanze mirano all’apertura di procedure principali considerato che molteplici procedure secondarie possono essere aperte per quanti sono gli Stati in cui il debitore possiede una dipendenza. Di contro, poiché il debitore può avere un solo COMI,[10] soltanto una procedura principale è suscettibile di apertura nei suoi confronti e un conflitto di giurisdizione in senso stretto può sorgere con riferimento alle relative domande di apertura.[11] 
Soffermandoci, dunque, sulla contestuale pendenza nello Stato A e nello Stato B di domande dirette ad aprire la procedura principale, un problema sorge se gli effetti della decisione nello Stato A sono retrodatati al momento della proposizione della domanda di apertura, mentre quelli nello Stato B decorrono dal momento della decisione. Il problema sorge, invero, se la decisione «non retroattiva» è resa prima dell’altra, ma in un momento successivo alla presentazione della domanda di apertura che, nell’altro Stato, conduce alla decisione «retroattiva». I giudici che rendono la decisione «retroattiva» si potrebbero ritenere i primi (unici) competenti in virtù del principio del riconoscimento automatico. 
La regola discendente dal combinato disposto degli articoli 7, par. 1, 19, par. 1 e 20, par. 1 – regola, ribadiamo, per la quale gli effetti della decisione e della procedura, ivi compreso il rispettivo dies a quo, sono fissati dalla lex concursus d'origine – contengono i termini del problema spostandolo al momento di stabilire l’efficacia delle decisioni. Difatti, le decisioni in gioco sono automaticamente riconosciute in tutti gli Stati membri, portando con sé gli effetti previsti dalla lex concursus, a cominciare dalla individuazione del momento in cui essi sono prodotti: momento, questo, che determinerà quale tra dette decisioni è stata «resa per prima» e beneficia del mutuo riconoscimento.[12] 
Resta il difetto di un coordinamento espresso tra le istanze di apertura presentate in Stati membri differenti quando non si è ancora giunti a una decisione. Se fosse previsto un criterio di priorità, non sarebbe necessario attendere la pronuncia della decisione e determinarne il momento di produzione di effetti in base alla lex concursus
La Corte di giustizia è venuta in soccorso affermando che «quando una domanda è presentata successivamente agli stessi fini dinanzi a un giudice di un altro Stato membro, quest’ultimo non può, in linea di principio, dichiararsi competente ad aprire una siffatta procedura finché il primo giudice non si sia pronunciato».[13] Sebbene il caso riguardasse la domanda di apertura di una procedura principale nei riguardi di un debitore che aveva spostato il COMI in un altro Stato membro dopo la presentazione di tale domanda, ma prima che il giudice adito si fosse pronunciato, il principio elaborato dalla Corte secondo cui il giudice adito per secondo (ossia il «giudice del nuovo COMI») deve attendere la pronuncia sulla giurisdizione del giudice adito per primo può essere generalizzato. 
La Corte nulla dice su ciò che il giudice prevenuto debba fare in attesa della pronuncia del giudice preveniente. Sotto questo profilo, la lex fori può intervenire al fine di disciplinare aspetti non trattati dal regolamento anche allo scopo di realizzarne il c.d. effetto utile. Nei casi in discorso va preservata la competenza esclusiva del giudice del COMI e vanno evitati per quanto possibile conflitti di giurisdizione, sullo sfondo della mutua fiducia tra gli organi giurisdizionali degli Stati membri. Così, assimilando la situazione descritta a quella di una litispendenza all’estero, in Italia potrebbe intervenire l’art. 7, L. n. 218/1995 al fine di imporre al giudice italiano di sospendere il giudizio sulla sua giurisdizione in attesa della pronuncia del giudice straniero. 
Un futuro recast del regolamento dovrebbe accogliere la regola elaborata dalla Corte, ma con alcuni ritocchi. Ad esempio, occorre puntualizzare il significato di «domanda presentata successivamente agli stessi fini» nel senso di estenderlo a ogni istanza riguardante lo stesso debitore a prescindere dalla natura e dalla finalità della procedura di insolvenza richiesta. Inoltre, occorre ritoccare l’art. 24 del regolamento nel senso di prevedere obbligatoriamente che anche la data di presentazione della domanda di apertura sia annotata nei «registri fallimentari».
6 . Gli effetti sostanziali e processuali della decisione di apertura
La procedura porta con sé nel territorio «comunitario­­­» tutti gli effetti prodotti nello Stato di apertura:[14] effetti, questi, che, come anticipato, derivano principalmente dalla lex concursus
È da chiedersi se una decisione di apertura possa dar luogo, nello Stato richiesto, anche a effetti non previsti dalla lex concursus d’origine. La risposta è ovviamente positiva con riguardo agli effetti che lo stesso regolamento rimette a leggi diverse: tale è il caso, ad esempio, degli effetti sui contratti relativi ai beni immobili ai sensi dell’art. 11. 
Invero, la questione principale è se, oltre agli effetti previsti nello Stato d’origine, la decisione possa produrre gli effetti stabiliti dallo Stato richiesto. 
Non si discute sulla eventuale differenza di ordine qualitativo tra la decisione d’origine e una corrispondente decisione nello Stato richiesto. Tale eventualità è poco rilevante nel regolamento. Il principio del riconoscimento automatico postula la produzione di effetti della decisione d’origine quali che siano gli effetti di una corrispondente decisione dello Stato richiesto. Inoltre, il regolamento presuppone simili differenze qualitative visto che opera in uno scenario di normative concorsuali ancora poco armonizzate. 
La differenza di ordine quantitativo si avrebbe, invece, se agli effetti risultanti dalla lex concursus d’origine si affiancassero quelli ulteriori e diversi previsti in altri Stati.[15] Bene, una differenza del genere è ammissibile. Basti pensare all’art. 21, par. 3, il quale consente all’amministratore di esercitare tutti i poteri attribuitigli dalla lex concursus, se si tratta di procedura principale, o dal regolamento, se si tratta di procedura secondaria, rispettando «la legge dello Stato membro nel cui territorio intende agire e in particolare le modalità di liquidazione dei beni». 
Se, dunque, il regolamento subordina l’esercizio dei poteri dell’amministratore al rispetto della lex loci, l’amministratore dovrebbe poter esercitare tutti gli altri poteri previsti dalla stessa legge correlati all’apertura di una procedura di insolvenza. Un limite è imposto dal regolamento: tali poteri non possono includere l’impiego di mezzi coercitivi, salvo se disposti dal giudice locale, o il diritto di decidere su una controversia o una lite (art. 21, par. 3). 
Ammesso, in definitiva, che una differenza quantitativa può esserci tra effetti della procedura previsti dalla lex concursus ed effetti della procedura previsti dalla legge di altri Stati membri, tale differenza può approdare a un ampliamento degli effetti, non potendosi immaginare una falcidia di quelli voluti dalla lex concursus a meno che non ricorrano ragioni di ordine pubblico ai sensi dell’art. 33.
7 . L’efficacia di decisioni diverse da quella di apertura: le decisioni «ancillari»
Si è detto che, ai sensi dell’art. 32, il riconoscimento automatico copre le decisioni relative allo svolgimento e alla chiusura della procedura (compreso il concordato), le decisioni che derivano direttamente dalla (e sono strettamente connesse alla) procedura, e i provvedimenti conservativi emanati dopo la domanda di apertura della procedura o a questa collegati. 
Le decisioni pronunciate in base alla vis attractiva stabilita dall’art. 6 beneficiano, dunque, del mutuo riconoscimento ai sensi dell’art. 32.[16] Tale disposizione si applica anche se la decisione de qua è stata presa «da altro giudice». La Corte di giustizia ha chiarito che «spetta agli Stati membri determinare il giudice competente sotto il profilo territoriale e materiale, il quale non deve essere necessariamente quello che ha avviato la procedura d’insolvenza».[17] In altre parole, l’art. 32 non presuppone che giudici di Stati diversi da quello della procedura possano avere giurisdizione. Esso, al contrario, presuppone la giurisdizione dello Stato in cui la procedura è stata aperta e ammette che, per effetto dei criteri di competenza interna di tale Stato, un giudice diverso da quello che ha aperto la procedura possa rendere decisioni «ancillari». D’altro canto, l’art. 32 usa l’espressione «altro giudice» piuttosto che «altri giudici», evitando cioè l’uso del plurale che notoriamente contraddistingue norme che attribuiscono giurisdizione o determinano la competenza internazionale ai fini del riconoscimento. 
Degne di nota sono, poi, le decisioni pronunciate da giudici competenti per effetto dell’art. 6, par. 2, reg. 2015/848. Tale disposizione prevede il c.d. forum connexitatis, ossia un meccanismo che consente all’amministratore della procedura di ottenere la riunione di azioni che derivano dalla procedura e azioni in materia civile e commerciale dinanzi ai giudici dello Stato in cui il convenuto è domiciliato (oppure, se l’azione è promossa contro più convenuti, dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui uno di essi ha il domicilio), a condizione che tali giudici siano competenti in base al reg. 1215/2012. 
Sorge la questione di quale sia il regime di efficacia applicabile alle decisioni pronunciate da questi giudici. Ora è chiaro che l’art. 32 non può venire in soccorso là dove parla di «altro giudice». In realtà, poiché l’art. 6, par. 2 assegna all’amministratore il potere di riunire le cause dinanzi ai giudici del domicilio del convenuto ai sensi del reg. 1215/2012, esso non detta una norma sulla giurisdizione, in particolare una norma collegata al regime del riconoscimento delineato dall’art. 32. L’art. 6, par. 2 consente di attivare la giurisdizione del reg. 1215/2012 su azioni da questo escluse e di legare ad essa la disciplina del riconoscimento. Pertanto, a meno che la decisione resa dai «giudici del domicilio» non sia divisibile in parti separate alle quali applicare rispettivamente il reg. 2015/848 e il reg. 1215/2012,[18] la decisione sulle cause riunite circolerà in base al reg. 1215/2012 anche nello Stato in cui la procedura di insolvenza è stata aperta.
8 . Segue: i provvedimenti provvisori e conservativi
«I provvedimenti conservativi anteriori e posteriori all'apertura della procedura di insolvenza possono avere rilevanza per garantire l'efficacia della procedura stessa». Così recita il considerando 36. Va da sé che le procedure di insolvenza, specialmente quelle con finalità liquidatorie, operano al meglio quando i beni della massa sono tracciati e recuperati agevolmente e rapidamente. Analogamente, le azioni che derivano dalla procedura, come le revocatorie, traggono beneficio da strumenti cautelari che consentono di recuperare subito i beni alla massa. 
Nel caso di procedure transfrontaliere, i beni in questione possono trovarsi in Stati diversi da quello della procedura (a prescindere dal fatto che appartengano al debitore o a terzi), nonché essere distribuiti in vari Stati. Di conseguenza, varie «giurisdizioni» caratterizzate da diversi e finanche divergenti tradizioni giuridiche possono essere interessate all’azione cautelare o protettiva funzionale a una procedura di insolvenza aperta all’estero.[19] 
Il reg. 2015/848 non reca una definizione di provvedimenti provvisori e conservativi, ma dal considerando 36 può ricavarsi un’ampiezza tale da accogliere ogni provvedimento in grado di assecondare le esigenze della procedura a seconda della natura e degli scopi della stessa e del momento in cui il provvedimento è chiesto. Si va, dunque, da misure protettive volte a preservare la massa, a misure destinate a proteggere i piani di ristrutturazioni, ovvero a misure che proteggono i diritti dei creditori durante la procedura. Inoltre, il regolamento è in grado di accogliere provvedimenti che proteggono diritti reali garantiti ai sensi dell’art. 8 al fine di contrastare eventuali provvedimenti di recupero del collateral richiesti dall’amministratore della procedura. 
Ancora, i creditori locali – ossia quelli «i cui crediti nei confronti di un debitore derivano o sono legati all'attività di una dipendenza situata in uno Stato membro diverso dallo Stato membro in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore» (art. 2(11)) – possono domandare misure a protezione dei beni del debitore situati nello Stato della dipendenza durante la fase istruttoria della domanda di apertura della procedura secondaria ovvero quando è stata aperta una «procedura sintetica» ai sensi dell’art. 36, al fine di monitorarne il corretto svolgimento. 
Di contro, una misura protettiva può consistere nella sospensione delle azioni individuali in vista delle trattative condotte da debitore e creditori nell’ambito di un processo di ristrutturazione (art. 1, par. 1, lett. c); analogamente, nella stessa direzione si pone la sospensione dell’apertura di una procedura secondaria a salvaguardia di trattative o ristrutturazioni in corso nella procedura principale (art. 38, par. 3). Inoltre, il concetto di «misura conservativa» include ogni misura diretta a ottenere informazioni in forma documentale o orale. 
Si potrebbe proseguire in questa elencazione, ma dovrebbe essere ormai chiaro che non si tratterebbe di un elenco chiuso. 
Ciò detto, l’art. 32 estende il mutuo riconoscimento anche i provvedimenti conservativi e provvisori resi nello Stato che ha aperto la procedura, a prescindere dal fatto che siano stati pronunciati dal giudice che ha dichiarato l’apertura o da altro giudice dello stesso Stato. Di conseguenza, anche tali provvedimenti producono effetti in tutto lo spazio unionale senza alcuna formalità. Peraltro, poiché l’art. 32 parla di provvedimenti «presi successivamente alla domanda di apertura di una procedura di insolvenza o a questi collegati», la giurisdizione a pronunciarli sussiste anche in pendenza della domanda di apertura. 
Non è chiaro se tale regime copre anche i provvedimenti chiesti prima della domanda di apertura della procedura.[20] Si sostiene che in quel momento il regolamento neanche sarebbe applicabile,[21] con la principale argomentazione che la giurisdizione ai sensi dell’art. 3 va accertata al momento della presentazione della domanda. 
Senonché, vi sono argomenti che potrebbero militare a favore dell’inclusione di provvedimenti «ante causam». Anzitutto, là dove l’art. 32 parla di provvedimenti «collegati» alla procedura non esclude che possa trattarsi di provvedimenti volti a proteggere imminenti domande di apertura. La lex fori stabilirebbe se e in quale misura tali misure siano ammissibili in relazione a una procedura di insolvenza e, in caso affermativo, la giurisdizione sarebbe determinata dall’art. 3. 
In secondo luogo, occorre evitare per quanto possibile vuoti tra il reg. 2015/848 e il reg. 1215/2012 al cospetto di problemi di giurisdizione e riconoscimento nel settore civile, commerciale e della crisi.[22] Sicché, qualora il provvedimento «ante causam» fosse richiesto per proteggere diritti e interessi basati sulla normativa della crisi con riguardo a debitori aventi il COMI in uno Stato membro, il reg. 2015/848 si applicherebbe. Il fatto che la misura sia chiesta prima della domanda di apertura renderebbe soltanto temporaneo l’accertamento del COMI o della dipendenza.[23] Di contro, qualora la misura fosse destinata a proteggere diritti e interessi fondati sul diritto civile o commerciale, essi spetterebbero alla giurisdizione individuata in base al reg. 1215/2012, ove applicabile. Chiaramente, se dopo la presentazione della domanda di apertura, quei diritti e interessi traslocassero nella normativa speciale della crisi, la giurisdizione spetterebbe al foro individuato dal reg. 2015/848. 
Il reg. 2015/848 non prevede espressamente la giurisdizione esorbitante di Stati diversi da quello del COMI o della dipendenza come, mutatis mutandis, fa il reg. 1215/2012 nell’art. 35. Senonché, anche nell’ambito del reg. 2015/848, altri fori possono essere investiti della richiesta di misure protettive da parte degli amministratori della procedura, compreso l’amministratore provvisoriamente nominato ai sensi dell’art. 52. Questo aspetto sarà più chiaro dopo aver trattato l’esercizio transfrontaliero dei poteri degli amministratori delle procedure. Va subito detto, però, che gli amministratori possono domandare provvedimenti cautelari ai giudici competenti in base al reg. 1215/2012 in relazione a questioni che fuoriescono dal reg. 2015/848, quando, in altre parole, non sussiste la vis attractiva concursus sul merito dell’azione principale o quando gli stessi amministratori richiedono la riunione delle cause ai sensi dell’art. 6, par. 2, reg. 2015/848 dinanzi ai giudici del domicilio del convenuto.
9 . Segue: il caso del concordato
Nel regime semplificato di circolazione rientra anche il concordato. Esso merita attenzione perché è suscettibile di inquadramento sia come atto giudiziario (avendo riguardo al provvedimento di omologazione) sia come atto lato sensu negoziale (avendo riguardo all'accordo tra debitore e creditori). 
L'art. 32 si riferisce alle decisioni rese dal foro che ha aperto la procedura. Il concordato preventivo o altra procedura affine che previene la liquidazione costituisce, dunque, non una «decisione di chiusura», ma una «procedura». Di contro, il concordato nella liquidazione giudiziale o procedura affine opera come «decisione di chiusura». 
Il concordato nella liquidazione dà luogo essenzialmente a due effetti: il primo, positivo, consiste nella sistemazione obbligatoria dei rapporti tra debitore e creditori; il secondo, negativo, consiste nella chiusura di una precedente liquidazione giudiziale o procedura affine.[24] Il principio del riconoscimento automatico consente a tali effetti di circolare. 
Le decisioni collegate al concordato preventivo hanno efficacia extraterritoriale al pari di ogni altra decisione presa nell'ambito di una procedura di insolvenza: così, la decisione di apertura (ossia la decisione di ammissione al concordato) circola ai sensi degli articoli 19 e 20, mentre le altre decisioni, compresa quella di chiusura, ai sensi dell'art. 32, par. 1. 
Sul piano della disciplina sostanziale, la lex concursus interviene sul concordato preventivo in qualità di legge della procedura (art. 7, par. 1), mentre è applicabile al concordato della liquidazione in qualità di legge che determina «le condizioni e gli effetti della chiusura della procedura di insolvenza, in particolare, mediante procedure di composizione» (art. 7, par. 2, lett. j)); e, quando sovviene come legge dello Stato della dipendenza, l’amministratore della procedura principale potrebbe avvalersene per domandare la chiusura della procedura secondaria «mediante [...] un concordato [...]» in virtù di un potere conferitogli dal regolamento (art. 47, par. 1). 
Il concordato (quale che sia) poggia sull’accordo tra debitore e creditori – la cui efficacia è subordinata al provvedimento di omologazione –, sicché la lex concursus ne regolerà gli effetti sulla liquidazione giudiziale (se si tratta di concordato della liquidazione) o sulla composizione vincolante della crisi (se si tratta di concordato preventivo).
10 . Segue: la revoca dell’apertura
Un discorso a parte merita la revoca dell’apertura. Essa trova una difficile collocazione all’interno del regolamento: si potrebbe inquadrarla come decisione relativa alla chiusura della procedura. 
Secondo talune normative, come quella italiana, la revoca non priva di effetti gli atti legalmente compiuti nella procedura (anche di natura esecutiva).[25] V’è da chiedersi quale sia la proiezione di simili determinazioni all’estero. 
La lex concursus senza dubbio determina la categoria degli atti «salvati­», nonché il momento dal quale la revoca priva di efficacia la decisione di apertura. Si tratta, infatti, di competenze previste dall’art. 7, par. 1 ed estese all’estero dall’art. 32, riferito alla decisione di revoca, e dall’art. 19, riferito agli specifici effetti della revoca sull’apertura. 
Il concorso tra la decisione di revoca resa nello Stato del COMI e la decisione di apertura della procedura secondaria pone problemi quando la prima è pronunciata dopo la seconda. Quid se la lex concursus del COMI stabilisce che la revoca produce effetti su tutte le procedure che trovavano un presupposto nell’apertura della procedura principale, specie con riguardo alla sopravvenuta carenza di legittimazione dell’amministratore a domandarne l’apertura? Tale legittimazione, prevista dal regolamento, presuppone che l’amministratore sia ancora operativo secondo la sua lex concursus
Senonché, nulla toglie che la lex concursus della dipendenza salvi a sua volta gli effetti dell’apertura della procedura secondaria. 
Di contro, la stessa legge potrebbe prevedere che la revoca dell’apertura della procedura principale giustifichi la revoca dell’apertura della secondaria ovvero la conversione in una procedura diversa. Il regolamento sorregge questa ricostruzione. 
Va ricordato, infatti, che la procedura secondaria può essere aperta senza che nello Stato della dipendenza sia esaminata l’insolvenza del debitore (art. 34), specialmente allorché l'insolvenza sia stata accertata nello Stato del COMI. Se la revoca dell’apertura della procedura principale dipendesse dall’accertamento negativo dello stato di insolvenza, l’apertura della procedura secondaria potrebbe essere impugnata per carenza di un presupposto. 
La conversione da procedura liquidatoria a procedura di risanamento è ammissibile perché le procedure secondarie non devono avere necessariamente finalità liquidatorie e perché, alla luce della revoca della procedura principale, la procedura in questione non sarebbe più secondaria e, come tale, protesa a servire gli scopi della prima. 
In ogni caso – inclusa, dunque, la conversione da un tipo di procedura all’altro – l’art. 51 del regolamento impone di accertare che la nuova procedura sia idonea a tutelare gli interessi dei creditori locali e coerente con la procedura principale. Una volta revocata l’apertura della procedura principale, sindacare su questa coerenza non ha più senso e i creditori locali sono i soli creditori i cui interessi possono condizionare – conformemente alla lex concursus della dipendenza – la scelta di risanare o liquidare. 
Infine, la revoca dell’apertura della procedura principale può incidere sul conflitto di valutazioni eventualmente sorto tra giudici di Stati membri diversi a proposito della localizzazione del COMI. 
Un giudice dello Stato A potrebbe aprire la procedura principale dichiarandosi «giudice del COMI» dopo che un giudice dello Stato B ha fatto lo stesso nei confronti del medesimo debitore. Fermo restando quanto detto a proposito della regola introdotta dalla Corte di giustizia in caso di domande parallele, in base al principio del mutuo riconoscimento, il primo giudice potrà casomai aver aperto una procedura secondaria se nel suo Stato è localizzata una dipendenza. 
Ora, si immagini la revoca della decisione di apertura pronunciata dal giudice dello Stato B. Essa altera necessariamente la natura della procedura aperta nell’altro Stato. Infatti, è vero che il principio del riconoscimento automatico impone di attenersi alle decisioni del giudice straniero dichiaratosi competente ai sensi dell’art. 3, par. 1, ma è irrealistico pretendere che, nonostante la revoca dell’apertura, l’originaria determinazione sul COMI da parte del giudice dello Stato B vincoli senza limiti (soprattutto di tempo) i giudici degli altri Stati membri.[26] 
Peraltro, un vincolo del genere consentirebbe al debitore di spostare liberamente il COMI in un altro Stato membro senza che a ciò possa conseguire l’apertura di una procedura principale nei suoi confronti: circostanza, questa, che potrebbe rivelarsi contraria ai suoi stessi interessi.
11 . L’efficacia esecutiva
Si è anticipato che l’efficacia esecutiva è disciplinata tramite rinvio al reg. 1215/2012, il quale, come è noto, ha eliminato la fase di exequatur, facendo salva la possibilità di domandare il diniego del riconoscimento e dell’esecuzione. 
Nel regime del reg. 2015/848, il diniego può essere domandato soltanto adducendo il contrasto della decisione con l’ordine pubblico. Le altre condizioni ostative al riconoscimento previste dall’art. 45, reg. 1215/2012 non sono oggetto di rinvio da parte del reg. 2015/848. 
La lex concursus determina i poteri dell’amministratore e del debitore (art. 7, par. 2, lett. c) e, di conseguenza, il soggetto legittimato a domandare l'esecuzione ed esercitare le azioni conseguenti. In particolare, il riconoscimento automatico della decisione di apertura conferisce una legittimazione extraterritoriale in vista del recupero dei beni alla massa. Sul punto torneremo nel successivo paragrafo.
L’efficacia esecutiva riguarda più propriamente le decisioni relative allo svolgimento della procedura e quelle che derivano direttamente da essa e le siano strettamente connesse anche se adottate da un giudice diverso da quello che ha aperto la procedura, nonché i provvedimenti conservativi (art. 32).
Il reg. 1215/2012 è applicabile anche a eventuali altre decisioni che, rese all’interno della procedura, siano diverse da quelle appena menzionate, purché esse rientrino nell’ambito dello stesso regolamento. Il pensiero corre a decisioni su azioni per le quali non sussiste la vis attractiva ai sensi dell’art. 6, reg. 2015/848, ma che nondimeno spettano ai giudici dello Stato in cui la procedura è aperta perché a favore di tale Stato giocano i criteri di giurisdizione previsti dal reg. 1215/2012 (ad es., il convenuto è colà domiciliato).
12 . Efficacia delle decisioni ed esercizio transfrontaliero dei poteri dell’amministratore della procedura
Il reg. 2015/848 prevede alcune disposizioni in merito all’esercizio transfrontaliero dei poteri dell’amministratore delle procedure di insolvenza che si intrecciano con la disciplina dell’efficacia delle decisioni.
Conviene distinguere tra amministratore della procedura principale e amministratore della procedura secondaria. 
Il primo può, in base all’art. 21, «esercitare in uno Stato membro tutti i poteri che gli sono attribuiti dalla legge dello Stato di apertura». Si pensi, ad esempio, al potere di agire in via possessoria sulla base della decisione di apertura; alla conclusione di atti a contenuto patrimoniale nell’interesse del debitore e, più in generale, agli atti di amministrazione della massa; o, ancora, alle misure conservative volte a impedire che i beni siano sottratti alla massa.[27] 
L’art. 21, par. 1 afferma, poi, che l’amministratore potrà esercitare i suoi poteri in altri Stati membri finché non si apra in questi una procedura di insolvenza o non sia stata adottata alcuna misura conservativa in senso contrario.[28] 
In particolare, se l’amministratore intende trasferire i beni fuori dallo Stato membro in cui essi si trovano (art. 21 par. 1, ult. frase), ciò non può impedire al terzo titolare di un diritto reale sugli stessi beni di liquidarli ovvero di agire per impedirne l’acquisizione alla massa, oppure di ottenere un provvedimento cautelare. Tali diritti sono tutelati nello Stato di apertura ai sensi dell'art. 8 (ove le condizioni di questa disposizione ricorrano) e ricevono tutela anche all’estero a contenimento dei poteri extraterritoriali dell’amministratore. Analoga tutela è riconosciuta ai titolari di riserva di proprietà ai sensi dell’art. 10. 
L’amministratore della procedura secondaria «può, in ogni altro Stato membro, far valere in via giudiziaria o in via stragiudiziaria che un bene mobile è stato trasferito dal territorio dello Stato di apertura nel territorio di tale altro Stato membro dopo l’apertura della procedura [e può] esercitare ogni azione revocatoria che sia nell'interesse dei creditori» (art. 21, par. 2). Ne viene che, in caso di beni trasferiti dal debitore, la tutela dei creditori locali e l'integrità della massa attiva – costituita dai beni localizzati nel territorio dello Stato della dipendenza – sono bilanciate con il principio secondo il quale la procedura secondaria e i poteri del relativo amministratore hanno carattere territoriale. In altri termini, al fine di tutelare i creditori locali e l’integrità della massa attiva, l’amministratore è eccezionalmente legittimato a esercitare poteri extraterritoriali.[29] L’art. 21, par. 2, peraltro, riconosce simili poteri a prescindere dalla natura e dalla quantità dei poteri attribuiti dalla lex concursus dello Stato della dipendenza. 
Il riferimento a «ogni azione revocatoria che sia nell’interesse dei creditori» è collegato al potere di «far valere in via giudiziaria» che i beni sono stati indebitamente trasferiti,[30] ma ha senso soprattutto quando il trasferimento ha avuto luogo prima dell’apertura della procedura (per quelli avvenuti dopo vi è un espresso potere di azione sancito dalla stessa disposizione). In correlazione, la revocatoria può rivelarsi necessaria nell’interesse dei creditori locali contro eventuali iniziative intraprese dall’amministratore della procedura principale.[31] Tutto ciò risponde, in particolare, all’opportunità, valorizzata dal considerando 46, «che l'amministratore della procedura principale di insolvenza non abbia facoltà di realizzare o spostare pretestuosamente i beni che si trovano nello Stato membro in cui è situata una dipendenza, con l'intento particolare di impedire di soddisfare effettivamente [gli interessi locali] nell'ipotesi che sia successivamente aperta una procedura secondaria di insolvenza». 
In alternativa al riconoscimento a fini esecutivi di decisioni rese dal foro della procedura, gli amministratori possono evidentemente chiedere misure protettive o cautelari ai giudici locali (ad esempio, ai giudici dello Stato in cui si trova un bene da recuperare alla massa). Sul punto torneremo a breve.
13 . L’ordine pubblico come limite al riconoscimento: il rispetto dell’equo processo
Il riconoscimento della procedura o l’esecuzione di una decisione possono essere rifiutati se contrastano con l’ordine pubblico dello Stato richiesto, in specie con i suoi principi fondamentali, i diritti e le libertà personali previsti dalla Costituzione (art. 33). 
Lo Stato richiesto può rifiutarsi di eseguire le decisioni contemplate nell’art. 32, par. 1. Poiché, tuttavia, l’art. 33 fa parola della singola «decisione», esso non impedisce di eseguire altre decisioni rese nella medesima procedura, né di riconoscere quest’ultima nel suo complesso, se esse non sono in contrasto con l’ordine pubblico. 
L’ambito dell’ordine pubblico è esteso perché comprende sia i principi fondamentali propri dello Stato richiesto sia quelli rivenienti dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione europea.[32] 
Quanto ai contenuti, spiccano i principi di ordine pubblico processuale. Tali principi – desumibili dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e replicati come principi generali e diritti fondamentali dell’Unione europea[33] – si innestano negli ordinamenti degli Stati membri come contenuto speciale dell'ordine pubblico internazionale, affiancandosi ad analoghi principi stabiliti dalle Costituzioni.[34] 
Un principio di indubbia rilevanza è l’equo processo con i suoi corollari del contraddittorio e del diritto di difesa. 
L’equo processo ha maggiore risonanza nel regolamento perché, come si è visto, il riconoscimento e l’esecuzione non soggiacciono ad alcun controllo intermedio volto ad accertare i «requisiti» di riconoscimento, compresi quelli notoriamente impostati a garanzia della regolare costituzione del contradditorio. La violazione dell’equo processo è suscettibile di accertamento soltanto attraverso la lente dell’ordine pubblico.[35] Peraltro, in questi termini, esso funge, in base all’art. 33, da parametro di valutazione dell’intera procedura. 
Una tensione con l’ordine pubblico processuale emerge con riguardo all’efficacia extraterritoriale di misure ex parte rese dal giudice della procedura.[36] L’effetto sorpresa – la misura è eseguita senza previa notificazione – e il diritto dell’interessato a impugnare la misura prima dell’esecuzione paiono non conciliabili sotto la lente del giusto processo. 
È noto che, nel sistema del reg. 1215/2012, i provvedimenti cautelari ex parte non beneficiano del mutuo riconoscimento. L’art. 2, lett. a) stabilisce chiaramente che la nozione di decisione ai fini del riconoscimento e dell’esecuzione «non comprende i provvedimenti provvisori e cautelari emessi da tale autorità giurisdizionale senza che il convenuto sia stato invitato a comparire, a meno che la decisione contenente il provvedimento sia stata notificata o comunicata al convenuto prima dell’esecuzione». Tale esclusione riguarda anche i provvedimenti pronunciati dai giudici dotati di giurisdizione sul merito principale. 
Questa disposizione riflette una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia. Fin dal caso Denilauler,[37] concernente il sequestro ex parte di un conto corrente, la Corte ha affermato che lo schema e i principi del sistema «Bruxelles I(bis)» sono limitati a decisioni rese a seguito di un procedimento rispettoso del contradditorio o un procedimento in cui il convenuto contumace sia debitamente informato prima dell’esecuzione. In altre parole, il sistema «Bruxelles I(bis)» «si riferisce essenzialmente alle decisioni giurisdizionali che, prima del momento in cui il loro riconoscimento e la loro esecuzione vengono richiesti in uno Stato diverso da quello di origine, sono state precedute, o avrebbero potuto essere precedute, in detto Stato d’origine, secondo modalità diverse, da un’istruttoria contraddittoria».[38] Nulla invece impedisce di eseguire misure ex parte nello Stato del giudice che le ha pronunciate. 
Ora, poiché il reg. 2015/848 rinvia al reg. 1215/2012 in materia di esecuzione, qualsiasi provvedimento conservativo reso dai giudici della procedura di insolvenza dovrebbe superare il «Denilauler test». Di conseguenza, i provvedimenti ex parte pronunciati dai giudici della procedura non beneficiano di mutuo riconoscimento. Senonché, si è visto che, in alternativa al riconoscimento a fini esecutivi di decisioni rese dal foro della procedura, gli amministratori possono chiedere misure ex parte ai giudici locali (ad esempio, ai giudici dello Stato in cui si trova un bene da recuperare alla massa). Tale opzione è disponibile a prescindere dalla base giuridica dell’azione principale. 
Va ricordato anche che l’amministratore può esercitare a livello extraterritoriale i poteri determinati dalla lex concursus e recuperare i beni alla massa. Pertanto, occorre distinguere tali poteri dalle misure recuperative ex parte, le quali contrastano con l’ordine pubblico nei termini appena esposti quando l’amministratore agisce nei confronti di terzi, ad esempio attraverso una revocatoria: i terzi beneficiano senz’altro dei diritti di difesa nell’alveo del contraddittorio che la Corte di giustizia impone affinché la decisione pronunciata nei loro confronti possa circolare nello spazio giudiziario europeo.
14 . Segue: l’utilizzo eccezionale del limite dell’ordine pubblico
L’ordine pubblico opera, tuttavia, in via eccezionale perché si frappone alla circolazione delle decisioni e, dunque, all’obbligo generale del riconoscimento automatico.[39] Ecco perché l’art. 33, da un lato, è applicabile quando gli effetti della procedura o della decisione sono palesemente contrari all’ordine pubblico, e, dall’altro, assegna allo Stato richiesto la facoltà di rifiutare il riconoscimento o l’esecuzione quand’anche quegli effetti si rivelino nel caso concreto. 
Ciò innesca un problema. Procedura e decisioni considerate in alcuni Stati membri compatibili con l’ordine pubblico, potrebbero non esserlo per altri. In altre parole, il trattamento riservato all'efficacia dell’una e delle altre potrebbe variare a seconda dello Stato richiesto rendendo l’applicazione del regolamento incerta e disomogenea. Qualora, infatti, la «procedura» non fosse riconosciuta, lo Stato richiesto potrebbe aprirne un’altra, ma questa non sarebbe oggetto di coordinamento con quella non riconosciuta, ovvero non essere a sua volta riconosciuta negli Stati che hanno riconosciuto la prima escludendone la contrarietà con l’ordine pubblico. 
Simili risvolti suggeriscono di usare con molta cautela il limite dell’ordine pubblico. 
Così, ritornando sull’ordine pubblico procedurale, la Corte di giustizia ha affermato che «il diritto a ottenere comunicazione degli atti del procedimento, e più in generale il diritto di essere sentiti ... occupano un posto preminente nell’organizzazione e nello svolgimento di un processo equo». Essa ha aggiunto che, «nell’ambito della procedura di insolvenza, il diritto dei creditori o dei loro rappresentanti di partecipare alla procedura nel rispetto del principio della parità tra le parti riveste un’importanza peculiare»; e ha concluso nel senso che «ogni restrizione di tale diritto deve essere adeguatamente giustificata e corredata di garanzie procedurali che assicurino ai soggetti interessati da una tale procedura l’effettiva possibilità di contestare i provvedimenti ...».[40] In definitiva, «uno Stato membro può rifiutarsi ... di riconoscere una procedura di insolvenza aperta in un altro Stato qualora la decisione di apertura sia stata assunta in manifesta violazione del diritto fondamentale a essere sentito di cui gode un soggetto interessato da una tale procedura».[41] 
Bene, in ossequio al carattere eccezionale del limite dell’ordine pubblico, la Corte precisa che lo Stato richiesto dovrà valutare le anzidette incompatibilità «sulla base dell’insieme delle circostanze» nelle quali il processo si è svolto nello Stato d’origine piuttosto che attenersi scrupolosamente alle modalità attraverso le quali il contradditorio è garantito nel proprio ordinamento.[42] 
Quanto detto sulla natura eccezionale del limite dell’ordine pubblico vale a fortiori quando il contrasto è tarato sui contenuti della legge straniera. 
In effetti, le divergenze tra le normative dei vari Stati membri non sollevano problemi di ordine pubblico, anche qualora esse siano estese e radicali, come accade quando un istituto previsto nello Stato d’origine sia ignoto allo Stato richiesto.[43] D’altronde, il regolamento presuppone che le normative nazionali siano diverse e non mira, in via di principio, a uniformarle. 
L’argomento imporrebbe un confronto con lo stato attuale del processo di armonizzazione che, tuttavia, sfugge al presente lavoro. Si può soltanto sottolineare che, a seguito della Direttiva Insolvency del 2019,[44] e nell’eventualità che la Proposta della Commissione del 2022 approdi a una nuova direttiva di armonizzazione,[45] alcuni problemi emersi in passato sotto la lente dell’ordine pubblico sono stati risolti o dovrebbero risolversi (si pensi alla esdebitazione e alla connessa preclusione delle azioni individuali da parte dei creditori insoddisfatti).
15 . Le decisioni provenienti da Stati terzi (e dalla Danimarca) e le decisioni in materia di crisi di impresa e insolvenza estranee al reg. 2015/848 e al reg. 1215/2012. Premessa
Fuori dall’ambito di applicazione del reg. 2015/848, l’insolvenza transfrontaliera è priva di normativa specifica nell’ordinamento italiano. 
Una decisione è estranea al reg. 2015/848 quando essa è pronunciata da giudici di Stati terzi (o della Danimarca) e, in ogni caso, quando essa non rientra nel suo ambito di applicazione materiale. Ciò accade soprattutto quando la procedura – che la decisione apre o da cui la decisione promana – non rientra tra quelle elencate nell’Allegato A. A meno che la decisione non sia estranea al reg. 2015/848 perché, di fatto, rientra nel reg. 1215/2012, essa produrrà effetti in Italia in base alle norme nazionali di diritto internazionale privato, facendo salve le convenzioni internazionali (bilaterali) applicabili al riconoscimento di decisioni in materia concorsuale e la normativa speciale del settore finanziario. 
L’Italia non è dotata di una disciplina sul riconoscimento e sulla cooperazione tra gli organi delle procedure sulla falsariga della Legge Modello UNCITRAL del 1997. Di conseguenza, occorre rivolgersi alla L. n. 218/1995 in combinato con il Codice della crisi. 
Limitando il discorso a procedure giudiziali o comunque caratterizzate dalla presenza di una decisione di apertura e di decisioni derivanti dalla – e connesse alla – procedura, occorre applicare la normativa generale riguardante il riconoscimento e l’efficacia di decisioni straniere.[46] Peraltro, questa strada è obbligata giusta l’assenza di una normativa che riguardi il riconoscimento della procedura
La disciplina generale è racchiusa nella L. n. 218/1995, la quale sancisce il riconoscimento automatico (art. 64). A meno di contestazioni ai sensi dell’art. 67, la decisione produrrà gli effetti previsti dalla legge dello Stato d’origine e tutti gli effetti previsti dall’ordinamento italiano che non siano esclusivamente subordinati all’apertura di una procedura di insolvenza in Italia.[47] 
Il riconoscimento, eventualmente fatto valere in giudizio pendente, riguarderà gli effetti sostanziali e processuali che la decisione di apertura e le decisioni ancillari producono nei confronti del debitore (e dei rapporti giuridici pendenti) in base alla lex concursus d’origine o alla diversa legge applicata dal giudice straniero. Con riguardo all’efficacia esecutiva, l’art. 67 prevede un giudizio di exequatur secondo un rito che sarà descritto in seguito.
16 . Segue: efficacia di decisioni straniere e apertura di procedure in Italia
Potrebbero sorgere attriti tra l’art. 26, comma 1, Codice della crisi e il principio del riconoscimento automatico accolto nell’art. 64, L. n. 218/1995.[48] L’art. 26 permette, infatti, di aprire una procedura in Italia anche là dove un’analoga procedura sia stata aperta all’estero con una decisione riconoscibile ai sensi dell’art. 64, L. n. 218/1995. 
In realtà, il punto è problematico se la procedura straniera è percepita, anche dalla prospettiva dell’ordinamento italiano, come l’unica suscettibile di apertura. In altre parole, il coordinamento tra l’art. 26, Codice della crisi e il riconoscimento automatico ex art. 64, L. n. 218/1995 è problematico solo presupponendo che il nostro ordinamento accolga il principio dell’universalità pura con riguardo sia alle procedure aperte in Italia che a quelle aperte all’estero. Così, tuttavia, non è. 
L’universalità pura postulerebbe, infatti, che la giurisdizione italiana sussista soltanto in base al criterio del COMI. Ricordando che i criteri di giurisdizione operano anche per determinare la competenza internazionale del giudice straniero,[49] una decisione di apertura potrebbe essere riconosciuta solo se pronunciata nello Stato del COMI. Universale sarebbe, dunque, la procedura italiana o quella straniera a seconda della localizzazione del COMI. 
La giurisdizione italiana sussiste, tuttavia, anche qualora il debitore, con il COMI all’estero, abbia in Italia una dipendenza.[50] La giurisdizione sussiste, peraltro, anche là dove quel debitore sia stato sottoposto a procedura di insolvenza all’estero. 
I presupposti dell’art. 26, comma 1 (COMI all’estero, apertura della procedura all’estero e dipendenza in Italia) e la circostanza che una procedura è suscettibile di apertura in Italia anche quando una procedura analoga sia stata previamente aperta all’estero (non necessariamente nello Stato del COMI) sono, dunque, espressione di territorialità. Il difetto di un regime di coordinamento tra la procedura straniera e quella italiana – che si avrebbe se l’ordinamento italiano inglobasse la Legge Modello UNCITRAL ovvero fosse dotato di una normativa speciale in materia – e il fatto che la disciplina del riconoscimento riguarda le decisioni piuttosto che la procedura corroborano questa conclusione. In definitiva, la territorialità fa ben coesistere l’art. 26, comma 1, con il principio del riconoscimento automatico delle decisioni. 
Sul presupposto, poi, che la decisione di apertura della procedura straniera sia riconosciuta in Italia, [51] essa potrebbe costituire la prova dello stato di insolvenza ai fini dell’apertura di una procedura italiana.[52] 
D’altro canto, l’amministratore straniero dovrebbe implicitamente rientrare tra i soggetti legittimati ai sensi dell'art. 37 del Codice a proporre la domanda di accesso alle procedure italiane o esercitare i rimedi avverso l’apertura della procedura italiana qualora la lex concursus straniera ne stabilisse la successione totale o parziale nel ruolo del debitore o degli organi che gestiscono l’attività di impresa.[53] 
L’impronta territorialistica comporta, infine, che la procedura aperta in Italia ai sensi dell’art. 26 produce tutti gli effetti previsti dalla legge italiana, ma anche che l’apertura della procedura straniera risulti pressoché irrilevante rispetto a beni e attività del debitore localizzati in Italia che siano assorbiti nella procedura italiana, a meno che l’amministratore straniero non riesca a ottenere, tramite il riconoscimento a fini esecutivi (articoli 64 e 67, L. n. 218/1995), i provvedimenti necessari a recuperare beni dall’Italia o a impedire che questi siano in altro modo sottratti alla massa straniera. Senonché, fuori dal reg. 2015/848,[54] tali misure paiono praticabili quando l’unica procedura aperta nei confronti del debitore è quella straniera. 
Diversamente, in assenza di procedura all’estero oppure se la decisione di apertura della procedura straniera non fosse riconosciuta in Italia, neanche si porrebbe un problema di territorialità. La procedura aperta in Italia è concepita come universale dal nostro ordinamento a prescindere dal fatto che il debitore abbia in Italia il COMI o una dipendenza. 
In definitiva, mentre l’universalità caratterizza ogni procedura aperta in Italia sulla base della giurisdizione affermata in base agli articoli 11 e 26, la territorialità permea il rapporto tra procedura italiana e procedura straniera nel terreno tracciato dall’articolo 26 e dal riconoscimento automatico. Conviene ribadire che i problemi di coordinamento tra le procedure aperte nei confronti dello stesso debitore ovvero nei confronti di membri dello stesso gruppo non trovano alcuna soluzione normativa al di là dell’ambito di applicazione del reg. 2015/848; pertanto, neanche impropriamente si potrebbe parlare di universalismo attenuato nei rapporti tra procedure italiane e procedure straniere.
17 . Segue: breve focus sulla Brexit
La normativa generale contenuta nella L. n. 218/1995 si ritrae, in tutto o in parte, dinanzi alle convenzioni internazionali. Vale la pena spendere due parole sulla convenzione tra Italia e Regno Unito del 7 febbraio 1964 relativa al reciproco riconoscimento e all’esecuzione di decisioni in materia civile e commerciale, modificata con Protocollo del 14 luglio 1970, ratificato il 15 ottobre 1973, in vigore dal 15 gennaio 1974.[55] 
La convenzione non compare tra quelle che, ai sensi dell’art. 85, il reg. 2015/848 (e, prima di esso, il reg. 1346/2000) sostituisce «nei rapporti tra Stati membri».[56] L’elenco non è esaustivo, potendo l’art. 85 rivolgersi anche alla convenzione italo-britannica, ma la sostituzione (replacement) era (ed è) condizionata al fatto che le relazioni bilaterali intercorressero tra Stati membri: circostanza, questa, venuta meno con la Brexit.[57] Non si tratta di una disposizione che elimina le convenzioni dal mondo giuridico. Inoltre, la Convenzione è suscettibile di denuncia da parte dei due Stati, ma non consta che ciò sia accaduto.[58] 
La convenzione prevede (artt. III e IV) una regola di competenza internazionale indiretta con riguardo al riconoscimento di «sentenze su controversie fallimentari» secondo cui «la competenza della Corte o del Tribunale di origine sussiste se essa è prevista in base alla legge dello Stato della Corte richiesta» (art. IV, par. 3, ultima frase). Anche a voler nutrire dubbi che la convenzione riguardi le decisioni di apertura della procedura, essa senz’altro copre le decisioni endo-concorsuali e quelle ancillari. 
La convenzione, dunque, è priva di criteri di competenza indiretta uniformi. Senonché, il fatto che il Codice della crisi abbia accolto il «COMI» e la «dipendenza» come criteri nazionali di giurisdizione (anche al di là dell’ambito di applicazione del reg. 2015/848) dovrebbe agevolare il riconoscimento delle sentenze inglesi in territorio italiano tenendo conto che il Regno Unito utilizza analoghi criteri di giurisdizione (alla stessa conclusione invero si perviene ragionando ai sensi dell’art. 64, lett. a), L. n. 218/1995); [59] criteri, questi, in una certa misura suscettibili di estensione alle azioni che derivano direttamente dalla procedura e le sono strettamente connesse. La convenzione disciplina solo in parte la procedura da seguire ai fini del riconoscimento (artt. III e IV) e dell’esecuzione (artt. V - VIII).
18 . Il rito italiano in materia di efficacia di decisioni straniere
A proposito di procedimenti relativi all’efficacia delle decisioni straniere, alcune novità derivano dal D.Lgs. n. 149/2022, il quale ha dato attuazione alla legge delega n. 206/2021 promulgata, in particolare, per l’efficienza del processo civile. 
L’art. 24 ha novellato il D.Lgs. n. 150/2011 introducendo l’art. 30 bis al fine di determinare il rito da seguire quando l’efficacia di decisioni straniere è regolata dal diritto dell’UE o da convenzioni internazionali vincolanti per l’Italia. La novità riguarda anche le decisioni relative a procedure di insolvenza. 
Il nuovo art. 30 bis, D.Lgs. n. 150/2011 prevede i casi in cui è necessario il contraddittorio, richiamando il rito semplificato di cognizione di cui all’art. 281 decies ss. c.p.c. Tale rito si applica anche ai procedimenti previsti dall’art. 67, commi 1 e 1 bis, L. n. 218/1995 (la procedura riguarda, pertanto, le decisioni provenienti da Stati terzi con i quali l’Italia non ha vincoli internazionali che incidono sul rito domestico dell’exequatur). 
I procedimenti previsti dagli atti dell’UE si svolgono secondo il rito semplificato di cognizione o in camera di consiglio a seconda che tali atti richiedano o meno il contraddittorio. Con riguardo alle decisioni eseguibili ai sensi del reg. 2015/848 senza exequatur, il rito semplificato di cognizione riguarda le domande di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione ovvero di accertamento dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento. Per effetto del rinvio che il reg. 2015/848 fa al reg. 1215/2012 in materia di esecuzione, i procedimenti in parola si svolgono dinanzi al tribunale. 
I procedimenti di exequatur previsti dalle convenzioni internazionali (oppure quelli di accertamento principale positivo o negativo dei requisiti di riconoscimento contemplati dalle convenzioni stesse) seguiranno il rito semplificato di cognizione dinanzi alla Corte d’appello a meno che la convenzione non disponga diversamente (art. 30 bis n. 5). 
Una nota finale merita l’art. 30 bis n. 7. Esso è dedicato agli atti pubblici, alle transazioni giudiziarie e agli accordi stragiudiziali, proponendosi come normativa di supporto agli strumenti unionali o internazionali che ne regolano l’efficacia transfrontaliera. 
Poiché l’art. 30 bis opera nei limiti e alle condizioni stabiliti dal «diritto dell’UE», v’è da chiedersi se esso sia applicabile anche agli strumenti introdotti in attuazione della Direttiva Insolvency che non rientrino nel reg. 2015/848 o, ipoteticamente, nel reg. 1215/2012. Si è indotti a rispondere negativamente perché la direttiva non contiene una disciplina sull’efficacia delle procedure di ristrutturazione preventiva (sebbene miri a facilitarne il riconoscimento), mentre l’art. 30 bis è espressamente riferito ad atti dell’Unione che quella disciplina contengono in relazione ad atti pubblici, transazioni giudiziarie e accordi stragiudiziali. 
Ricordando che l’art. 30 bis, nn. 5 e 7, opera a sostegno di convenzioni internazionali, la disposizione potrebbe invece applicarsi agli schemes of arrangement, o almeno agli orders di approvazione, sul presupposto (invero non pacifico) che essi rientrino nella menzionata convenzione italo-britannica del 1964.
19 . Conclusioni
Il riconoscimento e l’esecuzione in Italia di decisioni relative a procedure di insolvenza sono agevolati e accelerati nell’ambito del reg. 2015/848. La mutua fiducia e la leale cooperazione che permeano il rapporto tra gli organi giudiziari fanno sì che le procedure aperte in uno Stato membro e le decisioni da esse promananti beneficiano in Italia di un trattamento, per un verso, equivalente a quelle nazionali e, per l’altro, rispettoso di natura ed effetti ascrivibili alla procedura in base all’ordinamento d’origine. La decisione, quale atto giudiziario, e gli effetti sostanziali e processuali che essa produce, sfruttano una «libertà di circolazione» a tratti incondizionata sullo sfondo dell’universalità limitata che caratterizza il sistema di giurisdizione, riconoscimento e cooperazione introdotto dal regolamento. 
Tutto ciò scompare nei rapporti con Stati terzi. Si è detto che l’ordinamento italiano è privo di una normativa speciale che, attraverso un’impostazione unilaterale, ma protesa all’efficienza dell’amministrazione di una crisi transfrontaliera, estenda alle procedure il riconoscimento invece assicurato, salvo contestazione, alle decisioni. La differenza non è marginale. Nello spazio giudiziario europeo, infatti, il binomio procedura-decisione gode di mutuo riconoscimento e rende possibile, e ancor prima pensabile, che una procedura italiana interagisca con una straniera sul terreno dell’universalità limitata, il quale, a sua volta, favorisce la cooperazione tra organi delle diverse procedure aperte nei confronti dello stesso debitore o di membri dello stesso gruppo. 
La Legge Modello UNCITRAL del 1997, in una certa misura richiamata dalla legge delega di riforma del diritto della crisi,[60] valorizza l’assistenza e la cooperazione fra gli organi di Stati diversi ed evidentemente privilegia vie e metodi per garantire efficienza a tutte le procedure piuttosto che adagiarsi su istanze unilaterali di territorialità o universalità. Tutto ciò muove da un’apertura verso strumenti stranieri di regolazione della crisi che, pur non arrivando (né potendo arrivare) al mutuo riconoscimento proprio dello spazio giudiziario europeo, crea un quadro di collaborazione transfrontaliera a beneficio dell’efficienza di tutte le procedure coinvolte. Sotto questa luce, riconoscimento e cooperazione si combinano nella Legge Modello e in altri strumenti adottati più di recente dall’UNCITRAL, come la Legge Modello dedicata all’efficacia di decisioni «ancillari».[61] 
È pur vero che l’impostazione UNCITRAL attecchisce bene tra sistemi di common law dotati di un linguaggio comune e caratterizzati da un approccio nella gestione delle procedure di insolvenza transfrontaliere più pragmatico di quello «italiano». A ciò si aggiungano le «pressioni» a favore della Legge Modello provenienti da mercati con i quali le nostre imprese dialogano, ma spesso senza insediarsi in modo tale da creare i presupposti per l’apertura di procedure di insolvenza con le quali una procedura italiana dovrebbe essere efficacemente coordinata. 
D’altra parte, la nostra sensibilità verso il business environment di Stati terzi si è improvvisamente acuita per effetto della Brexit e non si può certo pensare che una convenzione del 1964, peraltro molto limitata, possa risolvere compiutamente i problemi di riconoscimento e di cooperazione al cospetto di situazioni di crisi o insolvenza collegate sia all’Italia che al Regno Unito. 
Fatto sta che l’ispirazione al reg. 2015/848 e alla Legge Modello ha trovato un certo seguito nel Codice della crisi soltanto nelle norme dedicate alla giurisdizione. Ciò è positivo. Poiché, infatti, la Guide to Enactment and Interpretation of the UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency afferma che la «jurisprudence interpreting the [reg. 2015/848] may also be relevant to interpretation of the Model Law»,[62] e poiché il COMI è stato introdotto in Italia come criterio domestico di giurisdizione, i giudici italiani – quando chiamati ad accertare la competenza internazionale indiretta dei colleghi stranieri – potranno avvalersi degli stessi parametri che utilizzano per individuare il COMI nell’ambito del regolamento.[63] Il criterio del COMI riceverebbe così un trattamento sostanzialmente uniforme a prescindere dalla localizzazione intra o extra-UE del debitore.[64] 
Tutto ciò, si diceva, è positivo, ma non basta. Le specificità di una procedura di insolvenza meriterebbero una normativa ad hoc nel settore del riconoscimento; ciò tanto più alla luce della esposta possibilità di aprire una procedura in Italia ai sensi dell’art. 26, comma 1, Codice della crisi, nonostante l’avvio di una procedura all’estero. Inoltre, non va taciuto che un problema di riconoscimento emerge anche nei rapporti con gli Stati membri a proposito di decisioni derivanti da procedure create in attuazione della Direttiva Insolvency che non rientrano nel reg. 2015/848 e nel reg. 1215/2012. 
Potrebbe more solito convenire attendere nuovi recast dei due regolamenti e chiarire, in data futura, se e in quale misura l’uno o l’altro potranno accogliere decisioni oggi escluse dal rispettivo ambito di applicazione; ma è chiaro che sarebbe una «data da destinarsi». D’altro canto, attendismo, inerzia e una certa indifferenza contraddistinguono il nostro legislatore nella materia de qua a differenza di altri Stati membri che, soprattutto a beneficio dei pratici, hanno addirittura introdotto un’articolata normativa di supporto al funzionamento del reg. 2015/848.[65]

Note:

[1] 
Sul regolamento sia consentito rinviare, anche per gli opportuni riferimenti bibliografici, a G. Cuniberti, A. Leandro (eds), The European Insolvency Regulation and Implementing Legislations. A Commentary, Edward Elgar, 2024.
[2] 
Corte giust., 18 aprile 2024, cause reunite C-765/22 e C-772/22, Luis Carlos e altri c. Air Berlin, punto 49. Vedi anche Cour de cassation (FR), 13 agosto 2023 n. 22-12.855, unalex FR-2555.
[3] 
Cfr. Corte giust., 2 maggio 2006, c. C-341/04, Eurofood, punto 39 s.; 21 gennaio 2010, c. C-444/07, MG Probud, punto 27 s.; 5 luglio 2021, c. C-527/10, ERSTE, punto 33. Nelle parole della Corte: « è infatti questa fiducia reciproca che ha consentito non soltanto la creazione di un sistema obbligatorio di competenze, che tutti i giudici cui si applica il regolamento sono tenuti a rispettare, ma anche la correlativa rinuncia da parte degli Stati membri alle loro norme interne di riconoscimento e di delibazione a favore di un meccanismo semplificato di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni pronunciate nell’ambito di procedure di insolvenza» (MG Probud, cit., punto 28). 
[4] 
Nella nostra giurisprudenza, il conflitto di qualificazioni era originariamente risolto in base alla legge italiana: cfr. Cass., 12 dicembre 1966 n. 2895. In seguito, la Cassazione si è orientata in senso opposto: occorre definire i caratteri del provvedimento in base all'ordinamento d'origine e successivamente cercare il modello corrispondente nell'ordinamento italiano: cfr. Cass., I civ., 1° agosto 2007 n. 16991. 
[5] 
V. Corte giust., 8 novembre 2012, c. C-461/11, Ulf Kazimierz Radziejewski, punti 23-24; 18 aprile 2013, c. C-247/12, Meliha Veli Mustafa, punto 36.
[6] 
Ulf Kazimierz Radziejewski, cit., punto 24.
[7] 
V., tra le altre, Cass. civ., s.u., 17 novembre 2017 n. 27280; VI sez., 4 giugno 2018 n. 14229.
[8] 
Vedi anche art. 26, comma 4, Codice della crisi.
[9] 
Cfr. Corte giust., 17 marzo 2005, c. C-294/02, Commissione delle Comunità europee c. AMI Semiconductor Belgium e altri, punto 71. Peraltro, l’art. 20, reg. 2015/848 afferma chiaramente che «la decisione di apertura […] produce in ogni altro Stato membro, senza altra formalità, gli effetti previsti dalla legge dello Stato di apertura».
[10] 
Corte giust., 24 marzo 2022, c. C-723/20, Galapagos, punto 33.
[11] 
F. J. Garcimartín Alférez, The EU Insolvency Regulation: Rules on Jurisdiction, in www.ejtn.eu, par. 22 ss. 
[12] 
Considerando 65; Corte giust., Eurofood, cit., punto 49.
[13] 
Corte giust., Galapagos, cit., punto 36.
[14] 
In questo senso, V. Starace, La disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza: giurisdizione ed efficacia delle sentenze straniere, in Riv. dir. int., 2002, p. 295 ss., p. 304, il quale parla di «identità di effetti nello Stato della pronuncia e negli altri Stati membri».
[15] 
L’aggettivo «quantitativo» è usato da M. Giuliano, Il fallimento nel diritto processuale civile internazionale, Milano, 1943, p. 260 ss.
[16] 
Sulla portata della vis attractiva dell’art. 6 v. A. Leandro, Article 6, in A. Leandro, G. Cuniberti (eds), The European Insolvency Regulation and Implementing Legislations, cit., p. 117 ss.
[17] 
Corte giust., 12 febbraio 2009, c. C-339/07, Seagon c. Deko Marty, punto 27.
[18] 
V. G Cuniberti, Article 32, in A. Leandro, G. Cuniberti (eds), The European Insolvency Regulation and Implementing Legislations, cit., par. 32.016.
[19] 
Al riguardo v., anche per ulteriori riferimenti, A Leandro, Asset Tracing and Recovery in European Cross-border Insolvency Proceedings, in Dirittodellacrisi.it; Spark, Tipik, Study on tracing and recovery of debtor’s assets by insolvency practitioners DG JUST, March 2022 (no. JUST/2020/JCOO/FW/CIVI/0172) www.commission.europa.eu; v. pure J. Sarra, S. Madaus, I. Mevorach, Chasing assets abroad: Ideas for more effective asset tracing and recovery in cross-border insolvency, in International Insolvency Review, 2023, p. 253.
[20] 
M. Virgós Soriano, F. Garcimartín Alférez, The European Insolvency Regulation: Law and Practice, Kluwer Law International, 2004, par. 391.
[21] 
T. Richter, Scope and Jurisdiction, in S Isaacs, T Smith, C Paulus (eds), Moss, Fletcher and Isaacs on The EU Regulation on Insolvency Proceedings, IV ed., OUP, 2023, par. 3.63.
[22] 
M. Virgós Soriano, F. Garcimartín Alférez, op. cit., par. 391.
[23] 
Vedi di recente Trib. Bologna 19 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it.
[24] 
V. M. Giuliano, op. cit., p. 323.
[25] 
Cfr. art. 53, comma 1, del Codice della crisi.
[26] 
Il problema non si porrebbe se la revoca travolgesse anche la decisione sulla localizzazione del COMI.
[27] 
Una legittimazione in tal senso spetta anche all’amministratore della procedura principale nominato a titolo provvisorio che domanda provvedimenti conservativi su beni localizzati in Stati membri diversi da quello di apertura al fine di impedirne la fuoriuscita dalla massa attiva nel periodo che separa l’istanza di apertura dalla relativa decisione (art. 52).
[28] 
Vedi anche Corte giust., MG Probud, cit., punto 23.
[29] 
V. M. Virgós Soriano, F. Garcimartín Alférez, op. cit., p. 195 s.
[30] 
Cfr. M. Virgós, E. Schmit, Report on the Convention on Insolvency Proceedings (doc. Council n. 6500/96/EN), par. 224.
[31] 
Corte giust., Luis Carlos e altri, cit., punto 84.
[32] 
Cass., I civ., 15 aprile 2019 n. 10540, par. 4.4 ss.
[33] 
V. art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
[34] 
Sia consentito rinviare al nostro L’equo processo nel diritto processuale civile internazionale europeo, in Riv. dir. int. priv. proc., 2016, p. 22 ss.
[35] 
Così, Report on the Convention on Insolvency Proceedings, cit., par. 206.
[36] 
Per approfondimenti sia consentito rinviare ai nostri scritti Asset Tracing and Recovery in European Cross-border Insolvency Proceedings, cit., e Tracing and Attaching Bank Accounts in EU Cross-border Insolvency Proceedings, in corso di pubblicazione nella raccolta degli atti dell’INSOL Europe Academic Forum Conference, The Perpetual Renewal of European Insolvency Law (Amsterdam 11-12 October 2023), anche per riflessioni sull’alternativa a disposizione degli amministratori della procedura costituita dall’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari ex reg. (UE) n. 655/2014 del 15 maggio 2014.
[37] 
Corte giust., 21 maggio 1980, c. C-125/79, Bernard Denilauler. Vedi anche 13 luglio 1995, c. C-474/93, Hengst Import BV; 14 ottobre 2004, c. C-39/02 Mœrsk Olie & Gas.
[38] 
Denilauler, cit., par. 13.
[39] 
Cfr. Corte giust., Eurofood, cit., punto 62 s. V. altresì sentenza 28 marzo 2000, c. C-7/98, Krombach, 2000, punto 19 ss. D’altronde, in senso restrittivo si pone anche il considerando 65, reg. 2015/848, secondo il quale «i motivi del mancato riconoscimento dovrebbero essere ridotti al minimo necessario».
[40] 
Eurofood, cit., punto 66.
[41] 
Ivi, punto 67.
[42] 
Ivi, punto 68. Secondo la Corte, il foro irlandese non doveva «limitarsi ad utilizzare la propria concezione dell’oralità della trattazione e del carattere fondamentale che essa riveste nel suo ordinamento giuridico» per apprezzare se la procedura italiana avesse rispettato il diritto di essere sentiti. In questo senso v. già Cour d’appel de Versailles, 15 dicembre 2005 n. 05/04273, in www.lexbase.fr: si trattava di riconoscere gli effetti di una procedura di insolvenza aperta dalla High Court, Chancery Division, di Birmingham nei confronti della società MG Rover con sede a Longbridge: società che controllava la francese Rover France SAS, a sua volta successivamente sottoposta a procedura d’insolvenza nel Regno Unito (v. principalmente 18 aprile 2005, MG Rover Group Ltd, [2005] EWHC 874 (Ch)). L’Avocat Général aveva sostenuto che la procedura inglese fosse contraria all’ordine pubblico francese perché non prevedeva il diritto dei dipendenti francesi di essere rappresentati, ovvero ascoltati e, in ogni caso, di difendere le proprie prerogative. La Cour d’appel rigettò questa tesi, non perché la tutela dei diritti enunciati fosse estranea all’ordine pubblico francese, ma perché essi erano stati adeguatamente tutelati dinanzi ai giudici inglesi. Amtsgericht Nürnberg, 15 agosto 2006, Hans Brochier Holdings Ltd, in Zeitschrift für Wirtschaftsrecht und Insolvenzpraxis, 2007, p. 81 ss., ha rilevato contrasto con l'ordine pubblico tedesco in una decisione di apertura straniera resa sulla base delle sole prospettazioni dei creditori istanti.
[43] 
Una sensibilità in questo senso si coglie già in App. Genova, 24 maggio 1973, in Riv. dir. int. priv. proc., 1974, 139 ss. e in Cass., 9 gennaio 1975 n. 42, in Dir. fall., 1975, II, p. 668 ss.
[44] 
Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
[45] 
Proposta per una Direttiva che armonizza taluni aspetti del diritto in materia di insolvenza, COM (2022) 702 def., del 7 dicembre 2022. Per una descrizione dei contenuti si rinvia al nostro La Proposta della Commissione europea per una nuova fase di armonizzazione del diritto della crisi e dell’insolvenza, in Analisi Giuridica dell’Economia. Crisi d’impresa. Il lato oscuro del diritto societario (a cura di G. Meo, A. Nuzzo, G. Presti), 2023, p. 73 ss., anche per ulteriori riferimenti. 
[46] 
Si noti che effetti analoghi a quelli previsti dalle procedure italiane potrebbero scaturire da atti pubblici stranieri, attuati ed eseguiti in Italia in base al combinato disposto degli articoli 67 e 68, L. n. 218/1995. In tal senso v. App. Perugia, 1° marzo 2021, in Fallimento, 2021, p. 1124 ss., con nota critica di L. Panzani, Le complesse vie del riconoscimento in Italia della procedura di liquidazione aperta negli Stati Uniti, ivi, p. 1127 ss., il quale sottolinea a ragione che la Corte ha forzato la natura del provvedimento straniero (order of relief correlato alla domanda di Chapter 13 del Titolo II dello U.S. Code) in base al quale un trustee statunitense aveva cercato di recuperare alla massa un bene immobile sito in Italia.
[47] 
Cfr. I. Queirolo, Profili di diritto internazionale, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali diretto da F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, V, Profili storici, comunitari, internazionali e di diritto comparato, Torino, 2014, p. 93 s. Vedi anche Trib. Napoli, 10 gennaio 2008, in Riv. dir. int. priv. proc., 2008, p. 542 ss.
[48] 
Conviene ricordare che l’art. 26 copre tutte le procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza, che siano di carattere liquidatorio o meno.
[49] 
V. art. 64, lett. a), L. n. 218/1995. L’art. 26, dunque, fornisce linfa al criterio della competenza internazionale del giudice straniero in ambito concorsuale, non essendo, dunque, norma speciale che opera «un prolungamento – in senso di estensione di […] principi generali contenuti nella legge n. 218/1995 – all’interno della sedes materiae del procedimento unitario»: così Trib. Bologna, 26 gennaio 2024, Pres. M. Guernelli, est. M. Atzori, in Dirittodellacrisi.it.
[50] 
V. il nostro Il centro degli interessi principali del debitore tra regolamento (UE) 2015/848 e codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Riv. dir. int., 2020, p. 363 ss., e, con adeguamenti, in B. De Donno, D. Benincasa (a cura di), L’insolvenza transfrontaliera. I nuovi confini della giurisdizione e della cooperazione, Luiss University Press, 2023, p. 33 ss.
[51] 
 [iv] Su ius e locus standi dell’amministratore per il riconoscimento della sentenza straniera dichiarativa di fallimento, v. App. Milano, 30 giugno 1967, in Riv. dir. int. priv. proc., 1968, p. 144 ss.; App. Torino, 21 luglio 1982, in Fallimento, 1983, p. 438; App. Napoli, 14 febbraio 1986, ivi, 1987, p. 38.
[52] 
M. Giuliano, op. cit., p. 299.
[53] 
Cfr. Cass., 9 gennaio 1975 n. 42, cit., sul fatto che il potere di rappresentanza giudiziale dell’amministratore straniero va ricavato dalla lex concursus d’origine.
[54] 
Vedi anche art. 54, comma 6 del Codice della crisi a proposito di misure cautelari e protettive. 
[55] 
La Convenzione è stata estesa a Jersey, Guernsey e Isola di Man per effetto di una nota di scambio del 1976. Un approfondimento merita la posizione di Hong Kong, alla quale la Convenzione fu estesa in virtù di una successiva nota del 1977, ma che, come è noto, oggi costituisce una Regione amministrativa speciale della Cina.
[56] 
L’art. 85 afferma che il regolamento sostituisce le convenzioni bilaterali [concluse dall’Italia] con gli altri Stati membri «per le materie che ne sono oggetto» (v., ad esempio, la convenzione italo-austriaca del 12 luglio 1977). In realtà, poiché l’art. 85 detta la sostituzione per le materie che rientrano nel regolamento, le convenzioni potrebbero in linea teorica essere applicabili alle procedure concorsuali estranee al regolamento: cfr. P. De Cesari, G. Montella, Insolvenza transfrontaliera e giurisdizione italiana, Il Fallimento e le altre procedure concorsuali – Monografie, 2009, p. 43.
[57] 
A favore dell’applicabilità della convenzione v. A. Leandro, Brexit and Cross-border Insolvency Looking Beyond the Withdrawal Agreement, in Dir. comm. int., 2020, p. 153, p. 179; S. Bariatti, Sul riconoscimento in Italia dei restructuring plans inglesi, in Riv. dir. int. priv. proc., 2022, p. 5 ss., p. 13 ss. Giova ricordare che l’accordo sul recesso concluso tra il Regno Unito e l’Unione europea ai sensi dell’art. 50, par. 2, TUE, in vigore dal 31 gennaio 2020, prevedeva che il reg. 2015/848 si applicasse alle procedure di insolvenza e alle azioni «ancillari» a condizione che la procedura principale fosse aperta (nel Regno Unito o in altro Stato membro) prima della scadenza del periodo transitorio (cfr. art. 67, par. 3, lett. c)) dell’accordo sul recesso; v. Trib Mantova, 3 giugno 2021, Ilcaso.it). Il periodo transitorio è scaduto il 31 dicembre 2020 e le norme appena enunciate non sono state prorogate.
[58] 
Peraltro, può notarsi, sia pur in senso non dirimente, che il portale ATRIO-Archivio dei Trattati internazionali online del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale include la Convenzione in parola tra i 60 trattati bilaterali in vigore tra Italia e Regno Unito. Analoga informazione è disponibile sul portale UK Treaties Online (UKTO).
[59] 
Tramite le Insolvency (Amendment)(EU Exit) Regulations n. 2019/149 e successive modifiche, il Regno Unito ha retained alcune disposizioni del reg. 2015/848 come normativa nazionale. Tra esse figurano gli articoli 1-5.
[60] 
L’art. 1, par. 2, della legge-delega n. 155/2017 imponeva al legislatore delegato di «tenere conto» del regolamento e dei «principi» della UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency del 1997. In argomento v. L. Boggio, Cooperazione giudiziaria e coordinamento gestionale nel «sistema Uncitral» e nel diritto UE. Il C.C.I.I. è un’occasione persa?, in B. De Donno, D. Benincasa (a cura di), L’insolvenza transfrontaliera. I nuovi confini della giurisdizione e della cooperazione, Luiss University Press, 2023, p. 83 ss.
[61] 
UNCITRAL Model Law on Recognition and Enforcement of Insolvency-Related Judgments (2 luglio 2018).
[62] 
Paragrafi 82 e 141.
[63] 
Conviene precisare che i giudici degli Stati terzi che hanno attuato la Legge Modello non sono tenuti a seguire i criteri imposti dalla Corte di giustizia e che il concetto di COMI della Legge Modello non coincide appieno con quello del reg. 2015/848: v. H. Morris, G. Moss, F. Mucciarelli, C. Paulus, Cross-border Insolvency after Brexit: Views from the United Kingdom and Continental Europe, in British Institute of International and Comparative Law, Centre for International and Governance Innovation, Brexit: International Legal Implications, paper n. 17, London, marzo 2018, p. 5.
[64] 
L’«uniformità» non adombra il fatto che il COMI opera nella Legge Modello ai fini del riconoscimento: la Legge Modello non si occupa di giurisdizione sulla domanda di apertura. Ecco perché, ad esempio, secondo la Guide to Enactment and Interpretation, cit., il momento per determinare il COMI è l’inizio della procedura (paragrafi 157-160), mentre la Corte di giustizia ha stabilito che, nel regolamento, il momento è quello della presentazione della domanda di apertura (Corte giust., 20 ottobre 2011, c. 396/09, Interedil, par. 55).
[65] 
Vedine esempi in G. Cuniberti, A. Leandro (eds), The European Insolvency Regulation and Implementing Legislations, cit., p. 626 ss.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

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