La composizione negoziata non è una procedura in sé riconducibile al regolamento (UE) 2015/848 sebbene essa, come a breve si puntualizzerà, sia «disciplinata dalle norme in materia di insolvenza». Essa, infatti, non risponde ai requisiti di cui all’art. 1, par. 1, lett. a) («un debitore è spossessato, in tutto o in parte, del proprio patrimonio ed è nominato un amministratore delle procedure di insolvenza»), e b) («i beni e gli affari di un debitore sono soggetti al controllo o alla sorveglianza di un giudice»). Non è stata inserita nell’allegato A, recentemente modificato a seguito di una iniziativa che la Commissione europea ha avviato in base alle notifiche pervenute da alcuni Stati membri, Italia inclusa, circa le nuove di tipologie di procedure di insolvenza introdotte nella legislazione nazionale [9]: la notifica italiana ha riguardato, ovviamente, le novità disposte dal Codice della crisi.
Invero, il fatto che la composizione negoziata non sia stata inserita nell’allegato A conta poco perché l’ultima revisione dell’allegato è stata avviata prima che essa si affacciasse nell’ordinamento italiano. D’altro canto, l’allegato è sempre suscettibile di revisione ogniqualvolta sia necessario inserirvi nuove procedure nazionali.
La composizione negoziata è peraltro priva di natura pubblica nel senso accolto dal regolamento, ossia quale requisito che, ad un tempo, consente ai creditori di venire a conoscenza della procedura, di insinuare i propri crediti in vista del carattere concorsuale della procedura, e di poter contestare la competenza del giudice che ha aperto la procedura (considerando n. 12). La pubblicità è contrapposta alla riservatezza, intesa come caratteristica di una procedura la cui apertura sarebbe ignota a un creditore o a un giudice «situati in un altro Stato membro», «rendendo quindi difficile preveder[n]e il riconoscimento […] attraverso l'Unione» (considerando n. 13). Si tratta di requisiti e finalità che difettano nella composizione negoziata a meno di non ritenere che la piattaforma digitale sulla quale annotare le fasi della composizione garantisca una forma di pubblicità.
La composizione negoziata difetta in sé del carattere giudiziale che, ove sussistente, porterebbe a chiedersi se, non potendosi applicare il regolamento (UE) 2015/848, la composizione possa produrre effetti all’estero almeno in base al regolamento (UE) n. 1215/2012[10].
Senonché, il regolamento (UE) n. 1215/2012 è inapplicabile ai sensi del suo art. 1, par. 2, lett. b) in relazione a fallimenti, procedure relative alla liquidazione di società o altre persone giuridiche che si trovino in stato di insolvenza, concordati e procedure affini.
Tenendo conto che la composizione negoziata mira alla soluzione di una probabile crisi d’impresa o a superare il rischio di insolvenza quando risulta «perseguibile il risanamento dell’impresa» si deduce agevolmente che la sua base è nel diritto della crisi d’impresa.
Certo, avendo detto che la composizione non rientra nel regolamento (UE) 2015/848, si potrebbe essere spinti dalla preoccupazione della Corte di giustizia di non lasciare vuoti tra i due regolamenti e di renderli reciprocamente complementari al fine di giustificare l’applicazione del regolamento (UE) n. 1215/2012. Va ricordato, però, che la giurisprudenza della Corte muove dalla insolvency exception del regolamento (UE) n. 1215/2012, avendo riguardo all’ambito di applicazione del regolamento, non anche alla nozione di insolvency o restructuring che si sta sviluppando nello spazio europeo anche grazie agli atti dell’Unione – da ultimo la direttiva (UE) 2019/1023 – e ai relativi provvedimenti nazionali di attuazione.
In altre parole, l’eccezione del regolamento (UE) n. 1215/2012 e l’impatto che essa ha nel raccordo con il regolamento (UE) 2015/848, risentono dell’evoluzione del diritto della crisi, non potendo essere fermi (neanche concettualmente) a limiti concepiti quando i due regolamenti sono stati adottati. Se così non fosse, l’insolvency exception sarebbe inspiegabilmente indifferente alla realtà evolutiva delle procedure e degli strumenti ideati, sempre nell’ambito del diritto della crisi di impresa, per fronteggiare situazioni di pre-insolvency e insolvency.
Inoltre, lo stesso regolamento (UE) 2015/848 rammenta che, «il semplice fatto che una procedura nazionale non sia elencata nell'allegato A […] non dovrebbe implicare che essa sia disciplinata dal regolamento (UE) n. 1215/2012» (considerando n. 7), implicitamente preconizzando che una procedura o un quadro di ristrutturazione, ricadenti nel diritto della crisi, ma non inseriti nell’allegato, né rispondenti ai generali requisiti di applicabilità di cui all’art. 1, par. 1, lett. a) e b), potrebbero non rientrare neanche nel regolamento (UE) 1215/2012 alla luce dei caratteri di strumenti per la crisi di impresa e per l’insolvenza che essi presentano.
Ci troviamo dinanzi a una situazione affine a quella degli schemes of arrangements (nella variante in grado di incidere sulla posizione dei creditori) rispetto ai quali è sempre stata incerta l’applicabilità o meno del regolamento (UE) n. 1215/2012 (tanto più a causa della riluttanza dei giudici inglesi a sollevare un’apposita questione pregiudiziale alla Corte di giustizia).
I problemi, tuttavia, vanno ridimensionati. A ben vedere, e prescindendo per ora dalle misure protettive, la composizione negoziata porrà un problema di effetti transfrontalieri perlopiù in relazione ai singoli atti che chiudono le trattative, rispetto a ciascuno dei quali il regime di riconoscimento è abbastanza prevedibile e lineare.
Le trattative possono, anzitutto, sfociare nella conclusione di un contratto, rispetto al quale non pare si intravedano grossi ostacoli – in caso di trattative con creditori o partner stranieri – all’applicazione di norme straniere, se ciò consente di confezionare una soluzione conveniente per le parti – nel senso di «assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni» – nei limiti in cui l’autonomia può operare ai sensi del d.l. 118/2021.
La via del contratto, a differenza del piano attestato, non beneficia dell’esenzione da revocatoria e da eventuale responsabilità penale e probabilmente è stata ideata per i casi interni più semplici al fine di evitare i costi del piano attestato, sia pur senza attestazione. Senonché, quella del contratto potrebbe rivelarsi la via più efficace per comporre situazioni complesse caratterizzate dall’intreccio di rapporti internazionali, rispetto ai quali il ricorso a schemi negoziali, compatibili con l’ordinamento straniero maggiormente vicino alle operazioni commerciali o finanziarie, potrebbe incontrare meglio di altre vie le esigenze di tutti i soggetti coinvolti nelle trattative.
Così le parti potrebbero scegliere il regolamento contrattuale più conveniente anche attingendo a norme straniere mediante recezione negoziale in conformità alle norme imperative italiane.
Inoltre, le parti potrebbero scegliere la legge applicabile al contratto: si pensi a una cessione di beni il cui negozio-base proposto, costituito dal trasferimento dei beni, è rimesso a una legge straniera in base a una optio iuris fondata sull’art. 3 del regolamento «Roma I». Ciò è teoricamente ammissibile perché il regolamento «Roma I» non prevede una clausola di eccezione in materia di insolvenza e, pertanto, esso potrebbe disciplinare i profili di legge applicabile a contratti conclusi nella cornice di un istituto, come la composizione negoziata, basato sul diritto della crisi di impresa.
Il contratto circolerà all’estero come atto negoziale non essendoci in questa fase alcun provvedimento giudiziale che ne racchiuda i contenuti (in altre parole, non c’è omologazione). I rimedi avverso l’inadempimento avranno dunque natura contrattuale.
Le trattative possono altresì sfociare in una convenzione di moratoria o in un accordo che produce gli effetti di un piano di risanamento ai sensi dell’art. 67, 3° co., lett. d), l. fall.: sotto il profilo circolatorio si tratta di esiti non dissimili da un accordo negoziale, difettando, al momento della relativa conclusione, di un provvedimento giudiziale.
All’esito delle trattative, l’imprenditore può innescare l’applicazione del regolamento (UE) 2015/848 quando domandi l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, il concordato semplificato di cui all’art. 18, d.l. 118/2021 (dando qui per implicito che esso rientri nel regolamento come sotto-categoria del concordato preventivo[11]), o una delle procedure disciplinate dalla legge fallimentare[12].
In tali ultime ipotesi, occorre accertare la giurisdizione italiana sulle domande dell’imprenditore e, in correlazione, accertare la presenza del suo COMI in Italia. Va da sé che la presunzione di coincidenza tra COMI e sede legale sancita dall’art. 3 del regolamento facilita le cose nel caso delle società e che spesso la sede legale dell’imprenditore individuale coincide con la sede principale di attività e, dunque, con il COMI delle persone fisiche «che esercitano un’attività imprenditoriale», ma non può escludersi una contestazione volta a superare simili presunzioni nel caso concreto per dimostrare che l’imprenditore, con sede legale in Italia, abbia in realtà il COMI all’estero. Come si è visto, il quadro sarà più lineare non appena la composizione negoziata trasmigrerà nel Codice della crisi, risultando verosimilmente suscettibile di accesso al solo imprenditore avente il COMI in Italia.