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Saggio

Da domanda prenotativa a piano attestato: un’interpretazione dissonante o, in alternativa, una proposta*

Vittorio Zanichelli, già Consigliere della Corte di Cassazione

9 Aprile 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Lo scritto si sofferma sui corollari dogmatici e sulle opportunità operative connesse all’introduzione, nel sistema del diritto concorsuale, dell’art. 9 il comma 5-bis del c.d. “Decreto Liquidità”, norma che consente al debitore ricorrente di ottenere la cessazione della fase prenotativa del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti mediante il deposito in tribunale della prova di aver pubblicato un piano attestato di risanamento. 

Riproduzione riservata
1 . I provvedimenti emergenziali
Nel mare magnum della legislazione affastellatasi nell’intento di porre un argine ai devastanti effetti della pandemia non potevano ovviamente mancare, a fianco delle disposizioni fiscali e finanziarie di sostegno alle famiglie e alle imprese, norme volte ad adattare, sotto l’aspetto sostanziale o processuale, la legislazione della crisi di impresa alla mutata situazione economica generale, sia nella prospettiva delle procedure da aprire, sia in quella delle procedure già pendenti.
L’intervento di maggior impatto è stato quello operato con il c.d. “Decreto Liquidità”[1] con il quale innanzitutto si è posticipata l’entrata in vigore del Codice dell’insolvenza e della crisi di impresa al fine di evitare di mettere imprenditori, professionisti e uffici giudiziari nella situazione di doversi confrontare con un nuovo, corposo e complesso corpus normativo in un periodo particolarmente difficile. Decisione, questa, abbastanza discutibile nella sua drasticità, posto che non poche delle nuove disposizioni avrebbero potuto trovare abbastanza agevolmente posto anche nella legislazione vigente, come dimostrano gli interventi poi operati sulla legge n. 3/2022 sul sovraindebitamento[2] e quella sul voto del fisco nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare[3]. 
Con lo stesso provvedimento si è provveduto anche a tamponare la presumibile esplosione delle sentenze di fallimento con la previsione della declaratoria di improcedibilità delle richieste depositate nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, con l’eccezione di quelle proposte dallo stesso debitore, ove l’insolvenza non fosse giustificata dalla situazione emergenziale, e delle istanze depositate dal solo P.M. contenenti richieste di provvedimenti cautelari o conservativi ex art 15, co. 8 L. fall., a tutela del patrimonio o dell’impresa.
Di maggiore respiro temporale sono le altre disposizioni che concernono il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, nonché, parzialmente, le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Con queste è stata innanzitutto disposta la proroga ex lege di sei mesi dei termini di adempimento aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020 per tutti gli istituti indicati.
Quanto alle sole procedure maggiori, è stata offerta ai debitori che avevano presentato una domanda prenotativa e ai quali erano stati concessi i termini di cui all’art. 161 L. fall. l’opportunità di richiedere un ulteriore termine fino a novanta giorni per documentate esigenze conseguenti all’emergenza epidemiologica, e questo anche se fosse già pendente un’istanza di fallimento.
Per coloro che avevano già presentato una domanda di concordato corredata di piano e proposta che non fosse già pervenuta all’omologazione l’opzione prospettata era quella di ottenere un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell’art. 161 L. fall. o di un nuovo accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis L. fall.[4].
2 . Il comma 5-bis dell’art. 9 del ‘Decreto Liquidità'
Ad integrazione delle disposizioni sopra sinteticamente ricordate, con la legge di conversione del 5 giugno 2020 n. 40 è stato aggiunto all’art. 9 il comma 5-bis che recita “ Il debitore che, entro la data del 31  dicembre  2021,  ha ottenuto la concessione dei termini di cui  all'articolo  161,  sesto comma, o all'articolo 182-bis, settimo comma, del  regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267, può, entro i  suddetti  termini,  depositare  un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di avere predisposto  un piano di risanamento ai sensi dell'articolo 67, terzo comma,  lettera d), del medesimo regio  decreto  n.  267  del 1942,  pubblicato  nel registro delle imprese, e depositando la documentazione relativa alla pubblicazione medesima. Il tribunale, verificate la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara l’improcedibilità del ricorso presentato ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, o dell'articolo 182-bis, settimo comma, del citato regio decreto n. 267 del 1942”.
In sintesi, dunque, si prevede che il debitore ricorrente possa ottenere la cessazione della fase prenotativa del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti mediante il deposito in tribunale della prova di aver pubblicato un piano attestato. In sostanza, si può rinunciare alla procedura giudiziale dimostrando di aver in corso un tentativo stragiudiziale qualificato di superamento dello stato di crisi o di insolvenza.
La disposizione è per molti versi sorprendente e pare essere stata accolta senza un grande interesse dai primi commentatori se non anche con una certa ironia[5].
L’intervento additivo del legislatore della conversione è stato inquadrato ovviamente tra le disposizioni a sostegno delle imprese impegnate nella ricerca di una soluzione alternativa alla liquidazione giudiziale ma sulla sua utilità si sono avanzate non poche riserve[6]. 
Dando per ammesso che il legislatore, pur non agendo sempre in modo lungimirante ed esente da censure, non assuma iniziative completamente inutili, soprattutto in un periodo in cui un elementare buonsenso impone di evitare di disperdere iniziative nel superfluo, il percorso di ricerca della imprescindibile rilevanza della norma deve partire necessariamente dall’indagine su che cosa aggiunga di nuovo la stessa rispetto al panorama giuridico attuale.
E quindi la prima domanda: è ora possibile fare quello che prima non si poteva?
La risposta è senz’altro negativa se ci si riferisce alla possibilità di rinunciare alla domanda prenotativa di concordato. La dottrina si è divisa sul momento processuale entro il quale può essere validamente effettuata la rinuncia, e cioè se solo fino all’approvazione da parte dei creditori o anche fino all’omologazione, e la Cassazione ha avallato quest’ultima soluzione[7]. Semmai possono sussistere dubbi sulla possibilità di rinuncia da parte del debitore proponente un concordato nel caso in cui siano state presentate proposte concorrenti ma non è certo la disposizione de qua che porta chiarimento sul punto. Nessuno comunque ha mai dubitato che in corso di fase prenotativa fosse incondizionatamente possibile rinunciare alla domanda[8], discutendosi solo dei possibili sviluppi.
Altrettando indubbio è che dopo la rinuncia potesse essere predisposto e pubblicato un piano attestato[9], posto che il debitore non ha il minimo vincolo legale come conseguenza della rinuncia, se non l’impossibilità di depositare altra domanda prenotativa nel biennio.
E allora un primo punto è acquisito: la disposizione in esame non solo non introduce una facoltà che prima non esisteva ma non può avere neppure una valenza interpretativa in quanto, come si è detto, non vi erano dubbi che alla domanda si potesse rinunciare in fase prenotativa e che poi si potesse depositare e pubblicizzare un piano attestato. E neppure può avere una valenza restrittiva nel senso di disporre che solo la presentazione di un piano attestato consenta la rinuncia, sia perché l’imposizione non avrebbe senso (basta pensare al caso che sia venuto meno lo stato di crisi) sia perché ha efficacia limitata nel tempo in quanto vale per quelle procedure che si trovano in fase prenotativa alla fine del 2021[10].
3 . La difficile ricerca della ratio legis
E allora quale può essere la finalità? Trattandosi di una disposizione inserita in un contesto normativo emergenziale volto ad evitare soluzioni traumatiche in un contesto di crisi generalizzata si deve giocoforza ricercare il vantaggio che la norma introduce sia pure con un ambito temporale definito e quindi eccezionale, partendo dalla considerazione che il transito dalla prospettiva del concordato al piano attestato è condizionato dalla valutazione del tribunale il quale, come prevede espressamente il c. 5-bis,  deve valutare “la completezza e  la regolarità della  documentazione” oggetto di pubblicazione e quindi di “un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria” avvalorato da un’attestazione di un professionista qualificato e indipendente circa “la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano”.
E’ stato ipotizzato che l’intervento del tribunale comporti l’introduzione di una nuova ipotesi di protezione dalle azioni esecutive dopo quella prevista per il concordato e gli accordi di ristrutturazione e cioè, per le domande ancora non pendenti, la possibilità di un ricorso dichiaratamente proposto in vista del deposito di un piano attestato[11].
Già sulla possibilità di presentare una domanda con le modalità di cui all’art. 161, c. 6, dichiarando esplicitamente di avere come fine la presentazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o, specularmente, di depositare una domanda con le modalità di cui all’art. 182-bis, c. 7, enunciando chiaramente di avere intenzione di depositare piano e proposta di concordato si possono avanzare non pochi dubbi in quanto non pare aver senso alcuno prevedere due procedure decisamente diverse (quanto a documentazione iniziale, ruolo del commissario giudiziale, spossessamento, provvedimento intermedio del tribunale, ecc.) se il debitore potesse optare per quella di concordato, evitando autodichiarazione e dichiarazione del professionista, pur avendo dichiaratamente di mira la conclusione di un accordo e, viceversa, potesse esplicitare come fine un concordato preventivo ma attivasse la diversa procedura sfuggendo al controllo del commissario giudiziale e ai limiti gestionali per gli atti di straordinaria amministrazione. Né varrebbe osservare che lo switch programmato può avvenire di fatto perché non vi è formalmente alcun ostacolo a completare il percorso richiedendo l’omologazione di una domanda difforme da quella preannunciata in quanto c’è da domandarsi se sia proprio vero che non possa ipotizzarsi una condotta fraudolenta nel caso emerga chiaramente una difformità programmata tra l’obbiettivo enunciato e quello effettivamente perseguito.
Le perplessità sono ancora maggiori per quanto attiene alla facoltà di presentare una domanda prenotativa dichiarando che il termine viene richiesto esplicitamente nella previsione di presentare, all’esito, un piano attestato.
La nuova disposizione è espressamente rivolta ad attribuire la facoltà di cui si tratta al “debitore che, entro la data del 31 dicembre 2021, ha ottenuto la concessione dei termini di cui all'articolo 161, sesto comma, o all'articolo 182-bis, settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”' e quindi al debitore che ha depositato “la domanda di concordato … riservandosi di depositare la proposta, il piano e la documentazione …” (art. 161, c. 6) e a quello che richiede la protezione dalle azioni aggressive dei creditori “depositando presso il tribunale competente “… una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore … attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori …” (art. 182, bis, c. 7); conseguente a tale formulazione è anche la previsione che, come atto conclusivo “Il tribunale, verificate la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara  l’improcedibilità  del ricorso  presentato  ai  sensi  dell'articolo  161,  sesto  comma,  o dell'articolo 182-bis, settimo comma, del citato regio decreto n. 267 del 1942”.
Stando alla lettera della norma, dunque, il debitore non potrebbe chiedere la protezione enunciando la volontà di predisporre un piano attestato ma dovrebbe optare per una delle due procedure e quindi seguirne le regole anche formali anche se il fine effettivo non comprende nessuna delle due procedure maggiori. 
Escluso che l’intervento sia stato pensato come applicabile solo alle domande già pendenti alla data di entrata in vigore della norma, visto che è stato indicato un termine finale senza alcun accenno alla pendenza, dovrebbe allora escludersi che la norma eccezionale sia stata introdotta al solo scopo di predisporre anche per chi è intenzionato fin dall’accesso unicamente a formulare un piano attestato uno spazio temporale durante il quale il debitore possa condurre trattative con i creditori da coinvolgere nel piano o comunque dedicarsi all’elaborazione dello stesso e all’acquisizione della necessaria attestazione, essendo maggiormente in linea con il dettato normativo ritenere che si sia solo previsto un ulteriore sbocco per chi si trova nella situazione di non riuscire a presentare un concordato o un accordo e debba in corsa trovare una diversa soluzione.
Anche a voler ritenere superabile l’ostacolo derivante dalla necessaria qualificazione della domanda e quindi aderendo alla tesi dell’accesso alla fase protetta al dichiarato fine della presentazione del piano bisognerebbe comunque ipotizzare non solo che il debitore possa omettere del tutto le dichiarazioni di cui sopra in quanto incongrue per chi esplicitamente persegue altro fine, ma anche accettare che detto soggetto opti discrezionalmente per una delle procedure di protezione e quindi scelga anche se accettare il rischio della presenza del commissario giudiziale e la certezza dello spossessamento attenuato oppure optare per la maggiore libertà di manovra consentita dall’art. 182-bis a costo di una maggiore complessità procedurale.
È necessario allora domandarsi in che limiti la disciplina procedimentale di cui all’art. 161, c. 6 o di quella dell’art. 182-bis, c. 7, sia applicabile alla fattispecie e già questo dubbio la dice lunga sulla difficoltà di ipotizzare un tertium genus di procedura prenotativa e i commentatori che si sono cimentati nell’impresa hanno espresso convincimenti difformi, ad esempio, sul punto dell’obbligo dell’informazione periodica al tribunale di cui all’art. 161, c. 6 [12].
Ma la questione si pone anche per altri aspetti. Un’utilità per il debitore potrebbe sussistere se si ipotizzasse la possibilità di richiedere, ad esempio, la sospensione o lo scioglimento dei contratti ma sembra chiaro che le disposizioni della norma da ultimo citata per una fase tarata sulla prospettiva concordataria necessiterebbe di adeguamenti problematici in via interpretativa se la prospettiva dichiarata non fosse quella del concordato ma del piano attestato che non prevede interventi coattivi sulla disciplina dei contratti, così come non facili adattamenti imporrebbe l’utilizzo della ulteriore possibilità, presente nelle richiamate procedure, di accedere a finanziamenti prededucibili.
4 . La ricerca dell’utilità della norma
Nel tentativo, necessario quanto arduo, di attribuire una qualche utilità alla norma in commento sono stati ipotizzati i possibili benefici che potrebbe lucrare l’imprenditore che persegue la strada tracciata dal legislatore[13].
Si ipotizza, quindi, che la previsione secondo la quale il tribunale, avvertito del raggiungimento dello scopo da parte del debitore in esito all’avvenuta pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato, decreta l’improcedibilità del ricorso introduttivo, comporti una sorta di saldatura tra la fase prenotativa e l’operatività del piano.
L’effetto dell’assenza di soluzione di continuità consentirebbe: a) la cristallizzazione dei crediti alla data del deposito del ricorso; b) l’inefficacia dei titoli di prelazione conseguiti dai creditori nei novanta giorni anteriori alla presentazione della domanda prenotativa; c) la definitiva improcedibilità delle azioni esecutive e cautelari iniziate o proseguite nel periodo protetto, con conseguente onere in capo al creditore di riavviarle ex novo; d) la perdurante efficacia degli atti legalmente compiuti ex art. 161, c. 7, nella fase anteriore al deposito del piano. A ciò dovrebbe aggiungersi la possibilità di chiedere la sospensione e/o lo scioglimento dei contratti pendenti.
Si potrebbe obbiettare che se questo fosse il fine perseguito dal legislatore emergenziale, lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere più semplicemente aggiungendo negli artt. 161 e 182-bis allo scambio tra le due procedure maggiori anche l’alternativa della presentazione di un piano attestato, posto che, nella prospettazione in discorso, al tribunale competerebbe solo un controllo formale dell’avvenuta pubblicazione del piano.
Certo è che il commendevole sforzo compiuto per dare un senso alla novità comporta (e non può essere diversamente) l’accettazione di non poche criticità in quanto, a parte la necessità di ipotizzare una consecuzione giuridicamente rilevante tra un procedimento e qualcosa (il piano) che tale non è, resta la difficoltà di fare ricadere effetti (cristallizzazione dei crediti) propri di una fase destinata a sfociare in una procedura che coinvolge tutti i creditori (come il concordato preventivo) nella disciplina del piano attestato che può, in linea di principio, prescindere da accordi con creditori ma che se li prevede non può che contemplare accordi pienamente consensuali e quindi indifferenti al limite che imporrebbe la cristallizzazione; considerazioni analoghe possono essere fatte quanto all’inefficacia di titolo di prelazione conseguiti nel biennio, con l’aggravante che nella procedura in cui non è previsto il coinvolgimento di tutti i creditori e cioè quello di cui all’art. 182-bis, tale inefficacia non è prevista.
5 . Una possibile lettura ‘additiva’ (o una proposta)
Ma pur superando ogni difficoltà con una sorta di cram down (in senso letterale) interpretativo resta un ostacolo difficilmente superabile se non ritenendo, come pure suggerito nell’ambito dell’interpretazione di cui si è dato conto, che il legislatore minus dixit quam voluit [14].
Più che di un ostacolo si tratta di un vero e proprio macigno ed è costituito dall’intervento del tribunale e mi pare evidente che è sull’interpretazione del ruolo allo stesso assegnato che si gioca decide la ratio e quindi le conseguenze della normativa in esame.
Come anticipato, il citato comma 5-bis dispone che, all’esito del deposito della documentazione prescritta, “il tribunale, verificate la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara l’improcedibilità del ricorso presentato ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, o dell'articolo 182-bis, settimo comma, del citato regio decreto n. 267 del 1942”
Qual è la logica della previsione di un intervento del tribunale che non è invece espressamente previsto nel caso di mancato deposito nel termine del piano e della proposta o degli accordi, essendo del tutto ovvio che tale circostanza comporti l’improcedibilità della domanda? E ancora: perché richiamare il tribunale a verificare la completezza e regolarità della documentazione se questa dovesse consistere solo nella presa d’atto dell’intervenuta rinuncia alla domanda e nella prova dell’avvenuta pubblicazione, fermo restando, si ripete, che l’improcedibilità dovrebbe essere comunque disposta per il solo fatto che vi è la rinuncia?
Pare inevitabile ritenere che un tale intervento non sia richiesto solo perché si verifichino gli effetti di cui si è trattato in precedenza ma che ci debbano essere conseguenze di maggiore rilievo.
Per ipotizzare quali queste possano essere bisogna presumere che il legislatore abbia voluto spingere fortemente verso una maggiore probabilità di successo dell’istituto dei piani attestati e quindi eliminarne, per quanto possibile i punti deboli.
È noto che tutti gli strumenti messi in campo negli anni dal legislatore con il fine di favorire alternative alla procedura liquidatoria siano basati sul paradigma degli accordi stragiudiziali tra debitore e creditori e che siano strutturati evitando le criticità di questi ultimi fornendo agli operatori strumenti caratterizzati da un crescendo di tutele bilanciate da un pari crescendo di vincoli all’autonomia gestoria del debitore e di intervento giurisdizionale.
Le criticità dei patti esclusivamente privatistici sono rappresentate: a) dalla carenza di stabilità dei risultati dell’esecuzione dei medesimi per effetto del rischio di revocatoria in caso di apertura di procedura liquidatoria, b) dall’assenza di tutela contro atteggiamenti aggressivi dei creditori nella fase delle trattative e dell’esecuzione; c) dall’impossibilità di coinvolgere coattivamente nella ristrutturazione dei debiti tutti i creditori; c) nel rischio penale per l’esecuzione di pagamenti in conformità ai patti.
In cima alla lista per ampiezza di tutela c’è il concordato preventivo in cui tutte le criticità sono escluse ma esiste lo spossessamento, sia pure attenuato, e un controllo ad ampio raggio del tribunale. Un gradino sotto stanno gli accordi di ristrutturazione dei debiti che, benché si avviino nella prospettiva del Codice a ridurre il gap con il concordato quanto alla possibilità di coinvolgimento coattivo di tutti i creditori grazie alla previsione delle categorie, hanno attualmente un minore margine di manovra, consentendo il coinvolgimento coatto solo dei creditori bancari.
In fondo alla lista delle tutele si situano i piani attestati per i quali è solo previsto il beneficio della stabilità degli atti esecutivi del piano, ma che hanno l’appetibilità derivante dal percorso totalmente stragiudiziale.
In tale situazione, pur aderendo, in ipotesi, all’interpretazione secondo cui sarebbe possibile una domanda esplicitamente prenotativa di un piano con conseguente elusione del rischio di azioni aggressive dei creditori, resterebbe pur sempre ad ostacolare il successo dei piani il tema della stabilità degli atti esecutivi in quanto si tratta di un beneficio di fruizione assolutamente incerta poiché, a differenza delle procedure di concordato e di accordo, la stabilità è condizionata, in caso di procedura liquidatoria, da un giudizio di correttezza del piano e dell’attestazione che verrà espresso solo dopo l’esecuzione e non invece contenuto implicitamente nel provvedimento di omologazione.
È intuitivo come un tale rischio non possa che influire pesantemente sulla disponibilità non solo dei finanziatori, che normalmente sono gli attori necessari per il confezionamento e il successo del piano, ma a maggior ragione anche di altri soggetti eventualmente necessari (quali i garanti) ma non professionalmente abituati a soppesare il rischio.
Se allora si vuole dare un significato importante all’intervento legislativo si può ipotizzare che il provvedimento del tribunale abbia lo stesso effetto dell’omologazione del concordato e degli ADR e quindi costituisca il presupposto per la incontestabile stabilità del beneficio della esenzione dalla revocatoria.
Un precedente legislativo di un giudizio implicito sull’affidabilità della prospettiva risanatoria, sia pure con effetti parzialmente diversi, data la natura dell’organo, si può rinvenire nell’intervento dell’OCRI in esito al procedimento di composizione assistita della crisi (art. 19 del Codice).
Anche in questo caso lo scopo del legislatore è di favorire un accordo stragiudiziale tra debitore in crisi e creditori e viene perseguito affidando all’Organismo una funzione di garanzia della serietà dell’iniziativa e di stimolo alla conclusione dell’accordo che, se interviene, è depositato presso l’OCRI che procede all’archiviazione
Poiché è previsto che l’accordo così concluso sotto la regia e la vigilanza dell’OCRI  “produce gli stessi effetti del piano attestato di risanamento” deve necessariamente ritenersi non solo che debba avere lo stesso contenuto prescritto nell’art. 56 del Codice ma anche, non essendo previsto l’intervento di un attestatore, che la veridicità dei dati e la sua fattibilità siano valutati e ritenuti sussistenti dell’Organismo, per l’ovvia considerazione che, diversamente, questo non potrebbe chiudere il procedimento con l’archiviazione per essere venuta meno la crisi.
Se dunque una valutazione di correttezza e affidabilità del piano è consentita nella fattispecie descritta non si vede perché un identico giudizio non possa competere al tribunale che si trova a valutare un piano corredato dall’attestazione e quindi della stessa documentazione che dovrebbe valutare il giudice della revocatoria in casi di successiva procedura liquidatoria pubblica[15].
Né varrebbe obbiettare che l’esame del tribunale pare essere solo formale in quanto limitato alla regolarità poiché è ben noto che in tale concetto già oggi si fa rientrare il controllo circa l’evidente non fattibilità del piano di concordato in sede di ammissione che è lo stesso esame che deve fare il giudice della revocatoria per atti esecutivi del piano attestato in base al principio enunciato dalla Cassazione secondo cui <Per ritenere esenti dalla domanda di revocatoria fallimentare proposta dalla curatela gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), L. fall. (nel testo previgente d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012), il giudice deve effettuare, con giudizio "ex ante", una valutazione, parametrata sulla condizione professionale del terzo contraente, circa l'idoneità del piano, del quale gli atti impugnati costituiscono strumento attuativo, a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa, seppure in negativo, vale a dire nei soli limiti dell'assoluta, evidente inettitudine del piano presentato dal debitore a tal fine>[16]. 
Questa interpretazione consente anche di superare l’obbiezione secondo cui l’intervento del tribunale sarebbe sostanzialmente inutile in quanto sia il PM che qualunque creditore potrebbero, all’esito della dichiarata improcedibilità della domanda, instare per il fallimento (o il tribunale valutare istanze già pendenti). È infatti intuitivo che il debitore che ha scelto la strada della declaratoria di improcedibilità e della pubblicazione del piano sia in grado di presentare una situazione di superata insolvenza avendo ad esempio concluso un accordo con i creditori principali e i finanziatori rassicurati dalla prospettiva di una esenzione certa per essere l’esecuzione del piano e quindi l’erogazione dei finanziamenti posteriori alla declaratoria del tribunale.
È chiaro che l’interpretazione prospettata spinge molto in avanti il canone interpretativo secondo cui il legislatore a volte minus dixit quam voluit ma pare potersi dire che è altrettanto chiaro che così si rende maggiormente percorribile la strada della soluzione alternativa della crisi costituita del piano attestato, tanto da potersi sommessamente concludere che se questa lettura non fosse condivisa sarebbe opportuno prevederla positivamente anche prescindendo dalla situazione emergenziale.



* Il testo riprende e amplia la relazione tenuta nell’ambito del convegno Il sostegno bancario alle imprese in “crisi” (ai tempi del “Coronavirus”), Reggio Emilia, 23 ottobre 2020. 

Note:

[1] 
D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con la L. n. 40/2020.
[2] 
D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, (c.d. Decreto Restori), convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020.
[3] 
D.L. 7 ottobre 2020 n. 125, convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre, n. 159.
[4] 
Per un commento alla normativa di cui al Decreto Liquidità: Filippo Andrea Chiaves e Alessandra Dima, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali nell’“Era Covid-19”, in www.dirittobancario.it,  2 dicembre 2020.
[5] 
S. Ambrosini, La rinuncia al concordato preventivo dopo la legge (n. 40/2020) di conversione del “Decreto Liquidità”; nascita di un ircocervo?, in www.Ilcaso.it, 10 giugno 2020.
[6] 
M. Irrera, Le novità in tema di procedure concorsuali nella conversione in legge del Decreto Liquidità (ovvero di quando i rimedi sono peggiori del male o inefficaci), in www.ilcaso.it. L. Panzani, Il mondo alla rovescia ovvero il passaggio dal concordato o accordo di ristrutturazione con riserva al piano attestato: l’originale “invenzione” del legislatore, in www.ditittobancario.it, 12/06/2020.
[7] 
Cass. civ., 10 ottobre 2019, n. 25479, in Pluris.
[8] 
Sull’argomento, di recente, S. Ambrosini, op. cit., 1.
[9] 
M. Fabiani, Il piano attestato di risanamento “protetto”, in Il Fall, 2021, 878.
[10] 
Nello stesso senso S. Ambrosini, op. cit., 6. 
[11] 
S. Ambrosini op. cit., 9.
[12] 
Ritiene sussistente l’obbligo informativo S. Ambrosini, op. cit., 9; lo nega invece M. Irrera, op. cit., 7.
[13] 
M. Fabiani, op. cit., 879. 
[14] 
M. Fabiani, op. cit., 880.
[15] 
Ritiene invece, ma in base ad una prospettazione di un più limitato effetto della pronuncia, che al tribunale non competa valutare l’adeguatezza del piano a superare lo stato di insolvenza M. Fabiani, op. cit., 882.
[16] 
Cass. civ. Sez. I Ord., 10 febbraio 2020, n. 3018, In Pluris.

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Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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