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Saggio

L’analisi dei flussi finanziari quale strumento di valutazione prospettica della continuità aziendale*

Alberto Dell'Atti, Associato di ragioneria generale ed applicata e di gestione delle crisi aziendali nell’Università del Salento

28 Ottobre 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il presente lavoro ha lo scopo di rappresentare l’importanza dell’analisi dei flussi finanziari ai fini della valutazione della strategia che si intende attuare nell’ambito di un’operazione di ristrutturazione aziendale. Invero, il sistema informativo di un’azienda permette all’organo decisionale di ottenere dati di vario genere (elementari e complessi, qualitativi e quantitativi), attraverso cui lo stesso è posto nelle condizioni di valutare l’andamento aziendale, sia con riferimento alla gestione passata, ma anche, e soprattutto, in ragione di quella che sarà l’evoluzione futura. In tale contesto, il rendiconto finanziario, soprattutto quello redatto in chiave prospettica, consente al soggetto aziendale di valutare, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi, l’attitudine dell’azienda di produrre in futuro risorse finanziarie funzionali all’azione che si intende attuare al fine di porre fine allo stato di crisi.
 
The purpose of this paper is to illustrate the importance of financial flow analysis for the purpose of evaluating the strategy that is intended to be implemented in the context of a corporate restructuring operation. Indeed, the information system of a company allows the decision-making body to obtain various types of data (elementary and complex, qualitative and quantitative), through which it is placed in a position to evaluate the company's performance, both with reference to past management, but also, and above all, in light of what the future evolution will be. In this context, the financial statement, especially the one drawn up in a prospective manner, allows the corporate entity to evaluate, not only in quantitative terms, but also qualitatively, the company's ability to produce financial resources in the future and their ability to be functional to the action that is intended to be implemented in order to put an end to the state of crisis.
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1 . Introduzione
Com’è noto, le informazioni che si ottengono dall’analisi del solo stato patrimoniale e del conto economico non sono sufficienti ai fini di una più approfondita indagine dell’aspetto finanziario della gestione, ossia dei movimenti delle risorse monetarie, esigenza questa che, ai fini della valutazione dell’equilibrio generale, risulta fondamentale per comprendere lo stato di salute dell’azienda[1]. 
Infatti, la sfera finanziaria riveste un ruolo altrettanto rilevante nella gestione aziendale sin dalla fase costitutiva, momento in cui si manifesta l’esigenza di stimare il fabbisogno finanziario iniziale e la contestuale individuazione delle fonti di finanziamento. Si tratta di un’azione fondamentale atteso che da essa deriva la struttura finanziaria ottimale[2]. Notoriamente l’attività dell’impresa è caratterizzata da continui scambi con l’ambiente esterno: essi riguardano l’acquisizione dei fattori produttivi e la vendita di prodotti e servizi a fronte dei quali corrisponde un corrispettivo di natura finanziaria. Tuttavia, nei processi produttivi si crea sovente uno sfasamento temporale tra i flussi finanziari di entrate e di uscite che, se non ben gestito, può dare origine a tensioni finanziarie. Ne consegue che, la gestione aziendale, oltre a un corretto assetto patrimoniale, deve garantire un continuo rinnovamento delle risorse monetarie mediante flussi in entrata e in uscita, tale da sostenere adeguatamente il complesso flusso di costi e ricavi legato al ciclo economico. 
L’equilibrio finanziario, quindi, può essere analizzato secondo una duplice dimensione, ossia: 
- una dimensione statica, attinente alla struttura finanziaria e patrimoniale dell’azienda in termini di composizione e correlazione di fonti e impieghi; 
- una dimensione dinamica, relativa all’adeguatezza della gestione finanziaria, da intendersi come capacità di sincronizzare scelte e flussi aziendali in modo ottimizzante e razionale[3]. 
In particolare, anche per ciò che si dirà in seguito, la valutazione dell’aspetto finanziario della gestione non può non passare attraverso l’analisi della solvibilità dell’azienda, ossia la sua capacità di far fronte ai propri impegni, sia nel breve che nel medio-lungo periodo[4]. Tale aspetto è di fondamentale importanza in quanto una carenza di liquidità, a fronte dell’esigenza di far fronte ai pagamenti a breve termine, può indurre gli amministratori a operare scelte di breve periodo per dare respiro finanziario, ponendo in secondo ordine gli obiettivi di medio-lungo termine.
Da ciò la necessità di disporre di strumenti attraverso cui valutare le condizioni di liquidità della gestione, attraverso l’applicazione, almeno in prima approssimazione, di margini e indici. Tuttavia, com’è noto, tali indicatori vengono applicati su grandezze fondo esposte nello stato patrimoniale, ma che non sono sufficienti a fornire informazioni in merito alla natura e alla consistenza dei flussi che le hanno generate. Pertanto, secondo la logica dei flussi finanziari, emerge l’esigenza di ricostruire i movimenti che hanno determinato le variazioni delle cosiddette quantità-livello tra l’inizio e la fine dell’esercizio. 
Altrettanto importante è l’analisi dell’aspetto finanziario in chiave prospettica, ossia ai fini della valutazione della capacità dell’azienda di produrre flussi finanziari futuri in grado di garantire la continuità aziendale e, nello stesso tempo, di sostenere una strategia di risanamento. 
2 . La funzione informativa del rendiconto finanziario
Com’è noto lo stato patrimoniale fornisce, tra le altre, indicazioni inerenti sia agli impieghi effettuati (attività patrimoniali) e sia alle diverse fonti di finanziamento (capitale proprio e capitale di terzi), cristallizzate a una certa data coincidente con la chiusura del periodo amministrativo. Non vi è dubbio che si tratta di un’informazione che fornisce una rappresentazione statica (di stock) di una realtà che, invece, è in continuo movimento. Pertanto, sorge l’esigenza di ottenere specifiche informazioni a livello di dinamica dei flussi intervenuti (nell’arco del periodo amministrativo considerato) del fondo in questione[5]. 
In merito a ciò, il rendiconto finanziario è lo strumento più idoneo a fornire le informazioni sulle variazioni (flussi) intervenute nelle risorse finanziarie e patrimoniali (stock) e sulle cause originanti[6]. Invero, prendendo in considerazione un determinato periodo amministrativo, esso consente di trarre informazioni circa le cause che hanno determinato la variazione di grandezze finanziarie e monetarie critiche per l’azienda (fondi liquidi), ai fini del raggiungimento della condizione di economicità che, a sua volta, costituisce il presupposto per il raggiungimento della finalità della creazione di valore[7]. 
A differenza del conto economico, in cui i componenti reddituali vengono imputati in base al principio della competenza economica, nel rendiconto finanziario le operazioni rilevano soltanto per gli incassi e i pagamenti che hanno generato, ossia per le variazioni delle disponibilità liquide che discendono sia dalle operazioni compiute nell’esercizio, sia da quelle effettuate in un esercizio precedente. 
Come è noto, nel nostro Paese il problema della parziale informativa finanziaria del bilancio d’esercizio venne sollevato già a partire dal 1977, quando la “Commissione nazionale dei dottori commercialisti e dei ragionieri per la statuizione dei principi contabili” emanò il documento n. 2 relativo alla compilazione del rendiconto finanziario, indicando tale documento come un prospetto supplementare indispensabile per una corretta rappresentazione della situazione aziendale[8]. Successivamente, con il documento n. 12 del 1994, furono prospettate due differenti strutture di rendiconto finanziario[9]. Ma ulteriori elementi circa la valenza informativa di tale documento sono emersi nel corso del tempo. 
Si pensi al principio n. 12 emanato nel 2005 dall’Organismo Italiano di Contabilità, il quale prevedeva l’inclusione del prospetto del rendiconto finanziario nella nota integrativa, sebbene la sua mancanza non costituisse una violazione della clausola generale di bilancio solo per le aziende di minori dimensioni[10]. 
Il successivo aggiornamento dell’OIC 12 intervenuto nel 2014 stabiliva che la rappresentazione veritiera e corretta ottenibile dal bilancio non dovesse dipendere solo dai valori indicati negli schemi di stato patrimoniale e di conto economico, ma anche da una puntuale informativa che fosse integrativa ed esplicativa dei suddetti valori. 
Così, sempre nel 2014, lo stesso OIC ritenne opportuno indicare le linee guida per la redazione del rendiconto finanziario attraverso la pubblicazione del documento n. 10. 
In relazione all’esigenza di fornire un’esaustiva informazione, il legislatore, con il D.Lgs. n. 139/2015 (in applicazione della Direttiva Europea n. 2013/34/UE del 26/6/2013) ha apportato significative modifiche alla disciplina del bilancio d’esercizio (compreso quello consolidato), introducendo l’obbligo di redazione del rendiconto finanziario, divenendo quindi, parte integrante del bilancio, al pari dello stato patrimoniale, del conto economico e della nota integrativa (art. 2423 c.c.)[11], mentre, come si ricorderà, nell’impostazione normativa previgente, il Codice Civile evocava solo indirettamente l’importanza delle informazioni ottenibili tramite tale documento[12] 
Com’è noto, l’intervento legislativo, oltre che richiamare il rendiconto finanziario nella composizione documentale del bilancio (art. 2423 c.c.), ha introdotto l’art. 2425 ter c.c. che riporta il tipo di informazione che il documento deve fornire in termini di disponibilità liquide e di flussi finanziari[13]. 
Pertanto, l’obbligo della redazione del rendiconto finanziario ha di fatto migliorato l’informativa del bilancio d’esercizio, atteso che da esso emergono quelle indicazioni utili ai fini della valutazione della gestione finanziaria dell’azienda che, diversamente, non sarebbe possibile ottenere. 
Tuttavia, il contenuto estremamente sintetico della normativa civilistica non fornisce alcuna indicazione metodologica, implicando il ricorso ai principi contabili nazionali e, più specificatamente, all’OIC 10[14]. 
 In relazione alla funzione informativa affidata al rendiconto finanziario, l’art. 2425 ter c.c., com’è noto, prescrive l’obbligo di riportare: 
·  l’ammontare e la composizione delle disponibilità liquide (all’inizio e alla fine dell’esercizio), in termini di depositi bancari e postali, assegni, denaro e valori in cassa (anche espressi in valuta estera)[15]. 
· i flussi finanziari generati dalla gestione nell’arco dell’esercizio pertinenti a tre aree fondamentali, ossia[16]: 
- Attività operativa, relativa alla gestione caratteristica dell’azienda, ossia quella che comprende le operazioni connesse all’acquisizione, produzione e distribuzione di beni e alla fornitura di servizi, anche se riferibili a gestioni accessorie, ma anche le altre operazioni non ricomprese nell’attività di investimento e di finanziamento[17]. 
- Attività di investimento, che comprende le operazioni di acquisto e di vendita delle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie e delle attività finanziarie non immobilizzate. 
- Attività di finanziamento, nella quale rientrano le operazioni relative all’ottenimento e alla restituzione delle disponibilità liquide, sotto forma sia di capitale proprio e sia di capitale di terzi. 
 In definitiva, il documento, oltre a evidenziare le variazioni periodiche (definite flusso complessivo) di grandezze finanziarie stock misurate all’inizio e alla fine di un dato periodo amministrativo, ha come obiettivo quello di rappresentare l’entità e le cause che hanno determinato i flussi elementari (o flussi analitici) e che, a loro volta, compongono il flusso complessivo della grandezza analizzata. Infatti, sono i flussi analitici (o i flussi di categorie omogenee) a indicare il motivo da cui trae origine la variazione complessiva (in aumento o in diminuzione) delle grandezze finanziarie analizzate. 
 Ne deriva che il rendiconto finanziario è in grado di fornire utili informazioni sulle variazioni della struttura finanziaria aziendale, evidenziando le motivazioni analitiche, in termini di flussi finanziari generati dalla gestione operativa, dalla gestione degli investimenti e dalla gestione delle fonti di finanziamento. In tal guisa, esso permette di esprimere un giudizio più puntuale sulla politica di finanziamento adottata dall’azienda (compreso l’eventuale autofinanziamento) e su quella degli investimenti attuata in un determinato periodo di tempo, nonché sull’adeguatezza di entrambe e della loro combinazione[18]. 
Pertanto, la conoscenza delle cause (di natura reddituale, patrimoniale o finanziaria), che sono all’origine dei flussi finanziari, consente di analizzare la dinamica della gestione aziendale e, più propriamente, la capacità dell’impresa di produrre o meno risorse finanziarie attraverso lo svolgimento dell’attività caratteristica e, quindi, generare autofinanziamento, ovvero se la situazione finanziaria è caratterizzata da operazioni di tipo non propriamente operativo quali, ad esempio, l’accensione o il rimborso di finanziamenti, l’investimento o il disinvestimento di beni, nonché operazioni che implicano variazioni del capitale proprio. 
Appare evidente che il rendiconto finanziario non ha un’immediata derivazione dalla contabilità, ma si ottiene attraverso l’elaborazione dello stato patrimoniale (in particolare dalle variazioni di due stati patrimoniali successivi) e dal Conto Economico (ossia le variazioni intervenute nell’anno), integrati da altre informazioni (ad esempio incremento o decremento di investimenti di vario tipo, la natura dei ratei e risconti, operazioni sul capitale, ecc.), ciò al fine di conoscere e valutare i flussi finanziari che sono stati generati nell’arco temporale di un periodo amministrativo[19]. 
In relazione a ciò, il documento in questione costituisce un efficace strumento di analisi sulla base del quale poter esprimere un giudizio compiuto sulle scelte di investimento e di finanziamento operate dall’azienda, anche ai fini della verifica della compatibilità tra le condizioni di equilibrio economico e quelle di equilibrio finanziario. 
Non solo, ma per ciò che si dirà in seguito, il rendiconto finanziario, pur nascendo dalla gestione passata, costituisce un valido strumento predittivo per formulare previsioni sugli sviluppi aziendali.
3 . Il rendiconto finanziario nel panorama internazionale
Il Framework dell’International Accounting Standards Board (IASB) prevede che il bilancio redatto in osservanza dei principi contabili internazionali IAS/IFRS abbia come finalità quella di “fornire informazioni sulla situazione patrimoniale, sul risultato economico e sulle variazioni della struttura finanziaria dell’impresa” utilizzabili dagli stakeholders per prendere decisioni di tipo economico[20]. In particolare, le informazioni riguardanti le variazioni della struttura finanziaria sono desumibili dal prospetto del rendiconto finanziario, disciplinato dal principio internazionale IAS 7, originariamente emanato nel luglio 1977. 
Detto documento è parte integrante del bilancio d’esercizio redatto secondo i principi IAS/IFRS ed articolato nei seguenti documenti: stato patrimoniale, conto economico, prospetto delle variazioni del patrimonio netto, rendiconto finanziario e note esplicative (Ias 1, par. 8). Il rendiconto finanziario deve essere presentato indipendentemente dalla dimensione dell’azienda e dal tipo di attività esercitata, in considerazione del rilievo assunto dalle informazioni da esso da esso rinvenibili, particolarmente utili al fine di verificare la capacità dell’impresa di generare e gestire disponibilità liquide e mezzi equivalenti[21]. 
Invero, lo schema concettuale dello IASB evidenzia un differente concetto di bisogno informativo dei destinatari di bilancio rispetto allo schema italiano, in quanto predilige l’apprezzamento dei flussi monetari ed equivalenti rispetto alla valutazione dell’economicità. Tale scelta deriva dalla decisione di favorire gli stakeholders appartenenti alla categoria degli Investors, nella presunzione che soddisfare le esigenze informative di questi corrisponda a soddisfare anche quelle della maggior parte degli utilizzatori del bilancio. 
Più in particolare, gli Investors hanno necessità di valutare la convenienza dei loro investimenti sulla base di informazioni d’azienda e d’ambiente. Tale prospettiva è essenzialmente compatibile con un sistema economico caratterizzato da un’economia di mercato competitiva e da public companies in cui amministrazione e capitale di rischio sono nettamente separati. Soprattutto nel passato, tale ipotesi era di difficile formulazione in Italia, in quanto l’economia nazionale è caratterizzata da un vasto numero di PMI a conduzione prevalentemente familiare; tuttavia, alcuni segnali di cambiamento quali la privatizzazione di aziende pubbliche e lo sviluppo delle quotazioni in Borsa giustificano l’interessamento italiano ai principi contabili internazionali[22]. In generale, il continuo processo di integrazione dell’economia mondiale richiede un’armonizzazione contabile, al fine di favorire la circolazione di informazioni economiche e finanziarie quanto più trasparenti ed omogenee possibile[23]. 
Nel corso degli anni, con il recepimento da parte del legislatore italiano di direttive e regolamenti comunitari, ha avuto inizio un processo di armonizzazione della disciplina contabile. Infatti, ancor prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 139/2015 erano tenute alla redazione obbligatoria del rendiconto finanziario le sole società quotate, le società aventi strumenti finanziari diffusi presso il pubblico, le banche e gli intermediari vigilati dalla Banca d’Italia e le imprese assicurative quotate, in quanto tutte obbligate ad adottare i principi contabili internazionali nel bilancio d’esercizio e consolidato. Mentre per le altre società la redazione di tale prospetto era prevista solo nell’ipotesi in cui avessero optato tale prospetto per l’applicazione dei principi IAS/IFRS [24]. 
Dunque, è plausibile concludere che l’introduzione dell’obbligo del rendiconto finanziario sia dovuta anche a motivazioni legate all’esigenza di assicurare un’informativa societaria omogenea a livello internazionale.
4 . Struttura e contenuto
A seguito dell’introduzione dell’art. 2425 ter c.c., l’OIC 10 ha subito delle modifiche[25]. Tale principio, com’è noto, stabilisce che la risorsa finanziaria da prendere come riferimento al fine di redigere il rendiconto finanziario è costituita dalle “disponibilità liquide”, rappresentate da depositi bancari e postali, denaro, assegni e valori in cassa, anche nel caso in cui essi siano espressi in valuta estera. 
Relativamente a tale punto, la disciplina nazionale si discosta da quella internazionale prevista dallo IAS 7. Invero, la risorsa finanziaria indicata in tale principio è costituita dalle disponibilità liquide, comprese quelle definite “equivalenti”, ossia gli investimenti finanziari prontamente liquidabili e soggetti a rischi di variazione di valore pressoché inesistenti. Tuttavia, diversamente dal passato e con l’eccezione di tale differenza, la posizione dell’Organismo Italiano di Contabilità appare sostanzialmente in linea con quella dello IASB[26]. Infatti, già nel 2014 l’emanazione dell’autonomo principio contabile aveva apportato sostanziali cambiamenti rispetto a quanto precedentemente previsto nell’OIC 12: l’eliminazione della possibilità di utilizzare il capitale circolante netto (attività a breve meno passività a breve) quale risorsa finanziaria di riferimento e la previsione di un solo schema di rendiconto in termini di liquidità rappresentavano un primo passo di avvicinamento agli standard internazionali[27]. 
 In effetti, la preferenza delle disponibilità liquide in luogo del capitale circolante netto è rinvenibile già nella precedente versione dell’OIC 12, il quale, pur riportando entrambe le risorse, ma non indicando alcuna delle due come obbligatoria, evidenziava la maggiore capacità di segnalazione del rendiconto finanziario redatto in termini di flussi di disponibilità liquide[28]. La principale motivazione alla base di tale scelta è rappresentata dal fatto che i flussi di cassa sono valori oggettivamente determinabili, poiché basati sui movimenti monetari di pagamenti e incassi, diversamente dal capitale circolante netto, grandezza che risulta essere influenzata da politiche di bilancio, dalla valutazione delle scorte e dalle aspettative di liquidabilità ed esigibilità rispettivamente di crediti e debiti[29]. 
Seguendo l’impostazione fornita dai principi contabili nazionali, il prospetto del rendiconto finanziario assume la forma scalare, in cui viene rappresentato l’ammontare e la composizione delle disponibilità liquide (all’inizio e alla fine dell’esercizio) e i flussi finanziari generati dalla gestione nell’arco del periodo amministrativo afferenti alle suddette tre aree, con riferimento sia all’esercizio in chiusura, sia all’esercizio precedente[30]. 
Dalla somma algebrica dei flussi finanziari generati dalle singole aree si giunge alla determinazione del cash flow totale, ossia la variazione netta (incremento o decremento) delle disponibilità liquide avvenuta nel corso dell’esercizio considerato. 
Sul punto appare utile sottolineare che le operazioni non monetarie, sebbene abbiano un impatto sulla struttura patrimoniale dell’azienda, non influiscono sulle disponibilità liquide nette, pertanto, atteso che il rendiconto finanziario ha la funzione di evidenziare i flussi finanziari, tali operazioni ne sono escluse[31]. 
Un breve cenno, inoltre, si ritiene opportuno rivolgere alle operazioni in valuta estera, le quali devono essere stimate nel momento in cui si realizza il reale flusso finanziario, ovvero all’atto dell’effettivo pagamento o incasso. A tal proposito, il tasso di cambio da considerare è quello che si registra al momento della generazione del flusso finanziario. Ne consegue che, gli eventuali utili o perdite non realmente realizzati non rilevano ai fini del risultato dell’esercizio, atteso che non costituiscono, rispettivamente, ricavi e costi di natura monetaria. In merito all’allocazione nel prospetto di rendiconto degli utili o delle perdite, si dovrà tenere conto della loro natura, ossia in base alla loro riconducibilità alle tre aree della gestione[32]. 
Ciò precisato, come ricordato in precedenza, il flusso finanziario della gestione operativa comprende generalmente i flussi che derivano dall’acquisizione, produzione e vendita dei beni e servizi, nonché gli altri flussi che non rientrano nell’attività di investimento e di finanziamento. Pertanto, nella gestione operativa rientrano le operazioni che danno luogo ai ricavi e i correlativi costi. 
Premesso ciò, la determinazione del flusso generato dalla gestione operativa può avvenire attraverso due alternativi metodi, ossia[33]: 
a) il metodo diretto, evidenziando i flussi finanziari. 
b) il metodo indiretto, mediante rettifica del risultato economico dell’esercizio. 
Si tratta di due metodologie che, per ovvi motivi, non possono che condurre allo stesso risultato, ma attraverso una differente esposizione dei dettagli informativi. 
Invero, con il metodo diretto il cash flow operativo scaturisce sostanzialmente dalla differenza tra i flussi monetari in entrata e in uscita, mentre con la metodologia indiretta l’indagine parte dall’indicazione dell’utile di esercizio, che verrà sottoposto ad una serie di rettifiche che determineranno l’evidenza del reddito operativo, in prima battuta, e del cash flow relativo alla gestione caratteristica, in seconda battuta[34]. 
Tuttavia, si tratta di due metodi differenti che interessano i flussi di cassa della gestione reddituale, mentre nulla di diverso si rileva per i flussi finanziari generati dalla gestione degli investimenti e dei finanziamenti[35]. 
Inoltre, tra i due metodi, quello indiretto appare essere quello suggerito dall’OIC 10, ma anche quello più diffuso nella prassi contabile e ciò per due ordini di motivi. 
Il primo, risiede nel fatto che, oltre che risultare più immediato e agevole nell’applicazione, consente di evidenziare in maniera più puntuale il passaggio dai flussi reddituali a quelli finanziari partendo proprio dal risultato economico netto. Invero, una volta riclassificati opportunamente lo stato patrimoniale e il conto economico al fine di ottenere le grandezze utili (MOL e CCN), il flusso della gestione corrente è pressoché immediato. Viceversa, nel metodo diretto i passaggi da compiere risultano più laboriosi. 
Ma oltre a ragioni di ordine pratico, la preferenza del metodo indiretto è giustificata anche dall’utilità delle informazioni che ne scaturiscono ai fini valutativi. Infatti, attraverso tale metodo è possibile valutare separatamente l’incidenza sui risultati monetari esercitata da tre fattori, ossia l’autofinanziamento, le imposte e il CCN. 
Più in particolare: 
- l’autofinanziamento esprime la capacità potenziale dell’impresa di creare risorse finanziarie attraverso l’attività operativa. Pertanto, in tale ottica, si possono effettuare, anche indirettamente, valutazioni in merito all’efficacia dell’offerta di beni e servizi prodotti, all’efficacia ed efficienza dei processi produttivi, ecc.; 
- l’incidenza delle imposte, oltre che le condizioni fiscali del Paese in cui l’azienda opera, pone in evidenza le ricadute monetarie in termini di tax planning adottate dagli amministratori. Minore è tale incidenza, più efficaci potranno considerarsi le politiche fiscali adottate; 
- infine, in merito al CCN, esso riflette prevalentemente le politiche commerciali adottate dall’azienda (o subite), nelle quali sono comprese le dilazioni concesse ai clienti, e quelle ottenute dai fornitori, la durata dei cicli economici, le politiche di gestione delle scorte di magazzino, le strategie competitive, i tempi di approvvigionamento, ecc.
5 . L’analisi dei risultati e le possibili interpretazioni
Il cash flow totale scaturisce dalla somma algebrica dei flussi generati nell’area operativa (indicati con A), in quella di investimento (indicati con B) e in quella finanziaria (indicati con C) e, quindi, dalla sommatoria algebrica tra il cash flow reddituale (o cash flow operativo) e il cash flow extra-reddituale (o cash flow extra-operativo). Quest’ultimo, infatti, è dato dal cash flow derivante dall’attività di investimento e dal cash flow derivante dall’attività finanziaria[36]. 
Le possibili ipotesi che si possono verificare sono riportate nella seguente tabella[37]: 


In essa, sono raffigurati quattro possibili scenari in ordine crescente di complessità. Dal n. 1, rappresentativo di una situazione ottimale, al n. 4 che, al contrario, potrebbe rappresentare una situazione aziendale fortemente compromessa. 
Infatti, la prima ipotesi è indicativa di un equilibrio generale, ossia della capacità dell’azienda di produrre flussi finanziari non solo attraverso l’attività operativa, denotando quindi capacità di autofinanziamento, ma anche attraverso l’attività extra-operativa, sia che essi derivino da operazioni di investimento e/o da operazioni di finanziamento. 
Tale situazione può, tuttavia, presentare connotazioni differenti, sebbene la condizione ottimale, ossia quella indicativa di una maggiore solidità aziendale, dovrebbe risiedere in una prevalenza dei flussi di tipo operativo rispetto a quelli di tipo extra-operativo. 
Nella seconda ipotesi, invece, a fronte di un flusso finanziario positivo generato dalla gestione operativa si contrappone un flusso finanziario negativo originato dall’attività extra-operativa. Ne deriva che il cash flow totale potrà essere positivo o negativo, a seconda della prevalenza del risultato della gestione caratteristica su quella extra-caratteristica e viceversa. Tale ultima fattispecie, peraltro, è molto diffusa nella realtà aziendale, atteso che, molto spesso, l’area extra-operativa, e in particolare quella finanziaria, va ad assorbire le risorse generate dalla gestione caratteristica. Tuttavia, anche in questo caso è necessario individuare le cause sottostanti, in quanto se tale assorbimento scaturisce da un evento occasionale che interessa ad esempio l’area degli investimenti (come nel caso di una sopravvenienza passiva derivante dall’alienazione di un cespite) sarà certamente meno preoccupante rispetto al caso in cui l’erosione del flusso di tipo operativo sia addebitabile a cause strettamente finanziarie, quali, per esempio, un’eccessiva incidenza degli oneri finanziari. 
La terza ipotesi, invece, è indicativa di una situazione meritevole di particolare attenzione, in quanto a un flusso di tipo operativo negativo si contrappone un flusso extra-operativo positivo. Anche in questo caso, come in quello esaminato in precedenza, il cash flow totale potrà assumere segno positivo o negativo in ragione dell’entità dei due flussi. Tuttavia, tale fattispecie è indicativa dell’incapacità dell’azienda di produrre risorse finanziarie attraverso la gestione caratteristica, quindi, di fatto, una mancanza di autofinanziamento. In questo caso è necessario approfondire le informazioni che ne derivano, al fine di valutare se la rimozione di inefficienze gestionali può rappresentare la soluzione per riportare l’azienda nelle condizioni all’azienda di produrre ricchezza in maniera congrua. 
È del tutto evidente che qualora tale situazione di squilibrio dovesse permanere, il rischio elevato è che prima o poi lo squilibrio di tipo economico possa incidere negativamente su quello patrimoniale-finanziario, generando così uno squilibrio complessivo. 
L’ultima ipotesi è decisamente quella più complessa e molto spesso irreversibile, in quanto entrambi i flussi, quelli cioè generati dalla gestione operativa e da quella extra-operativa, sono negativi. Ciò denota il venir meno dell’equilibrio aziendale nel suo complesso, pertanto, in tale situazione qualunque intervento potrebbe dimostrarsi tardivo e inefficace, in quanto le inefficienze gestionali interessano l’intero sistema aziendale in modo tale da rendere più complessa ed onerosa un’azione di risanamento. 
In tal caso, l’unica soluzione volta ad evitare un ulteriore aggravamento della situazione aziendale è quella di implementare un radicale piano di ristrutturazione, anche prevedendo una continuità indiretta mediante la cessione dell’azienda, ovvero l’immediata liquidazione del complesso aziendale. 
Inoltre, si evidenziano ulteriori interessanti aspetti della dinamica finanziaria che meritano di essere analizzati attraverso la verifica della preponderanza, espressa in termini percentuali, delle fonti e degli impieghi di ciascuna area gestionale (operativa, degli investimenti e dei finanziamenti) sul totale delle fonti e sul totale degli impieghi, per il tramite degli indici di composizione finanziaria[38]. 
Dal lato degli impieghi dei flussi finanziari, raggruppando questi in ragione dell’area di appartenenza e determinando il peso percentuale di ciascun gruppo sul totale, è possibile trarre utili informazioni che, tuttavia, implicano ulteriori e adeguati approfondimenti. 
Ad esempio, ove vi sia una prevalenza degli impieghi nell’ambito dell’attività operativa appare plausibile che ciò possa essere determinato da un’erosione di risorse finanziarie da parte del core business aziendale, che anziché generarle in maniera adeguata le assorbe. Tuttavia, tale situazione non implica un immediato giudizio negativo, in quanto è necessario un ulteriore approfondimento di tipo finanziario, ossia verificare se la condizione appena descritta è di natura fisiologica o patologica. In altri termini, occorre distinguere la situazione in cui si ha una prevalenza di impieghi di natura reddituale in una realtà in fase di start up, rispetto ad un’impresa in fase di declino, a seguito di una crisi di settore o di una perdita di quote di mercato. 
Così come un’altra situazione meritevole di attenzione potrebbe riscontrarsi anche nel caso in cui gli impieghi riguardassero in misura prevalente la distribuzione di dividendi o il rimborso del capitale proprio. Indubbiamente entrambe costituiscono operazioni legittime e diffuse in ambito aziendale, ma che necessitano di essere lette e analizzate in un quadro ben più ampio, in quanto si tratta di ipotesi che determinano un deflusso definitivo di risorse dall’azienda e che, quindi, presuppongono che l’azienda disponga di una liquidità sufficiente tale da non compromettere l’equilibrio finanziario futuro. 
Altro discorso può farsi nell’ipotesi in cui gli impieghi fossero destinati al rimborso dei finanziamenti in base alla loro naturale scadenza. In tal caso il giudizio circa le dinamiche finanziarie sarebbe sostanzialmente favorevole, ma potrebbe non esserlo nell’ipotesi in cui, ad esempio, il rimborso sia riconducibile al mancato rinnovo di un affidamento bancario. 
In ultimo, la situazione auspicabile è quella rappresentata da una prevalenza degli investimenti durevoli che, com’è noto, costituiscono il presupposto per la crescita e lo sviluppo dell’azienda. È questo il caso in cui è possibile ravvisare una certa vivacità dell’impresa che è in grado di incrementare la propria produzione, diversificare il portafoglio prodotti, sostituire macchinari obsoleti, ampliare la propria struttura tecnica, investire in ricerca o nella formazione del personale. 
Pertanto, in base ai possibili scenari che si possono delineare, fermo restando che ogni situazione deve essere attentamente analizzata per comprenderne le dinamiche sottostanti, i giudizi che ne posso derivare possono essere così sintetizzati: 
a) giudizio pienamente positivo: nel caso in cui gli impieghi riguardino in prevalenza la gestione degli investimenti durevoli volti alla crescita e allo sviluppo aziendale; 
b) giudizio tendenzialmente positivo: qualora gli impieghi siano destinati al rimborso di debiti giunti alla loro naturale scadenza; 
c) giudizio tendenzialmente negativo: nell’ipotesi in cui gli impieghi riguardino in prevalenza il rimborso del capitale proprio o l’erogazione dei dividendi, quando tale politica aziendale viene attuata in periodi di equilibrio economico minimo (quindi assenza di profitto), ovvero se rischia di compromettere l’equilibrio finanziario magari già precario. 
Altra situazione che potrebbe far esprimere un giudizio tendenzialmente negativo è quella del rimborso dei finanziamenti in caso di mancato rinnovo o revoca degli affidamenti bancari, in quanto è sintomatica della presenza di elementi che inducono gli istituti di credito a una valutazione negativa; 
d) giudizio totalmente negativo: qualora gli impieghi siano prevalentemente assorbiti dalla gestione reddituale, in quanto questo è il chiaro segnale che l’azienda non è in grado di produrre adeguatamente ricchezza. 
In merito alle fonti dei flussi finanziari, da ciò che si è detto emerge come la casistica è alquanto variegata, ma non vi è dubbio che la situazione auspicabile è quella della prevalenza di flussi finanziari generati dalla gestione reddituale e, quindi, la capacità dell’azienda di produrre ricchezza, entità questa che è alla base della politica di autofinanziamento. 
Così come altrettanto positiva può considerarsi l’ipotesi di una prevalenza di apporti di capitale proprio, rappresentativa della propensione dell’azienda al consolidamento patrimoniale. 
Al contrario, un aspetto che va valutato con molta attenzione riguarda i flussi finanziari derivanti da disinvestimenti. Tuttavia, anche in questo caso occorre distinguere se essi derivano da politiche di riammodernamento o di riconversione industriale, ovvero dallo smantellamento della struttura produttiva, in quanto quest’ultima ipotesi potrebbe ricondursi a un ridimensionamento aziendale. 
La situazione più critica è rappresentata dalla eccessiva prevalenza del capitale di terzi, situazione questa che denota un’elevata rigidità della struttura finanziaria con il conseguente impatto a livello economico di una evidente incidenza degli oneri finanziari. 
Tuttavia, è opportuno osservare che le valutazioni sui flussi finanziari connessi a fonti e impieghi devono essere sempre contestualizzati e analizzati in un’ottica unitaria, considerando il nesso tra le singole voci, al fine di giungere ad un giudizio quanto più esaustivo possibile.
6 . Il rendiconto finanziario in un’ottica di valutazione prospettica e il “test pratico” nella procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa
Le valutazioni in base alle quali si decidono le future strategie aziendali non possono prescindere dai dati storici dell’impresa. Più in particolare, per quanto concerne la sfera finanziaria, come già detto, è importante conoscere l’entità dei flussi di cassa generati dall’impresa in un dato esercizio, indagare le determinanti della dinamica finanziaria e valutare il contributo apportato dalle singole aree gestionali. 
Tuttavia, in chiave prospettica, dette informazioni sono altresì utili al fine di valutare la sostenibilità nel tempo dei risultati ottenuti[39]. 
Invero, l’analisi dei flussi finanziari prospettici è uno strumento imprescindibile ai fini del controllo finanziario della gestione, tenendo conto che essa deve essere condotta sia con riferimento a un arco temporale pluriennale, sia con riferimento all’anno o frazioni di esso, non fosse altro per le differenti informazioni che si desumono. 
Infatti, l’analisi prospettica di medio-lungo periodo ha come finalità principale quella di predeterminare il fabbisogno finanziario durevole e corrente, anche e soprattutto in funzione delle future politiche strategiche che l’azienda intende attuare[40]. Non solo, 
Tuttavia, al fine di determinare l’entità delle risorse finanziarie occorrenti per la copertura di tale fabbisogno, è necessario analizzare anche i conti economici prospettici riferiti al medesimo arco temporale, con l’obiettivo di valutare, in primis, la capacità dell’azienda di produrre al proprio interno risorse finanziarie, in modo tale da stabilire con ragionevole certezza le modalità di copertura degli impieghi previsti. 
Soprattutto quando si tratta di valutare un piano degli investimenti, l’analisi preventiva dei flussi finanziari permette di verificare la compatibilità del fabbisogno finanziario sia con le risorse al momento disponibili (ossia quelle rappresentate dal capitale proprio e da quello di terzi già esistenti), sia con le risorse che si presume possano essere generate dall’investimento medesimo. Fatte queste premesse, è possibile redigere il piano di copertura del fabbisogno finanziario. 
Nell’ottica di breve periodo, invece, l’analisi preventiva dei flussi finanziari è altrettanto utile ai fini della concreta realizzazione degli investimenti e dei finanziamenti programmati, nel rispetto dell’equilibrio monetario e finanziario della gestione. 
È pur vero, tuttavia, che l’analisi prospettica non può prescindere dai dati storici, in considerazione della valenza, ai fini delle valutazioni, degli eventuali scostamenti che possono emergere tra i flussi finanziari pianificati e quelli effettivi, in quanto ciò consente di individuarne le cause e porre in essere gli opportuni correttivi. 
L’analisi dei flussi finanziari prospettici rappresenta, quindi, un valido strumento che permette di evitare, o quanto meno attenuare, i possibili squilibri tra i fabbisogni finanziari e l’effettiva disponibilità di risorse. 
Invero, il cash flow esprime la reale situazione finanziaria dell’azienda e la sua capacità di far fronte agli impegni assunti. Pertanto, risulta fondamentale procedere all’analisi prospettica dei flussi finanziari e, a tale scopo, “trasformare il rendiconto finanziario da strumento di conoscenza a strumento operativo”. Con questa espressione si intende sottolineare la necessità di definire in che modo l’analisi dei flussi finanziari finalizzata alla costruzione del rendiconto finanziario possa essere utilizzata per fini di programmazione[41]. 
A tal proposito, è utile evidenziare le relazioni esistenti tra l’analisi dei flussi finanziari e le scelte delle fonti di finanziamento, nonché tra l’analisi dei flussi e la gestione della tesoreria. Invero, la logica che è alla base del rendiconto finanziario può essere utilizzata in via previsionale per definire la struttura degli investimenti e per determinare le modalità di copertura, tenendo in considerazione anche il budget economico. Infatti, il prospetto redatto in chiave prospettica permette non solo di verificare la sostenibilità finanziaria di un determinato investimento, ma anche di valutare le possibili soluzioni alternative di finanziamento e, in caso negativo, di rivedere le scelte di investimento. 
D’altro canto, l’impiego del budget di tesoreria consente di accertare l’equilibrio monetario prospettico. Tale schema com’è noto, si ricava dal rendiconto finanziario e ha la finalità di assicurare un sincronico flusso tra entrate e uscite, evitando in tal modo possibili tensioni finanziarie[42]. 
Inoltre, affiancando all’analisi prospettica quella del controllo, meglio se concomitante, è possibile ricercare le cause che sono all’origine di eventuali tensioni finanziarie. In tal caso, il management è tenuto a intervenire rivedendo, per esempio, la politica delle vendite e le dilazioni di pagamento concesse ai clienti, i rapporti con gli istituti finanziari, le dilazioni di pagamento ottenute dai fornitori, la politica di distribuzione dei dividendi, nonché rivalutare le scelte di finanziamento operate. 
A sottolineare ulteriormente l’importanza del rendiconto finanziario in chiave prospettica, si richiama il comma 3 dell’art. 2381 c.c., il quale affida i piani finanziari dell’azienda all’esame degli amministratori, mentre il Codice di autodisciplina attribuisce agli stessi il potere-dovere di approvarli. Ne consegue che ricade sugli amministratori l’obbligo (espressamente previsto dal citato art. 2381 ultimo comma c.c.) di agire informati, e ciò presuppone la conoscenza delle informazioni sull’origine e sull’utilizzo delle risorse finanziarie e sul grado di autonomia dell’azienda. 
L’importanza della pianificazione dei flussi finanziari e, quindi, del rendiconto finanziario prospettico, è ulteriormente avvalorata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), il quale attribuisce un ruolo preminente all’attività di monitoraggio della gestione, al fine di prevenire potenziali cause di condizioni di squilibrio aziendale, tra cui quello finanziario[43]. 
Infatti, come si dirà meglio in seguito, il D.Lgs. n. 83 del 17/06/2022 ha trasposto nel CCII i principi europei in materia di procedure concorsuali dettati dalle direttive comunitarie che nel tempo si sono succedute, da ultima la Direttiva Insolvency n. 1023/2019, che com’è noto ha lo scopo di introdurre a livello europeo un quadro giuridico armonizzato sia in materia di prevenzione della crisi d’impresa, sia per ciò che riguarda il costante monitoraggio delle diverse procedure concorsuali. In definitiva, il legislatore si prefigge di incentivare la fase del risanamento aziendale in un’ottica di conservazione del patrimonio aziendale[44]. 
E in tal senso l’analisi della situazione finanziaria dell’impresa, attraverso il rendiconto finanziario prospettico, è uno degli strumenti di verifica del presupposto della continuità aziendale. 
In tale ottica, il citato D.Lgs. n. 83/2022 ha inglobato nel CCII l’istituto della “Composizione negoziata della crisi d’impresa”, una procedura di tipo negoziale e stragiudiziale, che, com’è noto, ha preso il posto delle procedure di allerta e della composizione assistita[45]. 
Si tratta di un ulteriore strumento di risanamento aziendale già introdotto dal D.L. n. 118 del 24/08/2021 (in vigore dal 15 novembre 2021) del quale si tratterà in seguito. 
Invero, se nel D.L. n. 118/2021 non emergeva una chiara volontà del legislatore di archiviare l’intero impianto normativo previsto dal CCII in merito alle cosiddette procedure di allerta, era tuttavia evidente un altrettanto chiaro intento di metterne in discussione le modalità di implementazione.[46] Ed infatti il D.Lgs. n. 83/2022 ha completamente sostituito l’articolato delle cosiddette procedure di allerta ancor prima della loro applicazione pratica[47]. 
Precedendo l’entrata in vigore del CCII, in considerazione dell’elevato rischio che avrebbe potuto investire molte aziende una volta venute meno le misure straordinarie di sostegno attuate dallo Stato a seguito del COVID 19, il D.L. n. 118/2021 ha previsto uno strumento stragiudiziale attraverso cui l’imprenditore prende atto della propria situazione e delle possibili soluzioni attuabili, al fine di prevenire l’eventuale crisi ovvero, nell’ipotesi estrema, di porvi fine se questa è già in atto[48]. 
Invero, l’art. 12, comma 1, CCII indica il presupposto oggettivo affinché l’imprenditore commerciale o agricolo possa accedere alla procedura della composizione negoziata, ossia la condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da determinare una situazione di crisi o di insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa[49]. 
Come detto in precedenza, appare evidente che il citato art. 12 riporta nella sfera aziendalistica il concetto di crisi, che non coincide più con lo “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore” come previsto dal CCII, ma sottintende una condizione “di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”. Pertanto, ci si è spostati allo stato di early warning (rispetto alla successiva eventuale fase della c.d. twilight zone), ossia dinanzi ad una situazione in cui la crisi (e quindi non l’insolvenza) è solo probabile, ma non ancora in atto. 
Ciò chiarito, nell’ambito della composizione negoziata della crisi, uno degli obblighi posti a carico dell’imprenditore che intende accedervi è quello della compilazione del cd. test pratico di cui all’art. 3, comma 3, lett. c), CCII, attraverso cui è possibile verificare il grado di sostenibilità e di complessità dell’azione di risanamento. 
Il test, com’è noto, si fonda sostanzialmente sui dati di flusso a regime, sia quelli correnti e sia quelli derivanti da politiche industriali in corso di attuazione o che si intendono adottare[50]. In altri termini, occorre stabilire i flussi finanziari prospettici al servizio del debito, attraverso la predisposizione di un prospetto che reca una struttura semplificata del Free Cash Flow Operations a regime[51]. 
Pertanto, si tratta di uno strumento che consente all’imprenditore di valutare la perseguibilità del risanamento (art. 12 CCII) e al professionista appositamente nominato (esperto) di verificare la sussistenza o meno di una concreta prospettiva di risanamento (art. 17 CCII)[52]. 
Non vi è dubbio che la crisi (o anche solo lo stato difficoltà dell’impresa) è intercettato anche attraverso altri percorsi volti a ricercarne innanzitutto la cause, tuttavia il test è uno strumento efficace ai fini della valutazione del grado di difficoltà dell’azione di risanamento, considerato che i flussi finanziari liberi che si prevede di realizzare, ossia quelli posti al servizio del debito, non possono non tener conto della capacità prospettica dell’impresa di produrre ricchezza[53]. 
Pertanto, ancora una volta emerge l’importanza del rendiconto finanziario prospettico, quale strumento idoneo a fornire le informazioni utili, al fine di valutare la capacità futura dell’azienda di produrre i flussi finanziari necessari per affrontare gli impegni che la stessa assumerà attraverso il piano di risanamento. 
A tal proposito, il test pratico ha lo scopo di valutare in via preliminare la complessità dell’azione di risanamento attraverso il rapporto tra l’entità del debito che deve essere ristrutturato e i flussi finanziari liberi che devono essere posti annualmente al suo servizio. In particolare, per valutare se esiste una ragionevole perseguibilità del risanamento, ancor prima di redigere il piano d’impresa, ci si può limitare ad esaminare l’indebitamento e i dati dell’andamento economico attuale, depurando quest’ultimo da eventi non ricorrenti (ad esempio, effetti del lockdown, contributi straordinari conseguiti, perdite non ricorrenti, ecc.). 
Il test non deve essere considerato al pari degli indicatori della crisi, né ha la funzione di individuare la situazione di crisi, ma è utile sia all’imprenditore per valutare il grado di difficoltà dell’azione di risanamento, sia all’esperto per verificare se vi sono concrete prospettive di risanamento. 
Esso, com’è noto, si fonda principalmente sui dati di flusso a regime che, secondo la migliore valutazione dell’imprenditore, possono corrispondere a quelli correnti o derivare dall’esito delle iniziative industriali in corso di attuazione o che l’imprenditore intende adottare. 
Ai fini del test, com’è noto, è necessario determinare e poi porre in rapporto sia l’entità del debito da ristrutturare[54] e sia i flussi finanziari al servizio di questo. 
Nell’ipotesi in cui l’impresa è prospetticamente in equilibrio economico e cioè presenta, a decorrere almeno dal secondo anno, flussi finanziari annui superiori a zero e destinati a protrarsi nel tempo, il grado di difficoltà dell’azione di risanamento è dato dal rapporto tra il debito che deve essere ristrutturato (A) e l’ammontare annuo dei flussi al servizio del debito (B). 
 Tale rapporto (A/B) fornisce una prima indicazione di massima in merito a: 
- l’arco temporale necessario per estinguere la posizione debitoria; 
- il volume del debito che necessita di ristrutturazione; 
- l’entità delle eventuali falcidie del debito o conversione in equity. 
 Più in particolare, il risultato (X) che ne può derivare evidenzia il grado di difficoltà dell’azione di risanamento e cioè: 
a) X > 1 è indicativo di una difficoltà contenuta; 
b) 1 < X > 3 evidenzia delle difficoltà crescenti, ma ancora contenute. In tal caso, i flussi correnti risultano ancora idonei a consentirne la sostenibilità del debito e, di conseguenza, la proposta ai creditori può essere effettuata facendo forza solo sull’andamento corrente;
c) 3 < X < 5 si tratta di una situazione che fa emergere delle criticità più evidenti, per cui l’azione di risanamento risulta possibile solo a fronte di nuove strategie industriali, da ciò la rilevanza il piano d’impresa; 
d) se 5 < X < 5/6 è indicativo di un’elevata criticità. Anche in presenza di un MOL positivo, l’azione di risanamento potrebbe risultare inefficace e, pertanto, potrebbe rendersi necessaria la cessione dell’azienda. In tale ipotesi, occorre stimare le risorse realizzabili attraverso la continuità indiretta, ossia la cessione dell’azienda o di rami di essa e compararle con il debito che deve essere servito, al fine di verificare la praticabilità del risanamento. 
Ove, poi, l’impresa dovesse presentare uno squilibrio economico a regime, allora si rendono necessari interventi di discontinuità rispetto alla passata gestione aziendale (ad esempio, modifiche sui processi produttivi, introduzione di un nuovo modello di business, innovazioni di prodotto, cessioni o cessazione di rami di azienda, aggregazioni con altre imprese ed altro ancora).
7 . Conclusioni
A conclusione di quanto sopra esposto emerge con tutta evidenza l’importanza del rendiconto finanziario ai fini dell’analisi della situazione finanziaria dell’azienda e, più precisamente, in termini di stima dei flussi finanziari generati dalla gestione, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo.
Invero, il rendiconto finanziario redatto ai fini del bilancio d’esercizio permette di ottenere ex post delle informazioni in merito alla capacità dell’azienda di produrre flussi finanziari e, nel contempo, di cogliere eventuali segnali di disfunzione ai fini di far emergere tempestivamente una situazione di squilibrio prima ancora che di crisi. 
Nello stesso tempo, in un’ottica prospettica, esso consente di stimare la capacità futura dell’azienda di produrre adeguati flussi finanziari atti non solo a garantire la continuità aziendale, ma anche a sostenere un piano di ristrutturazione eventualmente proposto ai creditori.
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Teodori C., Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino, 2015.

Note:

[1] 
A tal proposito, si ricorda che lo stato patrimoniale fornisce una rappresentazione statica del capitale di funzionamento, mentre il conto economico una rappresentazione dinamica del risultato economico. 
[2] 
S. Adamo (2019), Dinamica gestionale ed equilibri aziendali nel funzionamento dell’impresa, Cacucci, Bari, p. 176. 
[3] 
A. Dell’Atti (2012), I piani di risanamento nelle operazioni di ristrutturazione d’impresa, FrancoAngeli, Milano, p. 42. 
[4] 
Sul punto, si ricorda che l’importanza di cogliere per tempo i segnali di insolvenza, attraverso le cd. procedure di allerta (poi abrogate), è stata valorizzata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in prima stesura. In merito, si vedano: S. Fortunato (2019), Codice della crisi e codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, in Rivista delle società, n. 5-6; S. Adamo (2019), Il nuovo codice della crisi è già in crisi?, RIREA, nn. 9-12, p. 262 e ss.; G. Santoni (2004), I sistemi di allerta e di prevenzione e le procedure anticipatorie della crisi nel progetto di riforma della legge fallimentare, in Dir. Fall., I, p. 735.
[5] 
Le grandezze “fondo” (o stock) sono elementi o aggregati di elementi del capitale di funzionamento riferiti a un determinato momento temporale (per esempio, disponibilità liquide, crediti, debiti, capitale circolante netto, ecc.). Mentre la grandezza “flusso”, che esprime il concetto di dinamicità correlata all’attività d’impresa, è la variazione incrementativa o diminutiva prodotta tra due esercizi consecutivi del valore del fondo. Più diffusamente: A. Dell’Atti, La gestione delle crisi aziendali: cause, strategie e piani di risanamento, Giappichelli, Torino, 2023.
[6] 
Si vedano: V. Coda (1991), Il rendiconto finanziario, in Av.Vv., Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie d’impresa, Etas Libri, Milano. Inoltre: C. Caramiello (1993), Il rendiconto finanziario, Milano, Giuffré; G. Ferrero (1984), Il controllo finanziario nelle imprese, Milano, Giuffré; C. Teodori (2015), Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino; A. Matacena, F. Pasi (1980), Il rendiconto finanziario nelle imprese, Giannini, Napoli.
Si osserva che, al contrario della dottrina aziendale, il tema del rendiconto finanziario è stato per lo più trattato quasi accidentalmente dalla dottrina giuridica. Si osserva che, al contrario della dottrina aziendale, il tema del rendiconto finanziario è stato per lo più trattato quasi accidentalmente dalla dottrina giuridica. Al riguardo si veda: G. Racugno, Il rendiconto finanziario secondo le nuove norme del bilancio d’esercizio, con una postilla sui flussi finanziari derivati, in Riv. Giurisprudenza Commerciale, n. 3/2016, p. 270. Inoltre, sull’importanza delle informazioni di tipo finanziario si vedano: B. Libonati, Creditori sociali e responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, in Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, Il nuovo diritto delle società, 3, a cura di Abbadessa-Portale, Torino, Utet, 2007, p. 627; C. Angelici, La società per azioni, Principi e problemi, Milano, Giuffrè, 2012, p. 186, secondo i quali il ruolo del rendiconto finanziario assume un’importanza fondamentale al fine di verificare la sussistenza della continuità aziendale, essendo sicuramente insoddisfacente la c.d. tecnica quantitativa imperniata sul capitale sociale. Inoltre, si sottolinea come la regola che impone di comunicare al mercato la perdita del capitale sociale costituisce un’informazione grezza e incompleta in merito allo stato di salute dell’impresa. E. Bocchini, Riforma organica della disciplina della crisi d’impresa ed economia dell’informazione: una lettura, in Studi dedicati a Federico Martorano, Napoli, Esi, 2006, p. 168.
[7] 
Si ricorda, inoltre, che nel prospetto di rendiconto devono essere riportati i valori riferiti all’esercizio considerato e quelli relativi all’esercizio precedente. Ciò permette di effettuare una comparazione al fine di evidenziare le tendenze in atto sulla capacità dell’azienda di generare flussi di cassa dall’attività di produzione economica, sull’intensità dei processi di investimento realizzati a sostegno della struttura produttiva e sull’entità e composizione delle fonti di finanziamento provenienti da terzi o dai soci. A. Dell’Atti (2021), Il rendiconto finanziario, in N. Di Cagno-S. Adamo, Il bilancio d’esercizio nelle imprese societarie. Modello civilistico, cit., p. 615 e ss; A. Dell’Atti (2017), Il rendiconto finanziario nell’ambito dell’informazione societaria, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n. 1. Si veda, inoltre, M. Cian (2016), Il bilancio d’esercizio, in Manuale di diritto commerciale (a cura di), Giappichelli, Torino, p. 494.
[8] 
P. Andrei (2002), Il bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali. Problemi applicativi, soluzioni operative e potenzialità informative con la collaborazione di Deloitte & Touche, a cura di S. Azzali, Il Sole 24 Ore Ed., Milano, p. 147.
[9] 
I. Facchinetti (2006), Analisi di bilancio. Metodologie, procedure e casi di analisi per margini, indici e flussi, Il Sole 24 Ore Ed., Milano, p. 273 e ss. Invero, la dottrina aziendale ha da sempre sottolineato l’importanza del rendiconto finanziario, ritenendo che le informazioni in esso riportate fossero sostanzialmente obbligatorie, in quanto richieste dalla clausola generale di bilancio ex art. 2423 c.c. e dall’obbligo di fornire informazioni aggiuntive, qualora quelle richieste per legge non siano sufficienti per la rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendale. Inoltre, si ricorda anche l’art. 2427, quarto punto, c.c. il quale chiede che siano indicate in nota integrativa le variazioni intervenute nelle voci dell’attivo e del passivo.
[10] 
OIC 12, Composizione e schemi di bilancio di esercizio di imprese mercantili, industriali e di servizi, 30 Maggio 2005, p. 40.
[11] 
Si rileva che l’obbligo di redazione del rendiconto finanziario sussiste solo per le società che redigono il bilancio in forma ordinaria, pertanto ne risultano escluse quelle che optano per il bilancio in forma abbreviata (art. 2435 bis c.c.) e, ovviamente, le micro-imprese (art. 2435 ter c.c.). Si veda, in proposito: C. Sottoriva (2015), Il D.Lgs. 139/2015 per il recepimento della Direttiva 2013/34/UE in tema di bilanci, in Rivista Le Società, n. 10, p. 1061 e ss.
[12] 
Si ricorda che, già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 139/2015, la disciplina di bilancio già richiedeva le informazioni di natura finanziaria (art. 2423, comma 2, c.c.), tant’è che, in assenza dell’obbligo di redigere il rendiconto finanziario, gli stessi principi contabili nazionali (OIC 12) segnalavano l’opportunità di inserire tale prospetto nella nota integrativa, anche se si riteneva che la mancanza dello stesso non avrebbe compromesso il rispetto della clausola generale del bilancio, ossia la rappresentazione chiara, veritiera e corretta delle risultanze gestionali. Così come la prassi contabile, tenuto conto della rilevanza delle informazioni contenute nel rendiconto finanziario, ha sempre giustificato la sua omissione solo nel caso di aziende che dal punto di vista amministrativo risultano poco organizzate a causa delle loro ridotte dimensioni. D’altro canto, il rendiconto finanziario, com’è noto, ha da sempre assunto un ruolo fondamentale nel modello di bilancio internazionale, relativamente al quale esso è parte integrante. D’altronde, soltanto una lettura del bilancio in chiave finanziaria permette di individuare la capacità di autofinanziamento dell’impresa e le prospettive in termini di investimenti e disinvestimenti, atteso che il risultato economico dell’esercizio non rappresenta un indicatore della liquidità aziendale. D. Alexander -S. Archer (2017), International Accounting Financial Reporting Standard Guide, Wolters Kluwer, p. 9001 ss.; G. Racugno, Il rendiconto finanziario.., cit., p. 271.
[13] 
L’art. 2425 ter c.c., introdotto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 139/15, così recita: “Dal rendiconto finanziario risultano, per l’esercizio a cui è riferito il bilancio e per quello precedente, l'ammontare e la composizione delle disponibilità liquide, all'inizio e alla fine dell'esercizio, ed i flussi finanziari dell'esercizio derivanti dall'attività operativa, da quella di investimento, da quella di finanziamento, ivi comprese, con autonoma indicazione, le operazioni con i soci”. È del tutto evidente che la norma in questione, come d’altronde tutte le norme sul bilancio, si limita a delineare gli aspetti salienti dell’assetto normativo di riferimento, senza però entrare nello specifico. Da qui la necessità di procedere alla lettura delle norme utilizzando le interpretazioni e le integrazioni dei principi contabili nazionali, i quali forniscono specifiche indicazioni, anche di tipo applicativo, come anche integrazioni laddove la norma risulti insufficiente a rappresentare contabilmente determinate operazioni. Sul punto: N. Di Cagno, S. Adamo (2021),I principi generali di redazione del bilancio, in N. Di Cagno, S. Adamo, Il bilancio d’esercizio delle imprese societarie. Modello civilistico, Cacucci, Bari, 2021, p. 88; S. Fortunato (2001), I principi contabili nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. Contabilità, finanza e controllo, p. 555; G. Racugno, Il rendiconto finanziario…, cit. p. 280.
[14] 
Si evidenzia che, in materia di rendiconto finanziario, l’OIC 10 (emanato nel 2014) ha sostituito le indicazioni contenute nell’OIC 12 (Composizione e schemi del bilancio d’esercizio). Peraltro, nel 2016 è stata pubblicata la nuova versione del documento, con decorrenza per i bilanci con esercizio avente inizio dal 1 gennaio 2016 o data successiva. La novità principale introdotta dall’OIC 10 richiede che siano rappresentati distintamente gli incassi e i pagamenti derivanti da attività afferenti il capitale di rischio rispetto a quelli derivanti da attività afferenti il capitale di terzi.
[15] 
OIC 14, Disponibilità liquide, 2016, par. 4.
[16] 
OIC 10, Rendiconto finanziario, 2016, par. 12. La suddivisione in oggetto ha come obiettivo principale quello di evidenziare il passaggio dalla gestione “dinamica” reddituale a quella “statica” patrimoniale. L’intento, pertanto, è quello di comprendere se e in che modo i flussi prodotti dalla gestione operativa si sono concretamente tramutati in flussi finanziari (e ancor più monetari) in uscita (come impieghi) e in entrata (come fonti). A. Dell’Atti, Il rendiconto finanziario, cit., p. 615 e ss.
[17] 
Da un punto di vista strettamente terminologico, il legislatore, così come la nuova versione dell’OIC 10, aderendo all’impostazione dei principi contabili internazionali (IAS7) ha sostituito il termine gestione reddituale con quello di attività operativa, comprendendo in essa quelle operazioni connesse all’acquisizione, produzione e vendita di beni e servizi, anche se riferibili a gestioni accessorie e a operazioni purché non ricomprese nell’attività di investimento e di finanziamento.
[18] 
Ovviamente tali informazioni, oltre a essere poste in correlazione con quelle desumibili dagli altri documenti di bilancio, devono essere ulteriormente integrate con quelle ottenibili dagli altri strumenti che costituiscono il sistema informativo aziendale (piani e programmi, contabilità industriale, controllo di gestione, ecc.). A. Dell’Atti, Il rendiconto finanziario, cit., p. 616.
[19] 
Il rendiconto finanziario costituisce, altresì, un utile strumento al fine di appurare eventuali operazioni poste in essere a danno dell’azienda e, quindi, dei creditori. Si pensi alle operazioni di grave imprudenza poste in essere al fine di procrastinare la liquidazione giudiziale (art. 323, comma 1, lett. c) CCII, al ricorso abusivo al credito (art. 325 CCII), ecc.
[20] 
Nel panorama internazionale i primi esempi di rendiconto finanziario, quale prospetto integrativo del bilancio d’esercizio, risalgono addirittura a quasi due secoli fa. A titolo d’esempio si citano quello della Assam Company, società inglese (1862) e quello della Northern Central Railroad, società americana (1863). Entrambi i prospetti si presentavano come documenti sostanzialmente volti all’analisi delle entrate e delle uscite di cassa, ossia come rendiconti dei flussi di cassa.
[21] 
A. Iannucci (2006), IAS 7: redazione del rendiconto finanziario, Guida alla Contabilità & Bilancio, n. 4, p. 71. Sul ruolo dei principi contabili internazionali si legga, inoltre: S. Fortunato (2010), I principi contabili internazionali e le fonti del diritto, in Giurisprudenza Commerciale, I, p. 5.
[22] 
S. Azzali (2002), Il bilancio consolidato secondo i principi contabili internazionali. Problemi applicativi, soluzioni operative e potenzialità informative, con la collaborazione di Deloitte & Touche, Il Sole 24 Ore Ed., Milano, p. 45 e ss.
[23] 
C. Cavazzoni (2007), La capacità informativa del bilancio IAS/IFRS. Fondamenti teorici e profili operativi, Giappichelli Editore, Torino, p. 9.
[24] 
C. Cavazzoni, La capacità informativa…, cit., p. 23.
[25] 
La nuova edizione elaborata dall’OIC nel dicembre 2016 sottolinea che il rendiconto finanziario è un prospetto a sé stante e che, pertanto, si è reso necessario aggiornare il principio relativamente ai riferimenti normativi e al suo ambito di applicazione. Inoltre, le parti relative al bilancio consolidato sono state stralciate rinviando il tutto all’OIC 17, in considerazione del fatto che, in materia di rendiconto finanziario, sono state introdotte specifiche indicazioni.
[26] 
U. Sostero, P. Ferrarese, M. Mancin, C. Marcon (2018), L’analisi economico-finanziaria L’analisi economico-finanziaria di bilancio, Giuffrè, Milano, p. 200.
[27] 
E. Sartori, F. Izzo, V. Luciani (2014), L’OIC 10 per la redazione del rendiconto finanziario, Riv. Contabilità, Finanza e Controllo, n. 6, p. 182. 
[28] 
Organismo Italiano di Contabilità, OIC 12 (2022), Composizione e schemi del bilancio di esercizio.
[29] 
In altri termini, adottando il solo rendiconto dei flussi di cassa si è voluto ancor di più enfatizzare la neutralità del documento dalle stime di valori che comportano invece la determinazione del risultato economico di esercizio. Sul punto si veda: Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti, Il rendiconto finanziario e l’informativa di bilancio, Documento del 28 febbraio 2015, p. 12.
[30] 
In via generale, si riportano alcune indicazioni contenute nell’OIC 10, in cui si definisce che: 
- le imprese possono illustrare i propri flussi finanziari adottando ulteriori prospetti informativi, in aggiunta a quelli proposti nel principio contabile n. 10, se ciò può comportare un miglioramento della rappresentazione della condizione finanziaria dell’impresa medesima;
- i flussi finanziari rientranti nei raggruppamenti degli schemi proposti, contrassegnati con le lettere maiuscole, possono essere suddivisi ovvero raggruppati, a seconda dei casi, purché ciò comporti una maggiore chiarezza delle dinamiche finanziarie dell’impresa;
- i flussi finanziari devono essere rappresentati al lordo di qualunque compensazione, sia essa tra le poste facenti parte della stessa sezione e sia essa parte integrante delle partite di sezioni opposte, al fine di non inficiare il reale effetto monetario prodotto da un’operazione di gestione;
- i prospetti di rendiconto redatti dall’impresa devono essere tra di loro confrontabili in un’ottica temporale. Così facendo si ha la possibilità di garantirsi, mediante l’adozione di schemi prestabiliti, una comparabilità del documento, sia nel tempo, pensando al trend di 3-5 anni consecutivi nella medesima azienda, e sia nello spazio, ipotizzando una comparabilità rispetto ad aziende che operano in settori similari o in eguale settore. Per fare ciò occorre raffigurare il rendiconto finanziario con degli schemi riferiti a due anni consecutivi, ovvero l’esercizio appena conclusosi rispetto a quello precedente.
[31] 
Organismo Italiano di Contabilità, OIC 10, Rendiconto finanziario, 2016, par. 53.
[32] 
Ad esempio, gli utili su cambi derivanti da operazioni di compravendita effettuate con l’estero troveranno collocazione nella gestione operativa, mentre quelli derivanti da operazione di investimenti in valuta estera vanno nell’attività finanziaria.
[33] 
C. Marcon (2016), Dal bilancio civilistico ai prospetti contabili riclassificati, in Av.Vv., L’analisi economico-finanziaria di bilancio, Giuffrè, Milano.
[34] 
Sulla struttura e il contenuto del rendiconto finanziario si rimanda a: A. Dell’Atti, La gestione delle crisi…., cit., p. 69 e ss.
[35] 
Per un più ampio approfondimento circa la differenza tra il metodo diretto e indiretto e delle informazioni che se ne traggono, si veda: F. Giunta, M. Pisani (2023), Il Bilancio, V ediz., Maggioli Ed., p. 370 e ss.
[36] 
C. Teodori, Il rendiconto finanziario…, cit.
[37] 
Lo schema è tratto da: Fondazione Nazionale dei Commercialisti, Il rendiconto finanziario…, cit. 
[38] 
L’utilizzo della percentuale nella rappresentazione dei risultati rende più netta e immediata l’indagine finanziaria.
[39] 
P. Ghiringhelli (2019), Analisi di bilancio e driver di valore, Egea, Milano, p. 295. 
[40] 
Le informazioni che si possono desumere dal rendiconto finanziario permettono di valutare le strategie aziendali, anche di tipo finanziario, sia in merito alla realizzazione di nuovi investimenti, sia in merito alla politica dei finanziamenti, nonché cogliere i segnali di un eventuale crisi potenziale o in atto. 
[41] 
La conoscenza della struttura finanziaria dell’impresa costituisce la chiave di lettura pressoché assorbente della situazione patrimoniale, considerati i riflessi che la liquidità e la solvibilità assumono, non soltanto in relazione al mercato, ma anche alle procedure concorsuali.
[42] 
P. Bastia (2019), Crisi aziendali e piani di risanamento, Giappichelli, Torino, p. 221 e ss.
[43] 
Più in generale: G. Fauceglia (2019), Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, Torino, p. 15 e ss.
[44] 
P. Benazzo (2019), Il Codice della crisi d’impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta: diritto societario della crisi o crisi del diritto societario?, in Rivista delle società, n. 2-3, p. 274 e ss. 
[45] 
Si ricorda che il D.L. n. 118/2021 ha prorogato al 16 maggio 2022 l’entrata in vigore del CCII.
[46] 
L. Panzani (2021), Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto. 
[47] 
Tra gli altri si veda: S. Leuzzi (2021), Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in Dirittodellacrisi.it, 28 settembre.
[48] 
Si evidenzia, a tal proposito, che l’istituto della composizione negoziata della crisi è stato introdotto nel CCII dal D.Lgs. n. 83/2022 agli artt. 12-25 undecies. A tal riguardo, si veda tra gli altri: F. Santangeli (2022), Le finalità della composizione negoziata per le soluzioni della crisi d’impresa, Dirittodellacrisi.it, gennaio. 
[49] 
La composizione negoziata, sebbene con alcuni necessari adattamenti, trova applicazione anche per i gruppi di imprese (art. 13) e per le imprese cosiddette sotto-soglia (art. 17).
[50] 
La finalità del test è quella di dare risalto al rapporto causa-effetto tra i singoli elementi che vi concorrono e le iniziative che l’imprenditore può intraprendere al fine di intervenire su quelli maggiormente determinanti. Se l’imprenditore ha ben chiaro il nesso tra i flussi finanziari al servizio del debito e il debito stesso allora saranno più evidenti gli obiettivi da raggiungere e le linee di intervento da seguire.
[51] 
Si veda più ampiamente il Decreto dirigenziale del 28/09/2021 (Ministero della Giustizia) modificato dal successivo Decreto del 31/03/2023. Nello svolgimento del test ci si può limitare ad esaminare l’indebitamento ed i dati dell’andamento economico attuale, depurando quest’ultimo da eventi non ricorrenti (ad esempio, effetti del lockdown, contributi straordinari conseguiti, perdite non ricorrenti, ecc.). Tuttavia, il test non deve essere considerato alla stregua degli indici della crisi, ma è utile a rendere evidente il grado di difficoltà che l’imprenditore dovrà affrontare e quanto il risanamento dipenderà dalla capacità di adottare iniziative in discontinuità e dalla intensità delle stesse. Esso si fonda principalmente sui dati di flusso a regime che, secondo la migliore valutazione dell’imprenditore, possono corrispondere a quelli correnti o derivare dall’esito delle strategie aziendali in corso di attuazione o ancora da attuare.
[52] 
La figura dell’esperto è prevista dall’art. 12, comma 2, CCII. Si tratta di una figura professionale, iscritta in un apposito albo, avente la funzione di agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento della crisi o della situazione di difficoltà in cui versa l’impresa.
[53] 
G. Buffelli, G.P. Rota (2023), Composizione negoziata della crisi di impresa: il decreto dirigenziale del 28 settembre 2021 si aggiorna al Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 05 aprile.
[54] 
Si ricorda che l’ammontare del debito totale dev’essere figurativamente ridotto della parte che si ipotizza di dover stralciare.

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