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La composizione negoziata nel diritto internazionale privato: riflessioni nella prospettiva, ma non solo, del regolamento (UE) 2015/848

Antonio Leandro, Associato di diritto internazionale nell’Università di Bari

15 Febbraio 2022

Lo scritto delinea i possibili elementi di internazionalità di una composizione negoziata e i correlati problemi di diritto internazionale privato, offrendo soluzioni generali e una specifica lettura del rapporto tra il d.l. 118/2021 e il regolamento (UE) 2015/848.
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1 . Premessa
Vari fattori inducono a ritenere che la composizione negoziata introdotta dal d.l. 24 agosto 2021 n. 118, convertito con l. 21 ottobre 2021 n. 147, sarà applicabile anche in situazioni implicanti elementi di internazionalità. 
Il presente scritto intende individuare tali fattori, evidenziando i nodi maggiormente problematici e proponendo alcune soluzioni di diritto internazionale privato.
L’internazionalità in parola verte sui profili soggettivi e oggettivi della composizione, nonché sulla circolazione degli effetti che la composizione o i relativi risultati possono produrre all’estero, avendo particolare riguardo allo spazio europeo e al rapporto tra il d.l. 118/2021 e il regolamento (UE) 2015/848 relativo alle procedure di insolvenza[1].
2a . Sede legale e imprenditore straniero
La composizione negoziata è suscettibile di attivazione attraverso la richiesta di nomina dell’esperto che l’imprenditore avanza presso la camera di commercio della sua sede legale. Può trattarsi, dunque, anche di un imprenditore dotato di sedi secondarie all’estero e parte di rapporti commerciali transfrontalieri, eventualmente per effetto di attività delocalizzata o plurilocalizzata in più Stati. 
Teoricamente, non è da escludere che l’imprenditore, avente sede legale in Italia, possieda il centro degli interessi principali (COMI) all’estero, da intendersi, ai sensi dell’art. 3, par. 1, del regolamento (UE) 2015/848 e dell’art. 2, lett. m) del d.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza), come il «luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi». D’altro canto, il d.l. 118/2021 è stato concepito sullo sfondo della legge fallimentare: supponendo che il gruppo di norme in esso contenute sia presto trasferito nel Codice della crisi, il riferimento alla sede legale dovrebbe verosimilmente essere rivolto al COMI, che, come è noto, è accolto dal Codice sia come criterio di giurisdizione che come criterio di competenza territoriale[2]. 
Ragionando de iure condito, non c’è dubbio che il fattore di connessione costituito dalla sede legale, che rispecchia i legami con il territorio espressi dall’iscrizione nel registro delle imprese, è indicativo della volontà del legislatore di favorire (se non addirittura riservare) la composizione negoziata ad imprenditori che operano attivamente in Italia.
Lo stesso fattore, tuttavia, è ancorato a una nozione di natura giuridica che può accogliere situazioni concrete nelle quali l’imprenditore gestisce i suoi affari principali all’estero o abbia all’estero la sede reale.
D’altro canto, la composizione negoziata costituisce uno strumento stragiudiziale di gestione della probabile crisi che pone l’ordinamento italiano in posizione (virtuosamente) concorrenziale rispetto ad altri ordinamenti già dotati di tecniche negoziali analoghe o affini, nel solco della policy espressa dalla direttiva (UE) 2019/1023 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza[3]. Può dirsi, infatti, che la composizione negoziata si presenta come un segmento volontario di un quadro di ristrutturazione riconducibile alla direttiva[4]. 
Pertanto, l’attrattività della composizione negoziata potrebbe essere percepita anche da imprenditori stranieri con sede legale in Italia (e, in prospettiva, con il COMI in Italia, eventualmente scisso dalla sede statutaria) soprattutto in un’economia di mercato caratterizzata da scambi internazionali di beni e servizi e dalla internazionalizzazione delle attività di impresa, dai toni ancora più marcati nel mercato interno europeo per effetto sia della circolazione di beni, servizi e capitali, sia della libertà di stabilimento.
2b . Sede legale e giurisdizione italiana
La sede legale (e, in prospettiva il COMI) opera essenzialmente come criterio di applicabilità del d.l. 118/2021, il quale, pertanto, integra, rispetto alla composizione, un gruppo di norme autolimitate predisposte per disciplinare una particolare forma di negoziazione destinata al risanamento dell’impresa.
Un problema di giurisdizione emerge principalmente in due occasioni. 
La prima riguarda l’emanazione dei provvedimenti autorizzativi ex art. 10, d.l. 118/2021 a salvaguardia degli obiettivi primari della composizione negoziata e a prescindere, almeno in prima battuta, dallo svolgimento di un processo in contraddittorio. A tal proposito, i giudici italiani intervengono perché i provvedimenti richiesti riguardano la – e servono alla – composizione negoziata, ossia una «situazione alla quale è applicabile la legge italiana», e perché gli atti che la legge italiana prevede al riguardo sul piano sostanziale (finanziamenti e trasferimenti d’azienda, per ora sorvolando sulla possibilità di applicare leggi straniere al negozio sottostante) non sarebbero realizzabili senza quei provvedimenti autorizzatori. In altre parole, i giudici operano in schemi riconducibili alla giurisdizione lato sensu volontaria ai sensi dell’art. 9 della l. 31 maggio 1995 n. 218. La competenza territoriale è invece stabilita dall’art. 9, l. fall., per espressa previsione dell’art. 10, d.l. 118/2021.
Il secondo momento in cui può emergere la questione di giurisdizione è l’emissione delle misure protettive e provvisorie nei termini che chiariremo in seguito.
2c . Il gruppo
L’art. 13 reca una disposizione speciale per le trattative riguardanti un gruppo di imprese[5]. La neutralità della disposizione rispetto alla natura soggettiva del gruppo induce a includervi anche gruppi multinazionali, nei quali le imprese aventi sede legale in Italia (uniche legittimate a domandare la nomina dell’esperto indipendente) sono coordinate con imprese aventi sede legale all’estero. La domanda di composizione può essere presentata presso la camera di commercio in cui è iscritta l’impresa italiana che esercita l’attività di direzione e coordinamento oppure che presenta la maggiore esposizione debitoria. Alle trattative potrebbero partecipare anche le società in bonis del gruppo, incluse società estere, eventualmente, come si vedrà, sottoposte a procedura di insolvenza all’estero.
In altre parole, il d.l. 118/2021 prevede che tutte le imprese italiane di un gruppo possano, al verificarsi delle predette condizioni, domandare la composizione negoziata, senza escludere che il gruppo sia composto anche da membri con sede legale all’estero. Peraltro, l’esperto potrebbe valutare eccessivamente gravoso la conduzione delle trattative in modo congiunto per tutte le imprese italiane anche alla luce del volume di affari internazionali che ciascuna di esse esprime o che ha espresso prima di accedere alla composizione negoziata.
La circostanza che l’impresa italiana richiedente la composizione sia la capo-gruppo non esclude che all’estero una procedura di insolvenza liquidatoria o di risanamento sia aperta nei confronti di un altro membro del gruppo, tanto più alla luce del principio Eurofood secondo il quale la presunzione di coincidenza tra COMI e sede statutaria (posta alla base della giurisdizione sulla domanda di apertura della procedura principale in base al regolamento (UE) 2015/848) non viene meno per il semplice «fatto che le scelte gestionali [di una società] siano o possano essere controllate da una società madre stabilita in un altro Stato membro» [6]. 
Tale principio riflette, anche nel regolamento, l’autonomia giuridica di ciascuna società. Si ricordi, però, che l’autonomia di ciascuna società non impedisce il coordinamento tra le diverse procedure eventualmente aperte nei loro confronti (articoli 56-77), purché tali procedure rientrino tutte nel regolamento: questa condizione potrebbe interessare anche la composizione nei termini che saranno chiariti a breve. 
In ogni caso, qualora il membro italiano di un gruppo avvii la composizione negoziata e una procedura di insolvenza sia aperta all’estero nei confronti di un altro membro, l’amministratore di tale procedura straniera potrebbe essere coinvolto nella composizione. Naturalmente ciò dipende dagli interessi che quell’amministratore rappresenterebbe nelle trattative (si pensi alla procedura aperta nei confronti dell’infragruppo-creditrice della società italiana).
2d . L’apertura delle trattative a soggetti stranieri
Le trattative sono aperte a creditori, banche, intermediari finanziari, cessionari di crediti e, in determinati casi, alle rappresentanze sindacali di lavoratori. Il d.l. 118/2021 non limita questa apertura a soggetti italiani, né a rapporti giuridici, confluiti nelle trattative, regolati esclusivamente dalla legge italiana.
2e . Un esperto anche straniero?
Una questione di rilevanza pratica è se i soggetti elegibili come «esperti» possano essere anche professionisti provenienti da – o stabiliti in – Stati esteri. L’estensione a soggetti iscritti presso albi professionali di Stati membri dell’Unione europea o a soggetti aventi sede in Stati membri che, «pur non iscritti […] documentano di aver svolto funzione di amministrazione, direzione e controllo di imprese interessate da operazioni di ristrutturazione […]» (art. 3, co. 3) sarebbe in linea con la libertà di prestazione di servizi del diritto dell’Unione europea e con il principio di non discriminazione, compatibilmente con la normativa generale e speciale che regola l’esercizio delle professioni in ambito unionale. 
Naturalmente, i soggetti stranieri sarebbero trattati in conformità al principio di equivalenza, dovendo pertanto rispettare, non meno dei colleghi italiani, i requisiti di «specifica formazione» fissati dalla sezione IV del decreto dirigenziale adottato dal Ministero della Giustizia il 28 settembre 2021, nonché i requisiti di imparzialità, indipendenza, professionalità e riservatezza generalmente affermati dall’art. 4, d.l. n. 118/2021. 
D’altro canto, anche a volere restringere la eleggibilità ai soli professionisti italiani, l’esperto alla fine nominato potrà farsi assistere da «consulenti», attingendo, senza dubbio, anche dall’estero se le circostanze del caso lo richiedono.
3a . Crediti e contratti internazionali
Le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario presupposte all’avvio della composizione negoziata potrebbero essere agganciate a esposizioni debitorie derivanti da rapporti internazionali. Di conseguenza, la composizione negoziata potrà occuparsi anche di crediti derivanti da contratti sottoposti a leggi straniere o a normativa materiale non statale. Si pensi a crediti sorti da contratti di distribuzione internazionale, o da vendite internazionali di merci o da rapporti di lavoro conclusi per lo svolgimento delle attività presso sedi secondarie situate all’estero, nonché a contratti bancari conclusi con istituti stranieri in relazione a conti situati all’estero. 
Il superamento dello squilibrio patrimoniale o economico-finanziario potrebbe pertanto dipendere, oltre che da interventi di natura aziendale, anche dalla rideterminazione liberamente negoziata di obblighi contrattuali non regolati dalla legge italiana, a meno che una rideterminazione giudiziale non discenda da norme italiane necessariamente applicabili anche a rapporti sottoposti a leggi straniere (è il caso dei contratti a esecuzione continuata, periodica o differita le cui prestazioni sono divenute eccessivamente onerose per effetto della pandemia da SARS-CoV-2: l’art. 10, co. 2, d.l. 118/2021 prevede l’intervento del tribunale, su domanda dell’imprenditore, qualora un accordo di rideterminazione non sia stato raggiunto). 
Ammesso, dunque, che la composizione possa riguardare contratti pendenti sottoposti a leggi straniere, è da chiedersi se il divieto di scioglimento del contratto innescato dall’accesso alla composizione negoziata abbia effetti all’estero, specie allorché il contratto de quo preveda clausole di scioglimento ipso facto correlate all’avvio di pre-insolvency proceedings e/o il creditore intenda sciogliere il contratto per via giudiziale dinanzi a giudici stranieri. Il divieto di scioglimento, generalmente agganciato alla richiesta di misure protettive e ai relativi limiti soggettivi (i creditori interessati) (art. 6, co. 5), opera automaticamente per il solo accesso alla composizione (e per l’accesso in sé) in caso di crediti bancari (art. 4, co. 6) e non riguarda i contratti di lavoro[7].
Il regime del riconoscimento transfrontaliero del divieto, quale effetto sostanziale previsto dalla legge italiana, oscilla, invero, a seconda dell’applicabilità o meno del regolamento (UE) 2015/848 alla composizione negoziata, la quale applicabilità dipende, a sua volta, come si vedrà, dalla circostanza che la composizione sia accompagnata da misure protettive. Si rinvia, pertanto, la questione degli effetti transfrontalieri del divieto di scioglimento dei contratti dopo aver trattato le conseguenze di tale circostanza.
3b . Elementi di internazionalità nella gestione dell’impresa in pendenza delle trattative
La gestione dell’impresa in pendenza delle trattative potrebbe a sua volta innescare l’applicazione di leggi straniere tanto più alla luce della pienezza di poteri gestionali che rimane in capo all’imprenditore. 
L’atto di straordinaria amministrazione di cui all’art. 9 va reso noto all’esperto affinché la gestione dell’impresa sia svolta in modo tale da evitare «pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività» e garantire coerenza rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento. 
Ora, nulla esclude che l’atto del debtor in possession sia sottoposto a una legge straniera. Si pensi, ad esempio, alla conclusione di un contratto che prevede la scelta di legge ai sensi dell’art. 3 del regolamento (CE) n. 593/2008 («Roma I»[8]) a favore di ordinamenti stranieri. 
Un simile scenario, in sé non problematico, potrebbe tuttavia innescare l’applicazione di leggi che, in un secondo momento, rischiano di incidere sulla gestione della insolvenza dell’imprenditore. Difatti, la scelta potrebbe «cadere» su leggi straniere che, ad esempio, contemplano una disciplina della revocatoria favorevole alla controparte rispetto alla diversa disciplina applicabile ai rapporti conclusi con gli altri creditori e, in generale, più favorevole rispetto alla legge italiana eventualmente applicabile come lex concursus, quando, cioè, l’esito delle trattative in composizione negoziata risultasse negativo profilandosi, dunque, l’avvio di una procedura concorsuale rimessa alla legge italiana. 
Tale successiva procedura di insolvenza italiana non potrebbe pregiudicare, infatti, i diritti maturati dalla controparte in base alla legge straniera se ricorrono le condizioni per applicare l’art. 16 del regolamento (UE) 2015/848. Si ricordi che questa disposizione «congela» la revocatoria disciplinata dalla lex concursus «quando chi ha beneficiato di un atto pregiudizievole per la massa dei creditori prova che: a) l'atto è soggetto alla legge di uno Stato membro diverso dallo Stato di apertura, e b) la legge di tale Stato membro non consente, nella fattispecie, di impugnare tale atto con alcun mezzo». E l’ipotesi tratteggiata poc’anzi potrebbe includere, appunto, un contratto concluso durante le trattative regolato dalla legge di uno Stato membro (vincolato al regolamento) diverso dall’Italia (rispondendo, così, al requisito sub a)) che presenta contenuti favorevoli rispetto alla lex concursus italiana (rispondendo, così, anche al requisito sub b)).
L’ingresso di leggi straniere nella fase gestionale non dovrebbe, tuttavia, ostacolare il fine ultimo della gestione dell’impresa, ossia la protezione dell’interesse generale dei creditori e, ancor prima, la «sostenibilità economico-finanziaria dell’attività» con prospettive di risanamento. 
Senonché, lo stesso d.l. 118/2021 prevede un regime sanzionatorio soft avverso gli atti di gestione dell’impresa che, agli occhi dell’esperto, si rivelino contrari a tale fine ultimo. La segnalazione all’imprenditore e all’organo di controllo eventualmente seguita dal dissenso iscritto nel registro delle imprese non paiono, tuttavia, ostacoli reali – per quel che qui rileva – all’ingresso di leggi straniere invise ai creditori o alla costruzione di operazioni commerciali in base a un quadro regolatorio insoddisfacente nella prospettiva generale delle trattative o del risanamento. In altre parole, il fine di tutela dei creditori, delle trattative e delle prospettive di risanamento non sostiene alcuna norma di applicazione necessaria. Né, alla luce del predetto regime sanzionatorio soft, si può immaginare che la contrarietà di una legge straniera al fine perseguito dalle trattative integri la contrarietà all’ordine pubblico internazionale italiano. 
La reazione dell’esperto e il vincolo al predetto fine hanno valore essenzialmente reputazionale considerato che l’imprenditore avrebbe scarsa possibilità di proseguire le trattative se i creditori non si fidassero più di lui: ciò vale anche per i creditori stranieri. D’altro canto, è verosimile che l’esperto, dopo aver annotato il dissenso, chieda l’archiviazione della composizione negoziata redigendo una relazione finale negativa che spezzerà il legame tra le successive proposte dell’imprenditore e le trattative, con perdita dei vantaggi fiscali e con il rischio concreto che il tribunale le respinga.
4 . L’efficacia extraterritoriale della composizione: a) inquadramento del problema in assenza di misure protettive
La composizione negoziata non è una procedura in sé riconducibile al regolamento (UE) 2015/848 sebbene essa, come a breve si puntualizzerà, sia «disciplinata dalle norme in materia di insolvenza». Essa, infatti, non risponde ai requisiti di cui all’art. 1, par. 1, lett. a) («un debitore è spossessato, in tutto o in parte, del proprio patrimonio ed è nominato un amministratore delle procedure di insolvenza»), e b) («i beni e gli affari di un debitore sono soggetti al controllo o alla sorveglianza di un giudice»). Non è stata inserita nell’allegato A, recentemente modificato a seguito di una iniziativa che la Commissione europea ha avviato in base alle notifiche pervenute da alcuni Stati membri, Italia inclusa, circa le nuove di tipologie di procedure di insolvenza introdotte nella legislazione nazionale [9]: la notifica italiana ha riguardato, ovviamente, le novità disposte dal Codice della crisi. 
Invero, il fatto che la composizione negoziata non sia stata inserita nell’allegato A conta poco perché l’ultima revisione dell’allegato è stata avviata prima che essa si affacciasse nell’ordinamento italiano. D’altro canto, l’allegato è sempre suscettibile di revisione ogniqualvolta sia necessario inserirvi nuove procedure nazionali.
La composizione negoziata è peraltro priva di natura pubblica nel senso accolto dal regolamento, ossia quale requisito che, ad un tempo, consente ai creditori di venire a conoscenza della procedura, di insinuare i propri crediti in vista del carattere concorsuale della procedura, e di poter contestare la competenza del giudice che ha aperto la procedura (considerando n. 12). La pubblicità è contrapposta alla riservatezza, intesa come caratteristica di una procedura la cui apertura sarebbe ignota a un creditore o a un giudice «situati in un altro Stato membro», «rendendo quindi difficile preveder[n]e il riconoscimento […] attraverso l'Unione» (considerando n. 13). Si tratta di requisiti e finalità che difettano nella composizione negoziata a meno di non ritenere che la piattaforma digitale sulla quale annotare le fasi della composizione garantisca una forma di pubblicità.
La composizione negoziata difetta in sé del carattere giudiziale che, ove sussistente, porterebbe a chiedersi se, non potendosi applicare il regolamento (UE) 2015/848, la composizione possa produrre effetti all’estero almeno in base al regolamento (UE) n. 1215/2012[10]. 
Senonché, il regolamento (UE) n. 1215/2012 è inapplicabile ai sensi del suo art. 1, par. 2, lett. b) in relazione a fallimenti, procedure relative alla liquidazione di società o altre persone giuridiche che si trovino in stato di insolvenza, concordati e procedure affini. 
Tenendo conto che la composizione negoziata mira alla soluzione di una probabile crisi d’impresa o a superare il rischio di insolvenza quando risulta «perseguibile il risanamento dell’impresa» si deduce agevolmente che la sua base è nel diritto della crisi d’impresa. 
Certo, avendo detto che la composizione non rientra nel regolamento (UE) 2015/848, si potrebbe essere spinti dalla preoccupazione della Corte di giustizia di non lasciare vuoti tra i due regolamenti e di renderli reciprocamente complementari al fine di giustificare l’applicazione del regolamento (UE) n. 1215/2012. Va ricordato, però, che la giurisprudenza della Corte muove dalla insolvency exception del regolamento (UE) n. 1215/2012, avendo riguardo all’ambito di applicazione del regolamento, non anche alla nozione di insolvency o restructuring che si sta sviluppando nello spazio europeo anche grazie agli atti dell’Unione – da ultimo la direttiva (UE) 2019/1023 – e ai relativi provvedimenti nazionali di attuazione. 
In altre parole, l’eccezione del regolamento (UE) n. 1215/2012 e l’impatto che essa ha nel raccordo con il regolamento (UE) 2015/848, risentono dell’evoluzione del diritto della crisi, non potendo essere fermi (neanche concettualmente) a limiti concepiti quando i due regolamenti sono stati adottati. Se così non fosse, l’insolvency exception sarebbe inspiegabilmente indifferente alla realtà evolutiva delle procedure e degli strumenti ideati, sempre nell’ambito del diritto della crisi di impresa, per fronteggiare situazioni di pre-insolvency e insolvency.
Inoltre, lo stesso regolamento (UE) 2015/848 rammenta che, «il semplice fatto che una procedura nazionale non sia elencata nell'allegato A […] non dovrebbe implicare che essa sia disciplinata dal regolamento (UE) n. 1215/2012» (considerando n. 7), implicitamente preconizzando che una procedura o un quadro di ristrutturazione, ricadenti nel diritto della crisi, ma non inseriti nell’allegato, né rispondenti ai generali requisiti di applicabilità di cui all’art. 1, par. 1, lett. a) e b), potrebbero non rientrare neanche nel regolamento (UE) 1215/2012 alla luce dei caratteri di strumenti per la crisi di impresa e per l’insolvenza che essi presentano.
Ci troviamo dinanzi a una situazione affine a quella degli schemes of arrangements (nella variante in grado di incidere sulla posizione dei creditori) rispetto ai quali è sempre stata incerta l’applicabilità o meno del regolamento (UE) n. 1215/2012 (tanto più a causa della riluttanza dei giudici inglesi a sollevare un’apposita questione pregiudiziale alla Corte di giustizia).
I problemi, tuttavia, vanno ridimensionati. A ben vedere, e prescindendo per ora dalle misure protettive, la composizione negoziata porrà un problema di effetti transfrontalieri perlopiù in relazione ai singoli atti che chiudono le trattative, rispetto a ciascuno dei quali il regime di riconoscimento è abbastanza prevedibile e lineare. 
Le trattative possono, anzitutto, sfociare nella conclusione di un contratto, rispetto al quale non pare si intravedano grossi ostacoli – in caso di trattative con creditori o partner stranieri – all’applicazione di norme straniere, se ciò consente di confezionare una soluzione conveniente per le parti – nel senso di «assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni» – nei limiti in cui l’autonomia può operare ai sensi del d.l. 118/2021.
La via del contratto, a differenza del piano attestato, non beneficia dell’esenzione da revocatoria e da eventuale responsabilità penale e probabilmente è stata ideata per i casi interni più semplici al fine di evitare i costi del piano attestato, sia pur senza attestazione. Senonché, quella del contratto potrebbe rivelarsi la via più efficace per comporre situazioni complesse caratterizzate dall’intreccio di rapporti internazionali, rispetto ai quali il ricorso a schemi negoziali, compatibili con l’ordinamento straniero maggiormente vicino alle operazioni commerciali o finanziarie, potrebbe incontrare meglio di altre vie le esigenze di tutti i soggetti coinvolti nelle trattative. 
Così le parti potrebbero scegliere il regolamento contrattuale più conveniente anche attingendo a norme straniere mediante recezione negoziale in conformità alle norme imperative italiane.
Inoltre, le parti potrebbero scegliere la legge applicabile al contratto: si pensi a una cessione di beni il cui negozio-base proposto, costituito dal trasferimento dei beni, è rimesso a una legge straniera in base a una optio iuris fondata sull’art. 3 del regolamento «Roma I». Ciò è teoricamente ammissibile perché il regolamento «Roma I» non prevede una clausola di eccezione in materia di insolvenza e, pertanto, esso potrebbe disciplinare i profili di legge applicabile a contratti conclusi nella cornice di un istituto, come la composizione negoziata, basato sul diritto della crisi di impresa.
Il contratto circolerà all’estero come atto negoziale non essendoci in questa fase alcun provvedimento giudiziale che ne racchiuda i contenuti (in altre parole, non c’è omologazione). I rimedi avverso l’inadempimento avranno dunque natura contrattuale.    
Le trattative possono altresì sfociare in una convenzione di moratoria o in un accordo che produce gli effetti di un piano di risanamento ai sensi dell’art. 67, 3° co., lett. d), l. fall.: sotto il profilo circolatorio si tratta di esiti non dissimili da un accordo negoziale, difettando, al momento della relativa conclusione, di un provvedimento giudiziale.
All’esito delle trattative, l’imprenditore può innescare l’applicazione del regolamento (UE) 2015/848 quando domandi l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, il concordato semplificato di cui all’art. 18, d.l. 118/2021 (dando qui per implicito che esso rientri nel regolamento come sotto-categoria del concordato preventivo[11]), o una delle procedure disciplinate dalla legge fallimentare[12]. 
In tali ultime ipotesi, occorre accertare la giurisdizione italiana sulle domande dell’imprenditore e, in correlazione, accertare la presenza del suo COMI in Italia. Va da sé che la presunzione di coincidenza tra COMI e sede legale sancita dall’art. 3 del regolamento facilita le cose nel caso delle società e che spesso la sede legale dell’imprenditore individuale coincide con la sede principale di attività e, dunque, con il COMI delle persone fisiche «che esercitano un’attività imprenditoriale», ma non può escludersi una contestazione volta a superare simili presunzioni nel caso concreto per dimostrare che l’imprenditore, con sede legale in Italia, abbia in realtà il COMI all’estero. Come si è visto, il quadro sarà più lineare non appena la composizione negoziata trasmigrerà nel Codice della crisi, risultando verosimilmente suscettibile di accesso al solo imprenditore avente il COMI in Italia.
5 . L’efficacia extraterritoriale della composizione: a) inquadramento del problema in presenza di misure protettive e conseguente applicabilità del regolamento (UE) 2015/848
Lo scenario muta, sotto certi aspetti semplificandosi, quando l’imprenditore domandi le misure di cui agli articoli 6 e 7 del d.l. 118/2021.
Preliminarmente si noti che le misure, ove inquadrate ai sensi dell’art. 6, par. 8 della direttiva (UE) 2019/1023 come misure di sospensione delle azioni esecutive individuali relative a una procedura (la composizione negoziata) che «non soddisfa le condizioni per la notifica in virtù dell'allegato A del regolamento (UE) 2015/848», innescherebbero l’applicazione di una regola anti-forum shopping
La disposizione afferma che «la durata complessiva della sospensione nell'ambito di tali procedure è limitata [da un massimo di dodici mesi] a un massimo di quattro mesi se il centro degli interessi principali del debitore è stato trasferito [d]a un altro Stato membro nei tre mesi precedenti alla presentazione di una richiesta di apertura della procedura di ristrutturazione preventiva»[13].
In altre parole, la sospensione (che non può superare i duecentoquaranta giorni ai sensi dell’art. 7, co. 5, d.l. 118/2021) è sensibilmente ridotta al cospetto di trasferimenti del COMI in Italia in danno ai creditori a prescindere dal fatto che la composizione negoziata sia stata avviata per effetto della mera presenza in Italia della sede legale. 
Ciò detto, le misure protettive o cautelari, inclusa l’inibizione o la sospensione delle azioni esecutive individuali da parte dei creditori nonché l’effetto sostanziale del divieto di scioglimento di contratti pendenti, potrebbero agganciarsi a procedure incluse nell’allegato A del regolamento, qualora l’esito delle trattative della composizione negoziata fosse negativo e l’imprenditore intendesse, come si è visto, domandare l’apertura di una tra tali procedure.
Vi è da chiedersi, dunque, se le misure previste dal d.l. 118/2021 possano operare ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. c) del regolamento (UE) 2015/848, rendendo quest’ultimo applicabile allorché «una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali è concessa da un giudice o per legge al fine di consentire le trattative tra il debitore e i suoi creditori, purché le procedure per le quali è concessa la sospensione prevedano misure idonee a tutelare la massa dei creditori e, qualora non sia stato raggiunto un accordo, siano preliminari a una delle procedure» di spossessamento, ristrutturazione, rimessione di beni e attività del debitore al controllo o alla sorveglianza di un giudice, indicate nell’allegato A.
La circostanza che il nesso tra sospensione delle azioni individuali e procedure coperte dal regolamento sia eventuale sembra ostacolare l’applicazione del regolamento. Lo stesso dicasi per il fatto che l’imprenditore domanda le misure a garanzie delle trattative avviate in sede di composizione negoziata, ma la sospensione può sorreggere trattative che confluiscono in modo positivo in un contratto o altri accordi. In altre parole, le misure potrebbero accompagnare un percorso che approda a un prodotto (l’esito delle trattative) estraneo al regolamento (UE) 2015/848. 
Senonché, l’art. 1, par. 1, lett. c) del regolamento parla di procedure preliminari a quelle che presentano le caratteristiche descritte nelle precedenti lettere a) e b) senza chiarire se la procedura preliminare debba essere necessariamente preliminare o possa esserlo anche solo eventualmente, rispetto a una procedura di insolvenza liquidatoria o di risanamento indicata nell’allegato A. Sul carattere pubblico delle misure, si ricordi che l’istanza va iscritta presso il registro delle imprese analogamente ai provvedimenti che seguono (articoli 6, co. 1, e 7).
Inoltre, è vero che la composizione negoziata è concettualmente separata dalle procedure ordinarie, la cui apertura dipende da un impulso proceduralmente distinto dall’esito della composizione, pur essendone la naturale conseguenza dinanzi alla crisi dell’imprenditore. Ma è anche vero che una procedura ordinaria potrebbe conseguire all’impulso volto a ottenere le misure. 
D’altronde, se l’ambito di applicazione del regolamento (UE) 2015/848 dovesse oscillare a seconda che la strumentalità tra le misure ex d.l. 118/2021 e le procedure di cui all’allegato A del regolamento medesimo sia reale (il regolamento si applica perché alla fine la composizione, sorretta da misure, sfocia in esiti negativi e una procedura concorsuale è aperta) o potenziale (il regolamento non si applica perché la composizione, sorretta dalle misure, può avere esiti positivi di natura stricto e lato sensu contrattuale), il principio di certezza del diritto e l’esigenza di un’applicazione uniforme e coerente del regolamento sarebbero fortemente pregiudicati. 
Le misure protettive, in specie la sospensione di azioni individuali, assumono, poi, un ruolo peculiare quando l’imprenditore rientra nelle ipotesi per le quali opera l’esenzione dalla revocatoria (art. 12, co. 2, d.l. 118/2021). Misure protettive ed esenzione dalla revocatoria perseguono, ovviamente, finalità diverse, sia pure in un quadro sistematico di supporto delle trattative e del risanamento. Senonché, non può negarsi che, in una situazione di compresenza di misure e ipotesi di esenzione dalla revocatoria, le misure paiono rientrare in uno schema complessivo di gestione della crisi che potrebbe confluire in una procedura sottoposta al regolamento. Il che avvalora l’idea che le misure costituiscano in sé una procedura di insolvenza ai fini dell’art. 1, par. 1, lett. c) del regolamento.
Infine, la domanda di conferma o modifica delle misure protettive o di «adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative» va presentata ex art. 7 al tribunale «lo stesso giorno della pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto». Ciò significa che la composizione negoziata sorretta dalle misure già si colloca in un contesto prospettico di gestione della crisi di natura processuale piuttosto che esclusivamente negoziale. Tale contesto è caratterizzato sia dalla presenza di un «debitore non spossessato» (ex art. 2 n. 3 del regolamento) sia dall’intervento del potere giudiziario a prescindere dal fatto che l’effetto originario delle «prime» misure decorra dall’istanza presentata dall’imprenditore: si ricordi, infatti, che la conferma, la modifica delle misure protettive o l’adozione di provvedimenti cautelari sono oggetto di un provvedimento giudiziale.
Per simili ipotesi, apprezzate in prospettiva cross-border, la domanda delle misure protettive, in specie la domanda ex art. 7, d.l. 118/2021, innesca un problema di giurisdizione che, a sua volta, può essere inquadrato bene soltanto definendo lo strumento normativo applicabile: il sistema di diritto comune o il regolamento (UE) 2015/848 (si dà per inteso che il regolamento (UE) n. 1215/2012 sia inapplicabile a causa dell’esclusione della materia dell’insolvenza ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. b)). 
E se, guardando all’entrata in vigore del Codice della crisi, la questione di giurisdizione perde di rilevanza perché essa sarà comunque risolta in base al criterio del COMI comune al regolamento (UE) 2015/848 e al Codice (presuntivamente coincidente con la – e, in prospettiva, sostitutivo della – sede legale dell’imprenditore che accede sia alla composizione sia alle misure protettive), il punctum dolens resta quello del riconoscimento e rispetto ad esso si apprezza maggiormente il vantaggio di applicare il regolamento. 
Il regolamento, infatti, attribuirebbe effetti universali alla protezione contro le azioni individuali perché la misura protettiva circolerebbe negli altri Stati membri vincolati al regolamento come decisione che apre una procedura di insolvenza nello Stato del COMI portando con sé gli effetti previsti dalla legge italiana (qua lex concursus)[14], incluso il divieto di scioglimento di contratti pendenti (sul quale torneremo a breve) e l’immunità dalla revocatoria prevista dall’art. 12. 
Vi è, infine, da non sottovalutare l’efficienza complessiva della composizione. Non è da escludere – sempre, s’intende, nella prospettiva internazionale dell’attività di impresa qui accolta – che il giudice di un altro Stato membro accerti nel proprio territorio il COMI dell’imprenditore avente sede legale in Italia a seguito di un superamento della presunzione di cui all’art. 3 del regolamento. Invero, l’apertura potrebbe avvenire anche nello Stato membro in cui detto imprenditore ha una dipendenza. 
In ogni caso, una procedura straniera potrebbe essere aperta dopo l’avvio della composizione negoziata e un conflitto potrebbe crearsi tra l’effetto delle misure protettive italiane e l’effetto dell’apertura di tale procedura. Un conflitto, questo, che potrebbe incidere molto sulla composizione negoziata e sul ruolo che le misure protettive esercitano per il buon esito della negoziazione soprattutto dinanzi agli effetti (extraterritoriali) di una procedura straniera di natura liquidatoria. La circolazione delle misure protettive ai sensi del regolamento (UE) 2015/848 scongiurerebbe simili scenari (si pensi, ad esempio, che il riconoscimento delle misure negli schemi del regolamento darebbe effetto extraterritoriale, oltre che allo stay delle azioni individuali, anche al divieto di pronunciare il fallimento o l’accertamento dello stato di insolvenza ai sensi dell’art. 6, co. 4, d.l. 118/2021).
6 . Effetti transfrontalieri del divieto di scioglimento dei contratti
Resta aperta la questione dell’effetto transfrontaliero del divieto di scioglimento dei contratti. Una volta inquadrati gli effetti transfrontalieri della composizione negoziata a seconda della presenza o meno delle misure protettive, risulta ora più agevole prendere posizione anche su tale questione.
In presenza di misure, sul presupposto che il regolamento (UE) 2015/848 sia applicabile, il divieto di scioglimento dei contratti assumerebbe senza dubbio i contorni di una determinazione sugli effetti della procedura sui contratti in corso di cui il debitore è parte che, ai sensi dell’art. 7, par. 2, lett. e), è rimessa alla legge italiana qua lex concursus. Va soltanto precisato che, allo stato attuale di assenza di norme di conflitto specificamente attagliate ai quadri di ristrutturazione preventiva, un confronto con ordinamenti stranieri potrebbe rendersi necessario nei casi in cui, per analoghe determinazioni, il regolamento rinvia ad altre leggi al fine di garantire le legittime aspettative di creditori e terzi nei rapporti internazionali (si pensi, ad esempio, ai contratti di affitto di immobili all’estero e alla disciplina di cui all’art. 11 del regolamento; fuoriuscendo dall’ambito del divieto di scioglimento, analoghe deroghe alla lex concursus si riscontrano per i contratti di lavoro ai sensi dell’art. 13). Potrebbe rivelarsi utile applicare il regolamento al solo riconoscimento delle misure protettive, onde evitare effetti distorsivi sugli strumenti predisposti dal d.l. 118/2021 per il buon esito delle trattative, ma un simile cherry-picking sarebbe privo di fondamento, già solo perché il nesso misure protettive-composizione negoziata, ove accettato nei termini qui proposti, determina l’applicabilità dell’intero regolamento (UE) 2015/848, inclusa, dunque, la disciplina concernente gli effetti dell’apertura sui contratti pendenti.
Passando al caso della composizione negoziata non sorretta dalle misure, e, dunque, a un caso nel quale il regolamento (UE) 2015/848 non sarebbe applicabile, nei limitati confini ratione materiae in cui quel divieto di scioglimento dei contratti è concepito, esso opererebbe, per le parti del contratto interessato che hanno accettato di entrare nelle trattative in composizione negoziata, come una regola imperativa di condotta e tenuta delle trattative che affianca quella di «partecipare in modo attivo e informato» (art. 4, co. 6) e di comportarsi «secondo buona fede e correttezza» (art. 4, co. 4). 
In altre parole, se il creditore straniero ha accettato simili regole di condotta aderendo alle trattative, non è ragionevole che esso successivamente invochi lo scioglimento del contratto per il fatto di accedere alla composizione negoziata. 
Beninteso, la competenza generale della lex contractus in tema di scioglimento del contratto non è in discussione (cfr. art. 12, regolamento «Roma I»), ma il divieto di cui al d.l. 118/2021 integrerebbe un’ipotesi di deroga liberamente accettata dal creditore come conseguenza dell’ingresso in un tavolo di trattative disciplinato dalla legge italiana attraverso norme, come si è detto, autolimitate in relazione a imprenditori con sede legale (e, in prospettiva, COMI) in Italia. 
In definitiva, nell’esercizio della stessa autonomia della volontà che presiede alla scelta di legge e alla costruzione del regolamento contrattuale, il creditore, mediante l’ingresso nella composizione negoziata, ha accettato che le norme italiane in parola sostituiscano, nella misura prevista dal d.l. 118/2021, quelle straniere genericamente applicabili allo scioglimento del contratto. D’altro canto, non deve sorprendere che una parte della lex contractus sia implicitamente sostituita dopo la conclusione del contratto tenendo conto dell’ampio ruolo attribuito alla volontà delle parti dall’art. 3 del regolamento «Roma I» e della circostanza che il creditore straniero, accettando di entrare in composizione negoziata, ha scelto di sottostare al corpo di regole che disciplinano la composizione negoziata proposte dall’imprenditore italiano. 
Risulta chiaro, pertanto, che un creditore straniero che abbia accettato di trattare in composizione negoziata e poi eccepisca lo scioglimento del contratto in base alla lex contractus, si vedrebbe opporre, quale preclusione, le risultanze della sua stessa volontà manifestata con l’accettazione delle regole di condotta delle trattative ai sensi del d.l. 118/2021. Questa ricostruzione presuppone, ovviamente, che la lex contractus sia straniera, che preveda ipotesi di scioglimento al verificarsi di fattispecie che possano accogliere l’accesso alla composizione negoziata o che il contratto preveda clausole di scioglimento ipso facto per tali fattispecie. La medesima ricostruzione vale anche allorché lo scioglimento sia invocato dinanzi a un giudice italiano, trattandosi, infatti, di regole che riguardano profili sostanziali del contratto, ben suscettibili di valutazione alla stregua di un concorso tra norme straniere e norme italiane dinanzi agli stessi giudici italiani. Dinanzi ai giudici appartenenti a Stati membri dell’Unione, il discorso non muta avendo in mente l’art. 3 del regolamento «Roma I». Dinanzi ai giudici di Stati terzi – sulla prospettiva dei quali ci soffermeremo in altra sede – molto dipenderà dal sistema nazionale di riconoscimento della composizione (a cominciare da quanto possa incidervi la presenza o meno delle misure protettive) e, in correlazione, dal fatto che lo Stato abbia aderito o meno alla Model Law on Cross-Border Insolvency adottata dall’UNCITRAL nel 1997[15]
7 . L’incidenza delle misure protettive sull’esecuzione di sentenze straniere e di sequestri europei di conti bancari
La previsione secondo cui dal giorno della pubblicazione dell’istanza di applicazione delle misure protettive unitamente all’accettazione dell’esperto i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sui beni dell’impresa incide anche sull’esecuzione di sentenze straniere, quand’anche avviata ai sensi del regolamento (UE) 1215/2012, nonché sull’esecuzione di un’ordinanza europea di sequestro conservativo di conti bancari (OESC) emessa ai sensi del regolamento (UE) n. 655/2014 [16]. 
Soffermandoci sull’OESC, data la relativa novità dell’istituto e l’evidente maggiore impatto che un sequestro ex parte di conti bancari può avere sullo svolgimento «proficuo» delle trattative in composizione negoziata[17], si ricordi che essa mira a semplificare e ad accelerare la tutela dei crediti pecuniari in materia civile e commerciale offrendo al creditore la possibilità di ottenere e far eseguire ex parte un provvedimento di natura squisitamente conservativa, consistente nel sequestro, fino all'ammontare del credito, dei conti bancari di cui sia titolare il debitore o un terzo per conto del debitore medesimo. Il creditore potrà avvalersi di tale strumento sia prima che dopo aver ottenuto l’accertamento del credito mediante decisione giudiziaria, transazione giudiziaria approvata o atto pubblico [18].
Come può il d.l. 118/2021 porre un freno all’OESC e, ancor prima, intervenire per regolare gli effetti della composizione sul sequestro del conto bancario? La domanda richiede una duplice visuale: 1) l’OESC emessa all’estero di cui si chiede o è in corso l’esecuzione in Italia; 2) l’OESC, ovunque emessa, di cui si chiede o è in corso l’esecuzione in un altro Stato membro. 
La risposta al predetto quesito pare semplice: presupponendo che la composizione negoziata sia una procedura di insolvenza e ricordando che l’art. 46, par. 2, del regolamento (UE) n. 655/2014 stabilisce che gli effetti dell’apertura di una procedura di insolvenza «su misure di esecuzione individuali, quale l’esecuzione di un’[OESC], sono disciplinati dal diritto dello Stato membro in cui la procedura di insolvenza è stata aperta», la legge italiana determinerebbe tali effetti, soprattutto quelli di inibizione/sospensione delle misure esecutive individuali. 
Il regolamento (UE) n. 655/2014 non propone una definizione di procedura di insolvenza e l’art. 46 (letto in combinato disposto con l’art. 48) vuole evitare cortocircuiti con il regolamento (UE) 2015/848. Ciò indurrebbe a delineare i contenuti della nozione alla luce dei caratteri che una procedura di insolvenza deve presentare per rientrare nel regolamento (UE) 2015/848.  Se ciò è vero, allora, alla luce delle conclusioni accolte in precedenza, l’art. 46, par. 2 si applicherebbe soltanto in caso di composizione negoziata sorretta dalle misure di cui agli articoli 6 e 7, d.l. 118/2021. 
Si è indotti, tuttavia, a ritenere che la nozione di «procedura di insolvenza» ai fini dell’art. 46 rispecchi quella di «procedure di fallimento, concordati o procedure affini» sulla quale poggia l’art. 2, par. 2, lett. c) per escludere dal regolamento (UE) n. 655/2014 i «crediti nei confronti di un debitore in relazione al quale siano state avviate procedure di fallimento, concordati o procedure affini»[19]. E si è indotti a ritenere che questa esclusione risenta delle dinamiche evolutive del diritto della crisi analogamente alla insolvency exception prevista dal regolamento (UE) n. 1215/2012 affinché il trattamento delle misure esecutive individuali (OESC compresa) sia quello voluto dal legislatore nazionale negli schemi e per le finalità dei quadri di ristrutturazione preventiva da esso concepiti.
Di conseguenza, l’art. 46, par. 2, del regolamento (UE) n. 655/2014 si applicherebbe a prescindere dalla richiesta/emanazione o meno delle misure protettive portando alla importante conclusione che la legge italiana disciplinerà in ogni caso gli effetti della composizione sull’OESC in qualunque Stato membro vincolato al regolamento, ossia ovunque l’OESC sia suscettibile di esecuzione. Ragionando diversamente, la questione sarebbe rimessa, ai sensi dell’art. 46, par. 1, del regolamento (UE) n. 655/2014 a ciascuna lex loci executionis che venga in rilievo quando, a fronte di una composizione negoziata aperta in Italia, l’imprenditore italiano avesse conti dislocati in più Stati membri tutti suscettibili di aggressione dal provvedimento di sequestro. Il risultato sarebbe variabile, nel senso della sospensione o meno, a seconda dell’ordinamento del luogo in cui l’OESC viene eseguita.
8 . Composizione negoziata e domande di apertura di una procedura di insolvenza all’estero: l’importanza delle misure protettive
L’imprenditore che presenta l’istanza di accesso alla composizione negoziata dovrà inserire nella piattaforma telematica anche «una dichiarazione sulla pendenza, nei suoi confronti, di ricorsi per la dichiarazione di fallimento o per l’accertamento dello stato di insolvenza» (art. 5, co. 3, lett. d, d.l. 118/2021). Qualora, poi, intendesse domandare le misure protettive ai sensi dell’art. 6, co. 1, l’imprenditore dovrà anche inserire nella piattaforma «una dichiarazione sull’esistenza di misure esecutive o cautelari disposte nei suoi confronti».
Simili indicazioni non paiono circoscritte a ricorsi presentati soltanto dinanzi a tribunali italiani o a misure pronunciate soltanto da tribunali italiani. Se così fosse, la funzione della piattaforma di garantire certezza, trasparenza e chiarezza del quadro in cui la composizione andrà a innestarsi sarebbe seriamente frustrata al cospetto di attività d’impresa con carattere di internazionalità. 
Ne viene che l’imprenditore dovrà indicare sia i ricorsi presentati in altri Stati (membri o no che siano dell’Unione europea), sia misure giudiziali di cui sia destinatario (comprese quelle a carattere squisitamente territoriale ai sensi, ad esempio, dell’art. 35 del regolamento (UE) n. 1215/2012 [20]) oppure l’eventuale esecuzione di un’OESC ai sensi del regolamento (UE) n. 655/2014.
Peraltro, l’ipotesi di una procedura di insolvenza aperta all’estero prima dell’avvio della composizione negoziata non sarebbe affatto peregrina qualora si ritenesse (ciò che noi neghiamo) che la composizione negoziata sorretta dalle misure protettive non rientri nel regolamento (UE) 2015/848 e non produca effetti transfrontalieri in base a questo. Lo scenario sarebbe, infatti, il seguente.
Una composizione negoziata sorretta da misure protettive avviata dall’imprenditore avente sede legale e COMI in Italia, ma con una dipendenza in un altro Stato membro dell’Unione, impedirebbe di dichiarare fallimento in Italia e, ancor prima, di procedere con l’accertamento dello stato di insolvenza. In altri termini, non sarebbe possibile, in base al diritto italiano, aprire una procedura principale ai sensi del regolamento. 
Si ricordi, però, che, sempre secondo il regolamento, una procedura di insolvenza a carattere territoriale potrebbe essere aperta nei confronti dell’imprenditore italiano ai sensi dell’art. 3, par. 4. La diposizione consente di aprire una procedura territoriale prima della (e, dunque, a prescindere dalla) apertura di una procedura principale d'insolvenza allorché: «in forza delle condizioni previste dalla legislazione dello Stato membro nel cui territorio si trova il [COMI] del debitore, non si possa aprire una procedura d'insolvenza» (enfasi aggiunta) oppure l’apertura della procedura territoriale sia chiesta da i) «un creditore il cui credito deriva o è legato all'esercizio di una dipendenza situata nel territorio dello Stato membro in cui è richiesta l'apertura della procedura territoriale», oppure da «un'autorità pubblica che, secondo il diritto dello Stato membro nel cui territorio si trova la dipendenza, ha il diritto di chiedere l'apertura della procedura d'insolvenza». 
Di conseguenza, ammesso che la composizione sorretta dalle misure protettive non rientri nel regolamento, essa comunque precluderebbe, giusta gli effetti disciplinati dal d.l. 118/2021, la possibilità di aprire una procedura principale, spalancando la strada all’apertura di una procedura territoriale ai sensi dell’art. 3, par. 4, lett. a) del regolamento. Inoltre, la procedura territoriale potrebbe essere aperta su istanza dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 3, par. 4, lett. b).  
Qualora, di contro, la composizione sorretta dalle misure protettive rientrasse nel regolamento (come noi riteniamo), nello Stato della dipendenza sarebbe soltanto possibile aprire una procedura secondaria, innescando le norme sul coordinamento con la – e subordinazione rispetto alla – procedura italiana stabilite dal regolamento.
Vi è di più. Ritornando all’idea, qui contestata, che la composizione sia estromessa dal regolamento anche in caso di emanazione di misure protettive, un giudice straniero potrebbe esaminare autonomamente la situazione dell’imprenditore italiano per aprire una procedura fondata sull’insolvenza, la quale invece è esclusa a monte della composizione negoziata. Siffatta ipotesi potrebbe ricorrere quando si domandi nello Stato della dipendenza l’apertura di una procedura che dipende dallo stato di insolvenza. 
Ancora, se la composizione non rientrasse nel regolamento anche quando sorretta dalle misure protettive, il giudice di un altro Stato membro potrebbe essere richiesto di aprire e poi aprire una procedura principale nei confronti dell’imprenditore italiano ritenendo che questi abbia il COMI nel proprio Stato. Come impedire un risvolto del genere, dai toni evidentemente problematici per il buon esito della composizione? Se si escludesse l’applicazione del regolamento (UE) 2015/848, la strada obbligata sarebbe quella di contestare l’esistenza del COMI in tale altro Stato membro, adducendo a sostegno della contestazione la sussistenza in Italia della sede legale dell’imprenditore – eventualmente oggetto di accertamento giudiziale ai fini dell’emanazione dei pertinenti provvedimenti ex d.l. 118/2021 – e argomentando in base alla presunzione di coincidenza tra sede e COMI ai sensi dell’art. 3 del regolamento (UE) 2015/848 (ovvero, in prospettiva, adducendo, con analoghe modalità, la sussistenza del COMI in Italia ai fini dell’accesso alla composizione negoziata trasmigrata nel Codice della crisi). 
Fatto sta che, una procedura dichiarata come principale dal giudice straniero deve essere riconosciuta in Italia automaticamente, imponendo a tutti i soggetti coinvolti nella composizione negoziata gli obblighi sanciti dal regolamento (UE) 2015/848, con buona pace per la serenità delle trattive in sede di composizione negoziata [21]. La situazione si complicherebbe, ovviamente, se altre procedure (di varia natura, incluse o meno nel regolamento, rispondenti o meno ai quadri preventivi della direttiva (UE) 2019/1023) fossero aperte in Stati membri.
È vero che gli obblighi imposti dal regolamento (UE) 2015/848 in materia di cooperazione e di coordinamento stricto sensu concernente gli amministratori delle procedure non sarebbero applicabili ai soggetti coinvolti nella composizione negoziata. Senonché, tutto il corpo di poteri che l’amministratore straniero può esercitare in base al combinato disposto degli articoli 19 e 21 del regolamento non troverebbe ostacoli, a cominciare da quelli di tracciamento e recupero degli assets. Di converso, l’amministratore straniero (e, per il suo tramite, i creditori insinuati nella procedura straniera ovvero il comitato dei creditori) rientrerebbe, quasi inevitabilmente, tra i soggetti suscettibili di coinvolgimento nelle trattative svolte in composizione negoziata.
9 . Conclusioni
Da quanto precede pare chiaro che argomenti di ordine sistematico (sviluppati ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. c) del regolamento (UE) 2015/848) e di ordine pratico (evitare il cortocircuito con procedure suscettibili di apertura all’estero) inducono a ritenere applicabile il regolamento (UE) 2015/848 alla composizione negoziata sorretta dalle misure protettive e di precisare questo in una futura, auspicabilmente ravvicinata, modifica dell’allegato A. 
Diversa è la situazione di una composizione negoziata priva di misure. 
Non deve, tuttavia, sorprendere che la composizione negoziata possa rientrare o meno nel regolamento (UE) 2015/848 a seconda dei caratteri che presenta (le misure di sostegno) o meno (assenza di misure) tenendo conto che i quadri di ristrutturazione della direttiva (UE) 2019/1023 possono, a loro volta, rientrarvi o meno a seconda di come essi sono concepiti dal legislatore nazionale o, addirittura, di come vengono concretamente attivati tra le varianti messe a disposizione dal legislatore medesimo [22].

Note:

[1] 
Regolamento (UE) 2015/848 del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza (rifusione), in G.U.U.E., L. 141 del 5 giugno 2015, p. 19 ss.
[2] 
Sul ruolo del COMI nel Codice della crisi sia consentito rinviare ai nostri scritti ll centro degli interessi principali del debitore tra regolamento (UE) 2015/848 e codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Rivista di diritto internazionale, 2020, p. 363 ss., e Reasoning on the ‘COMI’ at the Intersection of Regulation (EU) 2015/848 and the Italian Insolvency and Business Crisis Code, in corso di stampa nella raccolta degli atti del convegno Il diritto concorsuale italiano e gli obiettivi di coordinamento con la normativa eurounitaria organizzato da Associazione Concorsualisti e Università di Verona (Verona, 17 dicembre 2021).
[3] 
Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza), in G.U.U.E., L 172 del 26 giugno 2019, p. 18 ss.
[4] 
L. Panzani, La composizione negoziata della crisi: il ruolo del giudice, in Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa. Commento al D.L. n. 118 del 2021 conv. con L. n. 147 del 2021, numero speciale di questa Rivista, novembre 2021, a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi, in www.dirittodellacrisi.it, p. 100. Dell’autore v. più di recente La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency, in Ristrutturazioni Aziendali, 31 gennaio 2022, anche per gli opportuni e numerosi riferimenti bibliografici. In questa Rivista si veda altresì R. Guidotti, La composizione negoziata e la direttiva Insolvency: prime note, 2 febbraio 2022.
[5] 
Vedi amplius M. Arato, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, in questa Rivista, 23 novembre 2021; N. Abriani, G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, ivi, 23 dicembre 2021; L. Benedetti, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo: primi spunti di riflessione, ivi, 25 gennaio 2022.
[6] 
Corte di giustizia, 2 maggio 2006, causa C-341/04, Eurofood IFSC Ltd, ECLI:EU:C:2006:281, par. 36 s.
[7] 
Sulla portata del divieto v. in generale P.G. Cecchini, I contratti asimmetrici nella composizione negoziata, in questa Rivista, 25 novembre 2021.
[8] 
Regolamento (CE) n. 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, in G.U.U.E., L 177 del 4 luglio 2008, 6 ss.
[9] 
Vedi regolamento (UE) 2021/2260 del 15 dicembre 2021, in G.U.U.E., L 455 del 20 dicembre 2021, p. 4 ss., da cui la versione consolidata del regolamento (UE) 2015/848 del 9 gennaio 2022, reperibile sul portale EUR-Lex alla pagina https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A02015R0848-20220109
[10] 
Regolamento (UE) n. 1215/2012 del 12 dicembre 2012 concernente la competenza giurisdizionale, il ri-conoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione), in G.U.U.E., L 351 del 20 dicembre 2012, 1 ss.
[11] 
La vis attractiva esercitata dal concordato preventivo – incluso nell’allegato A – è giustificata, oltre che dai caratteri del concordato semplificato, anche dall’art. 24, par. 2, lett. c) del regolamento che preconizza l’apertura di «pertinenti sottotipi» delle procedure espressamente elencate nell’allegato. Il concordato semplificato riceverebbe, in altri termini, un trattamento simile al concordato in bianco e al concordato in continuità aziendale, entrambi suscettibili di rientrare nel regolamento. Vedi, rispettivamente, Trib. Mantova, 3 giugno 2021, in www.ilcaso.it, e Corte di giustizia, 6 luglio 2017, causa C-245/16, Nerea, ECLI:EU:C:2017:521, par. 6.
[12] 
In argomento v. M. Montanari, I rapporti della composizione negoziata della crisi con i procedimenti concorsuali, in questa Rivista, 24 novembre 2021.
[13] 
Nella versione italiana della direttiva si parla di trasferimento «a un altro Stato membro», ma essa è frutto di un refuso, peraltro privo di senso, anche in rapporto alle altre versioni linguistiche.
[14] 
Aderendo alla tesi di Trib. Roma, ordinanza 3 febbraio 2022, in www.ilcaso.it, l’estensione soggettiva extraterritoriale sarebbe limitata ai «creditori indicati dal debitore istante e concretamente limitati dalle misure richieste». Per quel che qui rileva, tale estensione riguarderebbe le azioni esecutive e misure cautelari da chiunque già promosse all’estero ovvero i creditori (soprattutto stranieri) che potrebbero avviare le stesse iniziative in Italia o all’estero.
[15] 
Cfr. ris. 52/58 dell’Assemblea Generale ONU del 15 dicembre 1997.
[16] 
Regolamento (UE) n. 655/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce una procedura per l’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari al fine di facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale, in G.U.U.E., L 189 del 27 giugno 2014, p. 59 ss
[17] 
Alla sospensione dell’esecuzione di un’OESC in Italia a seguito di misure protettive ex d.l. 118/2021 paiono trasponibili le argomentazioni svolte da Trib. Milano, 26 gennaio 2022, in www.ilcaso.it, a proposito del pignoramento di un conto bancario tenendo conto che l’esecuzione dell’OESC ha luogo a norma dell’art. 678 c.p.c. (cfr. d.lgs. 26 ottobre 2020 n. 152).
[18] 
Per approfondimenti v. i contributi raccolti in P. Franzina, A. Leandro (a cura di), Il sequestro europeo di conti bancari. Regolamento (UE) n. 655/2014 del 15 maggio 2014, Milano, 2015.
[19] 
Vedi pure il considerando 8.
[20] 
La disposizione prevede che i «provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti all’autorità giurisdizionale di detto Stato membro anche se la competenza a conoscere del merito è riconosciuta all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro».
[21] 
Vedi di recente R. van Galen, An Introduction to European Insolvency Law, Wolters Kluwer, 2021, par. 228, in generale a proposito del riconoscimento di una procedura in base al regolamento (UE) 2015/848 all’interno di Stati membri nei quali è stata aperta una procedura di ristrutturazione riconducibile alla direttiva (UE) 2019/1023 ma non al regolamento. 
[22] 
Considerando 13 della direttiva (UE) 2019/1023. Su vantaggi e svantaggi nell’applicazione del regolamento ai  quadri di ristrutturazione preventiva previsti dalla direttiva sarà presto pubblicato un report della Conference on European Restructuring and Insolvency Law (CERIL), Working Party 11 on Matters regarding the European Insolvency Regulation 2015, redatto da Stephan Madaus e Bob Wessels, con i contributi di alcuni studiosi di varia provenienza tra gli Stati membri dell’Unione: Petr Sprinz (Cechia), Jessica Schmidt, Reinhard Bork (Germania), Elina Moustaira, Stathis Potamitis, Alexandros Rokas (Grecia), Stefania Bariatti, Giorgio Corno, Rita Gismondi, Antonio Leandro, Luciano Panzani, Patrizia Riva, Caterina Macchi, Renato Mangano, Lorenzo Stanghellini (Italia), Frank Heemann (Lituania), Michael Veder, Reinout Vriesendorp (Paesi Bassi), Michal Barlowski (Polonia), Catarina Serra (Portogallo), Djuro Djuric (Serbia), Ivan Ikrényi (Slovacchia), Adrián Thery, Iván Heredia, Francisco Garcimartín (Spagna), Zoltán Fabók (Ungheria). I reports del CERIL sono consultabili alla pagina web www.ceril.eu/statements-and-reports.

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