Saggio
Le impugnazioni nel c.d. procedimento unitario*
Massimo Montanari, Ordinario di diritto processuale civile nell'Università di Parma
3 Novembre 2022
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di pros-sima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
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Sommario:
3 . Le novità introdotte a livello degli artt. 52 e 53 del Codice della crisi: profili generali
5 . Segue: b) contro la sentenza di omologa del concordato o degli accordi di ristrutturazione
6 . I presupposti dell’inibitoria
7 . La legittimazione e il procedimento
8 . Il rapporto tra il provvedimento di sospensiva e la decisione di merito sul reclamo
10 . Gli effetti della revoca della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale
La logica di armonizzazione o unificazione dei gravami portata avanti dalla riforma non si è tuttavia spinta sino al punto di ribaltare la tradizione che vuole il decreto di ammissione al concordato preventivo, siccome già oggetto di riesame in sede di omologazione, non suscettibile di autonoma impugnazione. E a ciò v’è da aggiungere come, a dispetto di uno spettro applicativo così ampio come quello appena tracciato,[7], il gravame in discorso non abbia in realtà ad abbracciare l’intero arco delle fasi impugnatorie che possono interessare il percorso disegnato per l’accesso[8] agli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dal novello Codice. Ancorché identicamente denominato come «reclamo» e similmente indirizzato alla Corte d’appello, una differente morfologia, nel segno della conformità al tipico modello cameral-sommario proposto dagli artt. 737 e 738 c.p.c., è infatti esibita dal rimedio ammesso, ai sensi dell’art. 50 CCII, contro il decreto di rigetto della domanda di apertura della liquidazione giudiziale[9]: per quanto neppure su questo versante l’afflato unificatore in discorso abbia mancato di dare i suoi frutti, ove si tenga presente che allo stesso regime impugnatorio il Codice ha ritenuto di dover assoggettare, con scelta indiscutibilmente apprezzabile per l’incremento di garanzie che ne deriva, il decreto di rigetto dell’istanza di ammissione al concordato preventivo (art. 47, comma 4)[10].
Di quello schema il “nuovo” reclamo ha riprodotto pressoché integralmente le fattezze, con varianti quasi soltanto di dettaglio e tendenzialmente ricollegabili ad esigenze di razionalizzazione della disciplina previgente ovvero di adeguamento della stessa al mutato quadro sistematico[12], segnatamente in quanto attiene all’inedito e congruamente dilatato perimetro operativo dello strumento. Leggibili nell’una o nell’altra di queste chiavi sono così:
Con riguardo alla prima di quelle inedite direttrici di inibitoria, giusto è chiedersi se valga anche qui, come era e continuerà ad essere per la liquidazione dell’attivo, secondo i dettami in parte qua coincidenti degli artt. 19 L. fall. e 52 CCII, l’alternativa tra sospensione totale e sospensione meramente parziale. Se l’interrogativo è indubbiamente fondato, la risposta, tuttavia, non può essere affermativa. La regola, dettata dall’art. 52, comma 3, che impone la proposizione dell’istanza di inibitoria in limine litis fa sì che il problema non abbia neppure ragione di porsi allorché il procedimento di verificazione sia giunto allo stadio, eventuale, delle impugnazioni di cui ai successivi artt. 206 e 207, visto che a quel punto, considerate le tempistiche del presente giudizio di reclamo, detta istanza non dovrebbe essere più proponibile. Stabilito, così, che di sospensiva della formazione dello stato passivo si potrebbe parlare solamente a monte o, al più, in pendenza della fase necessaria, di competenza del giudice delegato, naturale viene concludere nel senso dell’inammissibilità di una sua sospensione parziale, stante la conclamata non frazionabilità di quella fase medesima, siccome destinata a culminare nella pronuncia di un unico provvedimento – lo stato passivo reso esecutivo da detto giudice – che viene necessariamente a inglobare la decisione su tutte le domande di insinuazione proposte. Per contro, a questa sospensione giocoforza in toto delle operazioni di verificazione del passivo, nulla impedisce di assegnare un limite temporale, secondo quanto in via generale ammesso dal presente art. 52.
Anche qui la sospensione può assumere carattere totale oppure parziale. In ipotesi di concordato liquidatorio, le condizioni che suggeriscono di procedere nella direzione da ultima indicata non differiscono fondamentalmente da quelle consuetamente evocate a giustificazione di un’inibitoria parziale della liquidazione dell’attivo fallimentare, quali la presenza, nel compendio liquidabile, di beni soggetti a rapida obsolescenza o deperimento ovvero, si può aggiungere, di beni per i quali si affacci una congiuntura di mercato particolarmente favorevole ma priva di intrinseche prospettive di stabilità e durata. L’esigenza di una sospensione parziale dell’attuazione del piano o dei pagamenti può, peraltro, manifestarsi anche là dove sia prevista la continuità aziendale e così, ad es., dove siano contemplate a quel fine dismissioni di cespiti o altre misure destinate ad avere un limitato impatto sull’entità del patrimonio del debitore e tali, pertanto, da potervisi immediatamente dar corso senza tema di recare un effettivo pregiudizio ai creditori nell’ottica di una successiva liquidazione “fallimentare”.
Sulla base della stretta assonanza con i provvedimenti, regolati dal c.p.c., di sospensione dell’esecuzione o dell’esecutività delle pronunce di condanna; e sulla scorta dell’ascrivibilità, diffusamente professata, di tali provvedimenti al genus della tutela cautelare[40]: era opinione largamente recepita che come provvedimento almeno lato sensu cautelare fosse classificabile anche la sospensiva della liquidazione dell’attivo di cui al predetto art. 19 L. fall.[41]. E analogo inquadramento è stato oggi riproposto con indifferenziato riguardo a tutte le misure inibitorie di cui all’art. 52 del Codice[42].
Riproducendo la lacuna venutasi a determinare nel testo dell’art. 19 L. fall. a séguito dell’abrogazione, intervenuta con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, di quello che ne costituiva l’originario comma. 2, nulla diceva l’art. 52 CCII in ordine alla possibilità di ricorrere alle provvidenze cautelari che lo stesso largisce in pendenza del giudizio di cassazione promosso contro la sentenza reiettiva del reclamo. Ma a tale lacuna – cui si riteneva di poter sopperire in forza di un’applicazione analogica dell’art. 373 c.p.c.[4] – il legislatore ha successivamente posto rimedio, dapprima con il D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, correttivo del Codice, mediante un’integrazione del dettato dell’art. 51, comma 14, CCII, ai termini della quale il ricorso per cassazione non avrebbe sospeso l’efficacia della sentenza impugnata, «salvo quanto previsto dall’articolo 52, in quanto compatibile»[5]; e poi, a fugare i dubbi che il precedente intervento avesse potuto lasciare aperti, il recente D.Lgs. n. 83/2022, che è nuovamente intervenuto sul testo dell’art. 51, comma 14, ribadendo il principio della persistente efficacia della sentenza oggetto del gravame di legittimità ma aggiungendo che «si applica, in quanto compatibile, l’articolo 52 se il ricorso è promosso contro la sentenza con la quale la corte di appello ha rigettato il reclamo»[6].
Dato atto di queste asimmetrie, è bene subito precisare come non sia il caso di darsene pena eccessiva, dal momento che le lacune che ne possono trapelare sono, in verità, più apparenti che reali o, comunque, suscettibili di agevole integrazione, come in prosieguo si vedrà, sulla scorta dei princìpi arguibili dalla disciplina dettata per le ipotesi espressamente prese in considerazione dal legislatore: princìpi, va subito osservato, che si sovrappongono e sostituiscono a quelli ricavabili dalla disciplina comune delle impugnazioni civili, a fronte della necessità di regolare una materia, come quella concorsuale, popolata di provvedimenti «a contenuto complesso [ed] efficacia mista», che a detti princìpi generali ben difficilmente si lasciano ricondurre[57].
Si è parlato comunemente, a questo proposito, di anticipazione degli effetti della sentenza di revoca[60] o di efficacia immediata della medesima[61]. E sul punto si può senz’altro convenire, purché si abbia la cura di precisare che si tratta di un’anticipazione solamente parziale di quegli effetti. E’ evidente, infatti, che, nel momento in cui si prevede che, restituite al debitore l’amministrazione dei beni e la gestione dell’impresa, questi vi attenda «sotto la vigilanza del curatore»; e si prosegue dicendo che il debitore è abilitato «a stipulare mutui, transazioni, patti compromissori, alienazioni e acquisti di beni immobili, rilasciare garanzie, rinunciare alle liti, compiere ricognizioni di diritti di terzi, consentire cancellazioni di ipoteche e restituzioni di pegni, accettare eredità e donazioni ed a compiere gli altri atti di straordinaria amministrazione» (art. 53, comma 2, secondo periodo), ma soltanto in forza di autorizzazione appositamente rilasciata dal tribunale (ibidem)[62], in mancanza della quale l’atto eventualmente posto in essere è da considerarsi inefficace rispetto ai terzi (art. 53, comma 3, primo periodo)[63]: è evidente, dicevo, che il debitore non può reputarsi ripristinato nello status quo ante, permanendo a suo carico una tipica condizione di spossessamento concorsuale, seppure non pieno, bensì attenuato[64], sulla falsariga di quanto previsto, ex art. 94 CCII, per il debitore che abbia chiesto l’ammissione al concordato preventivo[65]. E questo dimostra l’incapacità della pronuncia di revoca non ancora divenuta definitiva a spiegare la propria fondamentale efficacia, di atto ablativo della sentenza che ne sia stata oggetto e della procedura su di questa incardinata, procedura la cui perdurante pendenza è attestata da elementi ulteriori, quali la permanenza in carica degli organi relativi sino al passaggio in giudicato della sentenza di revoca[66] e la persistenza, nella loro pienezza, di altri effetti della procedura medesima (ovvero della relativa sentenza di apertura), come lo scudo protettivo avverso le azioni esecutive individuali dei creditori ex art. 150 CCII[67]. Fermo restando, per altro verso, che, una volta concesso alla pronuncia di revoca della liquidazione giudiziale di poter immediatamente erodere l’effetto primario della declaratoria di avvio di tale procedura, ossia lo spossessamento del debitore, il tradizionale dogma dell’ultrattività della sentenza di fallimento, ovverosia dell’intangibilità dei relativi effetti sin tanto che non ne sia stata disposta la revoca con provvedimento passato in giudicato, ecco, questo dogma, nel passaggio al sistema della liquidazione giudiziale, deve reputarsi definitivamente infranto (anche se, si ribadisce, non completamente superato).
Le Sezioni unite della Cassazione si erano mosse nella prima di quelle direzioni[76]. Ed anche i conditores della riforma, in obbedienza alla logica che ha ispirato la regolamentazione degli effetti della revoca della liquidazione giudiziale, hanno accolto quella soluzione, della quale innegabile è il presupposto dell’attitudine della sentenza di revoca ora in discorso a spiegare immediatamente i propri effetti caducatòri[77] e a spiegarli immediatamente nella loro totalità, ossia tanto nella direzione della sentenza impugnata (efficacia diretta) che degli atti da quella dipendenti (efficacia indiretta o, se si preferisce, espansiva esterna)[78]: ché all’instaurazione della procedura liquidatoria non è consentito dar corso senza la preliminare rimozione dell’impedimento opposto al riguardo dalla pendenza, nei confronti dello stesso soggetto, di un’opposta procedura concordataria.
Alla luce dell’acclarata attitudine della sentenza di revoca della liquidazione ad esplicare immediatamente i propri effetti, a monte del relativo passaggio in giudicato, non sarebbe in se irragionevole supporre che, all’atto di quella pronuncia, la Corte d’appello adita possa contestualmente concedere l’omologa dianzi negata e che il concordato (o il diverso accordo di composizione della crisi) così omologato possa ricevere immediata esecuzione, salva soltanto la potestà del tribunale originariamente investito della procedura concordataria di sospendere tale esecuzione, in via di applicazione analogica del comb. disp. degli artt. 52, comma 1, secondo periodo, e 53, comma 6, CCII.
Note: