Veniamo, infine, allo scopo di questo breve scritto: cercare di aiutare il curatore e gli altri potenziali creditori a percorrere questa “terza via”, pur nel buio normativo.
Anche nella previgente disciplina era previsto, in caso di fallimento revocato, che il compenso del curatore e le spese fossero liquidati dal tribunale con decreto.[11]
In varie pronunzie, anche di legittimità, si era tuttavia sostenuto che il curatore (o altro creditore) non potesse far valere la responsabilità dell’Erario nell’ambito del procedimento camerale relativo alla liquidazione dinanzi al tribunale fallimentare, ma che vi fosse la necessità e l’obbligo di instaurare un distinto ed apposito giudizio contenzioso, nelle forme ordinarie, in ipotesi dopo aver ottenuto la liquidazione[12]. Questo pur essendosi da tempo precisato che il provvedimento di liquidazione del compenso al curatore, anche nell’ipotesi ordinaria ex art. 39 L.fall., ha comunque contenuto decisorio, incide su diritti soggettivi ed è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.[13]; si tratta quindi di procedimento camerale su diritti, con idoneità al giudicato.
Uno dei formidabili aforismi di Ennio Flaiano recita: “in questo nostro paese la linea più breve tra due punti è l’arabesco”. Cerchiamo, se possibile, di tracciare una linea retta, muovendo dalle previsioni del CCII, non del tutto collimanti con la previgente legge fallimentare.
L’art. 53, comma 1, terzo periodo, dispone: “Salvo quanto previsto dall'articolo 147 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, le spese della procedura e il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale, su relazione del giudice delegato e tenuto conto delle ragioni dell'apertura della procedura e della sua revoca, con decreto reclamabile ai sensi dell'articolo 124”. Lo stesso art. 53 CCII, al periodo immediatamente precedente, precisa “gli organi della procedura restano in carica, con i compiti previsti .. fino al momento in cui la sentenza che pronuncia sulla revoca passa in giudicato”[14].
Nei due casi disciplinati dall’art. 147 T.u. spese di giustizia (responsabilità del debitore o del creditore istante) nel momento in cui è promosso il procedimento per la liquidazione ex art. 53 CCII vi sarà quindi un giudicato, non solo sulla revoca, ma anche sul responsabile, posto che nel reclamo ex art. 51 CCII già conclusosi entrambi quei soggetti erano litisconsorti necessari. In tali ipotesi il procedimento camerale ex art. 53 CCII avrà nella sostanza ad oggetto unicamente la quantificazione; il ricorrente creditore nel proporre la domanda non avrà difficoltà nell’indicare l’obbligato. In tal senso deve intendersi la clausola iniziale che fa “salvo” l’art. 147: il tribunale deve tener conto di quanto statuito nella pronunzia definitiva della Corte di Appello o della Cassazione.
Anche in tale ipotesi, comunque, il procedimento camerale è un giudizio su diritti, con un controinteressato nei cui confronti deve essere previamente attivato il contradditorio, per consentire allo stesso di potersi difendere ed interloquire, anche se solo sul quantum, in presenza di un giudicato soggettivamente opponibile sull’an.
E la “terza via” erariale? Cosa fare nel caso in cui la Corte di Appello abbia revocato la liquidazione, ma escluso una responsabilità tanto del debitore che del creditore?
Il Ministero della giustizia non è parte del giudizio di reclamo ex art. 51 CCII. Anche se la Corte di Appello, in motivazione od addirittura in dispositivo, scrive che il compenso e le spese della procedura revocata dovranno far carico all’Erario[15], tale statuizione non avrà alcun effetto e valore vincolante, in assenza di una specifica disposizione.
L’accertamento della responsabilità in capo all’Erario in questi casi potrà e dovrà essere svolto, nel contraddittorio con il Ministero (e, se opportuno, anche nei confronti degli altri obbligati potenzialmente alternativi[16]), dal tribunale nell’ambito del procedimento ex art. 53 CCII, il cui oggetto sarà quindi esteso in tale evenienza anche alla preliminare individuazione del soggetto responsabile[17], in difetto di un precedente giudicato.
Del resto la disposizione in precedenza trascritta attribuisce al tribunale concorsuale una specifica competenza per materia ed include espressamente nell’ambito della cognizione del giudice così designato “le ragioni dell'apertura della procedura e della sua revoca”, ovvero elementi che, obbiettivamente, sono maggiormente attinenti all’accertamento della responsabilità piuttosto che alla quantificazione.
Il precedente orientamento della giurisprudenza, anche di legittimità, che riteneva necessario un distinto ed apposito giudizio nelle forme ordinarie e quindi anche secondo le regole generali di competenza[18], condivisibile o meno, potrebbe comunque essere superato muovendo dalle novità del testo normativo rispetto alla precedente legge fallimentare.
Né è di ostacolo a tale conclusione la natura camerale del procedimento, che ben può essere utilizzato dal legislatore anche per la tutela dei diritti soggettivi, eventualmente previe le necessarie integrazioni anche in tema di contraddittorio, a seguito di interpretazione adeguatrice costituzionalmente orientata[19].
In relazione anche al concreto atteggiamento processuale assunto dal Ministero potrà in ipotesi aversi un “ulteriore aggravio di interessi e spese”: quello che si voleva evitare con il testo preliminare dell’art. 366 CCII. Ma si sa, “fare l’indiano” non sempre conviene.