La centralità che l’accordo di ristrutturazione verrà a rivestire nel nuovo contesto normativo è tale da determinare una sorta di rivoluzione copernicana rispetto alla visione «tolemaica» che ravvisava nel concordato preventivo lo strumento principe per i risanamenti e le liquidazioni extrafallimentari. Una centralità che potrà essere attenuata, ma difficilmente sarà superata dalle modifiche che si auspica saranno introdotte alla disciplina del concordato preventivo in sede di armonizzazione alla Direttiva europea sui quadri di ristrutturazione[11]. Questa considerazione trova giustificazione proprio negli effetti, diretti e indiretti, della composizione negoziata.
Tra gli effetti «indiretti» fanno spicco i corollari virtuosi dei nuovi doveri di partecipazione alle trattative sanciti dall’art. 4 del Decreto: al dovere di informazione transitiva dell’imprenditore in crisi fanno infatti riscontro i doveri di informazione riflessiva e riscontro reattivo, con «risposta tempestiva e motivata», dei creditori; doveri ulteriormente rafforzati per le banche, gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti, che sono «tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato» e che non possono invocare l’accesso alla composizione negoziata della crisi come causa di revoca degli affidamenti concessi: art. 4, comma 6).
In queste disposizioni va colta la novità più significativa tra quelle introdotte dall’intera disciplina contenuta nel d.l. 118: le nuove regole si ricollegano alla previsione del generale dovere di «comportarsi secondo buona fede e correttezza» che il Codice della crisi impone a debitore e creditori «[n]ell’esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e durante le trattative che le precedono» (art. 4, co. 1), declinato, quanto ai creditori, nel «dovere, in particolare, di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite» (art. 4, comma 3, CCI). Lo sviluppo di queste previsioni operato dall’art. 4 del d.l. 118/2021 sembra determinare un cambio di paradigma nel nostro sistema delle procedure concorsuali, all’interno del quale i creditori non sono più considerati soltanto come titolari di diritti ma diventano, con una chiarezza sinora inedita sul piano normativo, anche destinatari di doveri. Al riguardo è dato cogliere una linea di continuità fra i doveri imposti ai creditori sin dalla fase delle trattative condotte sotto l’egida dell’esperto e la nuova disciplina (trapiantata nella legge fallimentare, ma già presente in nuce, per i creditori bancari e finanziari, nella disciplina previgente) degli accordi a efficacia estesa: il denominatore comune di tali precetti è costituito dalla imposizione ai creditori di doveri di cooperare alla ristrutturazione, diversamente articolati e declinati nelle diverse fasi di regolazione della crisi.
Rispetto a questa evoluzione, nella quale si percepisce nitidamente la eco dell’elaborazione condotta dalla dottrina tedesca della teoria dei Kooperationspflichten, la nuova disciplina degli accordi ad efficacia estesa sollecita un supplemento di riflessione sul tema della configurabilità dell’obbligo della banca di sostenere finanziariamente l’impresa. È ben vero che la nuova disciplina ribadisce che ai creditori non aderenti ai quali viene esteso l’accordo non possono comunque «essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti» (così il nuovo art. 182-septies, comma 4, l.fall.). Tale perdurante limite va tuttavia coordinato con la previsione che all’interno della composizione negoziata vieta di revocare gli affidamenti. La disposizione ha cura di precisare che la revoca è vietata esclusivamente se posta in essere «in ragione» dell’accesso alla composizione negoziata[12], rimanendo dunque legittima ove giustificata da «altre» ragioni (come il venir meno di una garanzia)[13]; ma, al di là di tale precisazione e dei rilievi critici sulla genericità dei termini «revoca» e «affidamenti» dalla stessa utilizzati[14], non pare dubbio che la norma, anche a volerla interpretare restrittivamente (ma avrei molti dubbi al riguardo), introduce nel nostro ordinamento un inedito obbligo di finanziamento, perché comporta il divieto di pretendere, a seguito di un recesso o di una risoluzione della banca, il rimborso del credito già utilizzato dall’impresa, consentendo pertanto a quest’ultima di beneficiare di una dilazione forzosa.
Non è questa la sede per approfondire la distinzione, talora disagevole, tra ipotesi di revoca illecita ex art. 4, comma 6 d.l. 118/2021 e revoca lecita perché fondata su inadempimenti o altre circostanze che la consentano, e tanto meno per considerare se nella disposizione in esame possa ravvisarsi l’emersione di un vero e proprio dovere di far credito ex lege; più semplicemente, si intende additare a studiosi e ad operatori l’esigenza di ripensare al radicato idolum theatri della assoluta discrezionalità della banca nella erogazione della nuova finanza. Tale impostazione risulta merita invero di essere riesaminata alla luce dei valori generali dell’ordinamento concorsuale, così come ridisegnato dal Decreto n. 118 del 2021, in sintonia con le previsioni contenute già nell’art. 12, comma 3, del Codice della crisi e, a un livello sovraordinato nella gerarchia delle fonti, nell’art. 7, par. 5, della Direttiva 1023/2019[15].
Se queste riflessioni rischiano di condurre (forse troppo) lontano, è evidente che, tornando alla disciplina degli accordi di ristrutturazione e considerando anche il ruolo di interazione informativa assegnato all’esperto, l’attivazione della composizione negoziata potrà aiutare ad incanalare su binari adeguatamente solidi la duplice e coessenziale condizione preliminare richiesta dalla legge ai fini della estensione degli effetti rappresentata, sul fronte sostanziale, dalla omogeneità di posizione dei creditori, che consente di sussumerli in categorie omogenee, e, sul versante processuale, dall’esigenza che «tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti». Le due condizioni sono tra loro evidentemente interrelate: il dovere di informazione del debitore deve avere infatti per oggetto innanzi tutto l’illustrazione della prospettiva della creazione di categorie omogenee, nonché delle ragioni che, giustificando la riconduzione del creditore ad una di esse, legittimerebbero, ove non intendesse aderire all’accordo, la richiesta di una estensione coattiva degli effetti della ristrutturazione che vengano condivisi dalla maggioranza rafforzata dei crediti omogenei. Si tratta di un onere che connota in termini peculiari questa variante di accordi di ristrutturazione e che ha come prima finalità quella di consentire ai creditori un’adeguata e tempestiva valutazione «riflessiva» in ordine alla opportunità di aderire all’accordo, contribuendo a negoziarne se possibile le condizioni[16].
Si noti che il legislatore non si accontenta di un coinvolgimento iniziale dei creditori, giacché le «informazioni sull’accordo e sui suoi effetti» possono considerarsi «complete e aggiornate» solo in quanto i creditori siano tenuti costantemente informati dell’evolversi delle trattative finalizzate alla definizione dell’accordo e del perimetro della categoria; del resto, le categorie non devono necessariamente essere formate sin dall’apertura delle trattative, ben potendo essere impostate in una fase successive, quando emerga l’esigenza di prospettare la possibile estensione degli effetti proprio al fine di «forzare» l’adesione di determinati creditori[17].
In tale prospettiva, un ruolo proattivo – e finanche «demiurgico» – può essere svolto proprio dalla composizione negoziata, grazie all’intervento dell’esperto: un intervento tanto più importante se si considera che sia la costruzione delle categorie, sia il coinvolgimento nei termini ora indicati dei creditori alle stesse appartenenti vengono a rivestire una maggiore delicatezza rispetto al sottoinsieme dei creditori bancari e finanziari, per la spiccata eterogeneità dei creditori «commerciali», che rende meno agevolmente comparabili le posizioni e potrebbe determinare maggiori rischi di disallineamenti e dunque di arbitrarietà dei criteri costitutivi delle categorie: come insegna del resto l’esperienza delle «classi» nel concordato preventivo, dove non sono mancati, proprio per i creditori non finanziari, i tentativi di collocare «pesci d’acqua salata» in «vasche d’acqua dolce». La relazione dell’esperto potrebbe invero contribuire ad accertare la sussistenza dei requisiti ora richiamati, che in linea di principio vanno compiutamente documentati dal debitore, così agevolando il delicato vaglio che l’autorità giudiziaria è chiamata a svolgere in sede di omologazione[18].