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Il fallimento può essere applicato alle professioni intellettuali (avvocati, dottore commercialista, ingegneri, ecc)? Approccio dal diritto argentino. Una domanda nel diritto italiano?

Mauricio Boretto, Professore titolare della cattedra di diritto fallimentare presso l'Università Nazionale di Cuyo (Argentina)

12 Marzo 2024

Il fallimento non sembra essere la procedura più appropriata per trattare l'insolvenza dei professionisti intellettuali, date le sue caratteristiche peculiari. La brevità e la semplicità della procedura di accordo preventivo stragiudiziale sembra incastrarsi facilmente con la rapidità che richiede l'attenzione di diritti elementari e la semplicità patrimoniale che caratterizza il fenomeno del sovraindebitamento o la situazione dei professionisti intellettuali.
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1 . Possibili risposte
Una prima risposta è legata alla normativa espressa della legge fallimentare. Per questo, dobbiamo rivedere alcuni articoli della legge argentina 24.522. 
· Articolo 104. - Occupazione, professione e mestiere. Il fallito conserva la facoltà di svolgere compiti artigianali, professionali o in rapporto di dipendenza, fatte salve le disposizioni degli articoli 107 e 108, punto 2.
· Articolo 107. - Concetto ed estensione. Il fallito viene privato dei suoi beni esistenti alla data della dichiarazione di fallimento e di quelli acquisiti fino alla loro riabilitazione. Lo spossessamento impedisce l'esercizio dei diritti di disposizione e di amministrazione.  
· Articolo 108. - Beni esclusi. Sono esclusi dalle disposizioni del l'articolo precedente: 2) beni che non possono essere oggetto di misure precauzionali (ad esempio, la retribuzione del dipendente o gli onorari del professionista nella misura prevista dalla legge) 
Così, come si può vedere:  
· Il fallito conserva la facoltà di svolgere compiti artigianali, professionali o in rapporto di dipendenza (art. 104 L.C.Q.).  
· I ricavi ottenuti dal fallito in queste attività sono soggette a spossessamento, entro il limite temporale fissato dall'art. 107 (fino alla riabilitazione) e le restrizioni stabilite nell’ art. 108.  
· Ad esempio, dal salario percepito dal fallito in virtù del rapporto di lavoro dipendente mantenuto con il suo datore di lavoro, attento al suo carattere alimentare, è escluso dallo spossessamento l'80 % e il debitore sarà privato soltanto del restante 20%. 
Ma la legge fallimentare è pensata, come struttura procedurale, per portare avanti un processo in cui l'insolvente è un imprenditore. 
Cioè, si parte dalla premessa che siamo in presenza di un soggetto che produce beni e servizi, che porta libri di commercio, che tiene una contabilità regolare, che ha importanti beni da liquidare (macchine, merci, immobili, ecc.). 
E quando il soggetto fallito - e anche quello che ha chiesto il suo concorso preventivo - non soddisfa questi parametri: quali regole applichiamo quando la legge fallimentare regola un'unica procedura?
In altre parole, esiste una struttura molto costosa che prevede soluzioni che non sono pensate per un professionista che, generalmente, non è imprenditore e ha come unico attivo i suoi onorari.
In effetti, questo stesso problema si è presentato rispetto ad altri "attori" nella scena "fallimentare": il dipendente pubblico, il consumatore, ecc. quando sono "sovraindebitati". 
· Quale procedura liquidativa può essere eseguita?  
· È necessario designare un curatore?  
· È necessario l'intervento di un giudice o è sufficiente un altro funzionario "amministrativo" o altro professionista?
Di fronte a questo scenario, la domanda che si pone è la seguente:
· se il professionista intellettuale non svolge la sua attività come impresa e il contesto di fatto è lo stesso di quello del “consumatore sovraindebitato”... possiamo applicare le stesse regole procedurali "create in modo pretoriamente giurisprudenziale" invece delle regole procedurali del concorso preventivo e del fallimento della legge fallimentare 24.522?  
· Quali sono queste "regole"?
2 . Svantaggi del concorso preventivo e del fallimento
[1] La scarsa aspettativa di recupero del credito induce i creditori a non partecipare alla procedura fallimentare.
Nel caso del concordato preventivo, il margine di negoziazione con i creditori si restringe in quanto il debitore non può offrire più di quanto gli resta dopo aver soddisfatto i bisogni familiari di base.
La complessità del processo (nel concorso preventivo o nel fallimento), il tempo impiegato per l'apporto e il suo costo - individuale e sociale - non sono compatibili con l'entità del patrimonio in crisi, vale a dire con un attivo ridotto e un passivo di minore entità e facilmente determinabile, caratterizzando l'inefficienza dell'attuale approccio al fenomeno del sovraindebitamento e della situazione di insolvenza degli altri soggetti che non svolgono attività imprenditoriale (ad esempio, i professionisti intellettuali). 
Sebbene è vero che il concorso preventivo rappresenta un sollievo immediato - poiché con la sentenza di apertura si ottiene la sospensione dei pagamenti mediante lo sconto sul salario e il conseguente "recupero" dello stipendio (art. 16 Legge fallimentare) - quando, per effetto del l'omologazione del l'accordo preventivo, il passivo "sospeso" diviene esigibile ai sensi del concordato insieme agli onorari fissati per il curatore e altri professionisti concorsuali, il debitore si trova in una situazione altrettanto o più gravosa di quella precedente al concordato. 
È per questo che la maggior parte dei concorsi preventivi si trasforma in fallimento indiretto [2]. 
In caso di fallimento (esito della maggior parte dei concorsi preventivi del consumatore):  
· L'unico attivo del debitore fallito è la parte pignorabile dello stipendio che si accumula fino al momento della riabilitazione del debitore fallito  
· Tale importo è insufficiente di solito a coprire le spese di giustizia,  
· Questo porta ad un'inevitabile chiusura della procedura liquidativa per mancanza di attivi e al relativo certificato penale (per presunzione di frode).  
· Non è meno importante ricordare che, per qualche giurisprudenza, gli onorari fissati per la chiusura della procedura liquidativa per mancanza di attivi, hanno il duplice carattere di credito post-fallimento e di spese del processo concorsuale (art. 240 L.C.Q.), il che implica che possono essere eseguiti in giudizio. Ossia, in relazione a tali onorari NON si applica l'articolo 104 legge fallimentare e, pertanto, l'effetto di "scarico dei debiti (discharge)" e il fresh start [3]. Ad esempio, il curatore può riscuotere i suoi onorari sui beni acquistati dal debitore dopo la riabilitazione. 
Ciò significa che il debitore è sottoposto a un costoso processo di fallimento - sia in termini individuali che sociali - con l'unico obiettivo di essere riabilitato e di poter ricominciare senza "trascinare" l'onere dei debiti precedenti al fallimento; pur dovendo pagare le spese della procedura concorsuale, che talvolta sono superiori alla passività che ha determinato la presentazione in procedura di concordato o fallimento. 
Come si può osservare non si applica pienamente il discharge né il fresh start (articolo 104 legge fallimentare). 
Dopo l'analisi delle diverse procedure previste dalla L.C.Q., da una prospettiva consumerista del trattamento dell'insolvenza (ragionamento che possiamo applicare mutatis mutandis ai professionisti intellettuali) e tenendo conto di quanto precede per quanto riguarda l'inefficacia e l'inefficienza del concorso preventivo per il superamento del sovraindebitamento; la procedura che dovrebbe essere considerata, sarebbe la più breve, semplice, economica, duttile e rispettosa della realtà del consumatore sovraindebitato (rectius: il professionista intellettuale), che è quello dell'accordo preventivo stragiudiziale (articoli da 69 a 76 L.C.Q).
3 . Accordo preventivo extragiudiziale
[4] La brevità e la semplicità della procedura di accordo preventivo stragiudiziale (non c’è nessuna procedura di verifica del credito) sembra incastrarsi facilmente con la rapidità che richiedono l'attenzione di diritti elementari e la semplicità patrimoniale che caratterizzano il fenomeno del sovraindebitamento o la situazione dei professionisti intellettuali. 
La rapida conclusione di un accordo rende possibile il reinserimento del debitore nel mercato dei consumatori (lo stesso dovrebbe valere per i professionisti intellettuali) e, di conseguenza, l'attenzione alle sue necessità familiari di base. 
Senza dubbio l'accordo preventivo extragiudiziale è il più economico dei procedimenti previsti dalla L.C.Q.. In particolare, per il consumatore (o professionisti intellettuali) presenta un evidente vantaggio rispetto al concorso preventivo: senza l'intervento di curatore non avrà luogo la regolamentazione degli onorari che necessariamente comporterebbe la sua designazione. 
Come si vede, è possibile adattare la propria procedura alla realtà del sovraindebitamento (o dei professionisti inttelletuali) senza violare le norme che ne sottendono l'essenza, senza limitare i diritti di coloro che sono interessati al reinserimento del debitore nel mercato; né la ragionevole aspettativa di recupero dei crediti. 
La flessibilità che offre non può essere sprecata quando si tenta di contenere un fenomeno di tali particolari caratteristiche e che non è stato espressamente previsto né dal regime fallimentare.
4 . La risposta è la stessa quando si tratta di società professionali? Le società professionali nel nuovo Codice civile e commerciale della nazione
A partire dal nuovo Codice, i professionisti possono assumere qualsiasi tipo di azienda, a condizione che sia consentito dalla legge.
A questo proposito, sarà necessario tener conto delle disposizioni che in materia di competenze professionali emanano gli ordini professionali nell'esercizio del potere di polizia ad essi delegato, nonché il contenuto della normativa che emanano in conformità con il nuovo contenuto giuridico.
Attualmente la Risoluzione del Cpcecaba CD Nro.138/2005 (Consiglio professionale di Scienze Economiche della Città di Buenos Aires), ammette oltre al formato delle "società informali" (articoli da 21 a 26 legge generale sulle società 19.550), le seguenti altre forme associative: la Società Collettiva, la Società a Responsabilità Limitata e le Società Anonime, tutte nell'ambito della Legge Generale delle Società 19.550 e soggette al controllo dell'Ispettorato Generale di Giustizia (IGJ). 
La risoluzione IGJ 7/05 (anteriore al nuovo codice, che deve adeguarsi alla nuova legislazione), ammetteva per l'esercizio professionale solo la forma di "società regolarmente costituita" secondo la legge 19.550. 
Questa risoluzione non è stata abrogata, ma abbiamo già detto che, secondo il nuovo Codice civile e la nuova legge generale sulle società 19.550, devono essere ammesse anche le società di professionisti "informali". 
Perché è importante la risoluzione 7/05?
Per quanto regolamentava i requisiti che dovevano adempiere le "società professionali", i quali possono essere sintetizzate come segue: 
· Dovevano essere «società di mezzo», la quale era definita all'articolo 56 della stessa norma. Vale a dire, la società non è il prestatore del servizio professionale, ma il mezzo attraverso il quale si svolge l'attività professionale organizzata, che i professionisti forniscono da sé e/o per mezzo di terzi anche professionisti competenti in materia 
· Inoltre, le società devono soddisfare i seguenti requisiti: 
A) I soci e i membri del l'amministrazione sociale devono essere esclusivamente professionisti con il titolo abilitante in vigore necessario per fornire i servizi la cui prestazione è organizzata dalla costituzione della società. 
B) Se l'oggetto sociale prevede la prestazione di servizi propri di diversa attività professionale, il contratto o statuto deve prevedere la partecipazione nell'amministrazione sociale di professionisti della stessa professione. 
C) La regolamentazione contrattuale o statutaria della trasmissione della partecipazione sociale deve assicurare l'inserimento in qualità di socio, in sostituzione del cedente, di un altro professionista avente lo stesso titolo di quest'ultimo. 
D) Le disposizioni relative ai diritti e agli obblighi dei soci tra loro e nei confronti di terzi (articolo 11, punto 8, legge n. 19.550), devono prevedere espressamente che sia esclusa dalla limitazione di responsabilità derivante dal tipo sociale adottato, qualsiasi obbligo o responsabilità assunti nell'esercizio della professione dei soci. I soci e i membri dell'amministrazione sociale devono essere esclusivamente professionisti con il titolo abilitante in vigore necessario per fornire i servizi la cui prestazione è organizzata dalla costituzione della società. 
Dopo tutto quanto esposto, se i professionisti intellettuali si sono organizzati in forma "societaria", potranno chiedere il loro concorso preventivo o il fallimento; come se fosse una società qualsiasi.

Note:

[1] 
"Concorso" è una voce generica che nel nostro sistema giuridico positivo comprende due specie: (i) il concorso preventivo (procedura concorsuale preventiva): consiste in un regime stabilito a beneficio del debitore, in quanto gli consente di continuare a gestire il suo patrimonio, svolgendo la sua attività abituale, sotto la sorveglianza del curatore; dandogli la possibilità di giungere ad un accordo con i suoi creditori che gli consenta di invertire la situazione di crisi che sta attraversando. Si tratta quindi di evitare il fallimento. Orbene, se il debitore fallisce in quanto non ha ottenuto le conformità dei creditori alla proposta di accordo preventivo da lui formulata o, una volta ottenuto ciò, non è stato in grado di rispettare l'accordo, il concordato preventivo si trasforma in fallimento. (ii) Il fallimento (procedura fallimentare liquidativa): è la procedura fallimentare rivolta a liquidare tutti i beni del debitore per pagare, con il loro profitto, tutti i debiti secondo i diritti, le categorie e i privilegi di cui i creditori sono titolari. Causa lo spossessamento del debitore, che perde l'amministrazione del suo patrimonio; inoltre, normalmente cessa l'attività imprenditoriale per procedere alla liquidazione dei beni. Lo scopo ultimo del fallimento o della procedura fallimentare liquidativa è la realizzazione o la liquidazione dei beni soggetti allo spossessamento e, attraverso di questo, la distribuzione dei beni prodotti ai creditori, soddisfacendo per quanto possibile i loro crediti. La vendita dei beni si ordina nella stessa sentenza fallimentare (art. 88, inc. 9, L.C.Q.). In ogni caso, i soggetti, il bilancio, e alcuni principi, funzionari e regole procedurali, sono comuni al concorso preventivo e al fallimento. La cessazione dei pagamenti è quindi la premessa necessaria per il concorso preventivo e il fallimento. Le stesse persone fisiche e giuridiche che possono chiedere il concorso preventivo possono essere dichiarate fallite; il curatore è il funzionario che agisce sia nel concorso preventivo che nel fallimento, ecc.. Attualmente, la legge che disciplina il procedimento fallimentare (preventivo e liquidativo) è la legge 24.522 (B.O. 9/8/1995), con le modifiche introdotte dalle leggi 25.563 (B.O. 15/02/02), 25.589 (B.O. 15/05/02), Legge 26.684 (B.O. 30/06/2011), Legge N° 26.086 (B.O. 11/4/2006) e legge N° 27.170 (B.O. 8/9/2015). Art. 3° del Decreto N° 62/2019 B.O. 22/1/2019. In precedenza, le leggi erano 19551 (1972) e 22917 (1983). (BORETTO, Mauricio, “Manual de Introducción al Derecho Privado”, Mendoza, ed. Facultad Ciencias Económicas de la Universidad Nacional de Cuyo, 2006/2007. Tomo 4. En co - autoría con la Dra. Aída Kemelmajer de Carlucci).
[2] 
Il fallimento indiretto è quello dichiarato in ragione di fallire in un precedente concorso preventivo per una delle cause previste dalla legge. Si produce una conversione della procedura fallimentare preventiva in procedura fallimentare liquidativa. Il contesto necessario, si ribadisce, è un concorso preventivo non riuscito. Esempi di fallimento indiretto sono, tra altri: - mancata presentazione della proposta di accordo nel fascicolo della procedura concorsuale preventiva da parte del debitore (art. 43 L.C.Q.); - mancato ottenimento dei requisiti necessari ai creditori per ottenere l'approvazione della proposta di accordo preventivo (art. 46 L.C.Q.); - non omologazione giudiziaria dell'accordo preventivo, anche se il debitore ha ottenuto le conformità da parte dei creditori (art. 52 L.C.Q.); - inadempimento dell'accordo preventivo omologato giudizialmente (art. 63 L.C.Q.); - non iscrizione di un terzo interessato all'ipotesi di salvataggio del imprenditore da parte di terzi (art. 48 L.C.Q.), ecc. Il fallimento indiretto produce gli stessi effetti del fallimento diretto (ad esempio, spossessamento, confisca di beni, periodo di sospetto, ecc.) (M. Boretto, “Manual de Introducción al Derecho Privado”, Mendoza, ed. Facultad Ciencias Económicas de la Universidad Nacional de Cuyo, 2006/2007. Tomo 4. En co - autoría con la Dra. Aída Kemelmajer de Carlucci).
[3] 
Secondo l'art. 104 L.C.Q "I debiti contratti fino a quando non sia riabilitato possono dar luogo a un nuovo fallimento, che comprenderà i beni residui soltanto dopo la liquidazione del fallimento e dopo la distribuzione e quelli acquisiti dopo la riabilitazione". Il passivo fallimentare è composto dai debiti del fallito precedenti alla data della sentenza di fallimento, più le spese di conservazione e di giustizia (art. 240 L.C.Q.). I debiti del fallito dopo la data della sentenza di fallimento (qualunque ne sia la fonte, legale, contrattuale o meno) non integrano tale passività e, di conseguenza, non possono essere verificati nel fallimento né essere ammessi alla concorrenza, nell'ambito di tale sentenza per aspirare sull’ attivo falenciale. Tali debiti successivi possono essere eseguiti, individualmente o collettivamente, solo su beni acquisiti dopo la riabilitazione o, se del caso, sull'eventuale saldo della liquidazione fallimentare precedente (art. 228, in fine, L.C.Q.). Il passivo fallace concorre nel fallimento per essere addebitato sul prodotto della liquidazione dell'attivo fallace. Ricordiamo que l'attivo fallimentare è composto dai beni del fallito, soggetti a spossessamento (art. 107 L.C.Q.). Fatte salve le osservazioni, e conformemente allo stesso art. 104 L.C.Q., il debitore fallito può fallire nuovamente. Questa affermazione richiede una spiegazione. Non vi è incompatibilità tra i due concorsi, poiché pur avendo lo stesso soggetto come fallito, sono diversi  i creditori e l'attivo fallimentare. I creditori del secondo concordato sono nati dopo la prima sentenza di fallimento e sono quindi sfuggiti a quest'ultima (art. 32 e 126 L.C.Q.), mentre l'attivo del primo fallimento comprende tutti i beni sottratti al debitore alla data della dichiarazione di fallimento e quelli che acquisisca successivamente fino alla sua riabilitazione (art. 107 L.C.Q.). Da parte sua, l'attivo del secondo fallimento è costituito dai beni che non sono stati sottratti nel primo ma ora lo sono, le rimanenze della prima liquidazione e i beni acquisiti dopo la riabilitazione. In questo modo, l'effetto che la riabilitazione produce è quello di creare un secondo patrimonio del fallito, ovvero di dividere in due parti un unico patrimonio. Allora, apprezziamo che il secondo fallimento avrà un passivo completamente diverso da quello del primo. I crediti per causa o titolo anteriori al primo decreto fallimentare non potranno in alcun modo costituire il passivo fallimentare del secondo fallimento, in quanto la legge 24.522 non fa alcuna eccezione al riguardo. Contrariamente a quanto risulta dall'applicazione della legge 24.522, il Bankruptcy Code degli Stati Uniti dispone soltanto lo svincolo (discharge) di certi debiti, per cui i debiti non liberati continuerebbero a pesare sul patrimonio del fallito. Nel nostro caso, il secondo patrimonio costituirà soltanto pegno comune dei creditori successivi al primo decreto fallimentare. Per quanto riguarda l'attivo, è ovvio che l'una e l'altra bancarotta avranno diversi beni che la integreranno. Come abbiamo detto, il secondo patrimonio sarà composto dai beni esclusi dal spossessamento del primo fallimento (e del secondo) e da quelli acquistati dopo il ripristino del primo fallimento. Tutto questo ragionamento si applica anche a un debitore che è fallito, si è riabilitato e non è più fallito. Infatti, il debitore fallito dopo la riabilitazione (1 anno dalla sentenza di fallimento), se acquisisce beni posteriori a tale fatto giuridico, essi non potranno essere raggiunti dai creditori del precedente fallimento. Tali beni non sono destinati a pagare ai creditori del fallimento e su di essi avrà il libero potere di amministrazione e di disposizione (poiché non è fallito nuovamente). Inoltre, i debiti che sono rimasti insoluti in occasione del fallimento precedente, che si è concluso con uno dei modi sopra previsti, si estinguono definitivamente (discharge) e, ribadiamo, non possono essere recuperati sui nuovi beni acquisiti dal debitore dopo la riabilitazione. Per questo, in definitiva, si parla di un nuovo inizio o fresh start (M. Boretto, “Manual de Introducción al Derecho Privado”, Mendoza, ed. Facultad Ciencias Económicas de la Universidad Nacional de Cuyo, 2006/2007. Tomo 4. En co - autoría con la Dra. Aída Kemelmajer de Carlucci).
[4] 
La riorganizzazione dell'impresa in difficoltà può essere spinta con vari metodi. Esistono essenzialmente due grandi categorie: a). - meccanismi informali di riorganizzazione in cui il debitore e alcuni dei suoi creditori (o tutti, anche se non è comune) negoziano e concordano sui loro rispettivi crediti e obbligazioni per cercare una soluzione alla situazione critica. Le sue caratteristiche principali sono: - Sono obbligatorie solo per i sottoscrittori. - Sono di natura contrattuale. - Possono essere concesse le prestazioni più varie (cancellazioni, attese, riorganizzazione del l'impresa, ridimensionamento dell'impresa, ecc.). - non si esige che tali accordi rispettino la parità di trattamento tra i creditori, mentre è lecito concordare condizioni diverse con ciascuno dei firmatari. - Il vantaggio pratico di questi mezzi non giudiziari di soluzione delle difficoltà imprenditoriali è l'informalità, la rapidità, l'economia e la discrezione, di fronte alla maggiore lentezza, formalismo, impatto pubblico e onerosità dei procedimenti giudiziari. - Esse sono tuttavia prive degli effetti generali sui creditori in caso di procedura concorsuale preventiva, come la sospensione di azioni individuali nei confronti del debitore e l'interruzione del corso degli interessi dei suoi debiti; a meno che tali effetti non siano concordati nell'accordo preconfezionato, in cui caso operano solo nei confronti delle parti contraenti. - Inoltre, l'inosservanza di tali accordi viene disciplinata anche dal diritto contrattuale e, di conseguenza, non dà luogo all'automatica dichiarazione di fallimento del debitore. Nel suo caso, il creditore o i creditori non pispettati potranno chiedere l'esecuzione, domandare la risoluzione del contratto e, eventualmente, esigere l'azione giudiziaria per la dichiarazione di fallimento (diretta, necessaria) del debitore, conformemente alle disposizioni dell'art. 83 L.C.Q. Infine, si noti che se questi accordi falliscono e si dichiara il fallimento del debitore, gli atti conferiti di seguito a tali accordi precontrattuali saranno valutati alla luce delle regole dell' inefficacia fallimentare e potranno essere dichiarati inopponibili al fallimento. b). - meccanismi formali di riorganizzazione. Secondo la legge 24.522 sono due: 1). - il concorso preventivo (che abbiamo già visto) e 2). - l'accordo preventivo extragiudiziale (che vedremo a continuazione). La legge 24.522 (nel 1995) sotto il nome di accordo preventivo stragiudiziale regolò (artt. da 69 a 76) un tipo speciale di accordo fallimentare, che doveva essere omologato giudizialmente per produrre gli effetti legalmente previsti. Era più economico del tradizionale concorso preventivo visto che non aveva un periodo di verifica dei crediti, non esisteva un curatore, non c'era un processo giudiziario prima dell'omologazione dell'accordo e, inoltre, le conformità dei creditori erano gestite dal debitore in via extragiudiziale per essere presentate direttamente insieme all'accordo (già approvato dalla maggioranza assoluta dei creditori che rappresentavano i due terzi del capitale chirografare) davanti al giudice per l'approvazione. Non c'era bisogno di pagare così tanti onorari o spese processuali. A questo tipo di accordo, una volta omologato giudizialmente, veniva concessa la cosiddetta opponibilità migliorata in caso di fallimento successivo del debitore, per quanto riguarda gli atti conferiti dal debitore e in conseguenza dell'accordo preventivo extragiudiziale, nei confronti dei creditori non firmatari dell'accordo. In altre parole, tali atti non potevano essere dichiarati inefficaci nel successivo fallimento. Tuttavia, l'inconveniente di questo tipo di accordo preventivo extragiudiziale era che non era obbligatorio per i creditori che non l'avevano firmato. Di conseguenza, questi creditori non firmatari potevano eseguire in giudizio i beni del debitore e persino chiedere il fallimento. Tuttavia, a partire dal 2002, la legge 25.589 (che modifica la legge 24.522) produce una significativa variazione in questo tipo di accordo. Attualmente, infatti, l'accordo preventivo stragiudiziale, che mantiene le caratteristiche prima menzionate, una volta omologato giudizialmente, non è più un contratto obbligatorio solo per le parti che lo hanno firmato con la sola particolarità della sua opponibilità migliorata nel fallimento successivo. Infatti, conformemente al nuovo regime, l'accordo preventivo extragiudiziale omologato giudizialmente è obbligatorio, non solo per coloro che ne fanno parte per aver prestato conformità, ma obbliga anche le minoranze di creditori dissidenti (che non l'hanno firmato). In altre parole, produce gli effetti propri dell'accordo preventivo omologato giudizialmente nel concorso preventivo tradizionale (art. 56 L.C.Q., già analizzato). Infine, l'accordo preventivo extragiudiziale si differenzia anche del tradizionale concorso preventivo in quanto il suo requisito obiettivo o materiale, oltre a comprendere il default (di cui abbiamo già analizzato il concetto), comprende anche le chiamate "difficoltà economiche o finanziarie di carattere generale". Si tratta di uno stato di crisi o di pre-insolvenza che, pur riguardando l'intero patrimonio, non rivela ancora una chiara situazione di impotenza patrimoniale per far fronte al passivo esigibile con mezzi regolari di pagamento da parte del debitore. Tuttavia, ci sono segnali di allarme, che rivelano una situazione di crisi, come ad esempio lo sciopero di alcuni dipendenti per mancato pagamento dei loro salari in tempo, alcuni assegni rifiutati per mancanza di fondi, ecc.. (M. Boretto, “Manual de Introducción al Derecho Privado”, Mendoza, ed. Facultad Ciencias Económicas de la Universidad Nacional de Cuyo, 2006/2007. Tomo 4. En co - autoría con la Dra. Aída Kemelmajer de Carlucci). 

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  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

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