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Saggio

Concordato preventivo e ristrutturazione dell’impresa dopo il D.L. n. 118/2021: Que reste-t-il?*

Niccolò Abriani, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Firenze

16 Febbraio 2022

*Saggio destinato agli studi in onore del Prof. Sabino Fortunato, di prossima pubblicazione.
Il saggio è stato altresì sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il saggio esamina ruolo e funzione del concordato preventivo nel sistema delle procedure di prevenzione e regolazione della crisi ridisegnato dal D.L. 118 del 2021. In particolare, viene segnalata la potenziale erosione dello spazio applicativo del concordato con continuità aziendale e liquidatorio, che potrebbe conseguire all’introduzione, rispettivamente, delle nuove regole in materia di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, da un lato, e dell’istituto del concordato liquidatorio, semplificato per la liquidazione del patrimonio, dall’altro. In tale prospettiva viene considerato anche l’impatto che sono destinati ad avere i più pregnanti doveri di cooperazione imposti ai creditori nell’ambito della composizione negoziata e i corollari sugli esiti delle trattative. Il saggio si conclude con alcune considerazioni relative ad ulteriori novità prefigurate dal Codice della crisi e dell’insolvenza, tra le quali fanno spicco le novità in tema di gruppi di imprese e il limite massimo di durata della sospensione delle azioni esecutive, determinato, nel solco della previsione della Direttiva 1023/2019, nel breve arco temporale di dodici mesi.
Riproduzione riservata
1 . Premessa. Il concordato preventivo come possibile esito della composizione negoziata
La nuova disciplina della crisi d’impresa introdotta dal D.L. 118 del 2021, convertito nella l. n. 147/2021, induce a riconsiderare alcuni dei principi cardine del sistema delle procedure concorsuali, limpidamente delineati dal Maestro che si celebra in questa occasione[1]; in particolare, un supplemento di attenzione va riservata al ruolo che, all’interno di tale sistema, è destinato a rivestire uno dei suoi protagonisti, il concordato preventivo. 
In effetti, al di là delle modificazioni di cui potrà e, per alcuni aspetti, dovrà essere oggetto, in funzione di una maggior armonizzazione del diritto interno alle indicazioni eurounitarie, il concordato preventivo si trova oggi – e si troverà un domani, nel contesto del Codice della crisi – a dover affrontare la concorrenza di nuovi istituti: il riferimento è, per il concordato con continuità aziendale, alla concorrenza (senza dubbio «leale») dei nuovi accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e, con riguardo al concordato liquidatorio, alla concorrenza (potenzialmente «sleale») del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui agli artt. 18 e 19 dello stesso D.L. n. 118 del 2021[2]. 
In via preliminare, occorre ricordare che il concordato preventivo è contemplato dal Decreto tra i possibili esiti della composizione negoziata[3]. Il terzo comma dell’art. 11 prevede, infatti, a fianco del concordato semplificato liquidatorio di nuovo conio e al piano attestato di risanamento di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) l.fall., l’accesso ad una delle procedure previste dalla legge fallimentare o dalla disciplina dell’amministrazione straordinaria, tra le quali appunto il concordato preventivo. E va subito sottolineato che, nonostante l’evidente preferenza per le soluzioni di cui ai primi due commi dell’art. 11, non tutte le soluzioni indicate dal terzo comma riflettono un insuccesso delle trattative condotte – per singole società o in un contesto unitario di gruppo (art. 13) – nel corso della composizione negoziata. Di «insuccesso» si potrà parlare, tutt’al più, in caso di derive liquidatorie della crisi, nella triplice versione ora prefigurata, in una sorta di climax ascendente, dalla legge, ovvero i) del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, ii) del concordato preventivo liquidatorio «ordinario» e infine iii) di quella liquidazione giudiziale che siamo costretti ancora a denominare (fortunatamente solo per pochi mesi) come fallimento. 
Negli altri casi, per contro, proprio le trattative condotte sotto l’impulso proattivo ed «enzimatico» dell’esperto, potranno contribuire a porre le premesse per l’elaborazione di un piano di risanamento suscettibile di veder convergere l’approvazione della maggioranza dei creditori su una proposta concordataria in uno scenario di continuità aziendale, in forma diretta o indiretta, o, in caso di minore gravità della crisi, su un accordo del tutto stragiudiziale che renda fattibile, e dunque attestabile, il piano di risanamento di cui all’art. 56 del Codice della crisi (per qualche settimana ancora disciplinato dall’art. 67, terzo comma, lett. d) l.fall.)[4]. 
Agli esiti ora individuati, così come a quello «prediletto» dalla nuova disciplina dell’accordo di ristrutturazione con continuità aziendale, si potrà pervenire anche tramite il passaggio intermedio di una convenzione di moratoria, prevista dal primo comma, lett. b), dell’art. 11, che fa rinvio al nuovo art. 182-octies, l.fall., determinando così l’irradiazione di una temporanea «dilazione delle scadenze dei crediti», così come «la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito, in deroga agli articoli 1372 e 1411 del codice civile». Com’è stato osservato, si tratta di una soluzione interinale, volta a permettere la successiva adozione di soluzioni più organiche attraverso la predisposizione di un vero e proprio piano di ristrutturazione in continuità, diretta o indiretta, dell’attività d’impresa[5], tra i quali va senz’altro ricompreso anche il piano concordatario attestato come fattibile in funzione dell’adempimento della proposta da sottoporre all’approvazione dei creditori, che sullo stesso si fonda. 
A quest’ultimo riguardo merita di essere segnalato che la convenzione di moratoria viene considerata dal decreto anche quale possibile approdo unitario delle trattative di gruppo (art. 13 ult. comma), ponendo così le premesse per la stipulazione di un unico accordo tra più società del gruppo, da una parte, e i loro rispettivi creditori, dall’altra: accordo la cui idoneità a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi delle prime sarà oggetto di attestazione da parte dell’esperto in una relazione parimenti unitaria e che andrà comunicata ai creditori in posizione omogenea ai fini dell’estensione dei suoi effetti anche ai non aderenti. Si introduce in tal modo una importante novità che realizza una significativa anticipazione della logica unitaria sottesa alla disciplina dei gruppi dettata dal Codice della crisi, in attesa dell’entrata in vigore degli artt. 284 e ss. dello stesso Codice che consentiranno di approdare a un concordato preventivo (o a un accordo di ristrutturazione) unitario di gruppo. La nuova disciplina non mette peraltro in discussione la perdurante legittimità di separate convenzioni di moratoria per singole società eterodirette o per la stessa capogruppo: una diversa e più tradizionale opzione operativa che potrebbe essere suggerita dall’esperto o dallo stesso attestatore in considerazione della maggior difficoltà di ricondurre ad omogeneità categorie di creditori di distinte società del gruppo e di asseverare che il pregiudizio derivante dall’estensione degli effetti della convenzione risulti «proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite»[6].
Di là da questi sviluppi prossimi venturi, l’insussistenza di una vera e propria graduatoria «gerarchica», sul piano assiologico, tra i possibili strumenti di conservazione della continuità aziendale attivabili all’esito della composizione negoziata trova conferma nell’art. 14 del decreto che prevede, anche nelle ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 11, l’applicazione di misure premiali rappresentate dalla riduzione a metà delle sanzioni ed interessi sui debiti tributari sorti prima dell’istanza di nomina dell’esperto e oggetto della composizione negoziata: un vantaggio fiscale riconosciuto anche in ipotesi di successiva procedura concordataria e dal quale si decade solo nel caso di successivo fallimento o apertura della procedura di amministrazione straordinaria. 
2 . Concordato con continuità aziendale e accordi a efficacia estesa: una insidiosa “concorrenza leale”
Se sul piano teorico il concordato preventivo con continuità aziendale può indubbiamente rappresentare uno dei possibili esiti di «successo» della composizione negoziata, nel nuovo scenario normativo i suoi spazi applicativi si rivelano obiettivamente più angusti rispetto al passato. Tale riduzione costituisce innanzi tutto un corollario della «ristrutturazione espansiva» dell’altra procedura (tale ormai chiaramente riconosciuta dalla normativa, nel solco delle indicazioni della giurisprudenza di legittimità) di prevenzione della crisi. Il riferimento è quegli accordi di ristrutturazione, che già potevano essere considerati uno dei rari (o molti, a seconda dei punti di vista) «fiori all’occhiello» del Codice della crisi (art. 57 ss.), e che vedono nella disciplina degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa – già prevista nell’art. 61 ed ora anticipata nell’art. 182-septies l.fall. – la «porzione normativa» più qualificante e la punta di diamante dell’istituto.
Tale constatazione vale in particolare per gli accordi ad efficacia estesa con continuità aziendale, destinati a erodere gran parte dello spazio applicativo agli altri «strumenti di regolazione della crisi». Tale fenomeno è prevedibile che si verifichi sia «verso il basso», nei confronti dei piani di risanamento attestati[7], sia – ed è questo il profilo sul quale si intende qui porre l’attenzione – «verso l’alto», nei riguardi del concordato preventivo. 
A differenza del concordato con continuità aziendale, l’accordo di ristrutturazione può prevedere la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta, ma non richiede che a tal fine i creditori vengano «soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale». Da quest’ultima condizione risulta ormai affrancato anche l’accordo ad efficacia estesa, alla luce della soppressione di tale requisito, già operata prospetticamente dal decreto correttivo (d.lgs. n. 147/2020) dell’originario inciso finale dell’art. 61, comma 2, lett. b), CCI, ed ora «consacrata», per questi mesi di transizione, nell’art. 182-septies della «vecchia e moritura» legge fallimentare. 
Nel nuovo contesto la prevalenza del ricavato – e la connessa «maledizione dell’impresa ricca»[8] – rimane dunque relegato all’ambito dei concordati preventivi come tratto distintivo rispetto ai concordati liquidatori. In attesa di auspicabili interventi correttivi sull’art. 84 CCI, la differenza tra concordato e accordo di ristrutturazione con continuità aziendale è netta: in quest’ultimo, ai fini dell’estensione degli effetti dell’accordo è condizione necessaria, «ma anche sufficiente», che i non aderenti risultino soddisfatti «in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale»; una condizione il cui difetto, va soggiunto, sarebbe comunque ostativo semplicemente all’estensione degli effetti e non già all’omologazione dell’accordo[9]. 
La forza competitiva dell’accordo di ristrutturazione è ulteriormente accentuata da ulteriori elementi, tra i quali si segnalano: 
i) la peculiare semplificazione anticipatoria dell’accordo agevolato, che potrebbe essere anch’esso ad efficacia estesa (e v. infra);
ii) la piena equiparazione al concordato preventivo in punto tanto di irrevocabilità degli atti compiuti in esecuzione dell’accordo, quanto di riconoscimento della prededuzione alla nuova finanza, ove risulti funzionale alla continuità aziendale[10]; 
iii) la mancata previsione dell’obbligo di indicare nel piano posto alla base dell’accordo un elenco delle azioni risarcitorie (oltre che recuperatorie) esperibili nella procedura (o nell’alternativa della liquidazione giudiziale), che l’art. 87, comma 2, CCI contempla invece tra gli elementi del piano concordatario. 
Quest’ultimo profilo non si esaurisce sul piano formale, posto che tale elenco include in primo luogo quelle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, che il Codice della crisi legittima espressamente il liquidatore del concordato con cessione dei beni a promuovere (o, se pendenti, a proseguire), restando inopponibili nei confronti del liquidatore e dei creditori sociali «ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano» (art. 115 CCI). E a tali differenze si collega un ulteriore profilo differenziale rappresentato dalla soppressione, operata in sede di decreto correttivo (e ora dall’art. 182-septies), dell’obbligo di depositare contestualmente all’accordo quella «insidiosa» relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore, che il secondo comma dell’art. 39 CCI richiede a chi intenda avviare la procedura di concordato preventivo.
Nel contesto della composizione negoziata va inoltre ricordato che il primo comma dell’art. 12 del Decreto prevede espressamente  la conservazione degli effetti degli atti autorizzati dal tribunale, ai sensi dell’art. 10, anche nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, la cui omologazione varrebbe a stabilizzare dunque detti effetti, al pari di quanto avviene nelle procedure di concordato preventivo omologato, fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria o concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’art. 18 dello stesso d.l. 118/2021. Il che implica, tra l’altro, il doveroso riconoscimento della prededuzione ai finanziamenti, anche da parte di soci o infragruppo, che il tribunale abbia autorizzato la società ad acquisire nel corso delle trattative, verificata la loro  funzionalità «rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori»; con una serie di corollari problematici, dei quali si dovrà tenere conto nella redazione del piano sotteso all’accordo, tra i quali l’eventuale esclusione di tali crediti dalla transitoria inesigibilità, conseguente al differimento dei termini di pagamento fino a centoventi giorni dall’omologazione (o dalla scadenza originaria, se successiva). 
Per altro verso, e da ultimo, il favor della nuova disciplina nei confronti dell’accordo di ristrutturazione trova conferma nell’art. 16 del Decreto nel riconoscimento all’esperto di una maggiorazione del cento per cento del compenso «in tutti i casi in cui, anche successivamente alla redazione della relazione finale di cui all’articolo 5, comma 8», venga concluso – oltre al contratto, all’accordo o alla convenzione di moratoria di cui al primo comma dell’articolo 11, commi 1 – un accordo di ristrutturazione (così il quinto comma dell’art. 16).
3 . L’impatto della composizione negoziata sul rapporto tra concordato preventivo e accordi di ristrutturazione: effetti indiretti
La centralità che l’accordo di ristrutturazione verrà a rivestire nel nuovo contesto normativo è tale da determinare una sorta di rivoluzione copernicana rispetto alla visione «tolemaica» che ravvisava nel concordato preventivo lo strumento principe per i risanamenti e le liquidazioni extrafallimentari. Una centralità che potrà essere attenuata, ma difficilmente sarà superata dalle modifiche che si auspica saranno introdotte alla disciplina del concordato preventivo in sede di armonizzazione alla Direttiva europea sui quadri di ristrutturazione[11]. Questa considerazione trova giustificazione proprio negli effetti, diretti e indiretti, della composizione negoziata.
Tra gli effetti «indiretti» fanno spicco i corollari virtuosi dei nuovi doveri di partecipazione alle trattative sanciti dall’art. 4 del Decreto: al dovere di informazione transitiva dell’imprenditore in crisi fanno infatti riscontro i doveri di informazione riflessiva e riscontro reattivo, con «risposta tempestiva e motivata», dei creditori; doveri ulteriormente rafforzati per le banche, gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti, che sono «tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato» e che non possono invocare l’accesso alla composizione negoziata della crisi come causa di revoca degli affidamenti concessi: art. 4, comma 6). 
In queste disposizioni va colta la novità più significativa tra quelle introdotte dall’intera disciplina contenuta nel d.l. 118: le nuove regole si ricollegano alla previsione del generale dovere di «comportarsi secondo buona fede e correttezza» che il Codice della crisi impone a debitore e creditori «[n]ell’esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e durante le trattative che le precedono» (art. 4, co. 1), declinato, quanto ai creditori, nel «dovere, in particolare, di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite» (art. 4, comma 3, CCI). Lo sviluppo di queste previsioni operato dall’art. 4 del d.l. 118/2021 sembra determinare un cambio di paradigma nel nostro sistema delle procedure concorsuali, all’interno del quale i creditori non sono più considerati soltanto come titolari di diritti ma diventano, con una chiarezza sinora inedita sul piano normativo, anche destinatari di doveri. Al riguardo è dato cogliere una linea di continuità fra i doveri imposti ai creditori sin dalla fase delle trattative condotte sotto l’egida dell’esperto e la nuova disciplina (trapiantata nella legge fallimentare, ma già presente in nuce, per i creditori bancari e finanziari, nella disciplina previgente) degli accordi a efficacia estesa: il denominatore comune di tali precetti è costituito dalla imposizione ai creditori di doveri di cooperare alla ristrutturazione, diversamente articolati e declinati nelle diverse fasi di regolazione della crisi.
Rispetto a questa evoluzione, nella quale si percepisce nitidamente la eco dell’elaborazione condotta dalla dottrina tedesca della teoria dei Kooperationspflichten, la nuova disciplina degli accordi ad efficacia estesa sollecita un supplemento di riflessione sul tema della configurabilità dell’obbligo della banca di sostenere finanziariamente l’impresa.  È ben vero che la nuova disciplina ribadisce che ai creditori non aderenti ai quali viene esteso l’accordo non possono comunque «essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti» (così il nuovo art. 182-septies, comma 4, l.fall.). Tale perdurante limite va tuttavia coordinato con la previsione che all’interno della composizione negoziata vieta di revocare gli affidamenti. La disposizione ha cura di precisare che la revoca è vietata esclusivamente se posta in essere «in ragione» dell’accesso alla composizione negoziata[12], rimanendo dunque legittima ove giustificata da «altre» ragioni (come il venir meno di una garanzia)[13]; ma, al di là di tale precisazione e dei rilievi critici sulla genericità dei termini «revoca» e «affidamenti» dalla stessa utilizzati[14],  non pare dubbio che la norma, anche a volerla interpretare restrittivamente (ma avrei molti dubbi al riguardo), introduce nel nostro ordinamento un inedito obbligo di finanziamento, perché comporta il divieto di  pretendere, a seguito di un recesso o di una risoluzione della banca, il rimborso del credito già utilizzato dall’impresa, consentendo pertanto a quest’ultima di beneficiare di una dilazione forzosa.  
Non è questa la sede per approfondire la distinzione, talora disagevole, tra ipotesi di revoca illecita ex art. 4, comma 6 d.l. 118/2021 e revoca lecita perché fondata su inadempimenti o altre circostanze che la consentano, e tanto meno per considerare se nella disposizione in esame possa ravvisarsi l’emersione di un vero e proprio dovere di far credito ex lege; più semplicemente, si intende additare a studiosi e ad operatori l’esigenza di ripensare al radicato idolum theatri della assoluta discrezionalità della banca nella erogazione della nuova finanza. Tale impostazione risulta merita invero di essere riesaminata alla luce dei valori generali dell’ordinamento concorsuale, così come ridisegnato dal Decreto n. 118 del 2021, in sintonia con le previsioni contenute già nell’art. 12, comma 3, del Codice della crisi e, a un livello sovraordinato nella gerarchia delle fonti, nell’art. 7, par. 5, della Direttiva 1023/2019[15]. 
Se queste riflessioni rischiano di condurre (forse troppo) lontano, è evidente che, tornando alla disciplina degli accordi di ristrutturazione e considerando anche il ruolo di interazione informativa assegnato all’esperto, l’attivazione della composizione negoziata potrà aiutare ad incanalare su binari adeguatamente solidi la duplice e coessenziale condizione preliminare richiesta dalla legge ai fini della estensione degli effetti rappresentata, sul fronte sostanziale, dalla omogeneità di posizione dei creditori, che consente di sussumerli in categorie omogenee, e, sul versante processuale, dall’esigenza che «tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti». Le due condizioni sono tra loro evidentemente interrelate: il dovere di informazione del debitore deve avere infatti per oggetto innanzi tutto l’illustrazione della prospettiva della creazione di categorie omogenee, nonché delle ragioni che, giustificando la riconduzione del creditore ad una di esse, legittimerebbero, ove non intendesse aderire all’accordo, la richiesta di una estensione coattiva degli effetti della ristrutturazione che vengano condivisi dalla maggioranza rafforzata dei crediti omogenei. Si tratta di un onere che connota in termini peculiari questa variante di accordi di ristrutturazione e che ha come prima finalità quella di consentire ai creditori un’adeguata e tempestiva valutazione «riflessiva» in ordine alla opportunità di aderire all’accordo, contribuendo a negoziarne se possibile le condizioni[16]. 
Si noti che il legislatore non si accontenta di un coinvolgimento iniziale dei creditori, giacché le «informazioni sull’accordo e sui suoi effetti» possono considerarsi «complete e aggiornate» solo in quanto i creditori siano tenuti costantemente informati dell’evolversi delle trattative finalizzate alla definizione dell’accordo e del perimetro della categoria; del resto, le categorie non devono necessariamente essere formate sin dall’apertura delle trattative, ben potendo essere impostate in una fase successive, quando emerga l’esigenza di prospettare la possibile estensione degli effetti proprio al fine di «forzare» l’adesione di determinati creditori[17]. 
In tale prospettiva, un ruolo proattivo – e finanche «demiurgico» – può essere svolto proprio dalla composizione negoziata, grazie all’intervento dell’esperto: un intervento tanto più importante se si considera che sia la costruzione delle categorie, sia il coinvolgimento nei termini ora indicati dei creditori alle stesse appartenenti vengono a rivestire una maggiore delicatezza rispetto al sottoinsieme dei creditori bancari e finanziari, per la spiccata eterogeneità dei creditori «commerciali», che rende meno agevolmente comparabili le posizioni e potrebbe determinare maggiori rischi di disallineamenti e dunque di arbitrarietà dei criteri costitutivi delle categorie: come insegna del resto l’esperienza delle «classi» nel concordato preventivo, dove non sono mancati, proprio per i creditori non finanziari, i tentativi di collocare «pesci d’acqua salata» in «vasche d’acqua dolce». La relazione dell’esperto potrebbe invero contribuire ad accertare la sussistenza dei requisiti ora richiamati, che in linea di principio vanno compiutamente documentati dal debitore, così agevolando il delicato vaglio che l’autorità giudiziaria è chiamata a svolgere in sede di omologazione[18].
4 . Segue. Effetti diretti: la composizione negoziata come «volano» degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa
A fianco di questi effetti indiretti la legge contempla ora un rilevantissimo effetto diretto, determinato dalla previsione di cui al secondo comma dell’art. 11 del Decreto, ove si prevede che, qualora la relazione finale dell’esperto dia atto della presenza delle condizioni necessarie per il raggiungimento dell’accordo, conseguite anche grazie all’effetto maieutico delle trattative, la percentuale di consensi necessaria per rendere l’accordo vincolante per i creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria si riduca dal settantacinque al sessanta per cento
Questa novità costituisce un importante “volano” che moltiplicherà il ricorso all’accordo di ristrutturazione (e alla composizione negoziata, in funzione di tale importante agevolazione); tanto più se raccordata alla previsione in tema di “transazione” fiscale e previdenziale, che permette di conseguire l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento della percentuale richiesta dalla legge e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore, “la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”[19]. Evidente è infatti l’effetto “moltiplicatore” che potrebbe derivare dal combinato disposto dell’art. 11, comma 2, d.l. 118/2021, e dell’adesione d’ufficio di erario ed enti previdenziali all’accordo ad efficacia estesa. Si pensi al caso limite – dal sapore alquanto scolastico, ma oggi teoricamente possibile – di un accordo di ristrutturazione sottoscritto dal debitore con i titolari del cinquantaquattro per cento dei crediti e che, a seguito dell’omologazione conseguita considerando “aderenti d’ufficio” erario ed enti previdenziali titolari del dieci per cento dei crediti, estenda i propri effetti anche a creditori in posizione omogenea per un ulteriore trentasei per cento dell’esposizione debitoria, così arrivando a vincolare la totalità dei creditori.
Si tratta di una ipotesi consapevolmente scolastica, non essendo realistico che tutti i creditori non aderenti siano riconducibili a categorie omogenee rispetto agli aderenti. Gli esempi ora prospettati valgono peraltro a rimarcare la rilevanza della novità e ad illuminare la netta differenza esistente tra la posizione di erario ed enti previdenziali, da un lato, e creditori appartenenti a categorie omogenee, di cui all’art. 61 CCI, dall’altro: mentre i primi vengono considerati aderenti ai fini del conseguimento delle percentuali richieste, e dunque dell’avveramento di una condizione indefettibile per l’omologazione dell’accordo, per i secondi l’omologazione costituisce il presupposto per l’estensione degli effetti della ristrutturazione. 
Va inoltre sottolineato come l’effetto “iper-irradiante” degli effetti dell’accordo di ristrutturazione potrebbe riscontrarsi, in misura ridotta ma comunque idonea a risolvere situazioni di crisi di minor gravità affrontate con adeguata tempestività, anche a seguito dell’omologazione di accordi agevolati, di cui all’art. 182-novies l. fall. (corrispondente al futuro art. 60 CCI). Il d.l. 118 consente infatti già oggi di pervenire alla omologazione di un accordo di ristrutturazione agevolato che, ove risulti perfezionato a seguito della composizione negoziata e della relazione dell’esperto, determinerebbe l’estensione dei propri effetti ai quattro sesti dei creditori omogenei, ex art. 11, comma 2. Si potrebbe così ipotizzare un accordo concluso dall’imprenditore, da un lato, con una banca titolare del venti per cento dei crediti e, dall’altro, con il principale fornitore titolare del dieci per cento, la cui omologazione sarebbe in astratto suscettibile di determinare una estensione degli effetti sino a un ulteriore venti per cento di creditori omogenei (bancari sino al 13,33% e commerciali sino al 6,66). O ancora a un accordo stipulato con un creditore finanziario titolare del diciotto per cento dei crediti e un fornitore titolare del sei per cento, che potrebbe (largamente) raggiungere la percentuale richiesta in virtù dell’“adesione d’ufficio” di erario ed enti previdenziali titolari di un ulteriore dieci per cento di crediti, vedendo ì estesi i propri effetti, in forza dell’omologazione, a titolari di crediti omogenei agli aderenti per un ulteriore sedici per cento. Nel caso da ultimo esemplificato, l’accordo agevolato, ancorché sottoscritto da creditori titolari di meno di un quarto dell’esposizione debitoria complessiva, verrebbe a coinvolgere nella ristrutturazione esattamente il cinquanta per cento dei crediti e dovrebbe risultare idoneo a soddisfare puntualmente la restante metà dell’esposizione debitoria.
Al di là di queste ultime e peculiari ipotesi di accordo al contempo esteso ed agevolato, la nuova disciplina determina un’estensione oggettiva degli effetti dell’accordo, che tende obiettivamente ad “appropriarsi” dei vantaggi tradizionalmente appannaggio del solo concordato preventivo. E non meno importante è l’estensione soggettiva ai creditori non bancari e finanziari: una estensione riservata all’accordo con continuità aziendale e che viene incontro alla esigenza – avvertita e più volte manifestata dallo stesso ceto bancario –  di coinvolgere in questa particolare sistemazione negoziale della crisi anche un’adeguata percentuale di creditori “commerciali”, condividendo con questi ultimi ristrutturazioni del debito che rappresentano comunque un sacrificio minore rispetto alla deriva liquidatoria e prevenendo condotte opportunistiche che si annidano nella struttura stessa degli accordi in esame che, come noto, presuppongono l’attestazione della loro idoneità ad assicurare il pagamento puntuale e integrale dei creditori estranei. In questa logica ben si comprende che la generalizzazione del meccanismo “coattivo” sia riservata agli accordi diretti a conservare quella continuità aziendale alla quale i creditori “commerciali” risultano maggiormente interessati e alla quale possono sovente concorrere in misura non secondaria. 
Il superamento dei limiti soggettivi operato dalla riforma risulta dunque innanzi tutto funzionale, sia pur indirettamente, ad agevolare il raggiungimento delle percentuali richieste per l’omologazione dell’accordo, inducendo i creditori “commerciali” a uscire dalla tradizionale “apatia opportunistica” e ad aderire a un accordo i cui effetti potrebbero essere comunque loro estesi obtorto collo; e, al contempo, superando le remore degli stessi creditori bancari e finanziari rispetto a soluzioni negoziali che vedrebbero altrimenti gravare su questi ultimi in misura esclusiva (o largamente preponderante) gli oneri della ristrutturazione. L’accordo di ristrutturazione con continuità aziendale ad efficacia estesa, prima ancora che come un meccanismo per estendere coattivamente gli effetti dell’accordo, si presenta dunque come un efficace strumento per dilatare la platea degli aderenti allo stesso, prima all’interno e poi all’esterno delle relative categorie di appartenenza, così da conseguire l’obiettivo, rispettivamente, della maggioranza qualificata (settantacinque, che scende a sessanta post composizione negoziata) dei crediti omogenei e del sessanta (o, nell’accordo agevolato, del trenta) per cento dell’intera esposizione debitoria. 
E ciò è tanto più vero, giova ribadirlo, nel nuovo contesto sistematico introdotto dal d.l. 118 del 2021 – e, in qualche misura, già dal Codice della crisi –  ove si consacra a livello normativo il dovere di debitore e creditori di comportarsi secondo buona fede e correttezza sin dalla fase delle trattative che precede gli accordi e le procedure di regolazione della crisi, imponendo al primo, tra l’altro, di illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza prescelto e ai secondi di collaborare lealmente con il debitore e con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria nelle procedure di regolazione della crisi: così l’art. 4 CCI, verosimilmente destinato a essere rivisto e reso più incisivo alla luce dei principi ora enunciati nel già vigente art. 4 del d.l. 118/2021, che richiedono ai creditori di dare riscontri tempestivi e motivati, imponendo ai titolari di crediti  bancari e finanziari di  partecipare alle trattative in modo attivo e informato[20].
5 . Concordato preventivo liquidatorio e concordato semplificato coattivo di cui all’art. 18 del Decreto: una possibile “concorrenza sleale”?
Come si è anticipato, il concordato preventivo “ordinario” è destinato a subire non soltanto la competizione virtuosa dei nuovi accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, ma anche la concorrenza – diseguale e, ad una prima lettura, finanche “sleale” – del nuovo istituto del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, introdotto dall’art. 18 del Decreto. Un istituto, quest’ultimo, che potrebbe erodere spazi non soltanto al concordato preventivo liquidatorio ma anche a quel concordato con continuità aziendale indiretta, che costituisce la versione di gran lunga più diffusa del concordato con continuità[21]. Com’è reso esplicito dal dato normativo, il piano posto alla base di questo peculiare concordato coattivo può infatti contemplare anche una cessione dell’azienda o di rami aziendali, in funzione della prosecuzione della relativa attività imprenditoriale in una prospettiva di going concern che permetta di conservarne (e dunque realizzarne) appieno il valore.
Va peraltro segnalato che, a differenza degli accordi di ristrutturazione, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio presenta requisiti di accesso delineati dalla legge in termini piuttosto restrittivi. La proposta di concordato semplificato si pone infatti necessariamente a valle di un percorso di composizione negoziata che si accerti essere stato i) ritualmente avviato, sussistendone i presupposti, e ii) concluso senza che sia stato raggiunto uno degli esiti prefigurati dal primo comma dell’art. 11 del Decreto (una delle due forme di accordo con i creditori ivi contemplati oppure la convenzione di moratoria) e senza che il debitore abbia potuto proporre una domanda per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione nei termini più sopra esaminati. 
Questo significa che a tale procedura si potrà accedere soltanto nei casi (certamente non scolastici, ma non frequenti) in cui lo stesso esperto che aveva accertato che una determinata impresa presentava, soltanto pochi mesi prima, concrete prospettive di risanamento – in difetto delle quali non si sarebbe potuta avviare la composizione negoziata  – sia in seguito costretto a registrare che quelle prospettive sono venute meno, essendo la situazione di crisi trascolorata da reversibile ad irreversibile nel corso delle trattative. Ove invece si dovesse accertare l’insussistenza ab origine del necessario presupposto della reversibilità dell’insolvenza e conseguente possibilità di ripristinare la continuità aziendale, il tribunale non potrebbe che constatare la non ritualità della domanda, astenendosi dunque dalla nomina dell’ausiliario, che rimarrebbe preclusa al pari degli altri adempimenti informativi previsti dalla nuova disciplina. 
In altre parole, il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio può trovare accesso soltanto nelle ipotesi di sopravvenuta irreversibilità della crisi all’esito delle (e nonostante le) trattative condotte nel breve arco temporale accordato dal Decreto al percorso di composizione negoziata, che dovrebbe oscillare da centottanta a trecentosessanta giorni[22].
Al riguardo si è osservato, in termini generali, che la relazione finale dell’esperto può in talune ipotesi rappresentare il “bagno di realtà” che fa comprendere agli amministratori che rimane a disposizione della società da loro amministrata la sola soluzione liquidatoria[23]. Tale osservazione coglie indubbiamente nel segno, dovendosi peraltro precisare che la presa d’atto della irrecuperabilità della crisi dovrebbe comunque collegarsi a eventi sopravvenuti nel corso della composizione negoziata, mentre un primo (per quanto, inevitabilmente interlocutorio) “bagno di realtà” deve aver luogo già ab initio, in sede di vaglio preventivo operato dallo stesso imprenditore grazie anche al confronto con l’esperto e, prima ancora, alla valutazione del “responso” della piattaforma telematica; sicché, se già allora non erano ravvisabili alternative alla liquidazione, il percorso della composizione negoziata non si sarebbe potuto avviare e, a fortiori, non sarà attivabile il procedimento di cui agli artt. 18 e 19 del D.L. 118. 
Naturalmente,  si tratta di adottare un approccio adeguatamente duttile, ricordando che l’obiettivo della nuova disciplina è conservare la continuità aziendale o permettere il suo ripristino, sicché anche qualora l’esperto dovesse ravvisare, nella fase iniziale a seguito dei primi colloqui con organi di controllo, revisori e creditori, la presenza di uno stato di insolvenza, “ciò non gli impedisce di avviare la composizione negoziata, a patto che scorga concrete prospettive di risanamento che richiedano di essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito”[25].  Se la presenza di uno stato di insolvenza non preclude necessariamente l’avvio della composizione negoziata, “occorre però che l’esperto reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento che richiedano, per essere ritenute praticabili, l’apertura delle trattative, perché dovranno essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell’azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito”[26]. Pertanto, qualora tali prospettive di recupero della continuità aziendale non risultino sussistenti – o comunque non concretamente praticabili – ab initio[25], l’accertamento della mancanza originaria del presupposto per l’accesso al percorso delle trattative potrebbe riflettersi sulla “ritualità” di una domanda di concordato semplificato presentata al termine di una composizione negoziata indebitamente avviata. Di qui le premesse per prevedibili scenari di liquidazione giudiziale (ancora per poche settimane, “fallimentari”), ma anche per configurare profili di responsabilità in capo agli organi sociali che abbiano dato informazioni non complete o non veritiere, tali da inficiare il vaglio preventivo dell’esperto, ritardando l’accertamento dello stato di insolvenza irreversibile[27].
Se queste considerazioni valgono a sdrammatizzare i rischi, da più parti paventati, di utilizzi abusivi della composizione negoziata ad opera di callidi debitori in funzione prodromica all’avvio del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, è peraltro indubbio che, nei casi in cui tale procedura potrà essere esperita, la snellezza e la velocità che connotano questo strumento rappresenteranno degli atouts che lo renderanno assolutamente competitivo rispetto al tradizionale concordato “ordinario”, tanto nella versione liquidatoria, quanto in quella con continuità aziendale indiretta: elementi ai quali si correlano anche minori costi che, da soli, potrebbero determinare un vantaggio rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale[28].
Non è questa la sede per addentrarsi nell’ulteriore requisito della “utilità”, che la proposta di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio deve assicurare a ciascun creditore. Merita piuttosto di essere sottolineato come alla più serrata tempistica della liquidazione e al prevedibile risparmio di costi si potrebbero affiancare altri e meno commendevoli “vantaggi” rispetto al concordato “ordinario”. Nel concordato semplificato, infatti il debitore i) è già oggi, posto al riparo dal rischio di proposte concorrenti e ii) un domani, potrebbe non soggiacere all’obbligo di depositare quella “insidiosa” relazione riepilogativa degli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio anteriore, di cui al secondo comma dell’art. 39 CCI, che deve indefettibilmente integrare la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo “ordinario” e che può essere collegata all’esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali. Profili, questi ultimi,  sui quali, è auspicabile che in sede di ultima revisione e di varo definitivo del Codice della crisi, vengano operati opportuni raccordi per prevenire i rischi di concorrenza “sleale” tra i due istituti, quanto meno estendendo espressamente la legittimazione all’esercizio delle azioni di responsabilità al liquidatore giudiziale del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (nel solco della previsione di cui all’art. 115 CCI).
6 . Considerazioni conclusive («en attendant» il Codice della crisi)
Da queste prime riflessioni risulta dunque confermato che le nuove regole introdotte dal d.l. n. 118 del 2021 in tema di accordi di ristrutturazione, da un lato, e di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, dall’altro, determinano una erosione dello spazio applicativo del concordato preventivo, sia esso liquidatorio o in continuità aziendale. Tale erosione risulterà inversamente proporzionale all’intensità degli interventi che saranno realizzati nella versione finale degli artt. 84 ss. del Codice della crisi, ma sembra comunque destinata a prodursi in termini tali da consolidare il progressivo rovesciamento, già in atto, nel rapporto quantitativo tra concordati preventivi e accordi di ristrutturazione. 
Sul primo fronte, il passaggio attraverso la composizione negoziata e la nuova disciplina della transazione fiscale e contributiva determinano un sensibile avvicinamento dei quozienti di “adesione effettiva” all’accordo alla maggioranza richiesta per l’approvazione del concordato preventivo e della forza espansiva della volontà maggioritaria (qui del 60% rispetto alla maggioranza semplice richiesta per l’approvazione della proposta di concordato) a categorie di creditori omogenei assimilabili alle classi concordatarie. Si viene così a delineare uno scenario inedito che, mentre sul piano teorico, induce a riconsiderare con particolare attenzione l’impostazione dottrinale che qualifica l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa come un “procedimento ibrido”, retto sia dalle regole della concorsualità, sia dalle regole dei contratti[29], sul versante applicativo pone le premesse per una espansione delle prospettive applicative degli accordi di ristrutturazione direttamente proporzionale alla espansione della disciplina dell’istituto in esame operata dal Codice della crisi.
Se queste considerazioni valgono per le imprese commerciali, non meno rilevanti sono i riflessi sulle imprese agricole, dovendosi sottolineare l’importanza che per tali realtà verranno a rivestire tanto l’accordo di ristrutturazione, quanto lo stesso concordato preventivo: non soltanto in relazione alla previsione di cui all’art. art. 166, co. 3, lett. e), del Codice della crisi, che protegge gli atti di esecuzione dell’accordo anche dalla revocatoria ordinaria, ma altresì come strumento di prevenzione di quel “fallimento minore” che, al di là dei nomina, può considerarsi la procedura di liquidazione controllata, in quanto attivabile, un domani, anche su domanda di un creditore e del pubblico ministero (art. 268, co. 2 CCI)[30].
In ogni caso, sia nello scenario liquidatorio, sia nella diversa (e auspicabile) prospettiva della continuità aziendale, gli imprenditori e i loro consulenti dovranno gestire con grande attenzione la delicata fase intermedia che seguirà la chiusura della composizione negoziata. In tale contesto andranno infatti debitamente considerati, da un lato, il venir meno delle eventuali misure protettive, di cui le imprese beneficiano in pendenza della composizione negoziata per un arco temporale massimo di duecentoquaranta giorni, e, dall’altro, la riespansione degli obblighi di ricapitalizzazione, automaticamente sospesi a seguito della dichiarazione di cui all’art. 8 del decreto, con i connessi obblighi di gestione conservativa e la responsabilità aggravata di cui all’art. 2486 c.c. Di qui l’importanza della tempestiva presentazione delle eventuali domande di concessione dei termini per il deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, entrambe idonee a ripristinare l’ombrello protettivo necessario per perfezionare il percorso di risanamento; mentre non meno acceleratoria è la tempistica richiesta per la predisposizione della proposta di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, che il decreto richiede di depositare nel breve termine di sessanta giorni dalla comunicazione della relazione finale dell’esperto.
Sullo sfondo si colloca il più ingombrante e inquietante tra i “convitati di pietra” della nuova disciplina concorsuale, rappresentato dal limite massimo di durata della sospensione delle azioni esecutive, che il Codice della crisi – in questo caso, in puntuale attuazione della Direttiva 1023/2019 – determina, come noto, in dodici mesi, anche non continuativi e con inclusione di eventuali rinnovi o proroghe[31]. Si tratta di un limite temporale invalicabile, proprio per la fonte eurounitaria del vincolo, e destinato a rivelarsi tanto più angusto in contesti, come le trattative di gruppo di cui all’art. 13 del d.l. 118, che presentano una complessità tale da rendere problematico non soltanto il conseguimento di soluzioni nel semestre prefigurato di regola per la composizione negoziata, ma anche il perfezionamento del percorso di risanamento con strumenti più strutturati nei successivi sei mesi.
Ma anche al di fuori delle realtà di gruppo, è evidente che tale circoscritto arco temporale mal si concilia con i tempi normalmente richiesti per il completamento della (e, in taluni casi, per la stessa ammissione alla) procedura concordataria, mentre potrebbe risultare non incompatibile con gli accordi di ristrutturazione, sospingendo in un comune sforzo organizzativo imprese, professionisti e autorità giudiziaria ad approdare ad una loro omologazione nel contesto di una perdurante protezione da azioni individuali e, dunque, con un più efficace presidio, al contempo, della fattibilità del piano di risanamento e della parità di trattamento dei creditori.

Note:

[1] 
E v. le considerazioni, in gran parte anticipatorie delle successive evoluzioni normative, di S. Fortunato, Procedure concorsuali e società nella prospettiva della riforma, in Giur. comm., 2004, I, pp. 213 ss., nonché i più recenti contributi Id., Codice della crisi e Codice civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, in Riv. soc., 2019, pp. 952 ss. e Id., Assetti organizzativi e crisi d’impresa: una sintesi, in Rivista OdC, 2021, 2, pp. 549 ss. Per un inquadramento aggiornato del sistema delle procedure concorsuali si vedano, tra i contributi più recenti Sui principi sui quali si fonda il sistema delle procedure concorsuali, come ridisegnato dal d.l. 11 v. A. Nigro e D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2021; M. Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2021; G. Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021.
[2] 
Tra i primi commenti al d.l. n. 118 si vedano, per tutti, L. Panzani, Il D.L. «Pagni» ovvero la lezione (positiva) del covid, su www.dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021; I. Pagni e M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata e viceversa, su www.dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021; D. Galletti, Breve storia di una (contro)riforma «annunciata», su www.ilfallimentarista.it, 1 settembre 2021; A. Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse «a prima lettura», in www.dirittodellacrisi.it, 6 settembre 2021; S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal d.l. 118 del 202, in www.dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2021;A. Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma, in www.dirittodellacrisi.it, 1° ottobre 2021; V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in www.dirittodellacrisi.it, 26 ottobre 2021; A. Rossi, I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa, in www.dirittodellacrisi.it, 30 novembre 2021.
[3] 
Sui possibili esiti della composizione negoziata v. V. Zanichelli, Gli esiti possibili, cit. e L. Panzani, Gli esiti possibili delle trattative e gli effetti in caso di insuccesso, in Fallimento, 2021, I, pp. 1591 ss.
[4] 
Del resto, anche il concordato semplificato liquidatorio andrebbe collocato in un’area intermedia potendo risultare funzionale ad una prosecuzione dell’impresa in continuità indiretta, tramite la cessione dei rami aziendali dell’impresa in crisi, eventualmente resa possibile proprio grazie alle trattative condotte durante la composizione negoziale; mentre la stessa variante meramente liquidatoria del nuovo istituto presuppone un soddisfacimento dei creditori in termini non deteriori rispetto alla liquidazione concorsuale.
[5] 
Così L. Panzani, op. cit., ove si sottolinea il «conseguente onere dell’esperto di indicare nella relazione finale quali altri strumenti dovranno essere successivamente adottati per soddisfare la condizione posta dall’incipit del primo comma dell’art. 11, e cioè che sia stata individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di crisi o di insolvenza». L’inclusione di uno strumento interinale come la convenzione di moratoria tra gli strumenti considerati dal primo comma dell’art. 11, induce ad estendere l’ambito funzionale delle possibili soluzioni della composizione negoziata ivi contemplate e, più in generale, ad escludere che sussista una graduatoria «gerarchica» (sul piano assiologico) tra i possibili strumenti di conservazione della continuità aziendali attivabili all’esito della composizione negoziata (e v. le considerazioni svolte nel testo). Sul punto v. anche Zanichelli, Gli esiti possibili, cit.
[6] 
In argomento v. N Abriani e G. Scognamiglio, Crisi dei gruppi e composizione negoziata, in L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi (a cura di), Le nuove misure di regolazione delle crisi d’impresa, in Diritto della crisi, Numero speciale, novembre 2021, pp. 125 ss.; e v., più ampiamente, N. Abriani, La crisi dei gruppi di imprese tra composizione negoziata e Codice della crisi, in corso di pubblicazione in Riv. dir. comm., 2022.
[7] 
Nel Codice della crisi i piani di risanamento attestati vengono presentati, sin dal loro nomen, come una versione minore degli accordi di ristrutturazione: appunto degli accordi di ristrutturazione non destinati ad omologazione, e dunque totalmente stragiudiziali, con corollari che si apprezzano in punto di minore tutela da future azioni revocatorie (e v. la diversa formulazione della lett. d), rispetto alla lett. e), del co. 3 dell’art. 166 CCI). A ciò si aggiunga la (dubbia e certamente correggibile in sede di formulazione finale del Codice) ablazione della versione unilaterale dell’istituto e il (sicuro e sensibile) appesantimento documentale e procedimentale imposto dall’art. 56 CCI. Sotto altro versante, i piani attestati, non dando luogo a una «domanda di accesso» a una «procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza», risultavano inidonei ad ottenere il riconoscimento delle misure premiali previsti dall’art. 25 CCI ed anche a sterilizzare gli obblighi di segnalazione dei creditori pubblici qualificati di cui all’auspicabilmente superato art. 15 CCI; effetti che potrebbero invece conseguire da una tempestiva presentazione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione.
[8] 
L’efficace espressione si deve a L. Stanghellini, La continuità aziendale anche alla luce della Direttiva europea. Storia e contorsioni di un’idea, relazione al Corso di perfezionamento La riforma del diritto fallimentare. Il dialogo tra la giurisprudenza e il legislatore e le novità di immediata applicazione, Firenze, 14 marzo 2019, ripreso da A. Zorzi, Concordato con continuità e concordato liquidatorio: oltre le etichette, in Dir. fall., 2020, p. 69.
[9] 
Salva l’ipotesi in cui, in base al piano e all’attestazione, la mancata estensione degli effetti ai creditori omogenei risulti tale da precludere la fattibilità del piano.
[10] 
Sul riconoscimento all’accordo con continuità aziendale della prededuzione in relazione ai crediti derivanti da «finanziamenti in qualsiasi forma effettuati, ivi compresa l’emissione di garanzie, in esecuzione dell’accordo», sul presupposto peraltro non soltanto della intervenuta omologazione dell’accordo, ma altresì della espressa previsione di tali finanziamenti nel piano ad esso sottostante, v. l’art. 101 CCI.
[11] 
Sulla Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva, si veda, oltre alle relazioni di Giorgio Lener e Paola Vella in questa stessa tavola rotonda: L. Stanghellini, La proposta di Direttiva UE in materia d’insolvenza, in Il fallimento, 2017, pp. 873 ss.; A. Nigro, La proposta di Direttiva Comunitaria in materia di disciplina della crisi delle imprese, in Riv. dir. comm., 2017, I, p. 20 ss.; L. Panzani, Il preventive restructuring framework nella direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in www.ilcaso.it, 14 ottobre 2019, p. 10; S. Pacchi, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2019/1023, in Dir. fall., 2019, I, p. 1259 ss.
[12] 
In tal senso la lettera della norma, ove si prevede che «[l]’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca».
[13] 
Il punto è sottolineato da S. Bonfatti, La nuova finanza bancaria, in Diritto della crisi, 14 dicembre 2021, p. 17 ss.; e v. già, con riguardo allo speculare divieto previsto dall’art. 12, comma 3, c.c.i., con riferimento alle procedure di allerta,  R. Rordorf, in I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi, in Fallimento, 2021, p. 589 ss.; V. Mazzoletti, Ruolo e responsabilità delle banche nelle fasi di allerta e composizione della crisi, ivi, 2020, p. 301 ss.; L. Ardizzone e A. Principato, Il ruolo della banca nella emersione tempestiva della crisi delle imprese soggette agli strumenti di allerta, in Banca impresa società, 2021, p. 77 ss.
[14] 
E v. i rilievi di S. Bonfatti, op. loc. ult. cit.
[15] 
Uno scenario nuovo, nel quale si potrebbe fare tesoro degli spunti offerti dalla dottrina tedesca sul punto: punto: per tutti H. Eidenmüller, Reformperspektiven im Restrukturierungsrecht, in ZIP, 2010, p. 659; Id., § 217, Münchener Kommentar zur Insovlenzordnung, 2014, Rn. 106 e 108; H.G. Bamberger, Mitwirkungspflichten, in Recht der Sanierungs– finanziarugn, Berlin, Heidelberg, New York, 2005, p. 441 ss. (e v. già E.G. Voglis, Kreditkündigung und Kreditgeverweigerung der Banken im Lichte von Treu und Glauben, München, 2001, p. 147 ss.). Per una più approfondita indagine in merito al dovere della banca di prendere parte alle trattative con l’imprenditore previsto tanto nel Codice della crisi quanto nel d.l. 118/2021 e ai corollari che esso può avere sulla discrezionalità tralatiziamente riconosciuta agli istituti di credito in merito alla scelta se concedere o meno nuova finanza alle imprese v. L. Benedetti, Le mobili frontiere della responsabilità della banca nell’erogazione del credito all’impresa in crisi, consultato in bozza per cortesia dell’autore. In tale ridefinito contesto assiologico, andrebbero ripensate anche le ragioni sottese al diverso trattamento delle banche rispetto ad altri creditori strategici «commerciali», non già per svincolare le prime dai più pregnanti doveri di cooperazione ora introdotti, ma piuttosto per riferirli, con i dovuti adattamenti, anche a questi ultimi, valorizzando l’estensione operata dal decreto 118 anche a questi ultimi dell’efficacia degli accordi di ristrutturazione. In generale, sull’influenza che è destinato ad avere, anche in ordine alla ridefinizione restrittiva della fattispecie della concessione abusiva di credito, il favor dell’ordinamento per l’erogazione di nuova finanza alle imprese in crisi, almeno in quanto realizzata all’interno di percorsi di soluzione negoziata della crisi stessa, v. N. Abriani e L. Benedetti, Finanziamenti all’impresa in crisi e abusiva concessione di credito: un ulteriore frammento della disciplina speciale dell’impresa in crisi, in Banca, borsa, tit. cred., 2020, I, p. 41 ss.; D. Vattermoli, Il creditore-banca nelle soluzioni negoziate della crisi, in Dir. banc. merc. fin., 2015, p. 207; M. Miola, Profili del finanziamento dell’impresa in crisi tra finalità di risanamento e doveri gestori, in Riv. dir. civ., 2014, p. 1090 ss.; e v. già gli antesignani e spunti di A. Nigro, “Privatizzazione” delle procedure concorsuali e ruolo delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 359 ss.
[16] 
E v. Trib. Milano, 11 febbraio 2016, in www.ilcaso.it, ove si chiarisce che tutti i creditori bancari o intermediari finanziari che la proposta inserisce nell’ambito di un accordo ad efficacia estesa ex art. 182-septies l.fall., devono essere informati della ricaduta dell’accordo sui creditori non aderenti in maniera tale che ciascuno sia posto nella condizione di operare una consapevole scelta in ordine alla proposta e alle eventuali scelte difensive (opposizione) da adottare. In dottrina, P. Benazzo, L’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari. Le trattative: l'informazione sul loro avvio e la possibilità di parteciparvi in “buona fede”, in Il Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e nuova disciplina in materia bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, p. 781.
[17] 
Così, con riguardo agli accordi ad efficacia estesa con banche e intermediari finanziari, L. De Simone, Gli accordi ad efficacia estesa alla prova del Covid-19, in Dirittodellacrisi.it, per la quale la decisione di costituire le categorie potrebbe essere assunta «anche nella fase finale delle trattative, allorquando si generi una situazione di impasse non risolvibile, che diversamente costringerebbe l’imprenditore ad affrontare la strada del concordato preventivo, per poi magari, in quella sede classare i creditori ricercando una omogeneità di interessi economici e di posizione giuridica».
[18] 
All’esito di tale scrutinio, rimarrà pertanto preclusa l’irradiazione degli effetti estensivi nei riguardi di quei creditori la cui posizione non consenta di sussumerli nella categoria o che non risultino essere stati adeguatamente coinvolti ed informati, salvo poi verificare se la mancata estensione a tali creditori degli effetti negoziali sia suscettibile di riverberarsi sulla complessiva fattibilità del piano al punto da risultare ostativa all’omologazione dell’intero accordo. L’esigenza che il tribunale operi un controllo «in maniera “rigorosa” e “puntuale”» sulla effettiva omogeneità dei creditori all’interno della categoria individuata dal debitore, è sottolineata da A. Nigro e D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2021, p. 484. Tra i rari precedenti in tema di accordo ad efficacia estesa ex art. 182-septies l.fall., per il quale valgono peraltro i distinguo segnalati nel testo, v. Trib. Milano, 11 febbraio 2016, cit., che ha ritenuto congrua la distinzione delle categorie in relazione alla natura del credito (ipotecario o chirografario), alla tipologia dell’operazione fonte del credito verso la società debitrice (mutuo o affidamenti su conti correnti, fideiussione) e al relativo interesse economico, giustificando in particolare la distinzione tra crediti bancari per affidamenti concessi e crediti per fideiussioni prestate dalle banche in relazioni a operazioni creditizie di cui sono titolari società del gruppo della proponente l’accordo. In argomento v. F. Lamanna, Le classi/categorie nell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e nella convenzione di moratoria, in www.ilfallimentarista.it, 7 gennaio 2016, p. 3; A. De Pra, Le condizioni dell’accordo di ristrutturazione dei debiti con intermediari finanziari, in Giur. comm., 2016, II, p. 1284.
[19] 
Così il quarto comma dell’art. 182-bis l.fall., a seguito dell’inserimento ad opera della legge di conversione n. 159 del 27 novembre 2020 di un co. 1-bis nell’art. 3 del d.l. n. 125/2020. Il tenore della disposizione è stato adeguato dal d.l. 118/2021 a quello di cui al quarto comma dell’art. 180 l.fall. con riferimento al concordato preventivo, onde precisare analoga rilevanza del silenzio-assenso dell’erari o dell’ente previdenziale.
[20] 
E v. supra, nel testo.
[21] 
Sulla distinzione – invero labile e sfuggente – tra concordato liquidatorio e concordato con continuità indiretta, v. per tutti A. Zorzi, Concordato con continuità, cit., 58 ss.
[22] 
L’art. 5 fissa infatti in centottanta giorni la durata massima della composizione negoziata, consentendone la prosecuzione «per non oltre centottanta giorni quando tutte le parti lo richiedono e l’esperto vi acconsente, oppure quando la prosecuzione dell’incarico è resa necessaria dal ricorso dell’imprenditore al tribunale ai sensi degli articoli 7 e 10» (art. 5, comma 7). A sua volta, l’art. 7 del Decreto, nel rimettere all’autorità giudiziaria competente la determinazione della durata, «non inferiore a trenta e non superiore a centoventi giorni», delle misure protettive, soggiunge che lo stesso giudice,  può prorogare la durata delle misure disposte, su istanza delle parti e acquisito il parere dell’esperto, per il tempo necessario ad assicurare il buon esito delle trattative, precisando che la «durata complessiva delle misure non può superare i duecentoquaranta giorni» (art. 7, comma 5). Dunque, l’estensione oltre i duecentoquaranta giorni lascerebbe l’impresa coinvolta nel percorso di composizione negoziata priva delle tutele accordate dalle misure protettive.
[23] 
Così L. Panzani, Gli esiti, cit.
[24] 
Così I. Pagni e M. Fabiani, La transizione, cit., per i quali, specularmente, «la via della composizione non sarà praticabile se, pur in una situazione di crisi appena accennata, non vi siano le condizioni per proseguire l’attività, neppure mediante trasferimento dell’azienda a terzi» (come nel caso «dell’impresa che produce beni o servizi obsoleti e che non abbia le capacità o le risorse per una riconversione in beni o servizi produttivi»). E v. già lo spunto magistralmente offerto, con riguardo al Codice della crisi, da A. Jorio, La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in Dir. fall.., 2019, I, p. 290 ss., ove si sottolineava l’esigenza di un’apertura delle procedure di allerta ad accogliere anche situazioni di insolvenza, purché reversibile. Più di recente, sul progressivo spostamento del fuoco normativo dall’insolvenza, a seguito della crisi determinata dalla pandemia, v. le considerazioni svolte da N. Abriani e G. Palomba, Strumenti e procedure di allerta: una sfida culturale (con una postilla sul Codice della crisi dopo la pandemia da Coronavirus), in www.osservatorio-oci.org; A. M. Leozappa, Uno statuto normativo per l’impresa in tempo di crisi, in ilfallimentarista.it, 22 aprile 2020; V. Minervini, Il (necessario) ripensamento delle procedure concorsuali dopo il “lockdown: dal concetto di “insolvenza” a quello di “risanabilità”?, in Dir. fall., 2020, p. 965.
[25] 
In tal senso il Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, Sezione III (Protocollo di conduzione della composizione negoziata), 2.4.
[26] 
E v. ancora il Decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, ove tale situazione viene tipicamente ravvisata «a fronte i) di una continuità aziendale che distrugge risorse, ii) dell’indisponibilità dell’imprenditore a immetterne di nuove, iii) dell’assenza di qualsiasi valore del compendio aziendale», la cui convergenza renderebbe «assai remote» le probabilità che l’insolvenza sia reversibile, «indipendentemente dalle scelte dei creditori».
[27] 
Su un piano a sé stante si collocano gli eventuali profili di responsabilità dei revisori esterni e finanche dello stesso esperto che abbia indebitamente avviato la composizione in un contesto di insolvenza che risultava già irreversibile.
[28] 
A questo riguardo va sottolineato che la legge si limita a richiedere che l’esito del concordato semplificato risulti «non pregiudizievole», indirizzando l’interprete a operare la comparazione unicamente con la liquidazione giudiziale e non con altre possibili soluzioni, tra le quali il concordato preventivo, che pure potrebbe, ad esempio, aver luogo in un contesto di continuità indiretta non dissimile rispetto alla ricordata variante del concordato semplificato con cessione di azienda e beneficiare degli effetti virtuosi di potenziali proposte concorrenti: e v. infra.
[29] 
M. Fabiani, Gli accordi di ristrutturazione nella cornice della tutela dei diritti e la rilevanza della fattispecie speciale di cui all’art. 182-septies l.fall. in chiave di collettivizzazione della crisi, in Il fallimento, 2016, p. 917 ss., che, sulla base di tale premessa, considera il principio maggioritario immanente alla disciplina dell’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa; e per uno spunto in tale direzione v. ora l’art. 341, co. 3 CCI, che estende agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (e alla convenzione di moratoria), tra gli altri, il reato di «mercato di voto», configurabile quando il creditore «stipula con l’imprenditore» in crisi «nell’interesse del predetto vantaggi a proprio favore per dare il suo voto»: espressione che parrebbe dunque riferibile, nella specie, alla adesione all’accordo di ristrutturazione (o alla convenzione di moratoria).
[30] 
D’altro canto, nel Codice della crisi lo stesso concordato minore, qualora non sia funzionale a consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale (e dunque abbia carattere liquidatorio), potrà essere proposto dall’imprenditore agricolo soltanto ove sia contemplato «l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori» (art. 74 CCI).
[31] 
E v. l’art. 6, par. 8 e il Considerando n. 35 della Direttiva n. 2019/1023 (e già l’art. 8 CCI). In argomento, L. Panzani, Il D.L. “Pagni”, cit., p. 46, ove si richiama anche la disciplina del regolamento 848/2015 UE in materia di insolvenza transfrontaliera, che potrebbe assumere rilievo ove le trattative possano sfociare in una procedura che rientri nell’ambito della previsione dell’allegato A al regolamento.

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