Saggio
Anticipazioni del codice della crisi: le modifiche della legge fallimentare*
Giovanni Battista Nardecchia, Sostituto procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazione
13 Gennaio 2022
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Sommario:
Ove si ritenga possibile costruire adr agevolati ad efficacia estesa, al debitore sarà possibile dapprima raggiungere l’accordo con creditori che rappresentino almeno il 30% dei crediti e successivamente estendere, in forza dell’art. 182-septies l.fall., il trattamento convenuto ai non aderenti compresi nelle categorie omogenee, alla condizione che gli aderenti in tali categorie raggiungano comunque il 75% della categoria.
Sempre che l’accordo preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta, ovvero l’impresa abbia debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo.
Non paiono esservi ragioni decisive che, in assenza di un espresso divieto normativo, impediscano l’utilizzo combinato delle due procedure, né tale divieto pare potersi evincere da una ricostruzione sistematica degli istituti, dato che entrambi costituiscono delle sottocategorie degli adr, prive di autonomia rispetto alla procedura “madre” la cui disciplina è pacificamente applicabile per tutto ciò che non riguarda i profili propri delle singole ipotesi speciali (per gli adr agevolati, ad esempio la percentuale di adesione e la mancanza di misure protettive, per gli adr ad efficacia estesa i presupposti e naturalmente l’estensione coattiva degli effetti ai non aderenti).
Il che consentirebbe un significativo ampliamento del novero dei creditori soggetti alle condizioni dell’accordo.
L’estensione degli effetti non si traduce un ampliamento coattivo della platea degli aderenti, per cui la percentuale minima di adesioni del 30% deve comunque essere calcolata con riferimento ai soli crediti degli aderenti e non anche con riferimento a quelli dei creditori cui venga estesa per effetto del provvedimento del tribunale l'efficacia dell'accordo di ristrutturazione.
La combinazione dei due istituti presuppone che il debitore debba depositare un adr agevolato che preveda la suddivisione dei creditori in categorie individuate tenuto conto dell’omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici.
E qui potrebbe forse ipotizzarsi l’unico ostacolo di natura sistematica derivante dalla combinazione di due istituti, di cui l’uno impone entro le singole categorie una percentuale di adesioni del 75%, l’altro ammette tuttavia, ai fini dell’omolga, che tali adesioni possano poi raggiungere il solo 30% del montante complessivo dei crediti.
Con il risultato che non essendo sicuramente possibile raggiungere la percentuale di adesione del 75% in tutte le categorie, il debitore potrebbe chiedere l’estensione degli effetti soltanto con riferimento ad alcune di esse.
Problema che non pare insormontabile dato che anche nella fattispecie ordinaria degli adr ad efficacia estesa, quella disciplinata dal novello art. 182-septies l.fall. vi è uno scarto tra percentuale di adesione ai fini dell’estensione degli effetti e percentuale di adesione ai fini dell’omologa.
Scarto sicuramente meno significativo dal punto di vista matematico, ma ugualmente esemplificativo, dal punto di vista sistematico, del fatto che il principio in forza del quale gli effetti dell’accordo vengono estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria non si traduce nella necessità che ciò avvenga per tutte le categorie, anche perché altrimenti ciò porterebbe al paradossale risultato di un accordo con efficacia estesa e necessaria nei confronti di tutti i creditori.
Non minori problematiche pone il secondo requisito di cui alla lettera b). Il chiaro presupposto previsto dall’art. 60 CCII, secondo cui il debitore può depositare l’accordo agevolato ove “non abbia richiesto e rinunci a richiedere misure protettive”, risulta di difficile e contraddittoria applicazione nel regime attuale, caratterizzato com’è dalla regola dell’automaticità dell’effetto protettivo collegato al deposito della domanda. Con l’unica eccezione rappresentata dal procedimento di cui all’articolo 182-bis comma 6 l.fall., che presenta un maccanismo analogo a quello del CCII e che quindi è correttamente richiamato dall’art. 182-novies l.fall. richiedendosi che il debitore “non abbia richiesto la sospensione prevista dall’articolo 182 -bis , sesto comma”.
L’istituto del cd. pre-accordo di cui all’art. 182-bis comma 6 l.fall. appare l’unica procedura in linea con il CCII e quindi con l’originaria impostazione della norma di cui all’art. 60 CCII, il cui adattamento sull’attuale impianto della legge fallimentare determina anche in questo caso effetti distorsivi rispetto al chiaro intento del legislatore di consentire al debitore l’accesso agli accordi agevolati soltano ove egli rinunci alla protezione.
Da una parte per evitare la protezione si impedisce l’accesso del debitore alla domanda prenotativa al ricorso previsto dall’articolo 161, sesto comma l.fall., dall’altra si prende atto, nel silenzio della norma, che tale effetto protettivo è comunque collegato al deposito dell’accordo, anche se agevolato, ai sensi dell’art. 182-bis comma 3 l.fall.
Senza considerare, inoltre, che il debitore potrebbe godere di una protezione ben più lunga ove il deposito dell’accordo fosse preceduto dal procedimento di composizione negoziata o dalla convezione di moratoria. Da procedimenti, cioè, che prevedono la concessione di misure protettive su richiesta de debitore e che non appaiono di certo incompatibili con il successivo deposito di un accordo di ristrutturazione agevolato, essendo anzi in un caso tale sbocco espressamente previsto dalla legge : come è ben noto, infatti, ai sensi dell’art. 11 comma 2 del dl. 118/2021 convertito nella legge 21 ottobre 2021, n. 147, l’imprenditore può, all’esito delle trattative, domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli articoli 182 -bis , 182 -septies e 182 -novies.
In definitiva l’utilizzo combinato di vari istituti potrebbe assicurare al debitore una protezione sia nel periodo antecedente che in quello successivo al deposito dell’accordo agevolato, i cui effetti potrebbero essere estesi anche a creditori diversi ed ulteriori da quelli effettivamente aderenti.
Conclusioni che se da una parte ampliano l’appeal dell’istituto e quindi il novero dei debitori che potrebbero farne ricorso, dall’altra evidenziano il rischio che esso finisca per tradire quello che era il chiaro intento del legislatore: premiare con il dimezzamento della percentuale necessaria di adesioni l’accesso ad una procedura di soluzione della crisi soluzione in una fase così anticipata da neutralizzare il rischio di iniziative aggressive dei creditori e da non rendere quindi necessaria l’attivazione di meccanismi di protezione dalle azioni esecutive.
Il procedimento segue quello ordinario dettato dall’ar. 182-bis l.fall.
Nel caso del deposito del ricorso di un accordo di ristrutturazione agevolato, il debitore dovrà esporre la percentuale ridotta dei creditori aderenti, l’eventuale richiesta di estensione degli effetti dell’accordo e prevedere il pagamento degli estranei alla scadenza dei rispettivi crediti, non potendo egli avvalersi della moratoria di cui all’articolo182 -bis , primo comma, lettere a) e b) l.fall.
Se nel corso del procedimento di omologazione dovessero aggiungersi altre adesioni tali da raggiungere la soglia ordinaria del 60% il debitore in forza dell’art. 182-bis comma 8, l.fall. potrebbe richiedere, previo rinnovo dell’attestazione, la modifica del piano e/o degli accordi ed il rinnovo delle manifestazioni di consenso ai creditori parti originarie degli accordi.
Il che comporterebbe naturalmente l’automatica reviviscenza della moratoria di cui all’articolo182 -bis , primo comma, lettere a) e b) l.fall.
Analogo meccanismo potrebbe essere utilizzato nell’ipotesi opposta, quando cioè il debitore per qualsiasi ragione perda una parte dei consensi acquisiti scendendo sotto la percentuale di adesioni del 60%.
Infine non sembrano esservi ostacoli a che l’art. 182-bis comma 8 l.fall. possa essere utilizzato nel corso del procedimento dal debitore anche per avvalersi del meccanismo di estensione degli effetti dell’accordo ai sensi del novellato art. 182-septies l.fall.
Sempre al fine di favorire la continuità nel corpo dell’art. 182 quinquies l.fall. è stata introdotta una norma, contenuta anch’essa nell’art. 100 del CCII, che, in deroga alla regola della cristallizzazione del patrimonio, consente al debitore, quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale, il pagamento alle scadenze convenute delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all’esercizio dell’impresa, a condizione che, alla data della presentazione della domanda di concordato, egli abbia adempiuto le proprie obbligazioni o che il tribunale lo autorizzi al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data. Un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 comma 3, lett. d) l.fall. deve attestare che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori. Il legislatore ha opportunamente anticipato l’entrata in vigore della norma dato che in una simile eventualità, in forza dell’art. 55 l. fall. – applicabile al concordato preventivo in virtù del richiamo ad esso operato dall’art. 169 l. fall. – le future rate, comprensive della quota capitale e degli interessi, non ancora esigibili, dovevano comunque essere considerate scadute, non potendo le stesse sottrarsi alla disciplina dell’anticipata scadenza, alla data di presentazione della domanda di concordato, di tutti i debiti pecuniari. Il presupposto è, naturalmente, che al momento del deposito della domanda, il contratto sia ancora pendente, anche se il debitore sia divenuto inadempiente. La risoluzione del mutuo è infatti sicuramente ostativa all’applicazione della norma. Con riferimento agli ulteriori presupposti è di tutta evidenza la centralità e la delicatezza dell’attestazione del professionista. Invero l’attestazione sulla soddisfazione integrale del credito con il ricavato della liquidazione pone numerose problematiche interpretative con specifico riferimento alla nozione di “credito garantito”. Locuzione ben diversa da quella contenuta nell’art. 160 comma 2 l.fall. dove, con riguardo al pagamento non integrale dei creditori privilegiati speciali, si fa riferimento alla “soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione…”. Differenza insita nella considerazione che mentre nell’art. 160 comma 2 l.fall. la soddisfazione parziale promessa nel piano si giustifica con la sua equivalenza rispetto alla collocazione preferenziale in caso di liquidazione, nell’art. 182 quinquies l.fall. il pagamento integrale, conseguente alla prosecuzione del contratto di mutuo, si giustifica solo se la liquidazione del bene consentirebbe comunque il pagamento dell’intero credito garantito. La norma pone quindi una necessaria equivalenza tra integrale soddisfazione del credito a seguito di prosecuzione del contratto di mutuo, ovvero di liquidazione del bene, equivalenza che appare di difficile constatazione e quindi attestazione, essendo di norma il valore di liquidazione parzialmente satisfattivo del credito garantito con il mutuo. Solitamente il credito garantito con la liquidazione e quello che andrebbe ad essere soddisfatto con la regolare prosecuzione del mutuo esprimono due importi non coincidenti tra loro. Sia perché sovente il valore del bene al momento della stipulazione del mutuo è sovrastimato rispetto a quello reale di mercato, sia perché, soprattutto, la liquidazione del bene avverrrebbe in ambito concorsuale. Invero lo scioglimento del contratto di mutuo determinerebbe l’applicazione dell’art. 55 e quindi, a cascata dell’art. 54 comma 3 l.fall. e dell’art. 2855 c.c., il che comporterebbe un significativo decurtamento del riconoscimento del privilegio degli interessi moratori. Secondo i principi generali alla banca compete il diritto di ricevere, oltre all'importo integrale delle semestralità già scadute (non travolte dalla risoluzione, che non opera retroattivamente nei contratti di durata, quale è da ritenersi il mutuo), la sola quota di capitale residua, ma non anche gli interessi conglobati nelle semestralità a scadere e che sul credito così determinato si dovranno calcolare gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello già previsto nel contratto, se superiore al tasso legale, in ossequio al disposto dell'art. 1224, comma 1, c. (Cass. s.u. 12639/2008). In forza dell’applicazione dell’art. 2855 comma 3 c.c. con riferimento al periodo posteriore all’anno in corso del deposito della domanda di concordato preventivo, sino al giorno della vendita, rectius dell’emanazione del decreto di trasferimento (cfr. Cass. 8.9.83, n. 5526), gli interessi continuano a decorrere, ma unicamente nella misura legale. Né il creditore può richiedere la differenza tra gli interessi convenzionali e quelli legali, poiché i primi maturano solo fino allo spirare dell’anno in corso alla dichiarazione di fallimento e poi vengono meno, con la conseguente impossibilità di una loro collocazione, limitatamente alla differenza con gli interessi legali, neppure in via chirografaria (principio costantemente affermato in giurisprudenza: Cass. 2.3.98, n. 2196; Cass. 15.3.95, n. 2981; Cass. 14.5.93, n. 7772; Cass. 27.2.91, n. 2147; Cass. 29.7.72, n. 9063). In definitiva tale equivalenza sarà riscontrabile soltanto nelle ipotesi in cui sin dall’origine l’importo del credito finanziato e garantito sia significatamente inferiore al valore del bene gravato da ipoteca, ovvero la domanda di concordato intervenga in una fase avanzata del rapporto contrattuale, con un residuo credito ampiamente coperto dal valore del bene. Equivalenza che è il presupposto per attestare che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori.