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Il sostegno finanziario infragruppo nella procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa

Sido Bonfatti, Professore di Diritto Fallimentare nell’Università di Modena e Reggio Emilia, già Ordinario di Diritto Commerciale nel medesimo Ateneo

6 Novembre 2023

L’A. esamina e commenta la disciplina della procedura di Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa nell’ipotesi nella quale le difficoltà investano più imprese facenti parte di un unico gruppo societario; ovvero nell’ipotesi nella quale il superamento della crisi di una impresa in difficoltà possa essere favorito dalla collaborazione di una impresa dello stesso gruppo societario, per quanto versante in condizioni normali. Sono pertanto esaminate e commentate sia le disposizioni che favoriscono una gestione unitaria della crisi “di gruppo”; sia quelle che agevolano ed incentivano la reciproca assistenza finanziaria, sottraendo i crediti derivanti da “finanziamenti infragruppo” alla disciplina comune che ne vorrebbe una collocazione postergata alle altre passività. In tale prospettiva l’A. sottolinea l’opportunità derivante da tale soluzione, rappresentata dalla legittimazione della società finanziatrice ad acquisire garanzie opponibili agli altri creditori della società finanziata; nonché la possibilità che la collocazione del credito da “finanziamento infragruppo”, grazie alla autorizzazione giudiziale conseguibile nell’ambito della procedura di CNC, possa progredire da postergato (come disporrebbe il diritto comune); a concorrente (come consente la disciplina in commento, in modo pressoché automatico); infine, a prededucibile (come reso possibile dalla legittimazione dell’autorità giudiziaria ad autorizzarne la erogazione, in funzione del buon esito delle trattative con i creditori, con la conseguenza di produrre tale effetto).
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1 . I finanziamenti infragruppo e l’esclusione della postergazione, il ruolo dell’esperto
[1]Come correttamente osservato dalla dottrina[2], la previsione di una disciplina ad hoc della crisi del gruppo di imprese (di diritto comune) è stata introdotta per la prima volta con il D.L. n. 118/2021, all’articolo 13, rubricato “Conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese“, nell’ambito della procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa.
Tale disciplina è stata trasferita nell’articolo 25 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in termini pressoché identici, con esclusione di:
(i) il primo comma del d.l. n. 118/2021, che conteneva la definizione di “gruppo di imprese “rilevante ai fini di tale regolamentazione, ora abrogato perché tale definizione è stata trasferita (senza modificazioni) in quella dettata all’articolo 2, comma 1, lettera h) CCII;
(ii) il comma 6 del d.l. n. 118/2021, rispetto al quale il comma 5 dell’art 25 CCII contiene una mera variante lessicale;
(iii) il comma 10 del D.L. n. 118/2021, rispetto al quale il comma 9 dell’art 25 CCII precisa che al termine delle trattative le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all’ articolo 23, comma 1, ma anche una delle “convenzioni e/o accordi “; e che a ciò si può provvedere separatamente “o in via unitaria“.
Tra le previsioni più interessanti di questa nuova disciplina del “gruppo di imprese” deve essere segnalata quella che interviene sulla materia della “postergazione legale“[3] dei crediti derivanti da finanziamenti infragruppo, allorché erogati in una condizione di squilibrio finanziario della società finanziata.
Il citato art. 25 CCII al comma 8 esclude dalla postergazione i (crediti derivanti dai) finanziamenti “eseguiti” in favore di società controllate oppure sottoposte a comune controllo, alla condizione che l’imprenditore abbia osservato il procedimento di “condivisione” degli atti di straordinaria amministrazione, previsto dall’art. 21, comma 2, CCII, ed a condizione che l’esperto non abbia manifestato il proprio dissenso aggiungendovi la sua pubblicizzazione mediante iscrizione nel Registro delle Imprese [4].
Anche in tale circostanza l’atto posto in essere dall’imprenditore è di per sé pienamente valido ed opponibile, anche se non rispettoso delle disposizioni sopra rappresentate. In tal caso, tuttavia, non può aspirare a conseguire l’“effetto speciale” rappresentato dalla legittimazione a concorrere con tutti gli altri creditori, senza essere pregiudicato dalla condizione di postergazione assegnatagli dagli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.
La conclusione è analoga a quella che concerne la conseguibilità dell’“effetto speciale” rappresentato dalla “esenzione” dall’azione revocatoria, con riguardo ai pagamenti in ipotesi posti in essere per il rimborso del finanziamento infragruppo: la mancata osservanza dell’identico procedimento di “condivisione” non rende il rimborso illegittimo ovvero inefficace, bensì impedisce all’accipiens di sottrarsi all’applicazione dell’azione revocatoria fallimentare, ove se ne creino i presupposti [5].
Dal combinato disposto degli artt. 25, comma 9, e 21, commi 2-4, CCII, si può ricavare – pertanto – che attraverso il conseguimento del consenso dell’esperto (ovvero della rinuncia dello stesso a pubblicizzare l’eventuale dissenso con la iscrizione dello stesso nel Registro delle Imprese) è possibile ottenere per i “finanziamenti infragruppo” erogati nel contesto della procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa: (i) la legittimazione a concorrere con gli altri creditori, in caso di mancato rimborso del finanziamento, nel momento dell’apertura di una procedura concorsuale; e (ii) la esenzione dalla revocatoria fallimentare di cui all’art. 166, comma 2, CCII, nell’ipotesi di successiva apertura di una procedura concorsuale nella quale sia proponibile l’azione prevista dalle norma richiamata (cfr. art. 24, comma 2, CCII).
La conclusione alla quale si è da ultimo pervenuti (sottrazione dei “finanziamenti infragruppo“ alla disciplina dell’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 166, comma 2, CCII), poteva essere formulata anche sotto il vigore della legge fallimentare, per ciò che concerne gli atti diversi dai pagamenti, intesi come il rimborso dei finanziamenti erogati alla società finanziata (per esempio, le garanzie che fossero state acquisite a tutela del finanziamento alla stessa erogato).
Per ciò che concerne invece i pagamenti rappresentati da rimborso di finanziamenti erogati (nell’ambito bensì di una politica “di gruppo“ ma precisamente) da soci della società finanziata – cc.dd. “finanziamenti-soci” -, la conclusione avrebbe essere dubbia, a causa della concorrenza della disciplina allora dettata dall’art. 2467, comma 1, e dall’art. 2497 quinquies c.c. Tali norme, infatti, esponevano il socio finanziatore ad una azione di “ripetizione” - proponibile per l’appunto ai sensi dell’art. 2467, comma 1, c.c., al quale anche l’art. 2497 quinquies si richiamava -, nell’ipotesi di sopravvenuto fallimento da parte della società finanziata nell’anno successivo.
A tale proposito il dubbio che le norme del Codice Civile richiamate facessero riferimento ad un fenomeno “revocatorio” di uguale natura rispetto a quello disciplinato dalla legge fallimentare (in allora gli artt. 64 ss. L. fall.) non sembrava bastare a giustificare la “esenzione” del rimborso anche dall’obbligo di ripetizione in esame, in quanto riferita la “esenzione” in commento - quella dell’art. 12, comma 2, D.L. n. 118/2021 –
(i) non alludeva ad una esenzione da obblighi restitutori in via generale, ma la riferiva alla esenzione da azione revocatoria fallimentare; e
(ii) in ogni caso, anche a volere attribuire all’obbligo restitutorio disposto dalle norme del codice
civile natura di azione revocatoria, la disposizione “esentativa“ non faceva riferimento ad una disciplina individuata in termini generali (come sarebbe stato se l’esenzione avesse riguardato “l’azione revocatoria”), bensì ad azioni disciplinate da disposizioni precisate (quelle contenute nell’ art. 67 L. fall.), oggettivamente insuscettibili di poter essere fatte coincidere con quelle contenute negli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., che, come detto, disponevano l’obbligo restitutorio a carico del socio che avesse ottenuto il rimborso del finanziamento erogato alla propria società.
Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza le cose sono cambiate nel senso di assumere una maggiore trasparenza: ma non nel senso di salvaguardare il socio dal pericolo di subire l’aggressione revocatoria del rimborso del finanziamento-soci ottenuto nell’anno anteriore al deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale.
L’art. 383 ha abrogato la parte dell’art. 2467, comma 1, c.c, rappresentata dalle parole “e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito“. In tal modo è stato abrogato l’obbligo “restitutorio“ originariamente disposto a carico del soci-finanziatore: e la fattispecie è stata disciplinata nell’ambito della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare parentesi precisamente, all’articolo 164, comma 2, CCII.
Lo stesso è avvenuto con riguardo alla disciplina del rimborso dei finanziamenti effettuati a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento
nei suoi confronti, o da altri soggetti ad essa sottoposti, giacché l’originario art. 2497 quinquies c.c. rinviava ad un articolo 2467, che - come detto - è stato abrogato. Ora tale fattispecie è disciplinata anch’essa nell’ambito della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare parentesi precisamente, all’articolo 164, comma 3, CCII.
Il risultato che ne è conseguito è così riassumibile:
1) all’azione avente ad oggetto l’obbligo “restitutorio” del pagamento ottenuto a seguito dell’erogazione di un “ finanziamento-socio “ (ovvero della erogazione di un finanziamento alla società nei confronti della quale si esercita attività di direzione e coordinamento) è riconosciuta la natura giuridica di azione revocatoria (fallimentare):
2) conseguentemente, in tutte le fattispecie nelle quali venga disposta una “esenzione” dall’applicazione dell’azione revocatoria (fallimentare), risulterà inibita anche l’azione “restitutoria“ del pagamento effettuato a titolo di rimborso di finanziamento-soci (o di finanziamento ricevuto dalla società che esercita attività di direzione e coordinamento);
3) in forza di ciò, non saranno soggetti a revocatoria i pagamenti ottenuti, a titolo di rimborso dei finanziamenti erogati alla società assoggettata a liquidazione giudiziale da parte del socio o di chi esercitava l’attività di direzione e coordinamento, allorché i finanziamenti in questione siano stati posti in essere “ in esecuzione del piano attestato di cui all’ articolo 56 o di cui all’articolo 284 e in esso indicati” (art. 166, comma  3, lett. d), CCII); ovvero “in esecuzione del concordato preventivo, del piano di ristrutturazione di cui all’articolo 64 bis omologato e dell’accordo di ristrutturazione omologato e in essi indicati” (art. 166, comma  3, lett. e), CCII);
4) saranno tuttavia soggetti all’azione revocatoria fallimentare i pagamenti effettuati dalla società assoggettata a liquidazione giudiziale a titolo di rimborso dei finanziamenti-soci, ovvero dei finanziamenti ottenuti da chi esercitava l’attività di direzione e coordinamento, allorché tali pagamenti nell’ambito della procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa. La disciplina di questo “strumento”, infatti, dispone - alle condizioni che sono state precisate - la “esenzione“ degli atti e dei pagamenti dall’azione revocatoria “di cui all’articolo 166 comma 2” (cfr. art. 24, comma 2, CCII): ma l’azione revocatoria dei pagamenti effettuati a titolo di rimborso dei finanziamenti erogati da parte del socio o di chi esercitava l’attività di direzione e coordinamento della società assoggettata a liquidazione giudiziale è disciplinata (come detto) dall’art. 164, comma 2 e comma 3: disposizioni dalle quali i pagamenti dei cc.dd. ”finanziamenti-soci” non sono “esentati.
La disciplina qui considerata deve poi essere integrata con quella ricavabile dalla previsione di cui all’articolo 22, comma 1, lett. c) CCII , laddove si prevede che “ su richiesta dell’imprenditore il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione del creditore, può:…… c) autorizzare una o più società appartenente ad un gruppo di imprese di cui all’ articolo 25 a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell’articolo 6”[6] .: dal chè si ricava che i finanziamenti infragruppo possono assumere, nell’ambito di una procedura di Composizione negoziata, il triplice ruolo di finanziamenti (produttivi di crediti) postergati; di finanziamenti (produttivi di crediti) non-postergati (perché conformi a quanto previsto dall’art 25, comma 8, CCII ); o infine di finanziamenti (produttivi di crediti) prededucibili (perché autorizzati dal tribunale ai sensi dell’articolo 22). [7]
Il confronto tra la disciplina dei finanziamenti infragruppo sottratti alla postergazione dei relativi crediti (art. 25, comma 8, CCII); e la disciplina dei finanziamenti infragruppo i cui crediti sono collocabili in prededuzione (art. 22, comma 1, lett. c) CCII); impone di evidenziare che la prima disciplina si applica soltanto ai finanziamenti down stream dalla holding alle eterodirette, ovvero cross stream tra società “ sorelle “, dal momento che i finanziamenti cc.dd. “ascendenti“ non sono menzionati [8]; mentre per ciò che concerne la collocabilità in prededuzione dei crediti derivanti da finanziamenti infragruppo autorizzati dal tribunale non pare sussistano limitazioni di tal genere, forse perché in ogni caso l’effetto in questione è soggetto alla valutazione giudiziale, presupposto dell’autorizzazione tribunalizia.
2 . Individuazione dei requisiti di riconoscibilità del gruppo ai fini della composizione negoziata
L’art. 25, comma 2, CCII disciplina la conduzione delle trattative, nell’ambito della “procedura” di composizione negoziata della crisi d’impresa, “in caso di gruppo di imprese” [9].
La considerazione di questo fenomeno era già stata oggetto dell’attenzione del legislatore nel contesto della riforma della legge fallimentare, nel momento della approvazione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, che la avrebbe sostituita: ma dal momento che il “Codice” ha tardat entrare in vigore; e dal momento che le relative disposizioni, a differenza di altre, non sono state anticipate da corrispondenti norme inserite immediatamente nella legge fallimentare al momento dell’approvazione della disciplina
della Composizione negoziata della crisi d’impresa (D.L. n. 118/2021); la introduzione della disciplina
della “composizione negoziata” ha rappresentato la prima occasione di emersione del fenomeno dal punto di vista giuridico, nell’ambito del “diritto concorsuale comune” (giacché nell’ambito del diritto concorsuale speciale gli effetti della sussistenza del fenomeno del gruppo societario hanno già assunto rilievo – sulla base di definizioni propriamente non coincidenti con quella adottata dalla norma in commento – nella disciplina delle grandi imprese in crisi –  D.Lgs. n. 270/1939, c.d. “legge Prodi-bis” –; nella disciplina delle imprese di rilevanti dimensioni – D.L. n. 347/2003, c.d. “legge Parmalat” –; nella disciplina dei gruppi bancari – TUB –, finanziari – TUF –, e assicurativi – c. ass. –) [10].
Come detto, il trasferimento della disciplina in commento dalla legge speciale che la ha introdotta al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza è sostanzialmente avvenuto senza modificazioni.
L’esordio è rappresentato dalla definizione di “gruppo di imprese”, per lo meno “ai fini del presente articolo”: definizione che fa riferimento all’“insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato o gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2549 septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica”. L’accertamento della sussistenza del presupposto della “direzione e coordinamento delle società del gruppo” tra imprese dell’ipotizzato gruppo, è agevolato dalla previsione di due fattori presuntivi (sino a prova contraria) rappresentati da: a) la sussistenza dell’obbligo del consolidamento dei rispettivi bilanci; e b) la sussistenza di un rapporto di “controllo”, anche congiunto.
La nozione così dettata “ricalca in maniera pedissequa quella enunciata nell’art. 2, lett. h),  D.Lgs. n. 14/2019” [Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza]; “questa, a sua volta, si ispira molto da vicino alla nozione di gruppo implicitamente accolta dal Codice civile (artt. 2497 e seguenti) nel testo novellato dalla riforma organica del diritto societario (D.Lgs. n. 6/2003)” [11].
Costituiscono elementi meritevoli di rilievo: (i) l’estensione della nozione di “gruppo” sia al modello del gruppo verticale fondato sul controllo, sia al modello del gruppo fondato su vincoli contrattuali [12], ivi incluso il modello del gruppo paritetico fra imprese cooperative [13]; (ii) il requisito della comune collocazione della sede legale nello Stato italiano [14]; e (iii) la estensione della definizione a ricomprendere l’impresa (o il soggetto) rappresentato da una “persona fisica” [15].
A tale ultimo proposito si deve ritenere che le fattispecie ricomprese nella nozione di “gruppo” dettata dalla norma in commento ricomprendano tanto le situazioni nelle quali la persona fisica posta al vertice del gruppo eserciti semplicemente il ruolo del detentore del controllo societario o imprenditoriale, quanto le situazioni corrispondenti alla holding persona fisica, al c.d. “socio tiranno”, al c.d. “socio di fatto” (occulto) [16].
Ciò detto, occorre peraltro considerare che l’applicabilità della disciplina della “procedura” di composizione negoziata postula la iscrizione del soggetto interessato nel Registro delle Imprese [17], dunque richiede: (i) la natura di “impresa” del soggetto; e (ii) la sua intervenuta iscrizione al Registro. Fuori di questa ipotesi, la disciplina della “Composizione negoziata” non potrà essere applicata alla persona fisica, pur posta al vertice del gruppo societario in crisi[18]. Ciò non significa la applicazione necessaria delle norme de quibus alla persona fisica che presenti contemporaneamente i requisiti della natura di impresa e della iscrizione al Registro delle Imprese: essendo rimessa alla valutazione discrezionale delle imprese interessate la decisione di partecipare o non partecipare; alla Composizione negoziata c.d. “di gruppo”, trattandosi – come detto e come si dirà – di istituto di natura prettamente volontaria.
La conclusione alla quale si è pervenuti non dovrebbe essere messa in discussione dalla considerazione che nel momento di individuare la competenza della Camera di Commercio alla quale rivolgere l’istanza di nomina dell’esperto comune, la legge (art. 25, comma 4) faccia riferimento a quella “ove è iscritta la società o l’ente ... che ... esercita l’attività di direzione e coordinamento”. Ove la persona fisica-capo- gruppo abbia natura giuridica di impresa e sia iscritta al Registro delle Imprese, non si vede difficoltà ad estendere anche a lei (la legittimazione a presentare l’istanza de qua, nonché) la indicazione della Camera di Commercio ove la stessa è iscritta. In caso contrario, la legittimazione a presentare l’istanza permane, ma la individuazione della Camera di Commercio competente deve essere effettuata ricorrendo al criterio suppletivo rappresentato dalla Camera di Commercio ove è iscritta “l’impresa ... che presenta la maggiore esposizione debitoria” [19].
Sempre a proposito della individuazione della competenza ad adottare decisioni inerenti la “procedura” di Composizione negoziata della crisi d’impresa, allorché la stessa investa un gruppo societario, l’art. 25, comma 6, CCII afferma che “le misure protettive e cautelari di cui agli articoli 6 e 7 sono adottate dal tribunale competente ai sensi dell’articolo 9 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, rispetto alla società o all’ente che, in base alla pubblicità prevista dall’articolo 2497 bis del codice civile, esercita l’attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, all’impresa che presenta la maggiore esposizione debitoria come definita nel comma 3”.
La nozione di “gruppo” di imprese al quale fa riferimento la norma in commento per disciplinare le modalità di accesso alla “procedura” di Composizione negoziata non soffre limitazioni né sotto il profilo dimensionale né sotto il profilo giuridico.
Per un verso, la disciplina sarebbe applicabile tanto al “gruppo” che fosse costituito da imprese cc.dd.
“sotto soglia” – o comunque non fallibili, come le imprese agricole –; quanto al “gruppo” che fosse costituito da grandi imprese; da imprese di rilevanti dimensioni; o da imprese operanti in servizi pubblici essenziali, come tali soggette – ricorrendone i presupposti – alla procedura della Amministrazione Straordinaria [20].
Per un altro verso, la esclusione della natura di “procedura concorsuale” per l’istituto della “Composizione negoziata” [21], ne consente l’applicabilità – a parere di chi scrive – anche ai gruppi di imprese cc.dd. “di diritto speciale”, quali banche; intermediari finanziari; imprese assicurative [22].
3 . L’incarico unitario
L’art. 25, comma 1, CCII afferma che più imprese (appartenenti al gruppo societario, individuato come indicato dal comma precedente) che si trovino “nelle condizioni indicate dall’articolo 12, comma 1” (vale a dire: nelle condizioni soggettive ed oggettive che consentirebbero a ciascuna di esse [23] di accedere alla “procedura” di Composizione negoziata della crisi d’impresa) possono chiedere “la nomina dell’esperto indipendente ...”: con ciò intendendosi la nomina di un unico esperto [24].
L’istanza “unitaria” deve essere presentata, come detto, alla CCIAA dove è iscritta l’impresa che esercita la attività di direzione e coordinamento. Ove tale criterio non sia utilizzabile – per esempio per non appartenenza della “capogruppo” allo Stato italiano – sarà applicabile il criterio suppletivo rappresentato dalla CCIAA presso la quale è iscritta l’impresa “che presenta la maggiore esposizione debitoria”.
A tale proposito l’art. 13, comma 3, D.L. n. 118/2021 onera l’imprenditore dell’adempimento rappresentato dall’inserimento nella piattaforma telematica di cui all’art. 3, oltre alla documentazione indicata nell’art.
5, comma 3, di una relazione contenente informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali, l’indicazione del registro delle imprese o dei registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità ai sensi dell’art. 2497 bis c.c. e il bilancio consolidato di gruppo, ove redatto.
Si deve ritenere che l’incarico “unitario” debba intendersi (anche) come incarico “unico” (e non “plurimo”) agli effetti di quanto disposto dall’art. 17, comma 4, CCII, secondo il quale “l’esperto non può assumere più di due incarichi contemporaneamente”.
Secondo l’art. 25, comma 5, CCII, “l’esperto assolve ai compiti di cui all’articolo 12, comma 2, in modo unitario per tutte le imprese che hanno presentato l’istanza, salvo che lo svolgimento congiunto non renda eccessivamente gravose le trattative. In tal caso può decidere che le trattative si svolgano per singole imprese”.
L’autonomia decisionale così attribuita all’“esperto comune” può fare discutere: si potrebbe infatti osservare che se le imprese interessate avessero voluto condurre trattative separate (o meglio: se la capo- gruppo avesse ritenuto di consentire alle imprese del gruppo di coltivare trattative indipendenti le une dalle altre), non sarebbe stata chiesta la nomina di un “esperto unitario” – potendosi spiegare tale iniziativa anche con la volontà di condizionare gli esiti delle trattative delle singole imprese appartenenti al “gruppo” in funzione del perseguimento di un risultato di risanamento complessivo – [25]-[26].
Sempre in argomento, non appare precisato se a seguito della adozione di tale iniziativa le imprese del gruppo destinate ad essere escluse dalla prosecuzione della procedura “unitaria” debbano rivolgersi alla CCIAA competente per ciascuna di esse – come parrebbe necessario –, al fine di ottenere la nomina di un esperto “individuale” destinato a facilitare la prosecuzione delle trattative concernenti ciascuna impresa [27].
4 . La pluralità di esperti e la decisione di prosecuzione con incarico unitario ovvero con conduzione congiunta della composizione negoziata nelle diverse imprese
L’art. 25, comma 7, CCII prende in considerazione l’ipotesi nella quale le imprese appartenenti ad un gruppo (individuato come tale in base ai criteri dettati dall’art. 2, comma 1, lett. h), CCII) bbiano richiesto separatamente, in quanto presentanti ciascuna i necessari presupposti, la designazione di un esperto funzionale ad agevolare le trattative con i rispettivi creditori; e che tali esperti – ovvero, presumibilmente, taluno di essi –, “sentiti i richiedenti ed i creditori”, propongano che la Composizione unitaria si svolga in modo unitario, ovvero, per lo meno, per più imprese appositamente individuate.
Allorché tale proposta venga formulata, “la composizione prosegue con l’esperto designato di comune accordo tra quelli nominati”, ovvero, in difetto di designazione, “con l’esperto nominato a seguito della prima istanza presentata”.
Anche in questa ipotesi non è chiara la intensità dell’autonomia riconoscibile agli esperti (od a taluni tra essi?) nel “disporre” che la Composizione negoziata prosegua con l’ausilio di un unico esperto. Si pongono infatti – in prima battuta – i seguenti dubbi:
a) se la valutazione della opportunità della prosecuzione delle diverse “procedure” di Composizione negoziata “in modo unitario” (ovvero “per più imprese appositamente individuate”) postuli l’assenso di tutti gli esperti coinvolti dalla proposta di concentrazione;
b) se analoga unanimità debba essere accertata in capo alle imprese interessate dalla proposta di “coordinamento”;
c) se e quale ruolo debba essere riservato all’Organo che ebbe a designare i diversi esperti.[28]
5 . L’estensione delle trattative ad altre imprese del gruppo in difficoltà
L’art. 25, comma 1, CCII ipotizza la presentazione di una “istanza unitaria” per la nomina di un unico esperto, funzionale ad agevolare le trattative volte a superare le situazioni di crisi di una pluralità di imprese appartenenti ad uno stesso gruppo (identificato in base ai criteri di cui al comma 1): salvo poi prevedere le ipotesi di possibile separazione di procedure riguardanti singole imprese rispetto alla procedura “di gruppo”.
L’art. 25, comma 7, CCII, a sua volta, pare prendere in considerazione l’ipotesi che più imprese del “gruppo”, nel momento della assunzione della decisione di accedere alla “procedura” di Composizione negoziata, lo facciano separatamente, richiedendo la nomina di altrettanti esperti: salvo però prendere in considerazione, e disciplinare, l’ipotesi di un coordinamento tra le diverse “procedure”, tramite il mantenimento di un solo esperto.
È evidentemente possibile che si produca anche un fenomeno per c.d. intermedio, in forza del quale per una (o più) “procedure”, originariamente avviate, emerga la esigenza di “estensione” ad altre imprese del “gruppo”, originariamente non coinvolte (quale che ne sia stata la ragione).
In tale ipotesi pare irrinunciabile la presentazione della istanza di nomina dell’esperto da parte delle singole imprese del gruppo per le quali l’esigenza si sia posta in un secondo momento; e pare possibile ipotizzare che, su istanza delle stesse, la speciale Commissione legittimata a designare l’esperto, valuti l’opportunità di indicare lo stesso professionista già designato a favorire le trattative dell’impresa (o delle imprese) del gruppo che per prima abbia avviato la procedura di composizione negoziata.
Anche in tal caso il limite posto dall’art. 17, comma 4, CCII non si pone.
6 . Il coinvolgimento come parti interessate di altre imprese del gruppo non in difficoltà
L’art. 25, comma 6, CCII , afferma che “le imprese partecipanti al gruppo che non si trovino nelle condizioni indicate nell’articolo 12, comma 1” [vale a dire le condizioni per essere legittimate ad accedere alla procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa] “possono, anche su invito dell’esperto, partecipare alle trattative”.
La discrezionalità della decisione di “partecipare alle trattative” (ovvero di rimanerne estranee) deve essere affermata tanto nell’ipotesi di invito dell’esperto (che le imprese in bonis possono accettare, ma non “devono”); quanto nell’ipotesi di mancato invito (perché la partecipazione può avvenire “anche” su invito dell’esperto, ma non “solo”) [29].
Il perimetro delle imprese interessate da tale disposizione non pare circoscritto alle imprese in bonis
aventi sede nel territorio dello Stato [30] .
Ciò precisato, la norma non indica quali effetti siano prodotti dalla eventuale “partecipazione alle trattative” delle imprese del gruppo le quali non abbiano avviato (ovvero non siano coinvolte in) una “procedura” di Composizione negoziata (né individuale; né “di gruppo”).
Del resto, nessun particolare effetto si può ipotizzare con riguardo agli atti posti in essere dalle imprese de quibus, rimanendo il supporto, eventualmente prestato alle imprese del gruppo impegnate in una “procedura” di Composizione negoziata, disciplinato alla stregua degli effetti di un accordo puramente stragiudiziale tradizionale [31].
7 . Le “misure protettive di gruppo”
Con riguardo all'argomento della concedibilità delle “misure protettive“ richieste per una pluralità di società, facenti parte di una procedura di Composizione negoziata “di gruppo“, Trib. Ravenna, 20 febbraio
2023 (in Ilcaso.it, 10 marzo 2023), ha affermato che è astrattamente ammissibile la concessione di misure protettive per tutte le società del gruppo, malgrado per alcune di esse si preveda la soluzione liquidatoria. Il Tribunale ha spiegato che valorizzando la logica unitaria della continuità di gruppo, potrebbe riconoscersi utilità ad uno stay protettivo esteso all'intero perimetro societario ove, ad esempio, volessero realizzarsi un surplus di tipo economico strettamente dipendente dalla gestione unitaria e coordinata della liquidazione di cespiti patrimoniali afferenti alle società del gruppo destinate alla liquidazione. In tale ottica, la prospettiva di ragionevole risanamento del gruppo, per la sua parte destinata alla prosecuzione dell'impresa, potrebbe pure nutrirsi di un programma liquidatorio di tipo coordinato e amministrativamente accentrato, tale da massimizzare il risultato economico della liquidazione (ad esempio consentendo un risparmio di costi), e tale, dunque, da fondare l'interesse ad una estensione dell'efficacia protettiva delle misure al più ampio raggio possibile.
Con riguardo poi ai profili processuali relativi al procedimento per la richiesta di conferma delle “misure protettive“, si è segnalato come il quarto comma dell’articolo 25 CCII non specifichi se la richiesta di misure protettive e cautelari debba essere formulata separatamente per ciascuna delle società, ovvero possa essere unica per tutte le imprese (come la domanda di nomina dell’esperto)[32]. Si è espressa l’opinione che sia da ritenere preferibile che le domande debbano essere separate (ancorché collegate), poiché tale soluzione viene considerata l’unica ad assicurare l’iscrizione dell’istanza (unitamente all’accettazione dell’esperto) presso il registro delle imprese di ciascuna delle società coinvolte, affinché tutti i relativi creditori possano agevolmente venire a conoscenza[33].
A tale proposito Trib. Ivrea, 17 febbraio 2023 (in Ilcaso.it, 10 marzo 2023), ha affermato che benché le procedure debbano opportunamente essere trattate in via unitaria - perché unitario era lo stato di crisi che era stato descritto per le singole imprese del “gruppo“, ed unitariamente trattato doveva essere il percorso di negoziazione con i creditori intrapreso con l’accesso alla Composizione negoziata della crisi-, va tuttavia disposta la separazione delle istanze formulate dalle singole imprese del gruppo previa nuova iscrizione a ruolo, a cura della cancelleria, di un ulteriore fascicolo processuale, uno per ciascuna società, con la conseguente rettifica, a cura della parte onerata, delle iscrizioni camerali già effettuate in relazione al numero di ruolo generale da pubblicare nel registro delle imprese, a norma dell’art. 19, comma 1, secondo periodo, CCII, e la regolarizzazione di eventuali oneri di iscrezione richiesti dall’ufficio giudiziario“.
Per converso, si è ritenuto che per ragioni di connessione ed economicità, oltre che per evitare decisioni contrastanti, la trattazione innanzi al tribunale competente debba reputarsi unitaria[34].
8 . L’esito della procedura di CNC “di gruppo“
Secondo quanto previsto dall’art. 25, comma 9, CCII , al termine delle trattative, le imprese del gruppo possono stipulare, in via unitaria, uno dei contratti di cui all’art. 23, comma 1, ovvero accedere separatamente alle soluzioni di cui all’art. 23 stesso.
È espressamente prevista, pertanto, l’ipotesi che ciascuna impresa già impegnata in una Composizione negoziata “di gruppo” scelga poi, in via individuale, una delle possibili soluzioni declinate “all’articolo 23” [35].
È, peraltro, anche previsto che le imprese “del gruppo” (ovvero, si deve ritenere, alcune tra di esse) possano stipulare, “in via unitaria”, uno dei contratti di cui all’art. 23, comma 1, CCII – vale a dire: (i) un contratto “con uno o più creditori”, idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo inferiore a due anni [36]; (ii) una Convenzione di Moratoria [37]; un Piano Attestato di Risanamento c.d. “avallato”, in quanto sottoscritto anche dall’esperto, e per tale ragione dispensato dal dovere essere integrato dalla Relazione Attestativa di cui all’art. 56, comma 3, CCII. [38].
Per ciò che concerne le soluzioni “di gruppo“, l’art. 13, comma 10, D.L. n. 118/2021, richiamando solamente “uno dei contratti “ di cui all’articolo 11, comma 1, non faceva parola del possibile accesso “unitario” alla Convenzione di moratoria; al Piano Attestato di Risanamento - anche nella forma del piano c.d. “agevolato” (perché non bisognoso della speciale relazione attestativa di cui all’articolo 67, comma 3, dlertt.), L. fall.)v-; all’Accordo di Ristrutturazione (ex art. 182 bis ss. L. fall.) – anche nella forma dell’Accordo c.d. “avallato”, perché anch’esso risultante nella Relazione finale dell’esperto, con l’effetto di ridurre dal 75% al 60% delle passività la percentuale di adesioni richieste perché si produca un effetto vincolante nei confronti dei creditori omogenei non aderenti –; ovvero al Concordato preventivo (“normale” ovvero “semplificato”). Ciò non impediva, peraltro, che (i) in ogni caso , le imprese del gruppo potessero predisporre soluzioni dell’uno o dell’altro genere, caratterizzate da un coordinamento che valorizzasse i possibili effetti delle relazioni infragruppo [39]; e (ii) che nella prospettiva dell’entrata in vigore del CCII fosse già possibile immaginare che un altro dei possibili sbocchi della composizione negoziata “di gruppo” avrebbe potuto essere rappresentato dall’apertura di una procedura di ADR ovvero di Concordato preventivo “di gruppo” [40].
L’entrata in vigore delle CCII ha in parte ovviato ai profili problematici evidenziati, dal momento che l’attuale articolo 25, comma 9, prevede che le imprese del gruppo, al termine delle trattative, possano stipulare, in via unitaria, non soltanto “uno dei contratti“ di cui all’articolo 23, comma 1, ma anche una delle “convenzioni e/o accordi“ previsti dalla medesima norma.
Se mai occorrerà prestare particolare attenzione, specie nell’ipotesi di una pluralità di “sbocchi” a seguito delle trattative condotte con riguardo alle singole imprese, agli effetti prodotti dalla esecuzione della “procedura” di Composizione negoziata della crisi, potendo venire meno le “misure protettive”; ovvero le “misure impeditive”; o ancora le “misure sospensive” (per es. degli obblighi di ricapitalizzazione) che avevano contribuito a sostenere la continuità aziendale in pendenza delle trattative [41].

Note:

[1] 
Il presente contributo è destinato a confluire, con gli eventuali aggiornamenti ed integrazioni del caso, nella seconda edizione - di prossima pubblicazione per i tipi di Giappichelli Editore - dell'opera collettanea "Il ruolo dell'Esperto nella Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d'Impresa ", curata da R. Guidotti, M. Tarabusi e dall'Autore. I riferimenti contenuti in talune note hanno per l'appunto riguardo all'opera collettanea menzionata. 
[2] 
S. Addamo, Commento all'articolo 25, in Commentario breve alle leggi su crisi d'impresa ed i insolvenza, a cura di A. Maffei Alberti, Vicenza, 2023, 150.
[3] 
La "postergazione legale" in commento è disposta dall'art. 2467, comma 1, c.c., che riguarda i cc.dd. “finanziamenti- soci”, e che è reso applicabile ai gruppi di imprese dall'art. 2497 quinquies. Gli effetti di tale postergazione sembrano riguardare tutte le passività con le quali i crediti derivanti dai finanziamenti-soci (ovvero dai finanziamenti infragruppo) aspirerebbe a concorrere: sia le passività già esistenti al momento della erogazione dei finanziamenti che originano i crediti de quibus, sia le passività di terzi sorte successivamente.
Più discussi sono gli effetti della c.d. “postergazione convenzionale", intendendo per tale quella che deriva da accordi tra creditori di un medesimo debitore, in forza dei quali il soddisfacimento delle pretese dell'uno (c.d. creditore junior) sia convenzionalmente postergato al soddisfacimento delle pretese dell'altro (c.d. creditore senior). Nell'ipotesi di dissesto del debitore comune; e di collocabilità della pretesa del creditore senior al chirografo; si discute se la postergazione del credito vantato dal creditore junior debba essere disposta con riguardo anche a tutti gli altri creditori chirografari del debitore insolvente, dal momento che il soddisfacimento integrale del creditore senior - con conseguente, successiva ammissibilità al riparto del creditore junior - postulerebbe necessariamente anche l'equivalente soddisfacimento integrale di tutti gli altri creditori chirografari con i quali il creditore senior è stato costretto a concorrere.
Secondo taluni, la clausola di "postergazione convenzionale" darebbe luogo alla figura del c.d. double dividend sistem, caratteristica di ordinamenti giuridici stranieri, in forza della quale il creditore senior e il creditore junior parteciperebbero al concorso del debitore comune secondo il rango assegnato loro dalla legge, ma nelle ripartizioni dell'attivo il creditore senior otterrebbe non soltanto quanto di spettanza della propria pretesa, ma anche quanto di spettanza del creditore junior, sino a soddisfacimento integrale: dopodiché, una volta così estinta la pretesa del creditore senior, lo junior partecipe al concorso per il residuo di quanto di sua spettanza (se sussistente). Tale soluzione presenterebbe il duplice pregio di impedire che il creditore junior soffra effetti equivalenti a quelli che sarebbero conseguiti ad una postergazione rispetto all'intero ceto creditorio (o per- lomeno al ceto creditorio caratterizzato da parità di grado con creditore senior); ed impedirebbe altresì che gli altri creditori beneficino della postergazione del creditore junior, diluendo oltre tutto s'il vantaggio del creditore senior, pur non essendo onerati del corrispettivo riconosciuto da quest'ultimo al creditore junior per ottenerne l'accettazione della postergazione alla propria pretesa.
Ovviamente la soluzione del quesito è condizionata alla considerazione dello specifico tenore della clausola negoziale di "postergazione relativa". Nell'ipotesi nella quale questa esprimesse semplicemente il concetto secondo il quale il creditore junior rinuncia a far valere la propria pretesa nei confronti del debitore comune sino a quando il creditore senior non sarà risultato integralmente soddisfatto, si può dubitare che sia legittimo evocare l'applicazione del meccanismo del double dividend sistem.
La “semplice” clausola di postergazione di un credito ad un altro, vantato nei confronti del medesimo debitore, non produce l’effetto di attribuire al secondo il riparto che spetterebbe al primo - che comunque al riparto stesso dovrebbe partecipare: di modo che, un volta estinta la pretesa del secondo creditore in virtù delle somme tra i riparti conseguenti per effetto della propria pretesa diretta ed i rapporti spettanti al primo creditore, ma a lui destinati, la pretesa del creditore postergato potrebbe partecipare ai riparti successivi in concorso con i restanti creditori. perché tale effetto avrebbe potuto essere conseguito attraverso la cessione del credito del primo creditore in favore del secondo. Con la cessione del credito il secondo creditore (cessionario) avrebbe effettivamente cumulato i riparti connessi alla partecipazione diretta per il proprio credito, con quelli che gli sarebbero stati assegnati in conseguenza della partecipazione al riparto del primo creditore - consentendo poi a costui di partecipare direttamente, nei riparti successivi al conseguimento del soddisfacimento integrale della pretesa del creditore c.d. senior -. Occorre tuttavia considerare che, in linea di principio, la funzione della postergazione non è rappresentata - in via generale - dallo scopo di rafforzare le probabilità di soddisfacimento di un creditore o di un altro, bensì quello di rafforzare la solvibilità del debitore nei confronti della generalità dei creditori. L’effetto rappresentato dal double dividend system non consegui- rebbe in alcun modo questo risultato, perché l’indebitamento del soggetto obbligato rimarrebbe ugualmente appesantito anche della responsabilità restitutoria verso il creditore c.d. junior, solo indirizzandone l’esborso in favore di un soggetto diverso (il creditore c.d. senior): ciò che non soddisfa in alcun modo la funzione assegnata all’istituto della postergazione, che mira invece ad eliminare l’appesantimento patrimoniale insito nella obbligazione verso il creditore c.d. junior (meglio: posterfato), con riguardo a tutti i creditori concorrenti.
[4] 
In argomento v. L. Panzani, op. cit., p. 49 ss.; A. Dentamaro, La nuova finanza nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa ex D.L. n. 118/2021, in Dirittodellacrisi.it, 12 ottobre 2021, p. 6 ss.; M. ARATO, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 23 novembre 2021, p. 8; D. Portinaro, La disciplina dei finanziamenti infragruppo (o erogati in favore di controllate) nel D.L. n. 118/2021, in Ilfallimentarista.it, 3 febbraio 2022.
[5] 
Supra, Capitolo I, § 1.
[6] 
Per la illustrazione dell’argomento rappresentato dalle ”Autorizzazioni del tribunale” v. supra, Capitolo I, § 7.6.
[7] 
Parla di "tassonomia tripartita”, distinguendo - rispettivamente - tra finanziamenti infragruppo "disincentivati" (perché soggetti alla disciplina di diritto comune della postergazione); di finanziamenti infragruppo "non disincentivati" (perché sottratti alla disciplina comune della postergazione); e di finanziamenti "incentivati” (perché caratterizzati dalla prededuzione dei relativi crediti), S. Addamo, Commento all'articolo 25, cit., 156.
[8] 
L. Benedetti, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo ecc., cit., ipotizza che la lacuna derivi dall'as- sunto che i finanziamenti cc.dd. "ascendenti" non siano ricompresi nell'ambito di applicazione dell'articolo 2497 quinquies c.c., per cui sarebbe inutile disporne la esenzione da una postergazione, che non li caratterizzerebbe: sottolineando peraltro che l'assunto in esame "per la verità non è pacifico" (e rinviando per tale argomento a L. Benedetti, La disciplina dei finanziamenti up-stream della società eterodiretta alla capogruppo in situazione di difficoltà finanziaria, in Riv.soc., 2014,747 s.s.). 
[9] 
In argomento v. L. Boggio, La Composizione negoziata della crisi del gruppo di imprese, in La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento, cit., p. 229 ss.; R. D’Alonzo, I compiti dell’esperto ecc., cit., 19 ss.; L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ecc., cit., p. 44 ss.
[10] 
Secondo N. Abriani, G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it (https://dirittodellacrisi.it/articolo/crisi-dei-gruppi-e-composizione-negoziata), 23 dicembre 2021, “L’attenzione specifica nei riguardi della fattispecie del gruppo di imprese, nel contesto delle varie ipotesi di regolazione della crisi, non costituisce una novità nel nostro ordinamento. Il precedente più recente è dato dalla legge delega per la riforma organica della disciplina della crisi d’impresa, n. 155/2017 che all’art. 3 dettava i criteri per la disciplina del concordato preventivo e della liquidazione giudiziale coinvolgenti più imprese di uno stesso gruppo; ad essa ha fatto seguito il decreto legislativo delegato n. 14/2019, recante il codice della crisi e dell’insolvenza dell’impresa (nel prosieguo CCII), che in attuazione dei suddetti criteri disciplina analiticamente (agli artt. 284 e seguenti) l’applicazione ai gruppi delle due ricordate procedure concorsuali e che tuttavia, pur se pubblicato in Gazzetta ufficiale all’inizio del 2019, non è ancora entrato effettivamente in vigore. Si può quindi affermare che la disciplina dettata nell’art. 13 del D.L. n. 118/2021 costituisce la prima disciplina della crisi del gruppo ad avere effettiva vigenza nel nostro Paese, se si eccettua la normativa sull’amministrazione straordinaria, nelle due varianti disciplinate rispettivamente dal  D.Lgs. n. 270/1999 e dal D.L. n. 347/2003, conv. in L. n. 39/2004, che è però tarata su un segmento particolare, quello delle imprese in stato di insolvenza qualificabili come “grandi” sulla base di determinati indici dimensionali”. 
[11] 
N. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 9. In argomento v. anche L. PANZANI, op. cit., p. 44 ss.; M. Arato, Il gruppo di imprese nella composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 23 novembre 2021, p. 1 ss.
[12] 
In argomento M. Arato, op. cit., pp. 2-3. 
[13] 
In argomento N. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 10. 
[14] 
Secondo N. Abriani, G. Scognamiglio, op. loc. ult. cit., la scelta in questione è “discutibile”, in quanto “andrebbe al riguardo quanto meno ammesso che imprese del gruppo aventi la propria sede legale all’estero possano associarsi alle conso- relle aventi la sede legale nel territorio italiano nell’istanza per la nomina di un unico esperto, sì da favorire l’avvio di un negoziato unitario di gruppo con le controparti rilevanti”.
[15] 
In argomento, in particolare, M. Arato, op. loc. ultt. citt.
[16] 
M. Arato, op. loc. ult. cit.
[17] 
Supra, Capitolo I, § 1.
[18] 
S. Addamo, Commento all'articolo 25, cit., 151. Secondo L. Benedetti, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo: primi spunti di riflessione (in Dirittodellacrisi.it), “tale estensione della definizione di gruppo alla holding personale non è però esente da criticità, giacché le presunzioni dell'esistenza del sodalizio non operano rispetto alla persona fisica, in quanto entrambe riferite all'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento da parte della “società o ente".
[19] 
In argomento M. Arato, op. cit., p. 9. 
[20] 
In argomento v. anche supra, Capitolo I, § 1; N. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 12; M. Arato, op. cit., p. 3.
[21] 
Supra, Capitolo I, § 1.
[22] 
Supra, Capitolo I, § 1. Secondo S. Addamo, Commento all'articolo 25, cit., “non sono presenti né requisiti dimensionali né relativi all'attività svolta: pertanto, possono accedere alla composizione negoziata sia imprese capogruppo costituite nella forma di imprenditore individuale, sia imprese sotto soglia che svolgano anche attività agricola, sia grandi imprese aventi i requisiti per l'amministrazione straordinaria, che imprese quotate”.
[23] 
In argomento S. Adamo, op. cit., afferma che " de iure condito e in relazione alle procedure concorsuali tradizionali la giurisprudenza e la dottrina propendono per la necessaria sussistenza del presupposto in capo a ciascuna società. Probabilmente la medesima soluzione dovrebbe essere recepita anche al fine dell'applicazione della nuova disciplina, poiché appare principio generale del nostro ordinamento concorsuale quello del rispetto della distinta personalità giuridica dei singoli membri del gruppo ". In argomento M. Miola, Le operazioni riorganizzative infra gruppo nel codice della crisi d'impresa, su Rivista ODC, 2021, 2693 s.s., osserva che "tutto questo comporta che, pure se l'accertamento dello stato di insolvenza [o di crisi] vada condotto con riferimento alla singola società, non possa prescindersi dall'interdipendenza sul piano soprattutto finanziario esistente tra le società del gruppo, e dunque che si possa tenere conto, secondo le tecniche di consolidamento dei bilanci di gruppo, della capacità di soddisfare con l'attivo esistente i debiti facenti capo a ciascuna delle società del gruppo ".
Con riguardo all'argomento (peraltro effettivamente diverso) della concedibilità delle misure protettive richieste nell'ambito di una procedura di composizione negoziata "di gruppo", Trib. Ravenna, 20 febbraio 2023, in www.ilcaso.it, 10 marzo 2023, tale affermato che è astrattamente ammissibile la concessione di misure protettive per tutte le società del gruppo, malgrado per alcune di esse si preveda la soluzione liquidatoria. Il tribunale ha spiegato che valorizzando la logica unitaria della continuità di gruppo, potrebbe riconoscersi utilità ad 1 Stay protettivo esteso all'intero perimetro societario ove, l'esempio, volessero realizzarsi surplus di tipo economico strettamente dipendenti dalla gestione unitaria e coordinata della liquidazione di cespiti patrimoniali afferenti alle società del gruppo destinate alla liquidazione. In tale ottica, la prospettiva di ragionevole risanamento del gruppo, per la sua parte destinata alla prosecuzione dell'impresa, potrebbe pure nutrirsi di 1 programma liquidatorio di tipo coordinato e amministrativamente accentrato, tale da massimizzare il risultato economico della liquidazione parentesi ad esempio consentendo 1 risparmio di costi parentesi, e tale, dunque, da fondare l'interesse ad un'estensione dell'efficacia protettiva delle misure al più ampio raggio possibile.
[24] 
Parlano di “istanza unitaria” M. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 11. Secondo L. Benedetti, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo ecc., cit., l'unicità dell'esperto per tutte le società del gruppo "implica a monte una decisione in tale direzione della capogruppo nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento ". E tale soluzione "si uniforma a quella prevista in relazione al concordato preventivo e alla liquidazione giudiziale per quanto concerne l'unicità degli organi della procedura ". 
[25] 
Secondo M. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 4, “il potere della Camera di commercio di opporre un diniego alla nomina dell’unico esperto sembra circoscritto alle ipotesi di carenza dei presupposti indicati rispettivamente nel comma 2 dell’art.
2 [e] nel comma 1 dell’art. 13: in presenza di detti presupposti, sembra che la Camera di commercio non possa svolgere valutazioni discrezionali riguardo all’opportunità e alla convenienza della scelta del percorso unitario ovvero riguardo al perimetro delle imprese coinvolte, né nel senso di escluderne una o talune, né nel senso di coinvolgere ex officio nella composizione negoziata di gruppo imprese che non avevano sottoscritto l’istanza congiunta. Quindi, a seguito della richiesta congiunta pervenuta alla Camera di commercio competente (sulla base dei criteri indicati nel comma 3 dell’art. 13, su cui si veda più avanti il par. 5), l’esperto facilitatore, unico per l’insieme delle imprese richiedenti, verrà nominato e comincerà a svolgere il suo compito – così come descritto nel comma 2 dell’art. 2 – in maniera unitaria per tutte le imprese del gruppo partecipanti all’iniziativa”.
[26] 
M. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 5: “la scelta legislativa di attribuire ad un professionista, designato – sia pure da una pubblica autorità – su istanza di soggetti privati con il compito di facilitare un certo percorso negoziale diretto alla composizione della crisi il potere di modificare la composizione soggettiva di una delle parti del negoziato, in tal modo forzando o comunque alterando quella che era stata la scelta delle imprese interessate, effettuata nell’esercizio della loro autonomia d’impresa nonché, possibilmente, su indirizzo ed impulso della loro impresa capogruppo, presta il fianco a non pochi dubbi e rilievi: rilievi che possono investire altresì, a ben vedere, il potere di segno opposto, ma di contenuto strutturalmente non dissimile, attribuito agli esperti plurimi, nominati disgiuntamente, di optare per la gestione unitaria della composizione negoziata ex art. 13, comma 8. Si può anzitutto osservare, sia pure con la cautela imposta dalla circostanza che si tratta della primissima interpretazione di un testo normativo molto recente, che i poteri in tal modo assegnati all’esperto facilitatore sembrano avere un’estensione molto ampia (e contenuti non sempre chiaramente delineati), senza che ad essi sia, in termini espliciti, correlata alcuna responsabilità. In vero:
(i) per l’esercizio di detti poteri non sono previsti espressamente limiti di tempo;
(ii) l’esistenza di un obbligo di motivazione sembra potersi affermare, alla stregua del tenore testuale delle norme, soltanto nei casi disciplinati dal comma 6 (qui l’esperto dovrà allegare circostanze idonee a comprovare la gravosità eccessiva, dunque non proporzionata e disfunzionale rispetto all’obiettivo perseguito, della conduzione unitaria del negoziato per giustificare la propria decisione di passare, almeno per alcune imprese, ad una gestione atomistica del negoziato medesimo) e dal comma 8…;
(iii) sembra che il potere previsto dal comma 6 dell’art. 13 (così come quello previsto dal comma 8) non generi alcuna possibilità di contestazione da parte delle imprese investite dalle scelte discrezionali dell’esperto: il ché appare singolare, tanto più se si considera che dette imprese potrebbero essere (art. 13, comma 1) sottoposte al potere di direzione e coordinamento di un’altra impresa o ente e che non sembra esservi ragione di ritenere che il potere di direzione e coordinamento del soggetto posto al vertice del gruppo ceda e venga meno a fronte del potere dell’esperto, quasi che il suo compito di facilitatore nella gestione della composizione negoziata della crisi giustificasse altresì il suo subentro nel ruolo che fisiologicamente spetta all’impresa o all’ente capogruppo”.
[27] 
Secondo N. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 7, “non viene chiarito se, nel caso disciplinato dal comma 6 dell’art. 13 (decisione dell’esperto di convertire, totalmente o parzialmente, la gestione unitaria in gestione atomistica delle trattative), l’esperto debba rimandare le imprese alla Camera di commercio, affinché presentino istanza per la nomina di ulteriori esperti, oppure possa mantenere comunque il ruolo in capo a sé stesso, anche con riferimento alle imprese che, sulla base della sua decisione, vengono poste al di fuori della composizione negoziata unitaria. Nel silenzio della norma positiva, il dubbio ha una sua ragion d’essere, anche perché la prima soluzione (rinvio delle imprese alla Camera di commercio per la designazione di ulteriori esperti) comporterebbe probabilmente l’inconveniente di un aggravio di tempo aggiuntivo a carico delle imprese interessate; tuttavia, dalla disciplina complessiva della composizione negoziata della crisi dei gruppi (ed in particolare dal comma 8 dell’art. 13) sembra potersi inferire che la previsione di un esperto facilitatore unico per più imprese dello stesso gruppo viene considerata coerente con, e perciò si giustifica in ragione dell’opzione per la conduzione unitaria delle trattative; il ché lascia pensare che si debba procedere in senso opposto (i.e., alla nomina di più esperti) nel caso in cui si intenda realizzare il percorso opposto”.
[28] 
Secondo L.Panzani, Il D.L."Pagni" ovvero la lezione (positiva) del Covid, in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021,43, per la riunione successiva delle trattative sarebbe necessario non solo che gli esperti concordino su tale soluzione, ma anche che le imprese istanti aderiscano. Ciò in quanto la composizione negoziata di gruppo si apre soltanto su istanza delle imprese del gruppo: si tratterebbe di una regola generale ritenuta non derogabile nel caso in esame. Secondo L. Benedetti, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo ecc., cit., “A chi scrive tuttavia tale interpretazione - peraltro praeter legem - non pare inattaccabile. Le imprese facenti parte del gruppo hanno già volontariamente proposto - ognuna individualmente - l'istanza di composizione negoziata. Sicché non sembra che il carattere volontario del nuovo strumento stragiudiziale imponga il consenso delle stesse per passare da trattative individuali a trattative riguardanti congiuntamente tutte le unità del gruppo, ossia per modificare la modalità di svolgimento della composizione negoziata che comunque - seppure in forma "atomistica" - le imprese del gruppo hanno richiesto”. 
[29] 
In questi termini v. anche N. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 6.
[30] 
L. Benedetti, La nuova disciplina della composizione negoziata di gruppo, cit.
[31] 
Sul punto si ritiene necessario prendere posizione in modo molto netto. Secondo M. Arato, op. cit., p. 6, “la circostanza che si tratti di imprese soggettivamente in bonis non impedisce la loro adesione a uno strumento di ristrutturazione (la composizione negoziata) che non è riservato alle sole imprese in crisi o insolventi ma anche (e probabilmente prioritariamente) alle imprese che si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che rendano probabile la crisi o l’insolvenza. Ed infatti, l’art. 13 fa riferimento al gruppo in crisi/insolvente attualmente o prospetticamente, gruppo che può essere composto anche da imprese in bonis che ben possono partecipare all’avaria [così] comune per il perseguimento di un interesse di gruppo”. Trattasi di considerazioni di per sé senz’altro condivisibili, ma che – a parere di chi scrive
– vanno accompagnate dalla precisazione che nessun effetto proprio della “procedura” di composizione negoziata si produce
quanto agli atti posti in essere dalla impresa del gruppo, per il fatto di avere acconsentito alla “partecipazione” alle trattative della “composizione di gruppo”, sino a quando essa stessa non acceda formalmente – in via individuale oppure nel contesto della procedura collettiva – alla composizione negoziata stessa.
[32] 
S. Addamo, Commento all'articolo 25, cit, 155.
[33] 
S. Addamo, op. loc. ultt. citt.
[34] 
… Platania, …. , in Ilfallimentarista.it, 7 ottobre 2021.
[35] 
Infra, Capitolo XI.
[36] 
In argomento v. infra, Capitolo XI, § 1.1.
[37] 
Su cui infra, Capitolo XI, § 1.2.
[38] 
Su cui infra, Capitolo XI, § 1.3.
[39] 
In argomento v. N. ABRIANI, G. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 19.
[40] 
In argomento v. L. PANZANI, op. cit., p. 49.
[41] 
V. in argomento N. Abriani, G. Scognamiglio, op. cit., p. 21: “tanto nello scenario liquidatorio, quanto nella diversa (e auspicabile) prospettiva della continuità aziendale andrà comunque gestita con grande attenzione la fase intermedia che consegue alla chiusura della composizione negoziata. Va infatti considerato il venir meno delle eventuali misure protettive di cui le società del gruppo avevano beneficiato in pendenza della composizione negoziata e la riespansione degli obblighi di ricapitalizzazione, automaticamente sospesi a seguito della dichiarazione di cui all’art. 8 del decreto, con i connessi obblighi di gestione conservativa e la responsabilità aggravata di cui all’art. 2486 c.c. Di qui l’importanza della tempistica con la quale saranno presentate – oggi, per ciascuna società del gruppo interessata, un domani con l’istanza unitaria di cui agli artt. 284 ss. c.c. – le eventuali domande di concessione dei termini per il deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, entrambe idonee a ripristinare l’ombrello protettivo necessario per perfezionare il percorso di risanamento. E parimenti tempestiva dovrà essere l’eventuale predisposizione della proposta di concordato liquidatorio semplificato, che il decreto consente di presentare nel breve termine di sessanta giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto”.

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