
Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze
IL NUOVO D.L. IN MATERIA DI CRISI D'IMPRESA E RISANAMENTO AZIENDALE: CON LA COMPOSIZIONE NEGOZIATA QUALE PROSPETTIVA PER IL DIRITTO CONCORSUALE?
9 Agosto 2021
D’altro canto, se davvero di Allerta vogliamo parlare , dobbiamo farlo in ossequio , più che al Codice della Crisi , alla sovraordinata Direttiva Comunitaria 1023/2019, che all’art.3 , tra le misure cogenti ( e non solo facoltative ), prevede, al comma 1 - avendolo prima chiarito al considerando 22 -, che l’Allerta, proprio perché si fonda su base volontaristica, deve poggiare su strumenti “ chiari e trasparenti” …“ di allerta precoce per incoraggiare i debitori che cominciano ad avere difficoltà finanziarie ad agire in una fase precoce.”
27 Agosto 2021 19:22
Ciò detto, definire, come qualcuno ha fatto, questa modestissima, quanto a perimetro, proposta integrativa dell’assetto normativo attuale e futuro, una controriforma, a me pare un’accusa più che ingenerosa, oltre che un'accusa infondata.
Al contrario, si potrebbe sostenere con maggiore solidità che questa proposta, meramente additiva, sia contrassegnata da eccessiva timidezza, giacché non ha inciso per nulla sulla complessiva farraginosità, al limite della comprensibilità teleologica, delle norme del CCII, sicché o il nuovo strumento della composizione assistita avrà successo - e qui sta la scommessa per cui tutti dovremmo tifare - oppure tutto resterà come è ora. Il che esclude che la si possa giudicare negativamente: sarà una riforma utile o semplicemente una riforma innocua, certo non una controriforma.
Dunque, nessun blitz - ndr: “purtroppo” - può addebitarsi alla Commissione Pagni, cui va dato il merito, non certo secondario, di avere riportato l’uso corretto del lessico al centro della costruzione normativa.
In ogni caso, affrontando il tema in una prospettiva storico-ricostruttiva, al più saremmo difronte a una controriforma di una controriforma, il che ci fa capire come quella che ciascuno di noi considera essere la vera riforma (il bene da tutelare) altro non è che ciò che, in una sorta di dimensione autoconsolatoria, ciascuno sente più vicino alla propria ideologia; del resto “nessuno è padre a un’altro”.
Quanto meno improprie mi sono parse, poi, le considerazioni sarcastiche sulla figura del “facilitatore”. Solo chi non ha mai vissuto le difficoltà dei dialoghi tra debitore e creditori può sostenerne l’inutilità. Al più si potrà discutere su chi poteva interpretare con maggior successo, in termini di efficacia, questo ruolo.
Personalmente ho sempre ritenuto, sulla base dell’esperienza nordamericana, che la figura naturalmente deputata, per autorevolezza, a svolgere tale ruolo avrebbe dovuto essere quella del giudice, o meglio dell’ufficio del giudice, tutto da disegnare, il che avrebbe preteso, però, una riforma organica di tutto l’impianto, a cominciare dalle funzioni e organizzazione degli organi della procedura, non una semplice addizione.
Altro equivoco che va sgombrato dal campo della discussione è quello per cui il diritto sarebbe una categoria dell’economia, ossia che tramite il diritto si possa incidere sui processi economici e sui comportamenti degli imprenditori, che non sarebbero capaci di fare “buona impresa”.
Certo il diritto fissa confini e regole all’intrapresa economica ma non è, solo per ciò, in grado di creare un sistema di imprese virtuose e competitive.
Al diritto compete la funzione di regolare le diverse fasi fisiologiche e patologiche dell’economia, non certo quella di indirizzarne l’evoluzione. E non è una mia opinione, né una teoria recente, lo sosteneva Cesare Beccaria nel lontano 1764.
Con l’istituto della “composizione assistita” la Commissione Pagni si è posta, a mio parere, proprio nella prospettiva di mettere a disposizione delle imprese uno strumento utile ad affrontare particolari momenti fisiologici della loro vita, senza alcuna pretesa eugenetica.
Si pensi solo all’utilità che potrebbe avere nelle crisi delle imprese economicamente dipendenti.
Una proposta “funzionale” e non “strutturale”, sol perciò da plaudire.
Come ho sostenuto sopra, al massimo non sortirà effetti positivi, ma non ne potrà produrre certamente di negativi, rischio che non può, invece, escludersi non fosse insito nell’istituto dell’allerta obbligatoria.
Venendo ai contenuti del nuovo istituto, i commentatori più critici ne hanno immediatamente fatta rilevare la sostanziale inutilità, affermando che non potrebbero accedervi le imprese insolventi, e ciò in forza della locuzione contenuta all’art. 2 secondo cui “le condizioni di squilibrio [che consentirebbero di accedervi sarebbero solo quelle] che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”.
In buona sostanza costoro ritengono che con l’aggettivazione “probabile” il legislatore avrebbe voluto qualificare una possibile insolvenza futura, motivo per cui ne hanno inferito l’inutilizzabilità da parte delle imprese insolventi.
Si tratta di una conclusione errata, frutto di un evidente, quanto semplice, equivoco lessicale, giacché il corretto significato etimologico del lessema probabile “[dal lat. probabĭlis, der. di probare «approvare»” è quello “di fatto o avvenimento che, in base a seri motivi (i quali però non costituiscono vere prove e non danno quindi certezza dell’evento), si è propensi a credere che accada o che sia già accaduto”. [vocabolario Treccani].
L’aggettivo probabile non incorpora forzatamente in sé, dunque, solo il tempo futuro, “la probabile futura verificazione di un evento”, ma anche il presente, o finanche il passato, ossia che quello stato, quella condizione, siano già esistenti in quel determinato momento, purché non ve ne sia certezza.
Ecco allora che tutto si giustifica sotto il profilo linguistico: è lo squilibrio a rendere probabile l’esistenza attuale, e non solo futura, dell’insolvenza.
La condizione legale oggettiva per accedere alla composizione assistita è rappresentata, infatti, dallo squilibrio, quale ne sia la natura, da cui discende - senza che ciò costituisca, a sua volta, ulteriore condizione - la probabilità che esista anche l’insolvenza oltre che una semplice crisi.
L’utilizzo adeguato del lessico da parte del legislatore non lascia margine alcuno ad interpretazioni ideologicamente orientate.
Per altro, anche a voler scardinare il significato della lingua italiana, che la Commissione Pagni ha mostrato, invece, di saper ben maneggiare, non potrebbe non constatarsi come anche le imprese semplicemente in crisi sarebbero escluse dalla composizione assistita, giacché l’aggettivo probabile regge anche il sostantivo “crisi”, e non solo quello di “insolvenza”, col che solo le imprese sane potrebbero accedervi (!).
Il requisito per l’accesso alla composizione assistita è, invece, a mio parere, di tipo economico e non patrimoniale o finanziario. Ritengo, ossia, che esso sia costituito dalla sola capacità dell’impresa di produrre reddito al servizio del ripagamento del debito, ridotto o riscadenziato; obiettivi questi da raggiungersi tramite, appunto, la composizione assistita.
Escluse dal “diritto” alla composizione sarebbero, secondo questa lettura - a mio parere più aderente agli obiettivi del nuovo legislatore - le sole imprese economicamente decotte e non anche quelle insolventi per eccessivo indebitamento rispetto alle loro capacità reddituali.
Diversamente ragionando la composizione assistita non potrebbe concernere mai la riduzione o il riscadenziamento del debito, giacché sintomi dell’evidente esistenza di uno stato d’insolvenza. Per altro la stessa dichiarata funzione dell’istituto a superare - particolarmente, anche se non solo - le difficoltà sistemiche da pandemia Covid-19, mi pare debba portare ad escludere che l’insolvenza in atto abbia effetti escludenti rispetto alla possibilità di accedere all’istituto.
Di contro le capacità reddituali dell’impresa sono l’evidenza della permanenza di una sua funzione sociale, a condizione che i creditori e i lavoratori siano disponibili a sopportare il sacrificio perché tale utilità collettiva permanga sul mercato. Indicativa, sotto tale profilo, la previsione che il superamento della crisi possa avvenire tramite la cessione dell’azienda a terzi (secondo comma art. 2).
Depongono, ulteriormente, poi, in favore della lettura proposta: (i) l’art. 8 sulla sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione. Infatti, la perdita del capitale è evidenza principe dell'esistenza di un’insolvenza patrimoniale, e non solo finanziaria, in atto; (ii) l’art. 6 sulle misure protettive che suppongono l’esistenza di debiti non onorati alla scadenza, dunque di un'insolvenza finanziaria, (iii) sempre l'art. 6, comma 4, in tema di effetti sospensivi sulla dichiarazione di fallimento, che non potrebbe essere pronunciata in assenza d'insolvenza; (iv) l’art. 2 dove si parla della sussistenza di uno squilibrio patrimoniale che è evidenza, a sua volta, dell’esistenza attuale, e non prospettica, di uno stato d’insolvenza.
28 Agosto 2021 1:43
Ciò detto, definire, come qualcuno ha fatto, questa modestissima, quanto a perimetro, proposta integrativa dell’assetto normativo attuale e futuro, una controriforma, a me pare un’accusa più che ingenerosa, oltre che un'accusa infondata.
Al contrario, si potrebbe sostenere con maggiore solidità che questa proposta, meramente additiva, sia contrassegnata da eccessiva timidezza, giacché non ha inciso per nulla sulla complessiva farraginosità, al limite della comprensibilità teleologica, delle norme del CCII, sicché o il nuovo strumento della composizione assistita avrà successo - e qui sta la scommessa per cui tutti dovremmo tifare - oppure tutto resterà come è ora. Il che esclude che la si possa giudicare negativamente: sarà una riforma utile o semplicemente una riforma innocua, certo non una controriforma.
Dunque, nessun blitz - ndr: “purtroppo” - può addebitarsi alla Commissione Pagni, cui va dato il merito, non certo secondario, di avere riportato l’uso corretto del lessico al centro della costruzione normativa.
In ogni caso, affrontando il tema in una prospettiva storico-ricostruttiva, al più saremmo difronte a una controriforma di una controriforma, il che ci fa capire come quella che ciascuno di noi considera essere la vera riforma (il bene da tutelare) altro non è che ciò che, in una sorta di dimensione autoconsolatoria, ciascuno sente più vicino alla propria ideologia; del resto “nessuno è padre a un’altro”.
Quanto meno improprie mi sono parse, poi, le considerazioni sarcastiche sulla figura del “facilitatore”. Solo chi non ha mai vissuto le difficoltà dei dialoghi tra debitore e creditori può sostenerne l’inutilità. Al più si potrà discutere su chi poteva interpretare con maggior successo, in termini di efficacia, questo ruolo.
Personalmente ho sempre ritenuto, sulla base dell’esperienza nordamericana, che la figura naturalmente deputata, per autorevolezza, a svolgere tale ruolo avrebbe dovuto essere quella del giudice, o meglio dell’ufficio del giudice, tutto da disegnare, il che avrebbe preteso, però, una riforma organica di tutto l’impianto, a cominciare dalle funzioni e organizzazione degli organi della procedura, non una semplice addizione.
Altro equivoco che va sgombrato dal campo della discussione è quello per cui il diritto sarebbe una categoria dell’economia, ossia che tramite il diritto si possa incidere sui processi economici e sui comportamenti degli imprenditori, che non sarebbero capaci di fare “buona impresa”.
Certo il diritto fissa confini e regole all’intrapresa economica ma non è, solo per ciò, in grado di creare un sistema di imprese virtuose e competitive.
Al diritto compete la funzione di regolare le diverse fasi fisiologiche e patologiche dell’economia, non certo quella di indirizzarne l’evoluzione. E non è una mia opinione, né una teoria recente, lo sosteneva Cesare Beccaria nel lontano 1764.
Con l’istituto della “composizione assistita” la Commissione Pagni si è posta, a mio parere, proprio nella prospettiva di mettere a disposizione delle imprese uno strumento utile ad affrontare particolari momenti fisiologici della loro vita, senza alcuna pretesa eugenetica.
Si pensi solo all’utilità che potrebbe avere nelle crisi delle imprese economicamente dipendenti.
Una proposta “funzionale” e non “strutturale”, sol perciò da plaudire.
Come ho sostenuto sopra, al massimo non sortirà effetti positivi, ma non ne potrà produrre certamente di negativi, rischio che non può, invece, escludersi non fosse insito nell’istituto dell’allerta obbligatoria.
Venendo ai contenuti del nuovo istituto, i commentatori più critici ne hanno immediatamente fatta rilevare la sostanziale inutilità, affermando che non potrebbero accedervi le imprese insolventi, e ciò in forza della locuzione contenuta all’art. 2 secondo cui “le condizioni di squilibrio [che consentirebbero di accedervi sarebbero solo quelle] che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”.
In buona sostanza costoro ritengono che con l’aggettivazione “probabile” il legislatore avrebbe voluto qualificare una possibile insolvenza futura, motivo per cui ne hanno inferito l’inutilizzabilità da parte delle imprese insolventi.
Si tratta di una conclusione errata, frutto di un evidente, quanto semplice, equivoco lessicale, giacché il corretto significato etimologico del lessema probabile “[dal lat. probabĭlis, der. di probare «approvare»” è quello “di fatto o avvenimento che, in base a seri motivi (i quali però non costituiscono vere prove e non danno quindi certezza dell’evento), si è propensi a credere che accada o che sia già accaduto”. [vocabolario Treccani].
L’aggettivo probabile non incorpora forzatamente in sé, dunque, solo il tempo futuro, “la probabile futura verificazione di un evento”, ma anche il presente, o finanche il passato, ossia che quello stato, quella condizione, siano già esistenti in quel determinato momento, purché non ve ne sia certezza.
Ecco allora che tutto si giustifica sotto il profilo linguistico: è lo squilibrio a rendere probabile l’esistenza attuale, e non solo futura, dell’insolvenza.
La condizione legale oggettiva per accedere alla composizione assistita è rappresentata, infatti, dallo squilibrio, quale ne sia la natura, da cui discende - senza che ciò costituisca, a sua volta, ulteriore condizione - la probabilità che esista anche l’insolvenza oltre che una semplice crisi.
L’utilizzo adeguato del lessico da parte del legislatore non lascia margine alcuno ad interpretazioni ideologicamente orientate.
Per altro, anche a voler scardinare il significato della lingua italiana, che la Commissione Pagni ha mostrato, invece, di saper ben maneggiare, non potrebbe non constatarsi come anche le imprese semplicemente in crisi sarebbero escluse dalla composizione assistita, giacché l’aggettivo probabile regge anche il sostantivo “crisi”, e non solo quello di “insolvenza”, col che solo le imprese sane potrebbero accedervi (!).
Il requisito per l’accesso alla composizione assistita è, invece, a mio parere, di tipo economico e non patrimoniale o finanziario. Ritengo, ossia, che esso sia costituito dalla sola capacità dell’impresa di produrre reddito al servizio del ripagamento del debito, ridotto o riscadenziato; obiettivi questi da raggiungersi tramite, appunto, la composizione assistita.
Escluse dal “diritto” alla composizione sarebbero, secondo questa lettura - a mio parere più aderente agli obiettivi del nuovo legislatore - le sole imprese economicamente decotte e non anche quelle insolventi per eccessivo indebitamento rispetto alle loro capacità reddituali.
Diversamente ragionando la composizione assistita non potrebbe concernere mai la riduzione o il riscadenziamento del debito, giacché sintomi dell’evidente esistenza di uno stato d’insolvenza. Per altro la stessa dichiarata funzione dell’istituto a superare - particolarmente, anche se non solo - le difficoltà sistemiche da pandemia Covid-19, mi pare debba portare ad escludere che l’insolvenza in atto abbia effetti escludenti rispetto alla possibilità di accedere all’istituto.
Di contro le capacità reddituali dell’impresa sono l’evidenza della permanenza di una sua funzione sociale, a condizione che i creditori e i lavoratori siano disponibili a sopportare il sacrificio perché tale utilità collettiva permanga sul mercato. Indicativa, sotto tale profilo, la previsione che il superamento della crisi possa avvenire tramite la cessione dell’azienda a terzi (secondo comma art. 2).
Depongono, ulteriormente, poi, in favore della lettura proposta: (i) l’art. 8 sulla sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione. Infatti, la perdita del capitale è evidenza principe dell'esistenza di un’insolvenza patrimoniale, e non solo finanziaria, in atto; (ii) l’art. 6 sulle misure protettive che suppongono l’esistenza di debiti non onorati alla scadenza, dunque di un'insolvenza finanziaria, (iii) sempre l'art. 6, comma 4, in tema di effetti sospensivi sulla dichiarazione di fallimento, che non potrebbe essere pronunciata in assenza d'insolvenza; (iv) l’art. 2 dove si parla della sussistenza di uno squilibrio patrimoniale che è evidenza, a sua volta, dell’esistenza attuale, e non prospettica, di uno stato d’insolvenza.
La norma contenuta nell'art. 12, 1° comma, del recentissimo D.L. 118 pone un problema disciplinare che merita una riflessione.
"Gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell’articolo 10 conservano i propri effetti se successivamente intervengono un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, un concordato preventivo omologato, il fallimento,
la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione
straordinaria o il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’articolo 18".
Ci si deve chiedere a quale regime siano assoggettati gli autorizzati dal giudice ai sensi del medesimo art. 10 qualora successivamente non sopraggiunga l'omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione ex art. 182bis l.f.
Testualmente risultano non coperti dalla prededuzione (i crediti per finanziamenti autorizzati) ovvero dalla deroga alla responsabilità solidale dell'acquirente ex art. 2560 cpv. (le cessioni di aziende o di rami) ovvero ancora dalla rideterminazione delle condizioni contrattuali (i contratti divenuti eccessivamente onerosi per il debitore proponente a causa del Covid).
Ma ci si chiede se sia corretto, oltre che opportuno, che atti passati sotto il vaglio giudiziale prima del loro compimento, in quanto autorizzati, diventino in seguito privi della tutela legale - costituita dalla prededuzione o dalla esenzione dalla responsabilità solidale per i debiti del cedente - sol perché, per un qualsivoglia accidente esterno, non vengano omologate le successive procedure di ristrutturazione intraprese dal debitore.
In altri termini, è legittimo (e giusto) che i finanziatori, essenziali alla continuità aziendale, oppure i cessionari di azienda, parimenti determinanti nell'assicurare il risanamento d'impresa, perdano il diritto acquisito nella fase di stipula dei relativi contratti perché la loro controparte non sia riuscita a far omologare il tentativo di superare la crisi mediante una procedura diversa e posteriore?
La risposta non può che essere negativa, per tre ragioni fondamentali:
A) in primis, per una questione di ragionevolezza, non apparendo giustificato un differente regime per le due situazioni rappresentate, atteso che la salvaguardia dei creditori - si badi: controparti del proponente la ristrutturazione - viene a dipendere da un evento esterno, incerto e del tutto indipendente dalla loro sfera d'azione e di responsabilità;
B) in secundis, per l'opposta soluzione adottata dal legislatore nell'art. 161, comma 7, che conferisce la qualifica di prededucibilità ai "crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore" durante il concordato in bianco, ancorché non seguito da omologazione;
C) infine, per il diverso trattamento riservato agli atti, pagamenti e garanzie posti in essere dall’imprenditore nel periodo successivo alla
accettazione dell’incarico da parte dell’esperto (purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti), i quali rimangono esenti dalla revocatoria fallimentare, che notoriamente è l'altra faccia della medaglia della prededuzione.
Dunque lì le controparti negoziali del debitore vengono premiate, mentre qui gli stessi atti, per giunta autorizzati dal giudice ex art. 10, subiscono un successivo declassamento se non sopravviene l'omologazione della procedura maggiore instaurata.
È probabile che i finanziatori e gli acquirenti siano indotti ad astenersi dall'intervenire in un procedimento assai poco tutelante, preferendo attendere le garanzie offerte dall'apertura di una procedura concorsuale; pertanto si
auspica che in sede di conversione venga posto rimedio a siffatta ingiustizia.