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La delega di funzioni gestorie da parte degli amministratori di società di capitali: limiti, condizioni e prospettive tra diritto positivo, prassi e crisi d’impresa

Massimiliano Angelini, Avvocato in Rimini, Presidente Associazione Riminese dei Concorsualisti

14 Luglio 2025

L’A. esamina la delega di funzioni gestorie nelle società di capitali, evidenziandone natura, limiti e condizioni. Vengono analizzate le distinzioni tra procure e deleghe, la centralità dell’organo amministrativo, gli obblighi organizzativi ex art. 2086 c.c. e i profili di responsabilità, con particolare attenzione alla prassi e agli scenari di crisi d’impresa.
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1 . Introduzione
Il tema della delega di funzioni gestorie da parte degli amministratori di società di capitali rappresenta una questione molto dibattuta del diritto societario italiano. L’esigenza di efficienza, flessibilità e decentramento gestionale, tipica delle moderne realtà imprenditoriali, si confronta con la necessità di garantire la centralità, la responsabilità e la trasparenza dell’organo amministrativo, quale unico soggetto legittimato a determinare l’indirizzo e la gestione dell’impresa sociale. Tale tensione si è accentuata negli ultimi anni, anche in ragione delle novità introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che ha rafforzato il ruolo degli assetti organizzativi e la responsabilità degli amministratori nella prevenzione della crisi e nella salvaguardia della continuità aziendale. 
La prassi societaria, da tempo, fa ricorso a strumenti di delega e di attribuzione di poteri a soggetti diversi dagli amministratori, sia interni che esterni alla compagine sociale, al fine di rispondere alle esigenze di specializzazione, tempestività decisionale e adeguatezza organizzativa. Tuttavia, la legittimità e i limiti di tali strumenti sono oggetto di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che ruota attorno al rischio di una “abdicazione” delle funzioni gestorie da parte degli amministratori e alla necessità di preservare il modello legale di amministrazione delineato dal legislatore[1]. La ricerca di questa misura di compatibilità, però, è resa ardua dalla varietà delle deleghe che possono essere conferite al fine della migliore organizzazione dell’impresa societaria. Esse, infatti, non si collocano tutte sullo stesso piano, dovendosi anzitutto distinguere tra quelle espressamente previste dalla legge, e quelle avvalorate dalla della tecnica amministrativa aziendale.
2 . La funzione gestoria nelle società di capitali: principi generali e ratio normativa
Il principio cardine che governa la materia è quello della esclusività e inderogabilità della funzione gestoria in capo agli amministratori, sancito dall’art. 2380 bis c.c. per le società per azioni e, in via analogica, per le altre società di capitali. Tale norma attribuisce all’organo amministrativo la gestione dell’impresa sociale, quale espressione diretta della volontà assembleare e, più in generale, dell’interesse sociale. 
La ratio di tale previsione risiede nella necessità di garantire che le decisioni gestorie siano assunte da soggetti investiti di un mandato fiduciario da parte dei soci, i quali, attraverso l’assemblea, esercitano un controllo indiretto sull’operato degli amministratori. La funzione gestoria, pertanto, non può essere liberamente trasferita a soggetti terzi, pena la violazione del principio di personalità e di responsabilità che caratterizza la posizione degli amministratori. 
Il legislatore, tuttavia, ha previsto alcune ipotesi di delega interna, come la possibilità di attribuire specifiche funzioni a un comitato esecutivo o ad alcuni componenti del consiglio di amministrazione (art. 2381 c.c.), nonché la figura del direttore generale (art. 2396 c.c.) e dell’institore (artt. 2203 ss. c.c.), quali ausiliari dell’imprenditore dotati di poteri rappresentativi e gestori, ma sempre nell’ambito di un controllo e di una vigilanza da parte dell’organo amministrativo. 
La centralità dell’organo amministrativo si riflette anche nella disciplina della responsabilità, che impone agli amministratori un dovere di diligenza qualificata, di vigilanza e di controllo sull’andamento della gestione e sull’operato dei delegati, a tutela dell’interesse sociale e dei terzi.
3 . Procure speciali e procure generali ad negotia: inquadramento e distinzioni
Nell’ambito della gestione delle società di capitali, la prassi e la teoria distinguono con nettezza tra due tipologie fondamentali di procure: le procure speciali e le procure generali ad negotia. Tale distinzione non è meramente terminologica, ma riflette profonde differenze strutturali e funzionali, con rilevanti ricadute sul piano della legittimità, della responsabilità e della conformità al modello legale di amministrazione. 
Le procure speciali sono conferite per il compimento di uno o più atti determinati, oppure per categorie di atti ben individuate e circoscritte. Esse rappresentano uno strumento di delega puntuale, volto a consentire al procuratore di agire in nome e per conto della società in relazione a specifiche operazioni, senza che ciò comporti una cessione generalizzata dei poteri gestori. 
La funzione delle procure speciali è eminentemente strumentale: esse rispondono all’esigenza di efficienza e flessibilità operativa, permettendo agli amministratori di affidare a soggetti dotati di particolari competenze tecniche o conoscenze settoriali il compimento di atti che, pur rientrando nella sfera gestoria, non richiedono necessariamente l’intervento diretto dell’organo amministrativo. Si pensi, ad esempio, alla stipula di un contratto di compravendita immobiliare, alla partecipazione a una gara pubblica, alla rappresentanza in giudizio per una specifica controversia. 
Sul piano normativo e giurisprudenziale, la legittimità delle procure speciali è pacificamente riconosciuta[2]. La Corte di Cassazione ha più volte affermato che il potere di rilasciare procure ad hoc per determinati affari rientra tra i poteri ordinari degli amministratori, anche in assenza di una specifica previsione statutaria o di un’autorizzazione assembleare. Tale orientamento trova fondamento nel principio di autonomia gestionale dell’organo amministrativo e nella necessità di assicurare la tempestività e l’efficacia dell’azione societaria. 
Di ben diversa natura sono, invece, le procure generali ad negotia, ossia quelle che attribuiscono al procuratore poteri ampi, indeterminati e potenzialmente illimitati di gestione, spesso senza una precisa delimitazione oggettiva o temporale. In tali ipotesi, il procuratore viene investito della facoltà di compiere, in nome e per conto della società, una pluralità indeterminata di atti di ordinaria e/o straordinaria amministrazione, talvolta anche senza la previsione di specifici limiti di valore o di materia. 
La ratio sottesa al ricorso a procure generali ad negotia risiede, almeno in astratto, nell’esigenza di decentramento gestionale e di valorizzazione delle competenze manageriali, soprattutto in contesti aziendali complessi o caratterizzati da una forte specializzazione tecnica. Tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza hanno da tempo evidenziato i rischi insiti in tale strumento, in quanto esso può determinare un vero e proprio esautoramento dell’organo amministrativo, con conseguente alterazione dell’equilibrio organizzativo e funzionale delineato dal legislatore. 
Anche il Comitato Triveneto dei Notai ha affermato con l’Orientamento H.C.2 che: “E’ illegittima la previsione della nomina di procuratori generali o direttori generali che assorbano interamente i poteri gestori dell’organo amministrativo, perché non si può ammettere la dissociazione permanente tra titolarità del potere gestorio e suo esercizio; sono ammesse procure speciali per determinati atti o categorie di atti”
La distinzione tra procura speciale e generale non si esaurisce in una differenza formale, ma si fonda su criteri sostanziali, quali: 
- l’oggetto della delega: la procura speciale ha ad oggetto uno o più atti determinati o categorie di atti ben circoscritte; la procura generale ad negotia, invece, si estende a una pluralità indeterminata di atti, spesso senza limiti oggettivi o soggettivi. 
- l’estensione dei poteri conferiti: la procura speciale attribuisce poteri limitati e puntuali; la procura generale ad negotia conferisce poteri ampi, che possono arrivare a coprire l’intera sfera gestoria della società. 
- la rilevanza delle operazioni delegate: la giurisprudenza valuta la legittimità della procura anche in relazione al numero e all’importanza delle operazioni delegate, nonché all’incidenza di queste sull’indirizzo strategico e sulla struttura organizzativa della società. 
Il discrimine fondamentale individuato dalla giurisprudenza risiede nella possibilità che la procura comporti una “abdicazione” delle funzioni gestorie da parte degli amministratori, ossia una rinuncia sostanziale al potere-dovere di indirizzo e di controllo sull’attività sociale. In altre parole, è illegittima ogni procura che, per ampiezza dell’oggetto, entità economica e assenza di precise prescrizioni preventive e di procedure di verifica, consenta al procuratore di assumere di fatto il potere di gestione dell’impresa, svuotando di contenuto la funzione gestoria dell’organo amministrativo[3]. 
Tale principio trova conferma in una consolidata linea giurisprudenziale, secondo cui la gestione dell’impresa sociale spetta inderogabilmente ed esclusivamente agli amministratori, e non può essere trasferita, neppure in parte, a soggetti terzi non investiti di un mandato fiduciario da parte dell’assemblea. La legittimità delle procure generali ad negotia è dunque subordinata al rispetto di rigorosi limiti oggettivi e soggettivi, che impediscano una sostanziale sostituzione dell’organo amministrativo e garantiscano la permanenza di un nucleo essenziale di poteri e di responsabilità in capo agli amministratori. 
La distinzione tra procure speciali e generali ad negotia si inserisce in un più ampio quadro sistematico, che vede nella centralità dell’organo amministrativo e nella responsabilità degli amministratori i cardini del modello societario delineato dal legislatore. Il ricorso a procure generali ad negotia, se non adeguatamente circoscritto e controllato, rischia di compromettere l’equilibrio tra efficienza gestionale e responsabilità, con possibili ricadute negative sia sul piano della governance interna sia su quello della tutela dei terzi e dei soci di minoranza. 
Inoltre, la crescente attenzione del legislatore e della giurisprudenza agli assetti organizzativi e ai doveri di vigilanza e controllo impone agli amministratori di valutare con particolare attenzione l’opportunità e la legittimità del ricorso a strumenti di delega ampia, privilegiando soluzioni che assicurino la tracciabilità delle decisioni, la trasparenza dei processi e la responsabilità effettiva dei soggetti coinvolti. 
In definitiva, la distinzione tra procure speciali e procure generali ad negotia rappresenta un punto nevralgico nella disciplina della delega di funzioni gestorie nelle società di capitali. Mentre le prime costituiscono uno strumento fisiologico e legittimo di efficienza operativa, le seconde devono essere oggetto di un attento scrutinio sotto il profilo della compatibilità con il modello legale di amministrazione, della tutela dell’interesse sociale e della responsabilità degli amministratori. 
4 . I limiti oggettivi e soggettivi della delega gestoria
La disciplina della delega di funzioni gestorie da parte degli amministratori di società di capitali si fonda su un sistema di limiti rigorosi, che trovano la loro ratio, come già detto, nella necessità di preservare la centralità dell’organo amministrativo e di garantire la responsabilità effettiva degli amministratori nei confronti della società, dei soci e dei terzi. Tali limiti si articolano su due piani distinti ma interconnessi: quello oggettivo, relativo all’oggetto e all’estensione delle attribuzioni delegate, e quello soggettivo, concernente i destinatari della delega e la loro posizione rispetto all’assetto organizzativo societario.
4.1 . Limiti oggettivi
Sul versante oggettivo, la delega di funzioni gestorie incontra una serie di vincoli che derivano sia dalla lettera della legge sia dall’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale. In primo luogo, la delega non può mai avere ad oggetto l’intera gestione dell’impresa sociale, né può attribuire al procuratore poteri tali da consentirgli di determinare l’indirizzo strategico della società o di compiere atti riservati ex lege all’organo amministrativo. Rientrano in questa categoria, a titolo esemplificativo e non esaustivo: 
- la redazione e l’approvazione del bilancio d’esercizio e consolidato; 
- le decisioni relative a operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, trasformazioni, aumenti e riduzioni di capitale, emissione di strumenti finanziari complessi); 
- la nomina e la revoca di dirigenti apicali e di altri soggetti che rivestano ruoli di vertice nell’organizzazione societaria; 
- la determinazione delle linee guida e delle strategie di sviluppo dell’impresa; 
- la definizione delle politiche di governance e di controllo interno. 
La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che la validità della delega va valutata in concreto, alla luce del numero, della rilevanza e della natura delle operazioni delegate, nonché dell’esistenza di procedure di controllo e di verifica preventiva da parte degli amministratori. In particolare, la Corte di Cassazione ha sottolineato che la delega non può tradursi in una “abdicazione” delle funzioni gestorie, ossia in una rinuncia sostanziale al potere-dovere di indirizzo e di controllo sull’attività sociale . 
Un ulteriore profilo oggettivo riguarda la necessità che la delega sia sufficientemente determinata e circoscritta, sia sotto il profilo oggettivo (tipologia di atti, limiti di valore, ambito temporale) sia sotto quello funzionale (finalità e obiettivi perseguiti). La genericità o l’indeterminatezza della delega costituisce, secondo la prevalente opinione, un indice sintomatico di illegittimità, in quanto idonea a svuotare di contenuto la funzione gestoria dell’organo amministrativo e a creare un rischio di deresponsabilizzazione. 
Inoltre, la delega deve essere accompagnata da adeguati strumenti di controllo e di verifica, che consentano agli amministratori di esercitare un’effettiva vigilanza sull’operato del delegato e di intervenire tempestivamente in caso di irregolarità o di scostamenti rispetto agli indirizzi strategici della società. La mancanza di tali strumenti può integrare una grave violazione dei doveri di diligenza e di prudenza imposti agli amministratori dall’art. 2392 c.c., con conseguente responsabilità solidale per i danni eventualmente arrecati alla società o ai terzi.
4.2 . Limiti soggettivi
Sul piano soggettivo, la delega di funzioni gestorie può essere conferita a soggetti che rivestano una posizione di dipendenza o di collaborazione stabile con la società, quali il direttore generale (art. 2396 c.c.), l’institore (artt. 2203 ss. c.c.), o altri dirigenti e funzionari dotati di specifiche competenze tecniche o manageriali. Tuttavia, la delega non può comportare la creazione di un organo gestorio parallelo o alternativo a quello previsto dalla legge, né può tradursi in una sostanziale sostituzione dell’organo amministrativo. 
La nomina di un procuratore generale, anche se formalmente legittima, non può essere utilizzata come strumento per eludere il principio di esclusività e di inderogabilità delle competenze gestorie degli amministratori. In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che la delega a soggetti estranei all’organo amministrativo deve essere rigorosamente circoscritta e non può mai giungere al punto di affidare a terzi la completa direzione dell’attività sociale, pena la nullità della procura per violazione di norme imperative e per contrasto con l’ordine pubblico economico. 
La dottrina più recente, pur riconoscendo l’esigenza di flessibilità e di decentramento gestionale, sottolinea la necessità che gli amministratori mantengano sempre un “nucleo essenziale” di poteri e di responsabilità, in particolare in relazione alle scelte di indirizzo e di controllo dell’attività sociale. Tale nucleo comprende non solo le decisioni strategiche e le scelte di fondo, ma anche il potere-dovere di vigilanza, di intervento e di revoca nei confronti dei delegati, nonché la responsabilità per l’adeguatezza degli assetti organizzativi e per la prevenzione della crisi d’impresa. 
Un ulteriore profilo soggettivo riguarda la posizione del delegato all’interno dell’organizzazione societaria. Secondo parte della dottrina, la delega di funzioni gestorie dovrebbe essere conferita a soggetti stabilmente incardinati nell’impresa, in quanto ciò facilita il controllo e la vigilanza da parte degli amministratori. Tuttavia, alcuni autori hanno precisato che anche la delega a soggetti esterni può essere legittima, purché, ovviamente, siano rispettati i limiti oggettivi sopra delineati e siano assicurati adeguati strumenti di controllo e di revoca[4]. 
In conclusione, la disciplina dei limiti oggettivi e soggettivi della delega gestoria si fonda su un delicato equilibrio tra esigenze di efficienza e di flessibilità organizzativa, da un lato, e necessità di tutela dell’interesse sociale, di responsabilità e di trasparenza, dall’altro. Gli amministratori sono chiamati a esercitare un giudizio prudente e responsabile nella scelta dei destinatari e nell’individuazione dell’oggetto della delega, assicurando in ogni caso la permanenza di un controllo effettivo e di una responsabilità piena sull’andamento della gestione sociale.
5 . La giurisprudenza di legittimità: il principio di “abdicazione” e la centralità dell’organo amministrativo
La Corte di Cassazione, con una serie di pronunce ormai consolidate (tra cui Cass. 3 agosto 2022, n. 24068), ha ribadito che agli amministratori delle società per azioni non è consentito delegare a terzi poteri che, per vastità dell’oggetto, entità economica e assenza di precise prescrizioni preventive e di procedure di verifica, facciano di fatto assumere al delegato il potere di gestione dell’impresa o comunque di compiere le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Tali attività sono di esclusiva competenza degli amministratori, che sono gli unici cui le dette funzioni possono eventualmente essere delegate. 
La sentenza della Cass. 3 agosto 2022, n. 24068 riporta il contenuto della procura in oggetto, attributiva al terzo del potere di stipulare: “contratti di appalto e di vendita per impianti fotovoltaici fino a un importo massimo di euro 12.000.000,00 [...] per singola operazione; costituire società all'estero ed acquistare quote di società all'estero, con facoltà di sub delega a terzi a mezzo procura speciale, a condizione che l'importo di ciascuna attività non ecceda l'importo di euro 400.000,00 [...] e salvo i limiti previsti dallo statuto sociale della società mandante [...] alla nominata parte procuratrice sono pertanto conferiti i più ampi poteri all'indicato oggetto [...] e fare insomma tutto quanto opportuno e necessario per il completo espletamento del presente incarico, escluso sin d'ora qualsiasi anche potenziale conflitto d'interesse con la parte procuratrice”. 
La Corte individua il discrimine tra delega lecita e illecita nel numero e nella rilevanza delle operazioni delegate, nonché nella permanenza in capo agli amministratori del potere di sorveglianza e di revoca nei confronti del delegato. La ratio di tale limitazione risiede nella necessità di evitare che gli amministratori si spoglino dei propri poteri, cui corrispondono altrettanti doveri, delegando a terzi il compito di amministrare la società e alterando così la fisiologia e il modello organizzativo della società per azioni. 
Un ulteriore chiarimento è stato fornito dalla Cassazione con la pronuncia del 26/10/2023, n. 4816, nella quale le singole procure conferite al terzo sono state valutate complessivamente come una procura generale senza limiti. Tali procure, infatti, avevano consentito al delegato di operare sull’intero patrimonio della società fallita, attiva nel settore immobiliare, disponendone liberamente, come effettivamente avvenuto.
Il principio di “abdicazione” rappresenta, dunque, il parametro fondamentale per valutare la legittimità delle procure generali: è illegittima ogni delega che svuoti di contenuto la funzione gestoria degli amministratori, trasferendo a terzi la completa direzione dell’attività sociale. 
6 . Il ruolo degli assetti organizzativi e la riforma dell’art. 2086 c.c.
La riforma dell’art. 2086 c.c., introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ha rafforzato il dovere degli amministratori di adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche al fine di rilevare tempestivamente la crisi e di attivarsi per la sua soluzione. 
Tale previsione ha inciso profondamente sulla disciplina della delega di funzioni gestorie, imponendo agli amministratori di dotarsi di strumenti organizzativi idonei a garantire l’efficienza e la trasparenza della gestione, nonché la tracciabilità delle decisioni e delle responsabilità. In questo contesto, la procura ad negotia può rappresentare uno strumento molto utile per attribuire specifiche funzioni a soggetti dotati di competenze tecniche e professionali, ma sempre nel rispetto dei limiti sopra delineati. 
La dottrina più recente ha sottolineato come la nuova disciplina degli assetti organizzativi imponga una rilettura del concetto di “abdicazione”, valorizzando la necessità di un equilibrio tra decentramento gestionale e responsabilità degli amministratori. In particolare, si è osservato che la gestione dell’impresa, nel modello del “capitalismo manageriale maturo”, si realizza sempre più sul piano dell’organizzazione piuttosto che su quello della singola decisione gestoria, rendendo consigliabile, financo necessario, il ricorso a collaboratori e professionisti esterni nelle PMI[5]. 
Tuttavia, ciò non legittima una delega indiscriminata di poteri gestori, ma impone agli amministratori di mantenere un controllo effettivo sull’attività dei delegati e di assicurare la coerenza delle decisioni con l’interesse sociale e con le strategie aziendali. 
Vi è chi, poi, ha osservato come lo strumento della procura sia diventato indubbiamente centrale negli assetti organizzativi delle società di capitali al punto tale da “chiedersi se alla luce di tal nuova clausola generale, non sia opportuno (o quantomeno sensato) reinterpretare la ratio essendi del concetto di abdicazione”[6].
7 . Profili di responsabilità e controllo
Ammessa la delega di funzioni gestorie, occorre chiedersi se la stessa permetta all’imprenditore di andare esente da responsabilità civile. 
È evidente che la delega non esonera gli amministratori dall’obbligo di indirizzo, vigilanza e di controllo sull’operato dei delegati. 
L’art. 2392 c.c. prevede la responsabilità solidale degli amministratori per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto, salvo che essi abbiano fatto annotare il proprio dissenso nel libro delle deliberazioni del consiglio di amministrazione e ne abbiano dato immediata notizia al presidente del collegio sindacale. 
La responsabilità degli amministratori si estende anche alle attività compiute dai procuratori e dai collaboratori, in quanto la delega non comporta una sostanziale esenzione dai doveri di diligenza, prudenza e controllo. 
La limitazione della responsabilità prevista per i membri del comitato esecutivo o per l’amministratore delegato non può applicarsi, tuttavia, in caso di delega a terzi estranei all’organo amministrativo. Non opera, infatti, la limitazione di cui al primo comma dell’art. 2392 c.c., applicabile soltanto in caso di comitato esecutivo o amministratore delegato per specifica previsione codicistica, considerata la sostanziale divisione di attribuzioni operata attraverso detto regime stabilito dal diritto delle società. 
In caso di delega al terzo estraneo all’organo amministrativo appaiono invece applicabili i principi ordinari in tema di responsabilità, in particolare per il caso di omesso controllo circa l’attività del terzo, e, dunque, la responsabilità solidale dei componenti dell’organo amministrativo per l’attività del terzo estraneo; anche considerato che, per quanto detto, la permanenza della predetta vigilanza appare requisito fondamentale di qualsivoglia delega a terzi operata dall’organo amministrativo. 
La responsabilità degli amministratori nella gestione della crisi d’impresa si colloca lungo un crinale sottile tra l’obbligo di agire informati e il diritto di avvalersi di consulenti tecnici. Se gli amministratori non possono essere considerati esperti in ogni ambito della gestione societaria, pena configurare la loro responsabilità come oggettiva, gli stessi devono in ogni caso dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per garantire una gestione diligente e informata. 
Un aspetto cruciale riguarda, dunque, il confine tra delega e supervisione. In estrema sintesi, si può dire che gli amministratori non possono limitarsi a delegare decisioni complesse a consulenti tecnici, ma devono vigilare sull’operato degli stessi e assumere decisioni consapevoli. La responsabilità per errori tecnici dei consulenti può essere esclusa, come si dirà nei successivi paragrafi, solo se gli amministratori dimostrano di aver agito con la diligenza professionale richiesta nella scelta e nella supervisione dei consulenti.
8 . Riflessioni critiche e prospettive evolutive
L’analisi della disciplina positiva e della giurisprudenza evidenzia una tensione costante tra l’esigenza di efficienza e flessibilità gestionale e la necessità di garantire la centralità e la responsabilità dell’organo amministrativo. Da un lato, la complessità delle moderne realtà imprenditoriali impone il ricorso a strumenti di decentramento e di attribuzione di poteri a soggetti dotati di specifiche competenze tecniche e professionali; dall’altro, il rischio di una “abdicazione” delle funzioni gestorie e di una sostanziale deresponsabilizzazione degli amministratori impone limiti rigorosi alla delega di poteri. 
La riforma dell’art. 2086 c.c. e l’introduzione del Codice della crisi d’impresa hanno accentuato tale tensione, imponendo agli amministratori un dovere di organizzazione e di controllo sempre più stringente, anche in funzione della prevenzione della crisi e della salvaguardia della continuità aziendale. In questo contesto, la procura ad negotia può (per alcuni autori addirittura deve) rappresentare uno strumento prezioso per garantire l’efficienza e la tempestività delle decisioni, ma deve essere utilizzata con prudenza e nel rispetto dei principi di legalità, responsabilità e trasparenza. 
La procura si erge, dunque, a soluzione pratica ed agevole per tutte quelle imprese che non possono fare ricorso alle risorse interne in grado di adempiere efficacemente ai compiti imposti dall’art. 2086 c.c. 
La dottrina più recente ha financo suggerito una rilettura del concetto di “abdicazione”, valorizzando la necessità di un equilibrio tra decentramento gestionale e responsabilità degli amministratori senza per questo legittimare una delega indiscriminata di poteri gestori, ma imponendo agli amministratori di mantenere un controllo effettivo sull’attività dei delegati e di assicurare la coerenza delle decisioni con l’interesse sociale e con le strategie aziendali[7].
9 . Considerazioni conclusive
Alla luce dell’analisi svolta, appare evidente come la delega di funzioni gestorie da parte degli amministratori di società di capitali rappresenti uno strumento utile e, in taluni casi, necessario per garantire l’efficienza e la competitività dell’impresa, soprattutto in un contesto economico caratterizzato da crescente complessità e specializzazione. 
La riforma dell’art. 2086 c.c. e l’introduzione del Codice della crisi d’impresa hanno ulteriormente rafforzato il ruolo degli assetti organizzativi e la responsabilità degli amministratori, imponendo un equilibrio tra decentramento gestionale e controllo, nell’ottica di una gestione efficiente e responsabile dell’impresa sociale. 
Specie nelle PMI, ove non è possibile assolvere le prescrizioni dell’art. 2086 c.c. ricorrendo esclusivamente a personale interno, lo strumento della procura permetterebbe di avvalersi di professionisti esperti ai quali affidare specifiche funzioni organizzative, amministrative e contabili in autonomia (anche di spesa), fermo restando il potere di revoca del conferimento della procura e il dovere di vigilare sull’operato del procuratore. 
In questo contesto appare evidente come la procura diventi per le società di capitali lo strumento molto duttile per l’adozione degli assetti organizzativi più adeguati. 
Tuttavia, la legittimità di tale strumento è subordinata al rispetto di rigorosi limiti normativi e giurisprudenziali, che impongono agli amministratori di mantenere la titolarità e la responsabilità delle decisioni strategiche e di indirizzo, nonché di esercitare un controllo effettivo sull’attività dei delegati. 
La giurisprudenza di legittimità, pur riconoscendo l’ammissibilità di procure speciali e di deleghe circoscritte, esclude infatti la possibilità di conferire procure generali ad negotia che comportino una sostanziale abdicazione delle funzioni gestorie, in quanto tali atti sono nulli per violazione di norme imperative e contrastano con il modello legale di amministrazione. 
In definitiva, la delega di funzioni gestorie rappresenta una risorsa preziosa per le società di capitali, ma deve essere utilizzata con prudenza e nel rispetto dei principi di legalità, responsabilità e trasparenza che caratterizzano il diritto societario italiano.

Note:

[1] 
Parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza ritengono invalide anche le procure a terzi con oggetto ristretto: F. Galgano, La società per azioni, Padova, Cedam, 1984, 257, G. Fauceglia, Note in tema di rappresentanza nelle società per azioni, in questa Giur. comm., 1985, IV, 483; Cass. 5 novembre 1968 n. 3652; Cass., 6 dicembre 1984, n. 6423, in Giust. civ., 1985, I, 719; Trib. Milano, 17 giugno 1982, in Giur. comm., 1983, 1, 306; App. Bari, 4 dicembre 1989, in Giur. It., 1990, I, 252. Ammette la liceità di procure generali ad negotia in favori di terzi non amministratori ove non comporti un’abdicazione delle funzioni gestorie: F. Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè, 1985, 100; G. Cottino, Diritto commerciale, I, Padova, Cedam, 1987, 460; P. Tassi, Delega di funzioni gestorie a terzi e gravi irregolarità ex art. 2409 c.c., in Le Società, 1999, 463; M.S. Spolidoro, (nt. 3), 510; G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2, Diritto delle società 10, Torino, Utet, 2020, 379, nota 63; P. Abbadessa, La gestione dell’impresa nelle società per azioni. Profili organizzativi, Milano, Giuffrè, 1975, 96; in giurisprudenza cfr. App. Milano, 5 marzo 1974, in Riv. not., 1974, 975, Cass. 10 febbraio 1971, n. 353, in Giust. civ., 1971, 196, Cass. 24 settembre 1977, n. 4068, Trib. Milano, 9 marzo 1989, in Società, 1989, 926.
[2] 
Si veda: Cass. 03/08/2022, n. 24068; Cass. 17/03/1998, n. 2854; Cass. 14 febbraio 1977, n. 681, in Foro it., 1977, I, 821; Cass. 23 aprile 1980, n. 2663, in Rep. giur. it., 1980, Società, 352; Cass. 9 novembre 1982, n. 5877 in Giur. it., 1983, I, 2699; Trib. Milano 17 giugno 1982, Giur. comm., 1983, II, 306; Trib. Milano, 13 gennaio 2006, in Giur. it., 2006, 977; Trib. Bologna, 10 ottobre 1989, in Società, 1989, 1319; Corte appello Bari, 04/12/1989, in Giur. it. 1990, I,2,252. In dottrina, ex multis, si faccia riferimento a P. Abbadessa, La gestione dell'impresa nella società per azioni, Milano, 1975, 96 ss.; D. Latella, La procura generale conferita a terzi dagli amministratori di società di capitali: condizioni e limiti di ammissibilità, in Giur. comm., 2000, 124 ss.; P. Guida, Sulla legittimità della nomina del procuratore generale delle società di capitali, nota a Trib. Milano, 20 luglio 1981, in Riv. not., 1982, II, 919 ss.; M. Tassi, Delega di funzioni gestorie a terzi e gravi irregolarità, in Le Società, IV, 1999, 463; C. Dainese, Sulla liceità della delega di poteri gestori a terzi nelle società di azioni, in Giur. comm., fasc. 13, 2023, pag. 424; G.D. Giagnotti, I limiti del potere di delega di funzioni al terzo nella società per azioni, Diritto & Giustizia, fasc. 139, 2022, pag. 4; P. Feliciani, F. Scio, I limiti del potere di delega di funzioni al terzo nella società per azioni, Giustizia Civile, 1 marzo 2023.
[3] 
La giurisprudenza è costante nell’attribuire al titolare di procura abdicativa, che abbia svolto funzioni gestorie, la qualità di amministratore di fatto con le conseguenti responsabilità civili e penali. Cfr. sul punto Trib. Milano, 13 gennaio 2006, in Giur. it., 2006, 977, con nota di Spiotta, Fallimento, amministratore di fatto, responsabilità: osservazioni sul tema; Trib. Milano, 16 maggio 2008; Cass. Pen., 21 gennaio 2015, n. 2793; Cass., 3 gennaio 2017, n. 43; Cass. Civ. Sez. V, 14 gennaio 2022, n. 1033; Trib. Bologna, 25 maggio 2022 n. 1407. In senso contrario appare Corte d'Appello Milano 4 maggio 2001, con nota di Postiglione, Amministratore di fatto e delega di funzioni, in Giur. it., 2002, 312, che pare ritenere non ravvisabile la qualifica di amministratore di fatto ove il terzo ricopra formalmente la carica di procuratore generale. Qualora invece il procuratore, ancorché titolare di una procura abdicativa, non abbia effettivamente esercitato i relativi poteri è da escludersi l'applicabilità di un simile regime giuridico. Sul punto v. in giurisprudenza Cass., 5 dicembre 2017 n. 547; Cass., 25 novembre 2021 n. 4865 ove si osserva che: “Sulla rilevanza della procura, va certamente ribadito che, essa può incidere ai fini della prova del ruolo di amministratore di fatto quando questa, per l'epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, sia sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale”.
[4] 
D. Latella, La procura generale conferita a terzi dagli amministratori di società di capitali: condizioni e limiti di ammissibilità, in questa Giur. Comm., 2000, I, 124: “sembra potersi ritenere che il mantenimento della facoltà di revoca sia coessenziale al conferimento a terzi di una procura generale, proprio al fine di evitare che gli amministratori possano definitivamente rinunciare (o abdicare) alla funzione gestoria, sottraendosi, tra l'altro, al dovere di vigilare sull'operato del procuratore. [...] Naturalmente, infatti, gli amministratori risponderanno verso la società per la scelta del procuratore, per la opportunità di delegare il compimento di certi atti piuttosto che altri e, appunto, per l'omessa vigilanza sull'operato del soggetto delegato”.
[5] 
Per quanto concerne il riformato art. 2086, c.c., si veda P. Feliciani, F. Scio, I limiti del potere di delega di funzioni al terzo nella società per azioni, Giustizia Civile, 1 marzo 2023; A. Jorio, Note minime su assetti organizzativi, responsabilità e quantificazione del danno risarcibile, in Giur. comm., 2021, 812 ss.; S. Sanzo, A. Petrosillo (a cura di), Assetti adeguati e responsabilità: il nuovo diritto societario della crisi d'impresa, Milano, 2021, 106 ss.; A. Mirone, Assetti organizzativi, riparti di competenze e modelli di amministrazione: appunti alla luce del “decreto correttivo” al Codice della crisi e dell'insolvenza, in Giur. comm., 2022, II, 183 ss.
[6] 
P. Feliciani, F. Scio, I limiti del potere di delega di funzioni al terzo nella società per azioni, Giustizia Civile, 1 marzo 2023.
[7] 
P. Feliciani, F. Scio, I limiti del potere di delega di funzioni al terzo nella società per azioni, Giustizia Civile, 1 marzo 2023.

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