Il tutto si pone in un contesto potenzialmente ancora più articolato per via della scelta di non prevedere una norma ad hoc, analoga a quella di cui all’art. 69-bis, comma 2, l.fall. o ancor meglio ex art. 10, comma 3, l. 40/2020[27], finalizzata a sospendere il decorso dei termini, in ordine alla inertizzazione degli effetti degli atti pregiudizievoli, neppure ove risulti proposta istanza per la dichiarazione di fallimento che, come è noto (cfr. art. 6, comma 4), non può essere pronunciata nelle more della composizione negoziata per il sol fatto che il debitore richieda le misure protettive[28].
Indubbiamente, se la composizione negoziata fosse una procedura concorsuale o comunque potesse collocarvisi tra i relativi “sottotipi”, quantomeno in punto di consecutio tutte le volte in cui ci si trovi dinanzi alla stessa crisi d’impresa, che poi è la regola, una così assordante assenza potrebbe anche passare inosservata[29].
Se si affronta la tematica senza riserve preconcette, peraltro in uno scenario in cui la definizione normativa di procedura concorsuale comunque difetta, la risposta dovrebbe essere affermativa.
Difatti, già in sede di composizione negoziata vengono a verificarsi una serie di effetti, taluni ex lege altri ope iudicis , tipici delle procedure concorsuali, tra l’altro molti, non solo non conseguibili: i) in sede di piani attestati di risanamento, che non sono procedure concorsuali[30] (tutta la schiera degli effetti di cui agli artt. 4, 6, 7, 8, 9, 10 e 13, a partire dalla prededuzione), ma addirittura alcuni neppure ii) in sede di accordi di ristrutturazione, che invece lo sono[31] (in particolare ex artt. 4, 6 e 10 e 13, come l’impossibilità di andare in revoca bancaria per la sussistenza della composizione negoziata ovvero di rifiutarsi di adempiere i contratti o di risolverli per inadempienti anteriori, la prededuzione sino al 100%, anziché 80%, per i finanziamenti dei soci, la rimodulazione ad equità dei contratti, la possibilità di cessione aziendale senza il “bagaglio” della solidarietà passiva di cui all’art. 2560, comma 2, c.c. e l’esclusione dell’obbligo di postergazione rispetto ai finanziamenti infra gruppo) e finanche non ottenibili iii) in ambito di concordato preventivo (in particolare ex artt. 4, 6 e 10 e 13, come l’impossibilità di andare in revoca bancaria sol per la sussistenza della composizione negoziata, la prededuzione sino al 100%, anziché 80%, per i finanziamenti dei soci, la rimodulazione ad equità dei contratti e l’esclusione dell’obbligo di postergazione rispetto ai finanziamenti infra gruppo).
E comunque, a parte ogni altra considerazione, è indubbio che, allorché si inibisca l’agire esecutivo di tutti o - a maggior ragione ai fini qui in disputa - solo di taluni creditori o si riconosca la prededuzione ad un particolare credito, è pacifico che si vada potenzialmente ad incidere sul paritetico concorso fra tutti i creditori.
Ed è anche perciò che, sulla scorta delle statuizioni degli artt. 7 e 10, incipit e comma 3, emerge la necessità di un previo controllo giurisdizionale attraverso un procedimento che, nel massimo rispetto del contraddittorio, recte “concorso” (anche) processuale possibile, salvaguardi gli interessi di tutte le parti interessate, privilegiando sempre il miglior soddisfacimento dei creditori, mantra oramai immanente ad ogni procedura, appunto, concorsuale.
Ecco, allora, che così la composizione negoziale si ammanta di un’indubbia natura concorsuale, amplificata dal possibile sbocco (anche) verso il concordato semplificato, di cui infatti è conditio sine qua non (art. 18, co. 1), e prima ancora verso gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa dei quali, ove sussista la (positiva) relazione dell’esperto, ne consente l’omologazione anche con il solo 60% - anziché 75% - dei consensi dei creditori di singola categoria (art. 11, comma 2).
In altri termini, con la composizione negoziale per la risoluzione della crisi d’impresa si è dato vita ad una nuova forma di procedura concorsuale, recte di istituto di diritto concorsuale, almeno nel senso fatto proprio dal Giudice di Legittimità in materia di accordi di ristrutturazione e cioè “ come ipotesi intermedia tra le forme di composizione stragiudiziale e le soluzioni concordatarie della crisi dell'impresa, e per quanto oggetto di annosi dibattiti dottrinali, l'accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis appartiene agli istituti del diritto concorsuale”[32].
D’altra parte, come accennavamo all’inizio di questo breve excursus, giungere a ritenere che anche la composizione negoziata possa ritenersi, se non una vera procedura, quantomeno un “istituto di diritto concorsuale” sarebbe funzionale soprattutto, per non dire unicamente (grazie allo zelo del neo legislatore ed al “suo” art. 12), allo scopo di invocare il fenomeno della consecutio, per via, appunto, dell’inopinata scelta legislativa di non sospendere espressamente, rispetto alla dichiarazione di fallimento, il decorso dei termini relativamente all’impugnativa degli eventuali atti pregiudizievoli compiuti durante la composizione negoziale (che nei fatti porrebbe al riparo praticamente ogni atto contra ius, vista la durata semestrale, e sin anche annuale, che può rivestire la composizione).
E, con specifico riguardo alla consecutio, le conclusioni in tema possono essere assunte con maggior (consapevole) coraggio, se si consideri il costante insegnamento della Suprema Corte secondo cui «la consecuzione tra procedure concorsuali è un fenomeno generalissimo, consistente nel collegamento tra procedure di qualsiasi tipo, volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell'impresa» (manifestatasi indifferentemente come crisi o insolvenza, trattandosi di una distinzione di grado del medesimo fenomeno), in base al quale le varie procedure restano avvinte da un rapporto di continuità causale e unità concettuale (Cass. nn. 7324/2016, 8439/2012), anche se non di rigorosa continuità cronologica (Cass. n. 15724 del 2019), purché lo iato temporale non sia irragionevole (Cass. nn. 9290/2018, 9289/2010, 8013/1992, 3741/1988), in una logica unitaria che consente di saldare i presidi «di tutela insorti con la prima procedura a vantaggio dei creditori concorsuali riaggregati nella seconda» (Cass. ord. n. 30694/ 2019; cfr. anche Cass. nn. 6045/2006, 18437/2010, 8439/2012, 7324/2016)”[33].
Peraltro, concludere per la concorsualità della composizione negoziale, avrebbe l’ulteriore vantaggio di evitare che, durante il relativo iter, possano maturare, oltre gli interessi legali o convenzionali (che continuano a decorrere, in difetto di una previsione al riguardo agli artt.6 e 7), anche i gravosi interessi moratori ex Dlgs 231/02, poiché ai sensi del relativo art. 1, n. 2, lett. a) tali interessi, come è noto, non germinano rispetto ai “debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito”.