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Sul nuovo concordato semplificato: ovvero tutto il potere ai giudici

Giuseppe Fichera, Giudice addetto all'Ufficio del massimario e del ruolo presso la Corte di Cassazione

11 Novembre 2021

 Una riflessione ad ampio spettro sugli aspetti più inediti e stimolanti del nuovo istituto. 
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Con la legge 21 ottobre 2021, n. 147, è stato convertito definitivamente il d.l. 24 agosto 2021, n. 118, recante Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia (d’ora innanzi “il decreto”); detta normativa, oltre a contenere l’ennesimo rinvio – ora, al 16 maggio 2022 – dell’entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), è sostanzialmente incentrata su un doppio pilastro, cui potranno “aggrapparsi”, senza alcuna restrizione legata alle dimensioni aziendali, tutti gli imprenditori sia commerciali che agricoli: a) la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (artt. 2 e segg.); b) il concordato semplificato (artt. 18 e 19). 
Entrambi i detti strumenti legislativi diverranno efficaci soltanto a partire dal giorno 15 novembre 2021, come previsto dalla disposizione transitoria dettata nell’art. 27 del decreto, mentre non è stabilito alcun termine di efficacia temporale per le norme in commento; quindi, almeno in linea teorica, esse sono destinate ad essere utilizzate anche dopo che diverranno finalmente efficaci le norme dettate dal Codice della crisi.
Questo scritto, come chiarisce subito il titolo, è teso a mettere in evidenza quello che appare il principale tratto caratterizzante il nuovo concordato liquidatorio: vale a dire il prepotente ritorno dell’organo giurisdizionale al centro della scena nelle procedure concorsuali, dopo anni contrassegnati da riforme di segno decisamente contrario. E un siffatto indirizzo del legislatore concorsuale del ’21 suscita ovviamente massimo interesse, anche in considerazione del preannunciato secondo decreto correttivo del Codice della crisi, com’è testimoniato dai numerosi scritti, anche di c.d. “ambito giudiziario”, che già si registrano sul tema[1].
2 . Il nuovo concordato
Il semplificato è un concordato preventivo, almeno in thesi, esclusivamente liquidatorio; la formula della rubrica dell’art. 18 non lascia apparentemente margini di dubbio[2], mentre il primo comma del ridetto art. 18 chiarisce ulteriormente che l’imprenditore può avanzare «una proposta di concordato per cessione dei beni»: dunque, dopo ottant’anni ecco tornare in auge la vecchia formula dell’originario art. 160, comma secondo, n. 2), l.fall. – abbandonata con la novella del 2005 – incentrata sulla proposta di concordato che prevede la «cessione di tutti i beni esistenti nel suo patrimonio».
Sembrerebbe esclusa, quindi, qualsiasi forma diversa di regolazione della crisi e, soprattutto, parrebbe sottratta all’imprenditore la possibilità di proporre un piano in continuità aziendale, ex art. 186-bis l.fall. 
Così non è, invece, almeno per il concordato con continuità c.d. indiretta, secondo la ricostruzione accolta dalla giurisprudenza della S.C.[3], perché esso risulta di fatto espressamente ammesso dall’art. 19 del decreto, ove si prevede che il piano possa comprendere l’offerta di un compratore – con efficacia immediata, prima ancora dell’omologa – riferita all’intera azienda o ad uno o più dei suoi rami.
Il semplificato non è poi una diversa tipologia del concordato preventivo disciplinato dalla vigente legge fallimentare[4]; a prescindere dalla circostanza che la norma in commento omette accuratamente di definire il nostro concordato come “preventivo”[5], va evidenziato che solo talune tra le disposizioni della legge fallimentare, espressamente richiamate dal decreto, si applicano al nuovo istituto[6]. 
E infatti, mentre il comma 2 dell’art. 18 rinvia senz’altro ai soli artt. 111, 167, 168 e 169 l.fall., il successivo comma 8 richiama – e, peraltro pure con la clausola di compatibilità – gli artt. 173, 184, 185, 186, 271-bis e 236 l.fall.; il che significa, a contrario, che tutte le restanti norme dedicate alla disciplina del vecchio concordato non potranno essere invocate in via generale anche per regolare il nuovo, salva ovviamente la necessità di una applicazione analogica della legge del ’42, laddove si riscontri un vuoto nella novella normativa non colmabile se non facendo ricorso appunto alla analogia legis
Come anticipato sopra, sotto il profilo soggettivo la nuova procedura – a differenza del concordato tradizionale, riservato all’imprenditore commerciale fallibile, cioè munito delle soglie rilevanti ex art. 1, comma secondo, l.fall. – risulta estesa a qualsiasi attività d’impresa, sia essa commerciale che agricola, pure se c.d. “sottosoglia” e, dunque, di regola sottratta alle procedure concorsuali.
Questa scelta del legislatore del ’21 appare particolarmente apprezzabile, in quanto sembra finalmente protesa al superamento di quella discriminazione – davvero anacronistica – tra imprenditore commerciale ed agricolo, che la legge delega sulla riforma delle procedure concorsuali si riprometteva di superare[7], e che, invece, inopinatamente il Codice della crisi ha continuato a preservare. Naturalmente, nella logica del superamento di qualsiasi distinzione nel trattamento dell’imprenditore agricolo rispetto a quello commerciale, sarebbe necessario prevedere, con una opportuna novella della vigente legge concorsuale (o di quella che, alfine, verrà l’anno prossimo), che anche l’agricolo sia finalmente assoggettabile al fallimento o alla liquidazione giudiziale, con le conseguenti significative responsabilità anche sul piano penale.
Appare infatti fortemente distonico che l’imprenditore agricolo possa ancora oggi godere del beneficio del concordato semplificato, ma non soggiacere ad una procedura concorsuale, se non su base esclusivamente volontaria (attraverso il ricorso all’attuale liquidazione del patrimonio prevista dall’art. 14-ter della legge 27 gennaio 2012, n. 3), ovvero, ma solo nella futura liquidazione controllata di matrice codicistica, anche su istanza dei creditori e del pubblico ministero[8], restando comunque sempre sottratto ai reati di bancarotta sia semplice che fraudolenta[9].
Per quanto concerne invece l’elemento oggettivo richiesto per accedere al concordato semplificato, nulla è detto dall’art. 18 del decreto, mentre il suo art. 2, comma 1, a proposito dei diversi presupposti per l’accesso alla composizione negoziata della crisi, discorre di imprenditore «che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza».
In mancanza, allora, di diverse disposizioni speciali dettate per l’accesso al concordato, deve ammettersi che il debitore – almeno in linea puramente teorica – potrà proporre il semplificato, al termine del lavoro risultato infruttuoso dell’esperto indipendente, anche qualora persista solo uno stato di probabile crisi o di insolvenza. 
In realtà, la sicura circostanza che per avviare il nuovo procedimento sia comunque richiesto l’accertamento – da parte dell’esperto indipendente – in ordine all’impossibilità di individuare «una soluzione idonea al superamento della situazione di cui all’articolo 2, comma 1», induce a ritenere che il debitore presenterà la proposta di concordato, sempre e soltanto quando si trovi in una situazione conclamata di crisi o di insolvenza, nella medesima accezione comunemente accettata dall’attuale art. 160, ultimo comma, l.fall., che com’è noto, a tutti gli effetti, equipara l’una all’altra.
La grande differenza rispetto al concordato preventivo tradizionale, come disciplinato dagli artt. 160 e segg. l.fall., risiede poi nella circostanza che il semplificato può essere utilizzato soltanto dall’imprenditore che abbia in precedenza avviato il procedimento di composizione negoziata per la soluzione dalla crisi, come disciplinato dagli artt. 2 e segg. del decreto.
In particolare, secondo il comma 1 dell’art. 18 del decreto, come novellato in sede di conversione in legge, è necessario che l’esperto indipendente nominato dall’apposita commissione istituita presso la camera di commercio del capoluogo di regione, nella relazione finale che è sempre chiamato a redigere al termine del procedimento teso alla composizione negoziata, dichiari «che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell’articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili».
Questa dichiarazione, che in sé contiene sia profili di natura squisitamente valutativa (la correttezza e buona fede serbata dal debitore nel corso delle trattative), sia di mero accertamento (la non praticabilità di alcuna tra le molteplici soluzioni negoziali previste dalla legge e, quindi, in sostanza il fallimento di ogni trattativa intavolata), costituisce un “lasciapassare” indispensabile perché l’imprenditore possa presentare una proposta di concordato con cessione dei beni ai suoi creditori.
Insomma, quando per qualsivoglia ragione difetta la relazione dell’esperto indipendente, ovvero se il suo scritto abbia censurato, sotto il profilo della correttezza e buona fede, la condotta mantenuta dall’imprenditore durante le trattative, la strada del semplificato appare irrimediabilmente preclusa, restando al debitore in stato di crisi, che intenda sottrarsi al fallimento, solo la possibilità di ricorrere al concordato preventivo tradizionale.
3 . La proposta
Il primo comma dell’art. 18 del decreto stabilisce che l’imprenditore deve depositare in tribunale la proposta di concordato nel termine di sessanta giorni, che decorrono dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della relazione finale dell’esperto nella piattaforma telematica nazionale prevista dall’art. 3 del decreto; deve ritenersi che il detto termine sia fissato a pena di decadenza[10], per non lasciare il debitore nella condizione di poter utilizzare sine die questo speciale strumento concorsuale, in alternativa al concordato tradizionale.
La proposta si presenta con un ricorso depositato direttamente nel tribunale[11] del luogo in cui l’impresa debitrice ha la propria sede principale[12]; alla proposta, che a cura del cancelliere va subito iscritta nel registro delle imprese – data dalla quale decorrono, ai sensi del comma 2 dell’art. 18, gli effetti tipici del concordato ex art. 111, 167, 168 e 169 l.fall. – e pure comunicata al pubblico ministero, deve essere allegato il piano di liquidazione e i documenti indicati nell’art. 161, secondo comma, lett. a), b), c) e d), l.fall.
La lettura della norma consente di fare emerge subito un’altra rilevantissima differenza rispetto al concordato come disciplinato dalla legge del ’42, che semplifica all’evidenza la stesura della proposta: la scomparsa dell’attestazione del professionista indipendente, ai sensi dell’art. 67, comma quarto, lett. d), l.fall., sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano, introdotta com’è noto con la prima riforma del concordato, attraverso il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. 
Si tratta di una novità apprezzabile, di cui ragionevolmente pochi si potranno dolere, non avendo in questi quindici anni l’attestazione che accompagna le proposte di concordato dato sempre garanzia di sicura affidabilità delle stesse ed avendo invece tale incombente, com’era del resto inevitabile, costantemente aggravato sia i costi che i tempi delle procedure.
Scompare poi nel concordato semplificato l’obbligo di depositare «il piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta», di cui alla lett. e) dell’art. 161, comma secondo, l.fall., come introdotta da d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134[13]; e però non mi pare che ci siano tra le due discipline differenze apprezzabili, stante la previsione, contenuta nel decreto, dell’obbligo di depositare il “piano di liquidazione”, visto che il concordato deve assicurare comunque «un’utilità a ciascun creditore» ai sensi dell’art. 18, comma 5. 
Insomma, è facile pronosticare – almeno nella stragrande maggioranza dei casi – una proposta che prospetti quale sarà la percentuale di soddisfacimento dei creditori e la relativa tempistica, atteso che l’art. 186 l.fall. – espressamente applicabile anche al semplificato – stabilisce ancora oggi che il concordato può essere risolto per inadempimento di non scarsa importanza: e allora, bisogna convenire che perché una proposta si possa definire tale, ci vuole un’offerta, che indichi tempi e modalità di adempimento al ceto creditorio, ovviamente senza necessità che si tratti di denaro sonante, essendo possibile offrire qualsiasi “utilità”.
Non convince, invero, la tesi secondo cui, siccome qui si tratta di una cessio bonorum, il debitore si libererebbe tout court da ogni obbligazione semplicemente mettendo a disposizione i suoi beni al ceto creditorio[14]; l’orientamento della S.C. è fermo infatti nell’affermare che il concordato preventivo con cessione dei beni – anche prima che venisse introdotta la soglia minima del 20% – poteva essere risolto quando fosse emersa l’impossibilità di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari, tenuto conto della percentuale di soddisfacimento indicata nella proposta dal debitore, anche se quest'ultimo non si era espressamente obbligato a garantirla[15].
Peraltro, la novità decisiva rispetto al vecchio concordato, tale da rendere il nuovo appetibilissimo per le imprese, consiste nella mancanza di una soglia minima di ristoro per i creditori privi di privilegi.
Il pendolo della percentuale di soddisfacimento dei chirografari nell’anno 2021 è quindi sottoposto ad una nuova oscillazione: si è partiti nel 42’ con la percentuale del 40%, per azzerare qualsiasi soglia nel 2005 con il d.l. n. 35 del 2005 e, poi, con il d.l. n. 83 del 2015 elevare la soglia al 20%, per tutti i concordati che non fossero in continuità aziendale; infine, dopo il tentativo – per ora rimasto sulla carta – del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di imporre al debitore non solo il pagamento del 20% dei chirografari, ma anche di apportare risorse aggiuntive nella misura del 10%[16], ecco che oggi assistiamo di nuovo alla cancellazione di qualsivoglia soglia legale minima di gratificazione per i creditori.
In sede di conversione del decreto-legge è stata introdotta la possibilità – che comunque in precedenza non poteva dirsi espressamente esclusa – di suddividere i creditori in classi; ciò evidentemente allo scopo principale di consentire al proponente, sempre nel rispetto del vincolo derivante dalle cause legittime di prelazione, di offrire trattamenti differenziati soprattutto tra i creditori chirografari, ancorché questi ultimi, come si dirà infra, non sono ammessi ad esprimere alcun voto sulla proposta.
Pure se la norma non prevede che la relazione finale dell’esperto debba essere prodotta dal debitore proponente, è bel plausibile immaginare che nella prassi siffatta documentazione sarà allegata unitamente al ricorso per l’omologa, visto che essa è di regola, ai sensi dell’art. 5, comma 8, del decreto, depositata dal professionista nella piattaforma telematica nazionale di cui all’art. 3, gestita dalle camere di commercio italiane e, solo nel caso in cui siano state adottate misure protettive e cautelari, comunicata anche al giudice che le ha adottate.
4 . Il procedimento
Assai significative, poi, appaiono le nuove soluzioni adottate dal semplificato per quanto riguarda il procedimento che conduce al giudizio di omologazione, tutte tese chiaramente a renderlo meno gravoso per l’imprenditore, velocizzandone altresì l’esito.
Così il comma 3 dell’art. 18 esclude che il tribunale debba avviare un subprocedimento teso all’adozione di un provvedimento di ammissione al concordato, ex art. 162 l.fall., limitandosi a disporre che venga nominato con decreto un “ausiliario” ex art. 68 c.p.c.
Manca poi qualsiasi riferimento al fondo per le spese della procedura, ex art. 163 l.fall., che dunque non dovrà più essere depositato, addirittura a pena di inammissibilità della proposta, nel termine perentorio assegnato dal tribunale. E questa novità, mi pare innegabile, favorirà la presentazione di concordati anche gracilissimi, in cui l’imprenditore risulti sfornito di una liquidità anche solo irrisoria.
La norma in commento attribuisce al giudice il compito di valutare seccamente «la ritualità della proposta», ed è chiaro che oltre alla verifica del rispetto del termine di sessanta giorni, di cui al comma 1, dell’art. 18, nonché dell’avvenuto deposito della prescritta documentazione contabile, il tribunale dovrà controllare che la relazione dell’esperto attesti che effettivamente le trattative siano state condotte secondo buona fede dal debitore.
È facile allora prefigurare che di fronte a condotte abusive messe in atto dal debitore, tese soltanto a guadagnare il “lasciapassare” per il deposito della proposta di concordato semplificato, il giudice non si asterrà dal sindacare le conclusioni dell’esperto, almeno quando esse si palesino manifestamente inattendibili: con il risultato di bocciare in radice la proposta di concordato.
È certo, comunque, che il tribunale comunque potrà vagliare – già in questa fase prodromica – sia che la proposta rispetti le cause legittime di prelazione, sia che il piano di liquidazione sia fattibile[17].
Sarebbe infatti del tutto inutile nominare l’ausiliario e fissare l’udienza di omologa, quando la proposta del debitore non ha alcuna possibilità di ottenere un giudizio favorevole al termine della relativa fase di omologazione; del resto, è regola generale per il concordato preventivo, dettata dall’art. 173 l.fall. – espressamente applicabile anche al nuovo liquidatorio –, che l’ammissione alla procedura può essere revocata in ogni momento quando risulta che manchino le condizioni che hanno consentito in precedenza di avviarla, mentre la S.C. ha sempre affermato che il tribunale deve verificare la persistenza, sino all’omologa, delle condizioni di ammissibilità della procedura già scrutinate nella fase iniziale[18].
Del resto, proprio con l’obiettivo di assicurare una valutazione ponderata al tribunale, la legge prevede che prima ancora di scegliere chi nominare, il giudice deve acquisire la relazione finale dell’esperto indipendente, precedentemente nominato nella fase di composizione negoziata, nonché un suo ulteriore “parere”, con specifico riferimento ai «presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte».
Dunque, anche se il legislatore ha preferito mantenere un assoluto silenzio su quello che è uno snodo cruciale della procedura, deve ritenersi che anche nel liquidatorio si registri una fase tesa a valutare l’ammissibilità della proposta di concordato; valutazione che il tribunale formulerà, implicitamente ma inequivocabilmente, al momento in cui addiverrà alla nomina del professionista con decreto.
Quasi a puntuale conferma di quanto affermato, è proprio il decreto-legge in esame che all’art. 18, comma 8, stabilisce come, sia pure ai soli fini dell’art. 173 l.fall., il decreto di nomina dell’ausiliario «equivale all’ammissione al concordato»: esiste dunque anche per la legge una fase destinata ad un vaglio preliminare dell’organo giurisdizionale.
Se difettano in radice le condizioni per l’ammissione al semplificato, il tribunale dichiarerà senz’altro – è auspicabile dopo avere attivato un contraddittorio, anche solo cartolare, con il proponente – inammissibile il ricorso per concordato.
Qui però si pone il tema della tutela del debitore avverso il decreto che dichiara inammissibile la proposta. 
Infatti, è noto che la dichiarazione di inammissibilità del concordato ex art. 162 l.fall., viene pronunciata con decreto espressamente non soggetto a reclamo e neppure ricorribile per cassazione, stante il suo carattere non decisorio, visto che – come afferma la S.C. – manca una controversia o meglio non può affermarsi che il decreto decida su diritti soggettivi di parti contrapposte e sia destinato al giudicato[19].
Ma se il concordato semplificato viene dichiarato inammissibile, quando sono già decorsi i sessanta giorni dal deposito della relazione dell’esperto indipendente, è chiaro che non sarà possibile presentare una nuova proposta; è difficile allora escludere che in questo caso il decreto del tribunale non possa essere in qualche modo sottoposto ad un riesame in sede giurisdizionale.
Da un lato, invero, non è riprodotta nella legge in commento la previsione della non reclamabilità dettata dall’art. 162 l.fall. e, dall’altro, non sempra dubitabile che occorre assicurare all’imprenditore la possibilità di invocare un controllo rispetto alla decisione del tribunale, che gli abbia precluso – come visto in maniera irreversibile – la possibilità di avvalersi del semplificato. 
Quindi va immaginato, pure in mancanza di norma espressa, l’esperibilità del reclamo alla corte d’appello, ex art. 26 l.fall., ovvero ancora meglio ai sensi dell’art. 739 c.p.c., invocando la regola generale dei procedimenti in camera di consiglio; contro il provvedimento reso in sede di reclamo, invece, dovrebbe restare ancora precluso il ricorso straordinario per cassazione, visto che non si decide qui di diritti soggettivi, almeno secondo la lettura delle Sezioni Unite della S.C. 
5 . L’ausiliario
La nuovissima figura dell’ausiliario, ex art. 68 c.p.c.[20], che soppianta lo storico ruolo del commissario giudiziale, risalente agli albori della legge sul concordato preventivo del 1903[21], pare costruita con il preciso intento di rendere il suo compito quanto più circoscritto possibile. 
La scelta si spiega, forse, con la volontà del legislatore urgente, da un lato, di semplificare il procedimento che conduce all’omologa del concordato e, dall’altro, di ridurre i costi della procedura, perché è chiaro ai più che l’ausiliario lavorerà assai meno del commissario e con compensi parametrati in modo di certo differente[22]. 
Anzitutto, in maniera assai singolare, all’ausiliario, chiamato ad accettare l’incarico entro tre giorni dalla comunicazione della nomina[23], non si applicano le prescrizioni dell’art. 28 l.fall. – oggi richiamato dall’163 l.fall. anche per il commissario giudiziale –, che prescrivono, per un verso, i requisiti professionali del curatore e, per l’altro, le incompatibilità in ragione dei suoi pregressi rapporti con l’imprenditore: come se il tribunale fosse libero di scegliere qualsivoglia professionista per un siffatto incombente, salvo il limite, comunemente disatteso nella prassi giudiziaria, della sua iscrizione nell’albo dei consulenti del tribunale ex art. 22 disp. att. c.p.c.
Le uniche prescrizioni da osservare, invero, sono quelle dettate dagli artt. 35, comma 4-bis, e 35.1 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), che impongono talune stringenti incompatibilità discendenti da vincoli esistenti con i magistrati dell’ufficio giudiziario. Insomma, sembra proprio che la preoccupazione del legislatore del ’21 sia soltanto quella di assicurare un ausiliario libero da legami di sorta con chi lo ha nominato, a prescindere da ogni indagine sulla sua effettiva professionalità, come pure su eventuali passati rapporti di lavoro con il debitore che ha avanzato la domanda di regolazione concordata della crisi.
Il professionista nominato, poi, è esonerato da una serie di importanti incombenze, che oggi nel concordato preventivo spettano tutte al commissario: i) non deve redigere l’inventario dei beni dell’imprenditore, ai sensi dell’art. 172 l.fall.; ii) non è chiamato a verificare l’elenco dei creditori apportandovi le eventuali rettifiche, ex art. 171 l.fall.; iii) non ha a disposizione le scritture contabili dell’imprenditore, come dispone l’art. 170  l.fall.; iv) neppure cura, infine, le comunicazioni ai creditori, con i quali non ha sostanzialmente alcuna interlocuzione, restando riservata tale attività al medesimo proponente.
Il nostro ausiliario, sempre a differenza del commissario, non è neppure qualificato quale pubblico ufficiale, non essendo richiamato l’art. 165 l.fall.; tuttavia, avuto riguardo all’orientamento della giurisprudenza a tenore della quale il consulente tecnico d'ufficio, in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di pubblico ufficiale[24], si è già affermato che egli sarà tenuto a comunicare al pubblico ministero i fatti di rilevanza penale dei quali venga a conoscenza nello svolgimento delle sue funzioni[25].
Quanto alla vigilanza sull’amministrazione dei beni del debitore che ha presentato la proposta, va detto che il comma 2 dell’art. 18, stabilisce seccamente che dalla data di pubblicazione della proposta «si producono gli effetti» dell’art. 167 l.fall., mentre il comma 8 del medesimo articolo dispone che si applicano in quanto compatibili, tra gli altri, l’art. 173 l.fall., «sostituita la figura del commissario giudiziale con quella dell’ausiliario». 
Mi pare allora ragionevole affermare che il decreto-legge in commento, per un verso, ha voluto confermare il principio della necessità dell’autorizzazione del giudice, per tutti gli atti di straordinaria amministrazione posti in essere dal proponente, senza tuttavia attribuire espressamente compiti di vigilanza all’ausiliario – atteso che manca la formula che rinvia alla sua “sostituzione” con il commissario –, per l’altro, ha stabilito che nell’ipotesi in cui, per qualsivoglia ragione, l’ausiliario abbia notizia che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, rilevanti ex art. 173 l.fall., dovrà attivarsi riferendone immediatamente al tribunale.
In disparte le situazioni patologiche sopra ricordate, allora, il compito principale, se non esclusivo, che la legge affida all’ausiliario è quello di redigere un secondo parere – dopo quello che la legge richiede all’esperto indipendente – sulla proposta di concordato, entro il termine che viene a assegnato dal tribunale già al momento della nomina. 
Nell’assoluto silenzio della norma in commento, peraltro, appare chiaro che il contenuto del citato parere del professionista non potrà che coincidere con quello che ancora oggi deve rendere il commissario giudiziale, ai sensi dell’art. 172, primo comma, l.fall. e, quindi, si concentrerà «sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori» sostanzialmente replicando lo stesso tema d’indagine su cui si era soffermato l’esperto ed illustrando pure le utilità che, in caso di fallimento – ma il discorso non vale per gli imprenditori (agricoli e c.d. sottosoglia) non soggetti a procedure concorsuali –, potrebbero essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie promosse nei confronti di terzi. 
Il secondo parere, unitamente alla relazione finale e al primo parere[26], entrambi a firma dell’esperto nominato nel procedimento di composizione negoziata della crisi, dovranno poi essere comunicati a tutti i creditori, ma ancora una volta, a cura del proponente e non dell’ausiliario, che esaurisce quindi ogni sua incombenza con la redazione del detto scritto.
6 . Il giudizio di omologa
Con il medesimo provvedimento di nomina dell’ausiliario, poi, il tribunale deve già fissare anche la data dell’udienza di omologa del concordato. 
E tutti i creditori dovranno avere notizia della detta udienza, sempre a cura del proponente; la comunicazione dovrà avvenire con un congruo anticipo, per consentire loro un adeguato spatium deliberandi, in vista dell’eventuale scelta di costituirsi in giudizio formulando una opposizione all’omologa. 
Non è tuttavia previsto più un termine minimo tra la comunicazione in parola e l’udienza, poiché inopinatamente in sede di conversione del decreto-legge, novellando il comma 4 dell’art. 18, si è ora stabilito semplicemente che tra la scadenza del termine assegnato all’ausiliario per depositare il prescritto parere e la data dell’udienza dovranno decorrere almeno trenta giorni, senza tuttavia aggiungere quale lasso di tempo debba invece decorrere tra la comunicazione della data fissata e l’udienza medesima.
Una volta ricevuta la comunicazione della data fissata, i creditori, nonché qualsiasi altro interessato – secondo la consueta formula utilizzata nei giudizi di omologa dei concordati –, potranno proporre opposizione all’omologazione, costituendosi nel termine di dieci giorni prima dell’udienza fissata; termine che la legge ha opportunatamente cura di definire espressamente come «perentorio», così superando il contrario orientamento espresso dalla Cassazione nell’ambito del concordato preventivo tradizionale[27].
Anche se non è prevista alcuna comunicazione dell’udienza al pubblico ministero, non vi sono margini di dubbio sulla sua facoltà di intervenire nel giudizio di omologa. Come nel vecchio concordato, invero, deve ritenersi infatti che il pubblico ministero, destinatario della comunicazione del deposito del ricorso per l’omologa del concordato, abbia diritto di intervenire volontariamente nella fase di omologa[28].
Come si evince dalla lettura della norma in commento, manca, direi davvero clamorosamente, l’adunanza riservata all’approvazione del concordato da parte dei creditori, avendo il legislatore del ’21 ritenuto utile introdurre un “concordato coatto”, ispirato a quelli già previsti nell’ambito delle liquidazioni coatte amministrative e delle amministrazioni straordinarie delle grandi imprese in crisi, dove notoriamente non è previsto alcun voto del ceto creditorio, spettando esclusivamente all’autorità amministrativa, ai sensi dell’art. 214 l.fall. o dell’art. 78 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270[29], il potere di autorizzare o meno la presentazione della proposta di concordato.
La differenza, non marginale, tra il concordato semplificato e gli altri concordati coatti, sta tuttavia nella sicura circostanza che mentre nelle liquidazioni amministrative e nell’amministrazione straordinaria, il debitore ha già perduto la disponibilità del suo patrimonio e l’Amministrazione esercita un ruolo latamente “tutorio” nell’autorizzare la proposta, nel semplificato, invece, manca qualsivoglia autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa e, soprattutto, il debitore si trova ancora in bonis.
Forse è interessante osservare che nell’arco di un secolo si è passati dalle maggioranze “bulgare” richieste dalla prima legge sul concordato preventivo[30], al primo concordato senza voto, dopo avere, per la prima volta solo lo scorso anno[31], deciso di attribuire al tribunale un potere sostitutivo rispetto a taluni creditori particolari, quali l’amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali, in caso di inerzia o addirittura di voto contrario alla proposta concordataria.
Possiamo dire, allora, che il legislatore del 2021, ispirato a quello del 2020, ha pensato bene di estendere questo inedito ruolo del tribunale, di custode degli interessi economici dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, a tutto il restante ceto creditorio; e ciò in nome della celerità e della semplificazione. 
È innegabile, invero, che il procedimento che conduce all’omologa, con la soppressione dell’adunanza dei creditori, ne esce particolarmente semplificato ed accelerato, restando superate d’emblée le spesso complesse questioni sorte sulla formazione delle maggioranze e sui crediti effettivamente vantati dai creditori chiamati a votare.
Pure nel silenzio della norma, il tribunale procederà senz’altro applicando il rito camerale[32], secondo lo schema consueto dei giudizi di omologa, almeno dopo le riforme del biennio 2006-2007; una volta esaurita l’assunzione dei mezzi di prova richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, il giudice dovrà omologare il concordato quando sussistano congiuntamente tutte le seguenti condizioni: a) che il contraddittorio e il procedimento siano stati “regolari”; b) che sia stato rispettato l’ordine delle cause di prelazione; c) che il piano di liquidazione sia fattibile, sia sotto il profilo giuridico che economico, secondo gli approdi della giurisprudenza in tema di vecchio preventivo[33]; d) che non vi sia pregiudizio per i creditori, rispetto all’alternativa del fallimento; e) che sia offerta comunque una “utilità” a ciascun creditore.
Mi pare chiaro, allora, che il quadro normativo appena descritto, consenta di affermare che le eventuali opposizioni proposte dai creditori, assumono oggi una rilevanza davvero marginale, non essendo facile riuscire ad immaginare quali ulteriori controlli i creditori possano sollecitare al tribunale, rispetto a quelli che già è chiamato a svolgere ex officio in forza della norma in commento.
La verità è che il d.l. n. 118 del 2021, nel momento in cui ha segnato una fortissima riduzione del ruolo del ceto creditorio – privato del potere di voto e costretto a subire offerte di soddisfacimento senza alcuna soglia minima – ha consegnato al tribunale un potere “di vita o di morte” su qualunque proposta di concordato, spettando in definitiva all’organo giurisdizionale il compito di sostituirsi ai creditori nella valutazione di convenienza – rectius mancanza di pregiudizio – della procedura concordataria rispetto al fallimento.
Assistiamo quindi ad un curioso ritorno alla legge del ’42, dove era il giudice che decideva se omologare o meno il concordato, valutando letteralmente – ai sensi del soppresso art. 181, n. 1), l.fall. – «la convenienza economica del concordato per i creditori», apparendo arduo tracciare la differenza tra le due ridette formule legislative, visto che in entrambe l’organo giurisdizionale è chiamato a valutare, in sostanza, se i creditori siano stati trattati in seno alla proposta in modo deteriore rispetto all’alternativa fallimentare.
7 . Le impugnazioni
Il legislatore urgente del ‘21, poi, a differenza dell’attuale legge fallimentare, ha cura di precisare quali esattamente siano i mezzi di impugnazione, avverso il provvedimento reso al termine del giudizio di omologa del concordato davanti al tribunale, nonchè i termini per esperirli accordati alle parti.
Più in dettaglio, quale che ne sia l’esito e – a differenza dell’attuale regime del concordato preventivo ex art. 180, comma terzo, l.fall. – anche in assenza di opposizioni di sorta da parte dei creditori o di qualunque altro interessato, il decreto del tribunale sarà sempre reclamabile innanzi alla corte d’appello, nel termine che ora è fissato espressamente in trenta giorni, a decorrere dall’avvenuta sua comunicazione a cura della cancelleria[34].
È chiaro, peraltro, che in mancanza di creditori opponenti che si siano costituiti in giudizio, risulta difficile immaginare chi sia legittimato a proporre reclamo: di certo il medesimo debitore, nel caso di rigetto della domanda di omologa, ovvero nell’ipotesi in cui il provvedimento del tribunale, inopinatamente, abbia disposto una modifica – non fatta propria dal proponente, nel corso del giudizio – rispetto al contenuto originario della proposta.
Avverso il decreto reso dalla corte d’appello – a differenza dell’attuale art. 183 l.fall. – è ora espressamente accordata alla parte soccombente la facoltà di proporre ricorso per cassazione, ancora una volta entro il termine di trenta giorni, che decorre a partire dalla comunicazione del provvedimento del giudice di secondo grado, in perfetta adesione a quello che risulta ormai l’orientamento fatto proprio dalla S.C. in relazione al vecchio concordato[35].
Infine, pure nell’assoluto silenzio della norma in esame, occorre ritenere che se un creditore opponente, ovvero il pubblico ministero volontariamente intervenuto nel giudizio di omologa, abbiano avanzato istanza di fallimento nei confronti del debitore, al decreto di rigetto dell’omologa potrà accompagnarsi – come già prevede l’ultimo comma dell’art. 180 l.fall. – la pronuncia di una sentenza che apre il concorso nei confronti del debitore; in questi casi, allora, è da immaginare che il fallito potrà contemporaneamente impugnare il decreto di rigetto e la sentenza di fallimento innanzi alla corte d’appello, nel medesimo termine di trenta giorni dalla comunicazione di entrambi i provvedimenti.
8 . L’esecuzione
L’art. 19 del decreto, infine, si occupa in maniera assai laconica della fase dedicata all’esecuzione del concordato. 
Anzitutto, è precisato che spetta esclusivamente al tribunale e non al debitore – così risolvendosi i dubbi emersi alla luce del diverso, assai poco condivisibile, orientamento manifestato anche di recente dal Giudice di legittimità[36] – la scelta del liquidatore da nominare. 
In ogni caso, chiarisce la norma in commento, si applicano alla liquidazione post omologa, in quanto compatibili, tutte le disposizioni di cui all’art. 182 l.fall., in tema di esecuzione del concordato con cessione dei beni ai creditori.
L’unica vera novità introdotta per il semplificato nella fase puramente liquidatoria, riguarda la possibilità, alla quale si è già fatto cenno in precedenza, di procedere con modalità estremamente deformalizzate alla cessione dell’azienda, ovvero di un suo ramo, in favore di un terzo offerente, quando detta manovra risulti già programmata nel piano concordatario.
In quest’ipotesi il liquidatore giudiziale, «verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato», deve senz’altro dare esecuzione alla cessione in favore del terzo, che è equiparata ai fini codicistici alla vendita celebrata in sede di esecuzione forzata, attraverso il richiamo espresso agli artt. da 2919 a 2929 c.c.
Stessa procedura acceleratissima è prevista quando il piano di liquidazione prevede che l’offerta di acquisto dell’azienda debba essere accettata ancora prima ancora dell’omologazione.
In questo caso è l’ausiliario – ché ancora non è stato nominato il liquidatore – ad assumere un inedito ruolo di gestore della vendita, che la legge fallimentare attualmente neppure riserva al commissario giudiziale, nel caso di offerte concorrenti ex art. 163-bis l.fall.; prima di procedere a dare esecuzione alla stessa, è da ritenere avvalendosi delle forme privatistiche, l’ausiliario dovrà ottenere espressa autorizzazione da parte del tribunale, in consonanza con la regola generale dettata dall’art. 167 l.fall., dopo avere verificato anche in questo caso l’assenza di migliori soluzioni sul mercato.
9 . Conclusioni
La novella del 2021 ha introdotto nell’ordinamento concorsuale italiano un nuovo istituto, che presenta caratteri di sicuro interesse. 
Come si è cercato di illustrare in precedenza, di fronte all’emergenza pandemica e alla perdurante situazione di incertezza economica a livello mondiale, la scelta del riformatore, ribaltando platealmente l’ottica del Codice della crisi prima ancora della sua ormai prossima in vigore, è stata quella di puntare in maniera generalizzata, senza distinzioni di sorta tra tipi di impresa, su un concordato tra il debitore e i creditori con tratti assai peculiari rispetto alla tradizione concorsuale italiana: scomparsa dell’attestatore e del commissario, niente soglie minime di soddisfacimento, niente fondo per le spese della procedura e, infine, sottrazione anche del diritto di voto ai creditori.
Queste caratteristiche del semplificato, che appaiano prima facie marcatamente “premiali” per il debitore insolvente, sembrano trovare una precisa giustificazione nella preso d’atto che – assai spesso – l’alternativa fallimentare non è in grado di apportare maggiore ristoro al ceto creditorio: dunque il nuovo concordato, al di là di inutili dispute ideologiche, si palesa come alternativa più rapida e snella rispetto alla procedura fallimentare, destinata  in molti casi solo a procrastinare i tempi di liquidazione del patrimonio.
Quella che merita sicura attenzione in questo contesto, tuttavia, è la precisa opzione del decreto-legge in esame per un controllo forte da parte del giudice, che assume ora un ruolo tutorio rispetto agli interessi dei singoli creditori, finendo per sostituirsi agli stessi nel valutare la convenienza del concordato rispetto al fallimento, o, per usare la formula legislativa, nello stabilire se il concordato arreca loro “pregiudizio” rispetto all’altra procedura.
Occorre però avere la consapevolezza che se il ritorno ad un ruolo protagonista del giudice non può, di per sé, essere visto con disfavore, solo l’applicazione pratica del nuovo istituto consentirà di capire se la ritrovata centralità del tribunale nella gestione della crisi d’impresa, sia lo strumento giusto per assicurare “il miglior soddisfacimento dei creditori”, cioè quello che in definitiva deve ancora oggi ritenersi l’obiettivo primario di ogni procedura concorsuale.

Note:

[1] 
Critici sul nuovo istituto: Pacchi, Le misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (ovvero: i cambi di cultura sono sempre difficili), su www.Ilcaso.it, 9 agosto 2021; Lamanna, Nuove misure sulla crisi d’impresa del D.L. 118/2021: Penelope disfa il Codice della crisi recitando il "de profundis" per il sistema dell'allerta, su www.ilFallimentarista.it, 25 agosto 2021; Galletti, Breve storia di una (contro)riforma “annunciata”, ivi, 1 settembre 2021; Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal D.L. n. 118 del 2021, su www.Dirittodellacrisi.it, 5 ottobre 2021. Più articolato il giudizio di Morri, Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, su www.ilFallimentarista.it, 24 agosto 2021; decisamente favorevoli Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, su www.Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021; Farolfi, Le novità del D.L. 118/2021: considerazioni sparse “a prima lettura”, ivi, 6 settembre 2021; Guidotti, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, su www.Ilcaso.it, 8 settembre 2021; Ambrosini, Il concordato semplificato: primi appunti, ivi, 23 settembre 2021.; Leuzzi, Analisi differenziale fra concordati: concordato semplificato vs ordinario, su www.Dirittodellacrisi.it, 9 novembre 2021.
[2] 
Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”. 
[3] 
Cass., Sez. 1, 19 novembre 2018, n. 29742, a tenore della quale il concordato con continuità  aziendale, disciplinato dall'art. 186-bis l.fall., è configurabile anche qualora l'azienda sia già stata affittata o si pianifichi debba esserlo, palesandosi irrilevante che, al momento della domanda di concordato, come pure all'atto della successiva ammissione, l'azienda sia esercitata da un terzo anziché dal debitore, posto che il contratto d'affitto diventa strumento funzionale alla cessione o al conferimento di un compendio aziendale.
[4] 
La relazione di accompagnamento al decreto-legge in verità parla espressamente «di una nuova tipologia di concordato preventivo», denominato «concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio»; ma l’argomento della relazione non è certamente decisivo.
[5] 
Lo sottolinea Ambrosini, op. cit., pp. 7, 8.
[6] 
Bozza, op. cit., p. 6; Ambrosini, op. loc. cit.
[7] 
L’art. 2, comma 1, lett. e), della legge 19 ottobre 2017, n. 155 prevedeva di «assoggettare al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza ogni categoria di debitore, sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attività commerciale, agricola o artigianale, con esclusione dei soli enti pubblici».
[8] 
Ai sensi dell’art. 268 c.c.i.i. La legittimazione del pubblico ministero sussiste sempre nel caso di imprenditore agricolo. 
[9] 
L’art. 16 della legge n. 3 del 2012 prevede una responsabilità penale per il debitore che commette atti fraudolenti esclusivamente in funzione o nel corso di una delle procedure di sovraindebitamento. Nessuna sanzione, invece, per le condotte pregresse serbate dall’imprenditore quando era in bonis.
[10] 
Bozza, op. cit., p. 8
[11] 
Pacifica la competenza del tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 50-bis, n. 4), c.p.c., che riserva al collegio le cause di omologazione del concordato preventivo. Manca invece nel decreto ogni riferimento alla figura del giudice delegato, tuttavia, trattandosi di procedimenti camerali, ai sensi dell’art. 738 c.p.c., il presidente del collegio designerà sempre un componente quale relatore e a quest’ultimo potranno essere delegati atti di istruzione.
[12] 
Il decreto-legge omette il rinvio all’art. 161, primo comma, l.fall., in ordine alla persistenza competenza del tribunale anche nel caso di spostamento della sede nell’ultimo anno. Ma credo che si possa applicare per identità di ratio la detta norma.
[13] 
Lo sottolinea Bozza, op. cit., p. 11
[14] 
Leuzzi, op. cit., p. 19.
[15] 
Cass., Sez. 1, 31 luglio 2019, n. 20652.
[16] 
Così l’art. 84, comma 4, c.c.i.i.
[17] 
Di parere diverso Bozza, op. cit., p. 17. 
[18] 
Cass., Sez. 1, 30 gennaio 2017, n. 2234.
[19] 
Cass., S.U.,  28 dicembre 2016, n. 27073.
[20] 
Il legislatore sembra essersi ispirato a Cass., Sez. 1, 20 gennaio 2021, n. 976, che in tema di concordato preventivo ha stabilito che ancorché il procedimento concordatario preveda la nomina del commissario giudiziale, quale figura prestabilita di ausiliario, non è comunque precluso all'organo giudicante di fare ricorso al generale disposto dell'art. 68 c.p.c. per sopperire a peculiari esigenze che si presentino nel corso della procedura onde assicurarne il migliore sviluppo.
[21] 
L’art. 4 della legge n. 197 del 1903 stabiliva che il tribunale, una volta ammesso il concordato preventivo, dovesse immediatamente nominare un commissario «con l'incarico di invigilare nel frattempo l'amministrazione dell'azienda, di accertarne l’attività e passività, di indagare sulla condotta del debitore e di riferirne all'adunanza dei creditori».
[22] 
Così Bozza, op. cit., p. 24; mentre il compenso del commissario è determinato ai sensi dell’art. 5 del d.m. 25 gennaio 2012, n. 30, quello dell’ausiliario in forza dell’art. 49 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, rinvia al d.m. 30 maggio 2002, che distingue tra compensi fissi e variabili.
[23] 
A differenza del commissario giudiziale, che ai sensi del combinato disposto degli artt. 29 e 163 l.fall., deve accettare entro due giorni, pena la sua immediata sostituzione.
[24] 
Cass., Sez. 2, 12 ottobre 2021, n. 27723; Cass. Sez. 2, 27 agosto 2012, n. 14652.
[25] 
Morri, op. cit., p. 3.
[26] 
In sede di conversione del d.l. n. 118 del 2021, si è previsto che anche il parere dell’esperto, unitamente alla sua relazione finale, siano comunicati ai creditori.
[27] 
Cass., Sez. 1, 16 settembre 2011, n. 18987.
[28] 
Cass., Sez. 1, 28 febbraio 2017 n. 5074.
[29] 
Il secondo comma dell’art. 78 del d.lgs. n. 270 del 1999, prevede che l’autorizzazione da parte dell’amministrazione sia accordata tenendo conto della convenienza del concordato e della sua compatibilità con il fine conservativo della procedura.
[30] 
L’art. 14 della legge n. 197 del 1903 richiedeva, per l’approvazione del concordato, il voto favorevole dei tre quarti dei creditori.
[31] 
Con la novella dell’art. 180, comma quarto, l.fall., introdotta dal d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito con modificazioni dalla legge 27 novembre 2020, n. 248.
[32] 
L’art. 180, primo comma, l.fall., invece stabilisce espressamente che il tribunale «fissa udienza in camera di consiglio».
[33] 
Da ultimo, Cass., Sez. 1, 15 giugno 2020, n. 11522, a tenore della quale la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica postula che il sindacato del tribunale riferito alla prima appuri la non incompatibilità del piano con norme inderogabili, mentre quello relativo alla seconda si incentri sulla realizzabilità del piano medesimo nei limiti della verifica della sua eventuale manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati, rimanendo riservata ai creditori la sola valutazione della convenienza della proposta rispetto all'alternativa fallimentare.
[34] 
È lo stesso termine individuato per il reclamo, ex art. 183 l.fall., dal Giudice di legittimità: vedi Cass., Sez. 1, 5 agosto 2019, n. 20892.
[35] 
Così Cass., Sez. 1, 20 novembre 2019, n. 30201.
[36] 
Cass., Sez. 1, 29 luglio 2021, n. 21815, afferma da ultimo che il decreto con il quale il tribunale in sede di omologazione provvede alla nomina di un liquidatore giudiziale diverso da quello indicato nella proposta approvata, è impugnabile per cassazione a norma dell'art. 111, comma 7, Cost., restando il potere di nomina del tribunale vincolato alla designazione fatta dal debitore, a condizione che essa sia rispettosa dei requisiti previsti dall'art. 28 l.fall.

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