[1]Come correttamente osservato dalla dottrina[2], la previsione di una disciplina ad hoc della crisi del gruppo di imprese (di diritto comune) è stata introdotta per la prima volta con il D.L. n. 118/2021, all’articolo 13, rubricato “Conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese“, nell’ambito della procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa.
Tale disciplina è stata trasferita nell’articolo 25 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in termini pressoché identici, con esclusione di:
(i) il primo comma del d.l. n. 118/2021, che conteneva la definizione di “gruppo di imprese “rilevante ai fini di tale regolamentazione, ora abrogato perché tale definizione è stata trasferita (senza modificazioni) in quella dettata all’articolo 2, comma 1, lettera h) CCII;
(ii) il comma 6 del d.l. n. 118/2021, rispetto al quale il comma 5 dell’art 25 CCII contiene una mera variante lessicale;
(iii) il comma 10 del D.L. n. 118/2021, rispetto al quale il comma 9 dell’art 25 CCII precisa che al termine delle trattative le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all’ articolo 23, comma 1, ma anche una delle “convenzioni e/o accordi “; e che a ciò si può provvedere separatamente “o in via unitaria“.
Tra le previsioni più interessanti di questa nuova disciplina del “gruppo di imprese” deve essere segnalata quella che interviene sulla materia della “postergazione legale“[3] dei crediti derivanti da finanziamenti infragruppo, allorché erogati in una condizione di squilibrio finanziario della società finanziata.
Il citato art. 25 CCII al comma 8 esclude dalla postergazione i (crediti derivanti dai) finanziamenti “eseguiti” in favore di società controllate oppure sottoposte a comune controllo, alla condizione che l’imprenditore abbia osservato il procedimento di “condivisione” degli atti di straordinaria amministrazione, previsto dall’art. 21, comma 2, CCII, ed a condizione che l’esperto non abbia manifestato il proprio dissenso aggiungendovi la sua pubblicizzazione mediante iscrizione nel Registro delle Imprese [4].
Anche in tale circostanza l’atto posto in essere dall’imprenditore è di per sé pienamente valido ed opponibile, anche se non rispettoso delle disposizioni sopra rappresentate. In tal caso, tuttavia, non può aspirare a conseguire l’“effetto speciale” rappresentato dalla legittimazione a concorrere con tutti gli altri creditori, senza essere pregiudicato dalla condizione di postergazione assegnatagli dagli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.
La conclusione è analoga a quella che concerne la conseguibilità dell’“effetto speciale” rappresentato dalla “esenzione” dall’azione revocatoria, con riguardo ai pagamenti in ipotesi posti in essere per il rimborso del finanziamento infragruppo: la mancata osservanza dell’identico procedimento di “condivisione” non rende il rimborso illegittimo ovvero inefficace, bensì impedisce all’accipiens di sottrarsi all’applicazione dell’azione revocatoria fallimentare, ove se ne creino i presupposti [5].
Dal combinato disposto degli artt. 25, comma 9, e 21, commi 2-4, CCII, si può ricavare – pertanto – che attraverso il conseguimento del consenso dell’esperto (ovvero della rinuncia dello stesso a pubblicizzare l’eventuale dissenso con la iscrizione dello stesso nel Registro delle Imprese) è possibile ottenere per i “finanziamenti infragruppo” erogati nel contesto della procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa: (i) la legittimazione a concorrere con gli altri creditori, in caso di mancato rimborso del finanziamento, nel momento dell’apertura di una procedura concorsuale; e (ii) la esenzione dalla revocatoria fallimentare di cui all’art. 166, comma 2, CCII, nell’ipotesi di successiva apertura di una procedura concorsuale nella quale sia proponibile l’azione prevista dalle norma richiamata (cfr. art. 24, comma 2, CCII).
La conclusione alla quale si è da ultimo pervenuti (sottrazione dei “finanziamenti infragruppo“ alla disciplina dell’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 166, comma 2, CCII), poteva essere formulata anche sotto il vigore della legge fallimentare, per ciò che concerne gli atti diversi dai pagamenti, intesi come il rimborso dei finanziamenti erogati alla società finanziata (per esempio, le garanzie che fossero state acquisite a tutela del finanziamento alla stessa erogato).
Per ciò che concerne invece i pagamenti rappresentati da rimborso di finanziamenti erogati (nell’ambito bensì di una politica “di gruppo“ ma precisamente) da soci della società finanziata – cc.dd. “finanziamenti-soci” -, la conclusione avrebbe essere dubbia, a causa della concorrenza della disciplina allora dettata dall’art. 2467, comma 1, e dall’art. 2497 quinquies c.c. Tali norme, infatti, esponevano il socio finanziatore ad una azione di “ripetizione” - proponibile per l’appunto ai sensi dell’art. 2467, comma 1, c.c., al quale anche l’art. 2497 quinquies si richiamava -, nell’ipotesi di sopravvenuto fallimento da parte della società finanziata nell’anno successivo.
A tale proposito il dubbio che le norme del Codice Civile richiamate facessero riferimento ad un fenomeno “revocatorio” di uguale natura rispetto a quello disciplinato dalla legge fallimentare (in allora gli artt. 64 ss. L. fall.) non sembrava bastare a giustificare la “esenzione” del rimborso anche dall’obbligo di ripetizione in esame, in quanto riferita la “esenzione” in commento - quella dell’art. 12, comma 2, D.L. n. 118/2021 –
(i) non alludeva ad una esenzione da obblighi restitutori in via generale, ma la riferiva alla esenzione da azione revocatoria fallimentare; e
(ii) in ogni caso, anche a volere attribuire all’obbligo restitutorio disposto dalle norme del codice
civile natura di azione revocatoria, la disposizione “esentativa“ non faceva riferimento ad una disciplina individuata in termini generali (come sarebbe stato se l’esenzione avesse riguardato “l’azione revocatoria”), bensì ad azioni disciplinate da disposizioni precisate (quelle contenute nell’ art. 67 L. fall.), oggettivamente insuscettibili di poter essere fatte coincidere con quelle contenute negli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., che, come detto, disponevano l’obbligo restitutorio a carico del socio che avesse ottenuto il rimborso del finanziamento erogato alla propria società.
Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza le cose sono cambiate nel senso di assumere una maggiore trasparenza: ma non nel senso di salvaguardare il socio dal pericolo di subire l’aggressione revocatoria del rimborso del finanziamento-soci ottenuto nell’anno anteriore al deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale.
L’art. 383 ha abrogato la parte dell’art. 2467, comma 1, c.c, rappresentata dalle parole “e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito“. In tal modo è stato abrogato l’obbligo “restitutorio“ originariamente disposto a carico del soci-finanziatore: e la fattispecie è stata disciplinata nell’ambito della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare parentesi precisamente, all’articolo 164, comma 2, CCII.
Lo stesso è avvenuto con riguardo alla disciplina del rimborso dei finanziamenti effettuati a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento
nei suoi confronti, o da altri soggetti ad essa sottoposti, giacché l’originario art. 2497 quinquies c.c. rinviava ad un articolo 2467, che - come detto - è stato abrogato. Ora tale fattispecie è disciplinata anch’essa nell’ambito della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare parentesi precisamente, all’articolo 164, comma 3, CCII.
Il risultato che ne è conseguito è così riassumibile:
1) all’azione avente ad oggetto l’obbligo “restitutorio” del pagamento ottenuto a seguito dell’erogazione di un “ finanziamento-socio “ (ovvero della erogazione di un finanziamento alla società nei confronti della quale si esercita attività di direzione e coordinamento) è riconosciuta la natura giuridica di azione revocatoria (fallimentare):
2) conseguentemente, in tutte le fattispecie nelle quali venga disposta una “esenzione” dall’applicazione dell’azione revocatoria (fallimentare), risulterà inibita anche l’azione “restitutoria“ del pagamento effettuato a titolo di rimborso di finanziamento-soci (o di finanziamento ricevuto dalla società che esercita attività di direzione e coordinamento);
3) in forza di ciò, non saranno soggetti a revocatoria i pagamenti ottenuti, a titolo di rimborso dei finanziamenti erogati alla società assoggettata a liquidazione giudiziale da parte del socio o di chi esercitava l’attività di direzione e coordinamento, allorché i finanziamenti in questione siano stati posti in essere “ in esecuzione del piano attestato di cui all’ articolo 56 o di cui all’articolo 284 e in esso indicati” (art. 166, comma 3, lett. d), CCII); ovvero “in esecuzione del concordato preventivo, del piano di ristrutturazione di cui all’articolo 64 bis omologato e dell’accordo di ristrutturazione omologato e in essi indicati” (art. 166, comma 3, lett. e), CCII);
4) saranno tuttavia soggetti all’azione revocatoria fallimentare i pagamenti effettuati dalla società assoggettata a liquidazione giudiziale a titolo di rimborso dei finanziamenti-soci, ovvero dei finanziamenti ottenuti da chi esercitava l’attività di direzione e coordinamento, allorché tali pagamenti nell’ambito della procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa. La disciplina di questo “strumento”, infatti, dispone - alle condizioni che sono state precisate - la “esenzione“ degli atti e dei pagamenti dall’azione revocatoria “di cui all’articolo 166 comma 2” (cfr. art. 24, comma 2, CCII): ma l’azione revocatoria dei pagamenti effettuati a titolo di rimborso dei finanziamenti erogati da parte del socio o di chi esercitava l’attività di direzione e coordinamento della società assoggettata a liquidazione giudiziale è disciplinata (come detto) dall’art. 164, comma 2 e comma 3: disposizioni dalle quali i pagamenti dei cc.dd. ”finanziamenti-soci” non sono “esentati.
La disciplina qui considerata deve poi essere integrata con quella ricavabile dalla previsione di cui all’articolo 22, comma 1, lett. c) CCII , laddove si prevede che “ su richiesta dell’imprenditore il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione del creditore, può:…… c) autorizzare una o più società appartenente ad un gruppo di imprese di cui all’ articolo 25 a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’articolo 6”[6] .: dal chè si ricava che i finanziamenti infragruppo possono assumere, nell’ambito di una procedura di Composizione negoziata, il triplice ruolo di finanziamenti (produttivi di crediti) postergati; di finanziamenti (produttivi di crediti) non-postergati (perché conformi a quanto previsto dall’art 25, comma 8, CCII ); o infine di finanziamenti (produttivi di crediti) prededucibili (perché autorizzati dal tribunale ai sensi dell’articolo 22). [7]
Il confronto tra la disciplina dei finanziamenti infragruppo sottratti alla postergazione dei relativi crediti (art. 25, comma 8, CCII); e la disciplina dei finanziamenti infragruppo i cui crediti sono collocabili in prededuzione (art. 22, comma 1, lett. c) CCII); impone di evidenziare che la prima disciplina si applica soltanto ai finanziamenti down stream dalla holding alle eterodirette, ovvero cross stream tra società “ sorelle “, dal momento che i finanziamenti cc.dd. “ascendenti“ non sono menzionati [8]; mentre per ciò che concerne la collocabilità in prededuzione dei crediti derivanti da finanziamenti infragruppo autorizzati dal tribunale non pare sussistano limitazioni di tal genere, forse perché in ogni caso l’effetto in questione è soggetto alla valutazione giudiziale, presupposto dell’autorizzazione tribunalizia.