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Saggio

Gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento*

Salvatore Leuzzi, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione
Maria Rita Schiera, Avvocato in Milano

13 Gennaio 2025

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto confluirà con eventuali modifiche e integrazioni sul Trattato Cagnasso-Panzani.
L'esame è dedicato all’istituto del piano attestato di risanamento, inserito dal D.Lgs. 14 gennaio 2019, n. 14, fra gli strumenti di regolazione della crisi (Titolo IV), all’interno del Capo I dedicato agli Accordi di natura stragiudiziale, e dotato, di un’autonoma disciplina in punto di presupposti, contenuti ed effetti. 
Riproduzione riservata
1 . Evoluzione storica dell’istituto
Innestato nella legge fallimentare dalla riforma attuata con il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. nella L. 14 maggio 2005, n. 80, l’istituto risponde ab origine al fine precipuo di assecondare una gestione tempestiva e negoziale della crisi d’impresa. 
Ad esso non era dedicato, sotto l’egida della legge fallimentare, un novero autonomo di regole; la sua essenza si scorgeva in controluce, nella norma sulle revocatorie fallimentari, l'art. 67 L. fall., il cui comma 3, lett. d), descriveva il piano attestato alla stregua di strumento "idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria". 
Altri due riferimenti all’istituto si ritrovavano in altrettante norme penalistiche. Innanzitutto, nell'art. 217 bis L. fall., contenente l’esenzione dalle fattispecie della bancarotta fraudolenta preferenziale e della bancarotta semplice dei pagamenti e delle operazioni posti in essere in esecuzione del piano. Inoltre, nell'art. 236 bis L. fall., mirato a sanzionare il professionista attestatore di un piano comprensivo di un’esposizione di dati falsi oppure omissivo rispetto a informazioni rilevanti. 
Lo strumento è riproposto adesso, con fisionomia inalterata, ma più marcata nei tratti, dall’art. 56 CCII, e seguita a distinguersi come il più flessibile fra i mezzi di regolazione degli squilibri delle realtà produttive. 
La L. 19 ottobre 2017 n. 155, sulla delega per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, prescriveva sommariamente di incentivare lo strumento. Il legislatore delegato ha raccolto l’impulso, disegnando per esso una disciplina autonoma, affrancata dalla norma sulle revocatorie nella liquidazione giudiziale. Se nel contesto della legge fallimentare, il piano attestato era declinato ab implicito dall’art. 67 L. fall., la sua struttura e le sue regole sono ora tratteggiate puntualmente dall’art. 56 CCII, inserito nel Capo I relativo agli "accordi" e nella Sezione I avente per oggetto gli "Strumenti negoziali stragiudiziali". 
L’indole del piano è intimamente privatistica, in esso si nota la quintessenza del trend di sistema verso la degiurisdizionalizzazione delle crisi di impresa. L’atto produce, difatti, i propri effetti al di fuori da ogni controllo pubblicisticomma 
Dal punto di vista organizzativo, il piano si traduce in un programma d’azione per la governance dell’impresa. Esso vincola l’attività degli amministratori e assume rilievo anche ai fini della valutazione della loro diligenza, da un lato, nella gestione della crisi d'impresa, dall’altro (e a monte), nella definizione degli assetti organizzativi adeguati a intercettarne i segnali. 
Su un versante aziendalistico, il piano si risolve in una tecnica di svolgimento dell'attività di produzione e distribuzione di beni e servizi nella fase di difficoltà economico-finanziaria dell’impresa. 
Su un crinale giuridico, lo strumento è, infine, manifestazione tipica di autonomia privata, racchiusa in un negozio teso a governare l’impresa la cui attività è contaminata da uno squilibrio più o meno intenso, ma pur sempre risanabile. 
L’assenza di un vaglio del giudice e di una formale omologazione da parte sua pone l’istituto all’esterno del recinto delle procedure concorsuali[1]; di esse il piano attestato non ripresenta nessuno dei profili salienti, da esse è scollegato anche sul piano della consecutio e non mutua, neppure in via analogica, il tessuto applicativo delle regole. 
La non concorsualità sporge sotto plurimi aspetti. Fa difetto uno spossessamento anche solo attenuato dell’impresa, dacché l’autonomia di conduzione dell’imprenditore è tale da facoltizzarlo ad eseguire liberamente qualsiasi pagamento. Non vi è giudice, ma neppure altro organo preposto a sovrintendere sull’appendice esecutiva del mezzo ristrutturatorio. Non scatta blocco alcuno sui crediti, nel mentre i debiti non si cristallizzano. Non si ravvisa un patrimonio lato sensu separato da destinare alla soddisfazione dei creditori. Vi è una radicale emancipazione dalle regole distributive dall’ordine legale delle prelazioni. Il progetto di risanamento, orientato a dar corso e impulso all’attività produttiva, giustifica le alterazioni della par condicio ad esso ancillari, sia in termini di atti solutori, che di rilascio di nuove garanzie. 
Concepito come atto interno e unilaterale dell'impresa, il piano non presuppone il raggiungimento di un accordo con i creditori. Fisiologico, peraltro, che nell’esperienza concreta del consenso di costoro – solitamente chiamati a un sacrificio di decurtazione o dilazione delle pretese – si avverta quasi sempre il bisogno, in funzione del raggiungimento degli obiettivi programmati. Difficile immaginare, d’altronde, che un professionista possa spingersi a pronosticare il riscontro favorevole dei soggetti eventualmente incisi da una pianificazione economica che non sia stata con essi negoziata. Perciò, il piano attestato ha finito storicamente per collegarsi, almeno nella parte preponderante dei casi, ad un’intesa coi creditori penalizzati, fossero essi banche, società di leasing, fornitori “strategici”, in guisa da sterilizzarne le reazioni rispetto agli atti esecutivi destinati ad attingerli. La centralità ricorrente delle convenzioni coi creditori si scorge, del resto, nel quadro degli effetti del piano, volti a neutralizzare le revocatorie, quindi a beneficiare tendenzialmente proprio i titolari delle pretese. 
Quand’anche i creditori siano resi sovente partecipi della costruzione del piano, quest’ultimo non traligna dalla propria declinazione unilaterale, al netto delle ipotesi, in cifra complessiva remote, in cui i creditori assumano specifiche obbligazioni. 
Se il laconico tenore dell’art. 67, lett. d), L. fall., postulava un’attestazione di idoneità e ragionevolezza del piano, senza reclamare il consenso dei soggetti attivi dei rapporti obbligatori, neppure nell’orizzonte codicistico, il piano attestato acquisisce una dimensione contrattuale. Non militano in senso contrario, né la rubrica dell’art. 56, che pure evoca “accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento”, né il primo comma della norma, ove si pretende che il piano sia “rivolto ai creditori”, quelli presenti, ma – è da ritenere – anche quelli futuri, in quanto gli uni e gli altri coessenziali all’iniziativa risanatrice. Queste sottolineature testuali non ridondano sulla natura del piano; la loro ratio si coglie nell’opportunità di incoraggiare, nella prospettiva risanatrice, la negoziazione sui debiti e la rinegoziazione dei contratti. Il piano solipsistico e autarchico si allontana dalla realtà, in quanto ad essere attestabile è ciò che prevedibilmente incontra il favore dei creditori ed è suscettibile di coniugarsi con altrettanti contratti esecutivi della programmazione adombrata. D’altronde, diversamente che nelle procedure concorsuali il debitore non ha la prerogativa di intaccare le posizioni di quanti non acconsentano volontariamente a sistemare al ribasso le proprie ragioni di credito. Tuttavia, gli accordi sui rapporti obbligatori investiti dal piano, lungi dal rimodulare detto strumento entro uno schema bilaterale, mutuano la causa concreta di un atto del debitore che rimane unilaterale ex art. 1324 c.c.[2]. In altri termini, la circostanza che il piano sia loro "rivolto" non rende i creditori parte di un rapporto negoziale. Il piano non attende, d’altronde, l’accettazione da parte dei titolari delle pretese, i quali al più saranno chiamati a stipulare con il debitore, qualora persuasi della bontà del piano, altrettanti accordi a latere di esso. 
Il piano, nel guadagnare a livello di codice la propria indipendenza, mantiene invariati, oltre alla natura giuridica, anche gli obiettivi già espressi dall’art. 67, lett. d), L. fall.,e rappresentati dal risanamento dell’esposizione debitoria e dal riequilibrio dell’impresa. In quanto mezzo di programmazione economico-aziendale, orientata – al di fuori di un alveo giudiziale – ad assorbire l’indebitamento e a ristabilire l’equilibrio dell’impresa, il piano esige che quest’ultima versi in una situazione di dissesto fronteggiabile, quindi di crisi o, al più, di insolvenza non irreversibile. 
Ai fini del riequilibrio il riferimento testuale corre ora alla situazione economico-finanziaria della realtà produttiva, non più soltanto a quella finanziaria. È al riassestamento complessivo che devono indirizzarsi le "strategie d'intervento” menzionate dal comma 2 dell’art. 56, e di cui il piano deve fornire indicazione unitamente ai tempi reputati necessari[3]. In effetti, benché il progetto di risanamento contempli sempre un’iniziativa sul versante finanziario, esso di solito si allaccia ad un piano industriale, oltre che ad accordi di riscadenziamento dei debiti, ovvero di consolidamento dell'esposizione debitoria, con la conversione dei debiti a breve in debiti a medio-lungo termine. 
Anche nel vigore della nuova disciplina della crisi e dell’insolvenza, il piano è svincolato da obblighi pubblicitari. La pubblicazione dello strumento nel Registro delle Imprese resta facoltativa, il che salvaguarda la forza attrattiva dell’istituto nei riguardi delle imprese che aspirano ad amministrare la propria condizione di squilibrio in una dimensione appartata, anziché esteriorizzata. Ciò si apprezza a maggior ragione se si considera la carenza di un vero sistema legale di protezione del patrimonio del debitore che fa uso del piano attestato rispetto a potenziali azioni conservative o esecutive dei creditori.
2 . Obiettivi e presupposti
A tenore dell’art. 56 CCII, il piano risponde a due obiettivi nitidi: il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e il riequilibrio della sua situazione patrimoniale ed economico-finanziaria. 
Il primo obiettivo pare in linea di principio sic et simpliciter combaciare con la complessiva riorganizzazione dei rapporti obbligatori dell’ente, finalizzata al pagamento quand’anche non integrale dei debiti, in grado di determinare la rimozione dello stato di crisi o di insolvenza, secondo le definizioni esplicitate dall’art. 2, lett. a) e b), CCII 
Il secondo scopo esige il recupero di un assetto bilanciato dei flussi dell'impresa, in entrata e in uscita; tale orizzonte è ottenibile in modo vario e atipico, purché sufficiente a garantire il ritorno, a breve e/o a medio-lungo a una condizione di equilibrio nel cui quadro le entrate monetarie sono in grado di fronteggiare le corrispondenti uscite. 
Ai sensi dell’art. 56, comma 1, CCII il piano attestato è proposto dall'"imprenditore", senza che siano richiesti attributi soggettivi. L'incipit della norma attribuisce la legittimazione alla predisposizione del piano attestato di risanamento all’imprenditore tout court in stato di crisi o di insolvenza, senza null’altro precisare in ordine alla natura di tale imprenditore, lasciando quindi aperto il dubbio sulla legittimazione dell’imprenditore non commerciale e dell’impresa minore. Dubbio che, invece, non sussiste in relazione agli altri strumenti negoziali di risanamento - accordi di ristrutturazione, convenzione di moratoria e accordi di cui all’art. 23, comma 1, lett. a) e c) -, in quanto i primi riservati dall’art. 57 CCII, all’imprenditore, anche non commerciale e diverso dall’imprenditore minore, la seconda all’imprenditore anche non commerciale (art. 62 CCII) e gli ultimi ai soggetti che hanno accesso alla composizione negoziata, vale a dire l’imprenditore commerciale e agricolo (art. 12 CCII). 
In realtà l’evoluzione della norma nella sua fase preparatoria consente di affermare che la scelta di espungere il riferimento all’imprenditore non commerciale, esistente nella bozza originaria, vada intesa quale volontà del legislatore di non restringere il campo della legittimazione, e, anzi, di estenderlo a qualunque tipologia di imprenditore, anche piccolo[4], che eserciti attività commerciale, industriale, artigiana o agricola, conformandosi a quanto previsto dall’art. 1 CCII, in tema di ambito di applicazione del Codice della Crisi[5]. Opinione, quest’ultima, peraltro già avanzata da alcuni Autori nel vigore della Legge Fallimentare, sul presupposto della libera determinazione contrattuale delle parti statuita dall’art. 1322 c.c.[6], che tuttavia si scontrava, allora, con la limitazione degli effetti del piano attestato all’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare (art. 67, comma 3, lett. d), L. fall.) e dunque presupponeva che di tali effetti potessero godere i soli imprenditori assoggettabili a fallimento[7]. 
Quest’ultima conclusione non è più così pacifica dopo l’introduzione del Codice della Crisi, il cui art. 166, comma 3, lett. d), prevede ora che l’esenzione riguardi anche l’azione revocatoria ordinaria, con la conseguenza che anche altre tipologie di imprenditori, oltre a quelli assoggettabili a liquidazione giudiziale, potrebbero avervi interesse, e, in particolare, i soggetti passibili di liquidazione controllata[8], in considerazione del fatto che l’art. 274, comma 2, CCII attribuisce al liquidatore il potere di esercitare le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori secondo le norme del codice civile (art. 2901 c.c.)[9]. 
Stanti le suddette questioni, ancorché prevalentemente risolte dalla dottrina nel senso dell’accessibilità dell’istituto ad un’ampia platea di soggetti, il legislatore avrebbe forse potuto prevedere espressamente l’estensione della disciplina a qualunque imprenditore, anche per coerenza sistematica rispetto agli altri istituti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal Codice, che sempre individuano esattamente il rispettivo ambito soggettivo di applicazione. Occasione, quest’ultima, non colta nemmeno con il Secondo Correttivo, che, pur avendo sotto alcuni aspetti innovato la disciplina dell’art. 56 CCII, nulla ha puntualizzato al riguardo. 
Quanto ai presupposti oggettivi dell’istituto, come anticipato, la norma prevede espressamente che esso è applicabile all’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza. Vengono in tal modo risolti i dubbi sorti nel vigore della Legge Fallimentare circa la possibilità di accesso all’istituto da parte dell’imprenditore insolvente[10], in quanto, in tesi, insuscettibile di risanamento. Ferma, dunque, l’accessibilità dell’istituto all’imprenditore insolvente, pare evidente che al fine di conseguire l’obiettivo del risanamento – che è paradigma del piano attestato – dovrà sempre trattarsi di insolvenza reversibile attraverso le azioni previste dal piano, compreso l’eventuale apporto di finanza esterna. Pertanto, andrà sempre valutata da parte dei professionisti dell’imprenditore e soprattutto dell’attestatore, quale presupposto di fattibilità economica del piano attestato, la sua adeguatezza in concreto ad assorbire lo squilibrio e a ripristinare la redditività dell’impresa, pur in presenza di una situazione di insolvenza[11]. 
Sotto altro profilo, il riferimento alla “crisi” fa ritenere che non siano ammissibili i piani relativi ad imprese che si trovino in una situazione di difficoltà meno intensa di quella definita dall’art. 2, comma 1, lett. a), che si manifesta, cioè «con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi». Questo al fine di evitare il rischio che il piano attestato possa essere utilizzato strumentalmente dal debitore e dai creditori più forti a discapito della par condicio creditorum nell’eventuale futura liquidazione giudiziale[12]. L’istituto resta, dunque, interdetto all’impresa ancora collocata nella c.d. twilight zone, ossia nella fase economico-temporale della sua vita che ne precede la crisi vera e propria, ma che ponendosi sulla mezzeria fra la situazione di un aggregato produttivo in condizioni normo-tipiche e quella di una realtà già in crisi, in ogni caso fa emergere una condizione di vulnerabilità e/o di declino. 
Altro tema dibattuto in dottrina è quello della necessità o meno che il piano si sviluppi in, e sia finalizzato alla, continuità aziendale dell’impresa, dunque alla sua sopravvivenza oltre il periodo di esecuzione del piano. Ci si chiede, quindi, se sia ipotizzabile un piano che sia in parte o anche esclusivamente finalizzato alla liquidazione degli asset aziendali in funzione della soddisfazione dei creditori, ovvero se ciò si ponga in contrasto con la natura dell’istituto. 
Già i commentatori dell’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., erano prevalentemente orientati a ritenere la continuità aziendale, almeno parziale, quale elemento qualificante il piano attestato[13], sul presupposto che solo per tale via potesse essere concretamente perseguito l’obiettivo del “risanamento” e del “riequilibrio” che ne costituiscono elemento fondante[14]. Orientamento che sembra confermato anche dai primi commentatori del Codice[15], pure sulla scorta del dato testuale dell’art. 56, comma 2, lett. g) e g bis), CCII, che richiedono espressamente, tra i contenuti del piano, sia il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul quadro finanziario in funzione del riequilibrio economico-finanziario dell’impresa, sia l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi[16]. La necessità di predisposizione di un piano industriale e la diretta funzionalizzazione di quest’ultimo al riequilibrio della situazione economica e finanziaria dell’impresa, infatti, portano a ritenere che nell’intenzione del legislatore il piano attestato sia riservato alle ipotesi di continuità aziendale, e, particolarmente, alla continuità aziendale diretta, pur non escludendosi naturalmente la possibilità della dismissione di assets in funzione del risanamento. 
Non mancano, tuttavia, le opinioni contrarie, fondate sulla constatazione che risanamento dell’esposizione debitoria e riequilibrio della situazione economico finanziaria sono concetti compatibili anche con la liquidazione dell’azienda[17], come pure su di una lettura della norma conforme alla logica, sottesa all’intero Codice della Crisi, di limitare al minimo il ricorso alla liquidazione giudiziale consentendo ampia elasticità nell’utilizzo di strumenti alternativi[18]. 
In realtà, appare di scarsa coerenza riconoscere un’inclinazione esclusivamente liquidatoria ad uno strumento al quale è immanente proprio un esperimento di recupero negoziale di efficienza dell'impresa, la quale, nonostante versi in una condizione di affanno, ancora dispone di risorse e margini di manovra rilevanti e di capacità di interlocuzione apprezzabili nel mercato di riferimento. È, invece, del tutto plausibile che il piano preveda la liquidazione di una porzione più o meno importante degli assets che formano il patrimonio dell’impresa, qualora non siano più consoni all'esercizio dell'attività economica o siano inerenti ad un ramo di azienda che l'imprenditore, in un quadro di programmazione del risanamento e di uscita dalla crisi, non reputi più vantaggioso mantenere.
3.1 . Il contenuto
L’art. 56, CCII, ancor più dopo il Secondo Correttivo, definisce esattamente il contenuto del piano[19], prevedendone gli elementi necessari e avvicinandolo, per espressa volontà del legislatore, agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza[20], così di fatto limitando la discrezionalità dell’imprenditore nella sua elaborazione. 
Gli elementi richiesti si risolvono in un complesso di informazioni e di valutazioni dell’imprenditore, idoneo a fornire agli interlocutori dell’impresa una rappresentazione credibile della situazione economico finanziaria, delle cause che hanno determinato il malfunzionamento dell’impresa, delle manovre utili e dei tempi necessari ad eliminare le anomalie riscontrate. Il contenuto elementare non pone, peraltro, vincoli particolari a livello di soluzioni prospettabili dall’imprenditore in funzione del risanamento aziendale. 
Il piano mantiene, come già si riteneva in passato[21], la sua natura di atto unilaterale dell’imprenditore, vale a dire di programma d’azione rivolto ai creditori ai fini del risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e del riequilibrio della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria[22]. I creditori entrano quindi in gioco come destinatari del piano, chiamati a valutarne l’adeguatezza e la fattibilità ai fini della conclusione degli accordi che ne costituiscono l’attuazione: viene, dunque, in apice una fattispecie a formazione progressiva, nella quale gli accordi con i creditori rappresentano elemento imprescindibile[23]. 
Al pari dell’attività che conduce l’imprenditore a predisporre il piano, la negoziazione collaterale ad esso non è incardinata su una specifica procedura da seguire, né sottostà a precise scansioni temporali. 
La circostanza che il piano debba essere “rivolto” ai creditori non esclude che l’imprenditore possa raggiungere accordi anche con soggetti terzi diversi dai creditori – ad esempio investitori interessati a sostenere il risanamento -, ciò che può desumersi anche dal tenore della lettera e) dell’art. 56, comma 2, CCII, là dove richiede che il piano indichi gli apporti di nuova finanza eventualmente previsti ai fini del superamento della crisi. Soggetti questi ultimi che, divenendo creditori in sede di attuazione del piano, beneficeranno dell’esenzione da revocatoria al pari dei creditori già esistenti[24], sempre che ve ne siano le condizioni. 
L’elencazione dei contenuti del piano di cui al comma 2, lettere a) – g bis) è stata modificata dal Secondo Correttivo con l’obiettivo di uniformarne il contenuto a quello dei piani previsti per gli altri strumenti negoziali di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Intervento sistematico, quest’ultimo, del tutto sensato, se si considera che il piano ha le stesse caratteristiche e la stessa funzione quando si presentano a fini omologatori accordi di ristrutturazione di debiti, piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione o proposte di concordato preventivo[25].  Si tratta in alcuni casi di contenuti necessari ma non obbligatori nell’ambito del progetto di azione dell’imprenditore. In particolare, l’indicazione della nuova finanza e delle sue ragioni (lett. e) sarà necessaria solo se effettivamente prevista nel piano, così come l’elenco dei creditori estranei e delle risorse destinate al loro soddisfacimento (lett. d) non sarà necessario se il debitore ha raggiunto accordi con tutti i suoi creditori[26].      
L’elencazione rappresenta una codificazione delle best practices per la redazione dei piani elaborate dalla dottrina aziendalistica negli ultimi anni[27]. In particolare, la lett. a) – che dopo il Secondo Correttivo ha contenuto analogo all’art. 87, comma 1, lett. a), CCII[28] -, prescrive, oltre all’indicazione del debitore e delle eventuali parti correlate, l’indicazione delle attività e passività dell’impresa al momento della presentazione del piano e la allegazione di una sua situazione economico-finanziaria: il debitore deve, pertanto, descrivere esattamente lo status quo esistente al momento della redazione del piano, anche con riferimento alla posizione dei lavoratori, in modo tale da fissare esattamente il punto di partenza patrimoniale ed economico-finanziario (la c.d. “spalla del piano”) sulla base del quale sviluppare le previsioni di piano. 
La lett. b) prescrive l’illustrazione delle cause e dell’entità dello stato di crisi o di insolvenza in cui si trova l’impresa, con la funzione di rendere edotti i creditori circa le ragioni dei sacrifici che vengono loro richiesti, e, al contempo, di evidenziare la discontinuità rispetto alle strategie di intervento prospettate nel piano[29]. 
La lett. c) prevede che il piano debba indicare le strategie di intervento che si intendono adottare al fine del superamento della crisi (o dell’insolvenza): indicazione in grado di influire sul giudizio di fattibilità del piano stesso, in quanto tesa a farne comprendere ai creditori ed ai terzi la ratio e l’adeguatezza dal punto di vista economico[30]. 
Le strategie possono sostanziarsi in interventi endogeni, come l’efficientamento della struttura produttiva, lo smobilizzo di attività patrimoniali non strategiche, la messa in opera di economie di scala e la razionalizzazione dei costi. In alternativa, possono consistere in interventi esogeni, attinenti alla rinegoziazione dei rapporti obbligatori e contrattuali. Ai creditori può esser chiesto di rinunciare anche parzialmente ad una parte del credito, a concedere dilazioni, a soprassedere dall’esperimento di azioni esecutive nell’“arco piano”. Ai titolari delle pretese monetarie può essere prospettata anche la conversione in capitale di rischio dei crediti pregressi di natura finanziaria o anche commerciale. 
Nel novero delle possibili “strategie” si situa anche l’eventuale apporto di nuova finanza (lett. e); dell’apporto vanno indicate le ragioni che lo rendono necessario a sorreggere il turnaround. Precisazione, quest’ultima, introdotta con il Secondo Correttivo, appiattita sull’analoga previsione dell’art. 87 CCII riguardante il concordato preventivo, e che appare qui pleonastica considerata la non prededucibilità, nella successiva liquidazione giudiziale, dei crediti sorti in esecuzione di un piano attestato di risanamento[31]. L’attore bancario è, in altri termini, fin dall’inizio consapevole che il supporto finanziario che decide di erogare non sarebbe assistito dalla prededuzione in un’eventuale o futuribile liquidazione giudiziale. 
Non è escluso che le strategie possano incentrarsi sulla realizzazione di operazioni straordinarie, considerata l’assenza di regole ostative e la libertà di manovra dell’imprenditore che ricorre al piano attestato. Lo strumento, peraltro, non sottostà neppure all’art. 2499 c.c., che tali operazioni permette nei soli limiti della non incompatibilità con le finalità e lo stato della procedura concorsuale, alveo nel quale il piano attestato non ricade[32]. 
Anche le operazioni di finanza straordinaria sembrano essere particolarmente adattabili al piano attestato. È possibile la costituzione di patrimoni destinati a specifici affari secondo la disciplina contenuta agli artt. 2447 bis ss. c.c. oppure il ricorso ad aumenti di capitale riservati a categorie specifiche di soggetti. 
Altra strategia possibile è quella che punta sugli apporti finanziari dei soci, anche sub specie di nuovi conferimenti o di finanziamenti con obbligo di restituzione; detti apporti evitano che l'impresa evita debba coinvolgere soggetti esterni allo scopo di acquisire nuove risorse finanziarie.  I finanziamenti dei soci soggiacciono, peraltro, alla disciplina acclusa nell’art. 2467 c.c., a tenore del quale, ove siano stati erogati a titolo di prestito in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, il loro rimborso è postergato. 
La lett. d) esige l’indicazione dei creditori e dell'“ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione”; ciò in quanto, nel sistema riformato, i piani sono tesi a partorire "accordi" con uno o più esponenti del ceto creditorio. Pertanto, è prescritta in primo luogo l’allegazione dell’elenco dei creditori interessati dalla ristrutturazione e l’ammontare dei rispettivi crediti, nonché indicazioni sullo stato delle trattative con gli stessi. Richiesta, quest’ultima, che sembra non tenere conto della prassi, ove è normale che la versione definitiva del piano venga licenziata e attestata ad accordi già raggiunti (ed in procinto di essere formalizzati), onde attribuire certezza alle previsioni nello stesso contenute. La norma richiede inoltre l’elenco dei creditori estranei e delle risorse destinate al loro integrale soddisfacimento. Si tratta, come rilevato in dottrina, di adempimento solo eventuale, ben potendosi dare un piano che preveda la rinegoziazione di tutti i debiti dell’impresa debitrice. La previsione è stata introdotta con il Primo Correttivo (D. Lgs. n. 147/2020), e, come ricorda la relativa Relazione illustrativa, ha lo scopo di «agevolare il controllo sul contenuto degli accordi e sulla ragionevolezza del piano da parte dei creditori aderenti e, eventualmente, da parte dell’autorità giudiziaria investita dell’azione revocatoria». In assenza di previsioni sul trattamento dei creditori non aderenti, è da ritenere che per gli stessi trovino applicazione le norme di diritto comune e che pertanto vadano soddisfatti in modo integrale e conformemente ai contratti che disciplinano i singoli rapporti[33]. Invero, pur essendosi eliminato, ad opera del Secondo Correttivo, il riferimento alla “data di scadenza” dei crediti quale termine per il loro pagamento, è da ritenere che in assenza di una previsione espressa di una moratoria analoga a quella prevista per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’interpretazione non possa che rimanere tale.  
Venendo alla lett. f), essa impone che il piano indichi i tempi delle azioni da compiersi in funzione della verifica della loro realizzazione. Quanto ai tempi, da intendersi anche come riferimento alla durata del piano, la prassi indica in 3-5 anni la sua durata tipica, cioè un orizzonte temporale non eccessivamente lungo e dunque verificabile anche dall’attestatore[34]. Entro tale periodo deve potersi verificare il riequilibrio finanziario dell’impresa attraverso il pagamento dei creditori estranei al piano, ferma restando la negoziabilità di accordi che prevedano tempi di pagamento più lunghi, proprio in funzione di tale riequilibrio e del risanamento[35]. Il piano deve inoltre essere controllabile, ciò che avviene secondo le best practices attraverso gli indicatori chiave di performance (KPI), vale a dire indici misurabili in grado di consentire la verifica dell'efficacia con cui l’imprenditore sta adempiendo agli obiettivi prefissati dal piano[36]. Accanto a questo, il piano deve anche prevedere gli interventi correttivi da porre in essere nel caso in cui la sua esecuzione si discosti dagli obiettivi pianificati. Attraverso quest’ultima previsione il legislatore, oltre ad avere codificato la prassi, apprezzata anche da molti tribunali[37], di evidenziare i rischi sottesi all’esecuzione del piano attraverso un’analisi di sensitività che individui i fattori di rischio cui è soggetta l’impresa e il punto di rottura oltre il quale il piano non può più essere eseguito[38], ha colmato una lacuna presente nella precedente impostazione del piano attestato. 
Infatti, l’assenza di qualsiasi previsione, nell’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., della possibilità di scenari alternativi, aveva creato non poche incertezze nella fase esecutiva dei piani, nel caso in cui si verificavano scostamenti rispetto alle previsioni negli stessi contenute, di talché l’unica via individuata nella prassi per evitare il rischio dell’inefficacia dell’esenzione da revocatoria era stata quella di procedere con la negoziazione di nuovi accordi con i creditori e l’attestazione di nuovi piani[39]. Ora invece, a seguito dell’introduzione dell’art. 56 CCII, è espressamente prevista la necessità di prevedere scenari alternativi per il caso di scostamenti dagli obiettivi di piano, scenari che dovrebbero riflettersi anche sulle previsioni concernenti gli atti esecutivi del piano, in modo tale da scongiurare il rischio della revocabilità.  È ammessa, in tal modo, “la previsione di ‘piani B’” [40], con un favor evidente per le soluzioni di regolazione concordata della crisi secondo schemi di continuità aziendale. La disposizione, tuttavia, non è soltanto la conferma della legittimità di piani che adombrano soluzioni alternative per l’ipotesi in cui, arenandosi il programma principale, s’imponga un doveroso cambio di rotta. Il precetto contiene, infatti, la positivizzazione di un obbligo, quello di autosomministrazione dello stress test da parte dell’impresa che aspiri ad accedere allo strumento. Delineare le iniziative in rapporto agli scostamenti significa, infatti, simulare la capacità del soggetto di fronteggiare gli scenari avversi, misurandone i riflessi sull’operatività dell’impresa e gli effetti in termini di contrazione di liquidità, redditività e patrimonializzazione. L’impresa è chiamata ad illustrare attraverso quali interventi governerebbe, in termini di sana e prudente gestione, prestabilite congiunture sfavorevoli, rischi di recessione, pericoli di chiusura o di rallentamento dei mercati, emergenze internazionali, penetrazioni sul mercato di prodotti concorrenziali, aumenti dei costi del denaro, dell’energia e delle materie prime. 
La lett. g) prescrive che al piano vada allegato il piano industriale e che esso deve evidenziare gli effetti di tale piano industriale sul piano finanziario. In altre parole, il piano dovrà rappresentare in che modo il business plan aziendale impatta sulla manovra finanziaria oggetto di negoziazione con i creditori, e, più in generale, sulle risorse finanziarie indispensabili a perseguire l’obiettivo del risanamento[41]. 
Il legislatore del Secondo Correttivo ha infine introdotto un’ulteriore prescrizione circa il contenuto del piano, inserendo con la lett. g bis) l’obbligo di indicare analiticamente i costi ed i ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, tenendo anche conto dei costi necessari per la sicurezza del lavoro e per la tutela dell’ambiente. Si tratta di previsione che ricalca quella già esistente per il concordato preventivo in continuità aziendale diretta (art. 87, comma 1, lett. f), CCII) e che costituisce una ulteriore precisazione dell’obbligo di allegazione del piano industriale, richiedendosi nella specie il budget completo del futuro andamento dell’attività d’impresa, che prenda in considerazione non soltanto gli aspetti economici, ma anche quelli finanziari[42].    
La positivizzazione del contenuto del piano elimina le incertezze che connotavano in passato la stesura di un documento per sua natura complesso. I principi di attestazione dei piani di risanamento periodicamente elaborati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, benché paradigmaticamente utili, non erano valsi a frenare in via di prassi una diffusa eterogeneità di modelli. 
La descrizione delle previsioni necessarie del piano traccia, peratro, finalmente i confini, da un lato, dell’attività dell’attestatore, dall’altro, e specularmente, del sindacato giudiziale successivo. Se in precedenza la latitudine del controllo del tribunale si mostrava in nuce tanto estesa da rivelarsi sfuggente, incerta, poco rassicurante per l’attestatore, all’attualità il professionista che si attenga pedissequamente alle prescrizioni dell’art. 56, comma 2, CCII, riesce a porsi in una posizione protetta sul piano della responsabilità, il che rappresenterà un incoraggiamento a ricorrere allo strumento.
3.2 . La forma
L’art. 5 della legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza (L. n. 155/2017) prevede alla lett. e) che il piano attestato deve avere «forma scritta, data certa e contenuto analitico». In questo solco, il legislatore della riforma ha previsto all’art. 56, comma 2, CCII, che il piano deve avere data certa e ne ha codificato il contenuto analitico, senza soffermarsi sulla forma scritta, la quale tuttavia deve ritenersi implicita nella prescrizione della data certa, nonché nella facoltà di pubblicazione nel registro delle imprese di cui al comma 4, di cui si dirà in seguito. In ipotesi di un atto non pubblicato, la forma scritta appariva, comunque, essenziale in concreto, trattandosi di opporre, nel contesto di una liquidazione giudiziale, l'inerenza degli atti a un piano attestato preesistente al loro compimento. Ancorché i requisiti formali fossero taciuti dalla legge, la redazione per iscritto del piano non è mai stata, dunque, revocata in dubbio. Ad imporla, del resto, oltre ad una declinazione composita del piano davvero incompatibile con l’oralità, militava l’esigenza di determinatezza dell’oggetto sul quale poggiare l'attestazione. 
Fra il piano e gli accordi che lo attuano deve emergere una precisa correlazione, dovendo i secondi configurarsi come corollari operativi del primo. Ciò comporta che ciascuno di detti accordi debba illustrare in premessa il nesso con il piano e con l’attestazione che lo corrobora, allegando l’uno e l’altra. 
Naturalmente il ricorso all’ausilio del notaio è indefettibile nelle sole ipotesi in cui sia intenzione dell’imprenditore iscrivere il piano nel registro delle imprese. Il rogito notarile è, parimenti, imposto dalla natura specifica degli accordi attuativi e dal relativo regime giuridico[43]. 
La funzione della data certa è da rinvenirsi nella sua attitudine a conferire incontestabilità all’atto nel momento in cui questo sarà oggetto di verifica, cioè nel momento in cui il giudice dell’azione revocatoria sarà chiamato a decidere sull’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 166, comma 3, lett. d), CCII Per questo motivo, già nel vigore della Legge Fallimentare si riteneva che la data certa costituisse elemento imprescindibile del piano, proprio al fine di favorire la verificabilità a posteriori della sua anteriorità rispetto all’atto suscettibile di esenzione [44]. 
La vera novità portata dal Codice sta nella previsione della data certa (e della forma scritta) non solo in relazione al piano, ma anche in relazione agli atti unilaterali ed ai contratti posti in essere in esecuzione del piano (così il comma 5). Il che è da intendersi valevole sia per gli accordi con i creditori, sia per gli atti esecutivi di tali accordi (pagamenti, concessioni di garanzie, ecc.), così da creare un legame di strumentalità (e di consequenzialità logica e cronologica) tra l’atto potenzialmente revocabile, gli accordi esecutivi del piano ed il piano attestato che li prevede[45]. 
Il riferimento alla "data certa" evoca implicitamente l’art. 2704 c.c., quindi presuppone le condizioni che, in forza di detta norma, determinano la certezza della data: registrazione, morte o impossibilità fisica di uno dei sottoscrittori, riproduzione in atto pubblico, o "altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento". 
L’importanza della certezza della data si coglie sol che si guardi all’esenzione da revocatoria dell’atto o del negozio esecutivo del piano attestato. L’esenzione, in tanto opera, in quanto sia travasata in un’eccezione sollevata nei riguardi del curatore, il quale occupa con riferimento alle azioni a presidio della massa la posizione di terzo; ciò implica di per sé che il piano e l'attestazione che lo accompagna, per incidere nel processo che coinvolge l’organo concorsuale, debbano necessariamente essere redatti per iscritto e provvisti di data certa.
4.1 . Indipendenza e terzietà del professionista
La nomina del professionista fa capo al debitore. Il requisito dell’indipendenza e terzietà dell’attestatore è esplicitato dall’art. 2, lett. o), CCII, a tenore del quale detto professionista dev’essere essere congiuntamente iscritto all’elenco dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, nonché nel registro dei revisori legali; possedere i requisiti previsti dall’art. 2399 c.c.; non essere legato all’impresa o ad altre parti interessate all’operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; non aver prestato nell’ultimo quinquennio attività lavorativa in favore del debitore, né aver composto la governance o gli organi di controllo dell’impresa o aver detenuto partecipazioni in essa. 
Secondo la giurisprudenza prevalente l’assenza di indipendenza e terzietà del professionista comporta la nullità della nomina, con conseguente venire meno del diritto al compenso in sede di insinuazione al passivo della successiva liquidazione giudiziale[46].
4.2 . Contenuto dell’attestazione
Il professionista deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano[47]. In generale, obiettivo della relazione del professionista indipendente deve essere quello di fornire ai creditori informazioni complete e puntuali circa i dati, le verifiche svolte e le connesse valutazioni, in modo tale che il giudizio reso risulti caratterizzato da congruità logica e da coerenza delle conclusioni con la situazione di fatto dell’impresa e con quella del contesto macroeconomico e di settore in cui essa opera[48]. 
Quanto alla veridicità dei dati aziendali, l’obiettivo della relazione deve essere quello di attestare che la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa rappresentata nei documenti contabili è veritiera e corretta e che la sua elaborazione si fonda su un sistema amministrativo-contabile adeguato, e cioè tale da contenere il rischio di errori rilevanti e da consentire di pervenire ad un’informativa attendibile e imparziale. Attività di verifica dei dati aziendali che, ponendosi come strumentale rispetto al giudizio sulla fattibilità economica del piano[49], avrà come perimetro le situazioni patrimoniali, economiche e finanziarie che costituiscono i dati di partenza del piano (“base dati”)[50]. Attestare la veridicità dei dati aziendali significa, in definitiva, assodare che i dati contemplati dal piano sono allineati a quelli esibiti dalle scritture contabili e certificare che sono reali. La conformità non si appaga, in altri termini, di una valutazione di mera coerenza formale fra informazioni travasate nel piano e risultanze contabili, esigendo, piuttosto, un riscontro di sussistenza reale delle situazioni esposte dai dati. Ciò implica, perlomeno, che l’attestatore si curi di constatare la concreta esistenza dei beni e delle utilità che figurano nell’attivo patrimoniale e di individuarne l’effettivo valore; postula anche che le passività abbiano la consistenza, di misura e di grado, che mostrano nella rappresentazione veicolata dal piano. 
Quanto alla fattibilità, dopo la novella introdotta con il Primo Correttivo, che ha espunto il riferimento alla fattibilità giuridica del piano[51], l’attestatore deve ora occuparsi unicamente di esprimere una previsione ragionata sulla fattibilità economica del piano, intesa come attitudine del medesimo al perseguimento degli obiettivi prefissati e loro realizzabilità in concreto[52]. Il giudizio di fattibilità si sostanzia, pertanto, in una valutazione prognostica circa la realizzabilità dei risultati attesi riportati nel piano in ragione dei dati e delle informazioni disponibili al momento del rilascio dell’attestazione[53]. 
Per poter valutare la fattibilità del piano è necessario che l'attestazione introduca già nelle prime pagine un'analisi delle cause della crisi dell'impresa distinguendo fra fattori endogeni ed esogeni. I fattori della crisi costituiscono il punto di partenza per comprendere se le manovre previste nel piano permettano o meno di raggiungere l'obiettivo di risanamento in maniera duratura. 
Compito dell'attestatore è effettuare una valutazione prognostica circa le concrete prospettive di successo dell'operazione contenuta nel piano, soprattutto dando conto del processo metodologico adottato. Le modalità con cui il professionista addiverrà al giudizio valutativo di fattibilità dipendono molto dal contenuto impresso al piano, che come si è visto può essere un semplice programma di riorganizzazione interna, oppure può coinvolgere soggetti esterni. Ciò che sarà imprescindibilmente valutata a questi fini sarà la situazione di partenza dell'impresa, che costituisce il fondamento del ricorso dell'imprenditore all'istituto. 
Il giudizio da esprimere in relazione a questo aspetto non potrà pertanto limitarsi ad un mero "visto", ma dovrà constare di una illustrazione descrittiva che accrediti la fattibilità, evidenziando in quale maniera le risorse finanziarie future dell'impresa riusciranno verosimilmente ad assorbire l'esposizione debitoria. 
Ormai è noto che il concetto di veridicità va al di là dell'analisi della semplice conformità dei dati inseriti nel piano con le risultanze della contabilità: queste ultime devono sussistere realmente. Ecco quindi che il professionista ha il compito di constatare l'effettiva esistenza dei beni facenti parte dell'attivo patrimoniale e il loro valore, da un lato; la corrispondenza a realtà delle passività, con la corretta distinzione dei creditori dell'imprenditore fra privilegiati e chirografari, dall'altro. 
La nomina del soggetto incaricato di rilasciare l'attestazione spetta esclusivamente all'imprenditore, come chiarito già nella legge fallimentare dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. nella L. 7 agosto 2012, n. 134. In precedenza, non era chiaro a chi spettasse designare l'attestatore; tuttavia l'opinione prevalente attribuiva la scelta al debitore a motivo della natura privatistica del piano. 
A seguito della codificazione dei contenuti minimi del piano, il lavoro dell’attestatore è guidato dall’art. 56 CCII, in quanto – sebbene ciò già corrispondesse in precedenza alle best practices del settore – pare certo che il professionista indipendente debba ora verificare e porre a base del proprio giudizio ciascuno degli elementi che devono informare il piano, anche eventualmente rilevandone l’assenza o l’insufficienza. Ciò vale, oltre che per gli elementi contabili (lett. a) e per la descrizione delle cause e dell’entità della crisi/insolvenza (lett. b), anche per le strategie ed il programma di intervento (action plan) (lett. c)[54] e per lo stato delle trattative con i creditori (lett. d, prima parte), che rappresentano il sostrato negoziale sul quale il piano solitamente è fondato[55]. V’è poi da chiedersi come debba porsi l’attestatore rispetto ai creditori estranei ed alle risorse destinate al loro soddisfacimento (lett. d, seconda parte), in quanto, a differenza che per gli accordi di ristrutturazione (art. 57, comma 4, CCII), nel caso del piano attestato all’attestatore non è richiesto di verificare l’idoneità del piano ad “assicurare” l’integrale pagamento dei creditori estranei, e purtuttavia, dovendo il piano contenere l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei creditori estranei, sembra che il professionista non possa esimersi dal prendere posizione su tale profilo in funzione della verifica che il piano sia idoneo ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa, come prescritto dal comma 1 dell’art. 56 CCII. 
Ulteriore questione da sondare è se il giudizio prognostico di fattibilità economica che l’attestatore è chiamato a rendere in ordine al piano debba estendersi non solo alla valutazione del rischio di scostamento tra il piano e gli obiettivi dallo stesso prefissati[56], ma anche alla validità o meno delle soluzioni alternative indicate dall’imprenditore ai sensi della lett. f) e la loro idoneità al perseguimento degli obiettivi così rimodulati[57]. Quanto, infine, al piano industriale ed alle modalità di copertura del fabbisogno finanziario (lett. g e g bis), l’attestatore dovrà effettuare una verifica di coerenza e congruità delle relative assunzioni e dovrà altresì verificare che entro l’ultimo periodo amministrativo compreso nel piano i flussi economici e finanziari evidenzino il raggiungimento di un equilibrio economico e finanziario sostenibile[58]. 
Venendo al giudizio di fattibilità, esso può essere positivo o negativo, dovendosi equiparare a giudizio negativo il caso in cui vi sia impossibilità di esprimere un giudizio, ad esempio per l’impossibilità di verificare la fondatezza di ipotesi che condizionano significativamente il piano[59]. Nei “Principi di attestazione” si afferma, inoltre, quanto al giudizio condizionato, che qualora la fattibilità del piano dipenda da specifici eventi futuri circoscritti nel tempo l’attestazione è immediatamente efficace se l’attestatore attesta che sussiste una elevata probabilità che essi si verifichino; è sospensivamente condizionata negli altri casi. Nel secondo caso, la condizione deve verificarsi perché l’attestazione produca i propri effetti. L’attestazione condizionata è da considerarsi ammissibile purché gli eventi iniziali siano specificatamente individuati ed esplicitati dall’attestatore che deve anche indicare l’orizzonte temporale entro quale devono verificarsi[60]. 
Anche dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere l’attestazione condizionata ammissibile, purché gli eventi condizionanti siano specificamente individuati ed esplicitati dall’attestatore, il quale deve anche indicare l’orizzonte temporale entro il quale gli stessi devono verificarsi[61].
4.3 . Responsabilità (civile) dell’attestatore
Come si è detto, rappresenta contenuto obbligatorio dell’attestazione la verifica della veridicità dei dati aziendali e l’attestazione della fattibilità economica del piano, intesa come idoneità del medesimo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa. Idoneità, quest’ultima, che la giurisprudenza è solita declinare come «non manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore alla realizzazione dei suoi scopi»[62]. 
L’attestatore contrae, pertanto, nei confronti del debitore e dei terzi, non soltanto un generico obbligo di dire la verità, bensì un obbligo declinato in incombenze a contenuto specifico, di verifica e di attestazione[63]. 
Il quesito da porsi è allora quali siano le conseguenze in capo all’attestatore del successivo accertamento dell’assenza di uno o di entrambi tali requisiti. 
Occorre preliminarmente soffermarsi sulla constatazione, che può sembrare banale ma non lo è, per cui l’attestatore non ha alcun obbligo di “attestare”, con la conseguenza che, se egli non rinviene nei dati aziendali e/o nel piano le necessarie condizioni di veridicità e/o di fattibilità, ben può rilasciare un giudizio negativo senza che da ciò possa derivare una sua responsabilità[64]. 
Diverso è il caso in cui, resa l’attestazione, questa risulti successivamente inadeguata, in quanto si constati che il piano non era – nemmeno con un giudizio condotto ex ante – idoneo a consentire il superamento della crisi o dell’insolvenza. In tal caso – che potrebbe darsi ad esempio quando il curatore ravvisi un’indebita prosecuzione dell’attività d’impresa dopo il verificarsi di una causa di scioglimento – l’attestatore potrebbe essere chiamato a rispondere, in solido con gli amministratori della società ed i suoi advisors, per avere agevolato tale prosecuzione attraverso l’attestazione di un piano inidoneo a raggiungere l’obiettivo del risanamento[65]. L’attestatore, inoltre, in caso di successivo fallimento e accertamento dell’inammissibilità dell’esenzione da revocatoria, potrebbe essere chiamato a risarcire il danno causato ai terzi che confidavano nella non revocabilità dell’atto per effetto dell’esistenza del piano di risanamento attestato[66]. 
Si tratta allora di verificare se tale responsabilità sia più propriamente qualificabile come responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.) ovvero come responsabilità extracontrattuale da violazione del principio di diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. 
In dottrina è del tutto prevalente la tesi che afferma la natura contrattuale della responsabilità del professionista attestatore nei confronti della società committente[67]. 
Secondo una giurisprudenza di merito  il controllo - e la conseguente assunzione di responsabilità dell'attestatore - sulla veridicità dei dati contabili a consuntivo (e quindi relativamente ad una situazione patrimoniale aggiornata) è quindi il presupposto logico e fattuale indefettibile della successiva valutazione di attuabilità/fattibilità, con la conseguente necessaria responsabilità dell'attestatore (di natura contrattuale verso il debitore proponente-committente, e di natura normalmente extracontrattuale verso la generalità dei creditori e/o dei terzi interessati) per l'eventuale colposa erroneità della verifica stessa o per la dolosa falsificazione dei relativi dati[68]. 
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere che anche all'attestatore deve applicarsi, come per il più ampio genus degli imprenditori (artt. 2082 e 2083 c.c. per l'esercizio professionale dell'attività economica) e dei professionisti intellettuali (art. 2229 c.c. e art. 33 Cost., comma 5), l'art. 1176 c.c., comma 2, secondo il quale "nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata", dunque in aggiunta rispetto a quella generica e comune di cui al comma 1 della disposizione, che già impone a qualunque debitore di "adempiere l'obbligazione" dovendo "usare la diligenza del buon padre di famiglia"; la diligenza esigibile presuppone pertanto l'addizione di un ulteriore elemento, qualificante la prestazione, cioè la perizia, consistente nella conoscenza e attuazione delle regole e dei mezzi tecnici propri di una determinata arte o professione, da cui la collettività si attende e può esigere una nozione di attività professionale diretta espressione di un catalogo di regole attinenti in modo specifico una determinata professione e, conseguentemente, concorrenti ad integrare la "diligenza media" attinente alla singola vicenda[69].  
Quanto alla responsabilità nei confronti dei creditori, in dottrina si è affermato che anche in questo caso debba affermarsi la natura contrattuale di tale responsabilità, connotandola però come responsabilità da “contatto sociale” sul presupposto che l’attestatore assuma un obbligo di protezione nei confronti dei soggetti che entrano in contatto con l’imprenditore[70]. 
Ancora, secondo un Autore, i terzi che dimostrino di essersi determinati a negoziare o a soprassedere alla loro tutela proprio per l’esistenza del piano attestato, in quanto terzi non contemplati espressamente nel piano, potrebbero agire per il danno subito nella propria sfera individuale, ma a titolo di responsabilità extracontrattuale[71].
5 . La pubblicità legale degli accordi, del piano e dell’attestazione: effetti fiscali
Il piano, l’attestazione e gli accordi non sono soggetti a forme di pubblicità obbligatoria, rimanendo nella discrezionalità del debitore la decisione se richiederne o meno la pubblicazione nel registro delle imprese (art. 56, comma 4, CCII). Il piano nasce come atto riservato dell’imprenditore, benché rivolto ai creditori, ma può essere pubblicato nel registro delle imprese, proprio su richiesta del debitore, allo scopo di conseguire l'effetto tipico della pubblicità legale, id est l'opponibilità ai terzi. 
L’assenza di un obbligo di pubblicazione risponde ad esigenze di riservatezza dell’imprenditore - restio a portare a conoscenza dei terzi la propria situazione di crisi o di insolvenza -, che tuttavia possono porsi in contrasto con la contrapposta esigenza dei creditori estranei di avere contezza della sorte dei rispettivi crediti[72]. 
In dottrina è stata avanzata la tesi che la pubblicazione del piano nel registro delle imprese valga ad attribuirgli l’appartenenza ad una “serie maggiore”, come tale dotata di maggiore stabilità rispetto ai piani che rimangono “riservati”[73]. In assenza di appiglio normativo, la tesi non pare tuttavia convincente, considerato anche che, ai fini dell’esenzione da revocatoria, è sufficiente che il piano sia dotato della prescritta data certa. 
Unico effetto direttamente ricollegabile alla pubblicazione del piano[74] è quello di usufruire dei benefici fiscali previsti dall’art. 88, comma 4 ter, D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) ai sensi del quale non sono soggetti a tassazione, per la parte che eccede le perdite pregresse di periodo, le sopravvenienze attive conseguenti alla riduzione dei debiti come previste nel piano attestato. Il beneficio fiscale è limitato alla quota di sopravvenienza attiva che residua dopo aver scomputato le perdite di periodo e quelle pregresse, senza considerare, per queste ultime, il limite dell'ottanta per cento, la deduzione ACE e la (eventuale) eccedenza riportabile, nonché gli interessi passivi e oneri assimilati. 
La ratio della preventiva consumazione delle perdite e delle altre posizioni fiscali rispetto alla detassazione dei componenti positivi di reddito emergenti dallo stralcio dei debiti deve essere ricercata nella volontà del legislatore di impedire che l'impresa destinata a proseguire l'attività, oltre al beneficio della non imponibilità del componente positivo, possa continuare a utilizzare, a compensazione dei redditi futuri, le perdite e le altre deduzioni formatesi negli anni della crisi (cfr. risposta del Ministro dell'Economia e delle Finanze del 21 settembre 2018 all'interrogazione parlamentare 5/00047). 
Pertanto, al fine di assicurare il rispetto della ratio della norma di cui all'art. 88, comma 4 ter, e di evidenziare correttamente l'utilizzo delle perdite a riduzione della sopravvenienza da esdebitazione, nel rispetto della corretta determinazione del reddito imponibile sulla base dell'art. 84 del TUIR, si ritiene che occorra: determinare il reddito imponibile al lordo della sopravvenienza attiva da esdebitazione tenendo conto, ai fini della deducibilità degli interessi passivi, del regime di cui all'articolo 96 del TUIR; applicare l'articolo 84 del TUIR sul predetto reddito di periodo, utilizzando le perdite pregresse, nei limiti dell'80% dello stesso reddito, prioritariamente sugli altri redditi senza tenere conto della sopravvenienza attiva; scomputare le eventuali ulteriori perdite pregresse e le eventuali eccedenze di interessi passivi non dedotte ai sensi dell'articolo 96 del TUIR a riduzione della sopravvenienza da esdebitazione; detassare, ai sensi dell'art. 88, comma 4 ter del TUIR, la parte della sopravvenienza da esdebitazione eventualmente residuata a seguito dell'utilizzo delle perdite pregresse e degli interessi passivi di cui al punto precedente[75]. 
Ulteriore effetto ricollegabile alla pubblicazione del piano (della relazione di attestazione e degli accordi) è quello previsto a favore dei creditori dell’impresa in crisi dall’art. 26, commi 2 e 3 bis, D.P.R. n. 633/1972 (Decreto IVA), a mente dei quali in caso di mancato pagamento del corrispettivo gli stessi possono portare in detrazione l’IVA corrispondente mediante emissione della nota di variazione in diminuzione, a partire dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato. Lato suo, il debitore dovrà invece ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l’imposta all’Erario[76].
6 . L’esenzione dalle revocatorie e dai reati di bancarotta
Il piano produce un doppio ventaglio di effetti. Da un lato, esso rende irrevocabili gli atti esecutivi di un piano conforme al disposto dell'art. 56 CCII; dall’altro lato, esclude possa imputarsi il reato di bancarotta in capo a chi quegli atti contribuisca a porre in essere. 
L'appetibilità del piano attestato deriva senza dubbio dalla tutela esonerativa dall'azione revocatoria in caso di successiva apertura della liquidazione giudiziale e dall'inapplicabilità delle pene sancite per i reati di bancarotta. 
Gli effetti precipuamente scaturenti dal piano sono, pertanto, di matrice negativa e s’innescano, non nell’immediato, ma nell’evenienza della procedura liquidatoria. 
A tenore dell'art. 166, comma 3, lett. d), CCII sfuggono all'azione revocatoria gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato e in esso indicati; a mente dell’art. 324 CCII, vale la franchigia dalle bancarotte in relazione a pagamenti e operazioni compiuti nel quadro degli accordi che hanno dato esecuzione al piano attestato. 
La lett. d dell’art. 166, comma 3, fa riferimento ai soli atti posti in essere in esecuzione del piano, non anche a funzionali alla sua predisposizione, i quali, pertanto, non godono dell’ombrello protettivo. 
Nell’alveo della norma esonerativa dalle revocatorie rientrano, per ampiezza di formulazione, sia gli atti esecutivi di accordi con i creditori, sia quelli unilateralmente adottati dal debitore nella cornice del piano di risanamento. 
Non rientrano nel perimetro dell’esenzione gli atti a titolo gratuito, nei quali è in nuce difficilmente ravvisabile una propensione al risanamento. 
Esterne all’ambito di esenzione sono anche le garanzie prestate da terzi; è, infatti, esplicito il riferimento alle sole garanzie su beni del debitore, da intendersi sia reali, sia personali, tenuto conto dell’assenza di specificazioni. 
La lett. d dell’art. 166 esige adesso che l’esenzione poggi su due presupposti, il primo sostanziale, il secondo rigorosamente formale. Innanzitutto, occorre che l’atto si connoti come esecutivo del piano; inoltre, è indispensabile che di tale atto il piano contenga precisa indicazione. 
Fermo restando che il piano può naturalmente indicare in modo onnicomprensivo talune categorie di atti i quali per ciò stesso divengono irrevocabili, rimane da vedere se la mancata indicazione letterale di un atto valga davvero a collocarlo fuori dal recinto dell’irrevocabilità, rendendolo aggredibile con l’azione revocatoria. Possono darsi ipotesi di atti letteralmente non menzionati, ma intimamente strumentali ad un atto esecutivo del piano precisamente identificato. Il contenuto minimo del piano introduce un riferimento ampio alle “strategie d’intervento”, il che sembra suggerire un’attenzione specifica, non tanto al singolo atto parcellizzato oggetto di puntuale indicazione, ma all’operazione complessiva declinata nel piano e in cui esso s’iscrive. In questo quadro, a rilevare ai fini dell’esenzione non è soltanto l’atto testualmente espresso, ma anche il complesso degli atti che esso presuppone e ai quali è intrinsecamente correlato e coordinato, essendo l’uno e gli altri espressivi della manovra di risanamento. 
La lett. d), condiziona, poi, l’operatività dell’esenzione alla circostanza che il debitore o l'attestatore non si trovassero in uno stato soggettivo di dolo o colpa grave, vuoi nel frangente di elaborazione del piano, vuoi in quello di stesura dell'attestazione, sempreché creditore ne fosse a conoscenza al momento del compimento dell'atto. In buona sostanza, il debitore o l’attestatore devono essersi mossi nella consapevolezza dell’inattitudine del piano a perseguire i suoi obiettivi; in alternativa essi devono aver agito senza la necessaria diligenza e perizia. Nell’uno come nell’altro caso, il creditore – più in generale il soggetto beneficiario dell’atto – dev’essersi mostrato consapevole della circostanza per cui il piano non era tecnicamente fattibile o l'attestazione non era suscettibile d’essere resa. 
L’art. 166, lett. d), puntualizza adesso che l’esenzione copre l’atto anche rispetto all’azione revocatoria ordinaria. 
La norma d’esenzione, oltre sull’art. 56, proietta il proprio raggio applicativo anche sui piani adottati nell’ambito dei gruppi d’impresa, ossia sui " piani reciprocamente collegati e interferenti, rivolti ai rispettivi creditori" menzionati dall'art. 284, comma 5, CCII 
L’esenzione da revocatoria non è blindata dall’adozione del piano. Viene in apice l’imprescindibilità di un accertamento a valle, sul singolo atto, ad opera del giudice. A quest’ultimo è commissionato un controllo sull’attitudine intrinseca degli atti a perseguire i due obiettivi annoverati dall’art. 56. Il giudice scrutinerà la rispondenza degli atti al fine ultimo del risanamento dell’esposizione debitoria dell'impresa e al target convergente dato dal riequilibrio della sua situazione finanziaria, sincerandosi che ad accompagnarli sia un’attestazione dotata dei crismi fissati dalla norma regolatrice. 
L'esenzione è, dunque, influenzata dall’inidoneità originaria o sopravvenuta del piano di risanamento, ergo del singolo atto che ne scandisce l’esecuzione, a raggiungere gli obiettivi programmati. Il sindacato ex post sull’adeguatezza delle strategie di intervento inserite nel piano deve guardare alla ragionevole prospettiva del risanamento o, in altri termini, di razionalità della soluzione programmata. L’atto dev’essersi inserito, infatti, nel quadro di una ristrutturazione pianificata tecnicamente eseguibile. A venire in evidenza è la percorribilità ipotetica del piano sulla base della scienza e della tecnica, dovendo il singolo atto attuativo non essersi rivelato, sulla base del criterio della prognosi postuma, apertamente inadatto a pervenire agli obiettivi predeterminati. È indispensabile, in definitiva, che l’atto si sia mostrato ab initio funzionale ad regolare lo squilibrio secondo una pianificazione realistica, non velleitaria o assiomatica, ma supportata da assunti corretti e criteri scientificamente adeguati. 
Il fulcro del piano è l’attestazione e se l’attestazione investe la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica, il sindacato giudiziale dovrà coerentemente investire proprio la completezza analitica e metodologica della relazione del professionista in punto rappresentazione dell'idoneità del piano e delle operazioni che lo articolano a superare la crisi. Il sindacato del giudice non tendere a sovrapporre la congettura del tribunale al giudizio espresso dall’attestatore; deve, piuttosto, limitarsi a soppesarne la ragionevolezza dei contenuti accertativi contenuti nella relazione, la correttezza dei criteri valutativi adoperati, la attendibilità e la coerenza delle previsioni. 
Il secondo complesso di effetti correlato al piano attiene, come detto, all'esenzione dai reati di bancarotta. L’art. 324 CCII esclude, infatti, l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 322, comma 3 e 323, CCII, ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione, tra l’altro, degli accordi in esecuzione del piano attestato. In buona sostanza, se l’atto o l’operazione sono posti in essere sotto la copertura del piano attestato essi si collocano all’esterno dei recinti – rispettivamente – della bancarotta preferenziale e di quella semplice. 
La finalità della “zona franca” creata dal legislatore rispetto ad taluni reati è ravvisabile nell’esigenza di implementare gli accordi collaterali ai piani attestati, anche favorendo il superamento delle riserve da parte dei terzi intimoriti dal rischio di un coinvolgimento penale in ipotesi di naufragio del tentativo di risanamento. In effetti, le fattispecie penali di più spiccata gravità, nell’ambito della bancarotta fraudolenta, sono estranee al perimetro dell’esenzione, che non abbraccia nemmeno la bancarotta per distrazione e quella documentale (art. 216, comma 1, L. fall.). 


 

Bibliografia
 
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Note:

[1] 
Cass., 25 gennaio 2018, n. 1895, in Italgiure.it. 
[2] 
F. Di Marzio, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Milano, 2023, 422. 
[3] 
L’art. 67, lett. d), L. fall., faceva riferimento tout court alla sola “situazione finanziaria”. 
[4] 
Così M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Milano, 2023, 94. Parimenti favorevoli all’estensione della legittimazione, in dottrina, F. Santangeli, Il piano attestato di risanamento ex art. 56 D. Lgs. n. 14/2019 a seguito del correttivo, in Dirittodellacrisi.it, 31 dicembre 2020, 3; S. Di Amato, Diritto della crisi d’impresa, Milano, 2022, 312; M. Bazzani, in Il Codice della crisi dopo il d. lgs. 17 giugno 2022, n. 83, a cura di S. Sanzo, Bologna, 2022, 186, il quale sottolinea che l’assetto del nuovo Codice «valorizza il piano attestato di risanamento, quale strumento dotato di una efficacia immediata anche fuori da una liquidazione giudiziale», riferendosi sia allo standard di diligenza in materia di responsabilità degli amministratori, sia all’esenzione da responsabilità penale; G.B. Nardecchia, Il piano attestato di risanamento nel codice, in Fall., 2020, 6; R. Brogi, Esenzioni da revocatoria e piani di ristrutturazione dalla legge fallimentare al Codice della Crisi, in Fall., 2019, 606; A. Zorzi, Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione nel codice della crisi, in Fall., 2019, 995. Per l’opinione contraria cfr. G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, 56; M. Sciuto, I piani attestati di risanamento: natura, funzione, effetti, in Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria a cura di G. Ferri jr e D. Vattermoli, Pisa, 25; A. Aiello, A. Auricchio, G. Covino, L. Jeantet, Il piano attestato di risanamento e l’accordo di ristrutturazione dei debiti nel codice della crisi di impresa, in www.dirittobancario.it, gennaio 2019, 2. 
[5] 
L’espunzione del riferimento agli imprenditori anche non commerciali fa infatti seguito ai rilievi formulati dal Consiglio di Stato con parere n. 2854 del 12 dicembre 2018 (in www.giustizia-amministrativa.it) secondo cui: «L'art. 56, nel dettare la disciplina degli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, individua quale soggetto legittimato ad accedervi l'imprenditore "anche non commerciale" (comma 1). Tenuto conto del nuovo ambito di applicabilità del codice (art. 1), espressamente esteso, in conformità con le indicazioni della delega, a qualunque tipologia di imprenditore che eserciti attività commerciale, industriale, artigiana o agricola, la precisazione parrebbe far pensare ad una valenza restrittiva de li 'utilizzo della sola parola "imprenditore", laddove non connotata dalla indicata specificazione, se ritenuta necessaria. Si suggerisce pertanto di espungere l'inciso». 
[6] 
Così M. Ferro, Piano attestato di risanamento, in Le insinuazioni al passivo, a cura di M. Ferro, III, Padova, 2010, 795. 
[7] 
In questo senso G.B. Nardecchia, Le esenzioni dall’azione revocatoria e il favor per la soluzione negoziale della crisi d’impresa (Commento alle lettere d, e g, del comma 3 dell’art. 67), in Commentario alla legge fallimentare diretto da C. Cavallini, Milano, 2010, 237, il quale precisa che «il legislatore non ha previsto un requisito soggettivo d’accesso per l’adozione del piano, in quanto l’unico effetto del piano medesimo è quello dell’esenzione da revocatoria con la conseguenza che l’imprenditore commerciale può acquisire la possibilità di essere dichiarato fallito o insolvente e quindi di subire le azioni revocatorie in epoca successiva all’adozione del piano». 
[8] 
Vale a dire l’impresa minore, l’impresa agricola, la start-up innovativa (D.L. n. 179/2012) e ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale, a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza (così l’art. 2, comma 1, lett. c), CCII). 
[9] 
In questi termini L. Carrioli, Commento all’art. 56, in Maffi Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Milano, 2023, 370; M. Fabiani, op. cit., 94. V. sul punto anche F. Lamanna, Il codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, 358. 
[10] 
In assenza di previsione normativa, secondo una parte della dottrina l’accesso al piano attestato doveva essere riservato ai soli imprenditori non insolventi, presupponendosi il risanamento dell’impresa.  Per una disamina del dibattito sorto anteriormente alla novella v. F. Santangeli, op. cit., 370. 
[11] 
Così M. Bazzani, op. cit., 186. 
[12] 
Cfr. Lamanna, op. cit., 355. Il rischio di abuso era in precedenza stato sottolineato da G.B. Nardecchia, Le esenzioni dall’azione revocatoria, cit., 238. 
[13] 
Così M. Ferro, Commento all’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., in La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, Milano, 2014, 901; G.B. Nardecchia, Le esenzioni dall’azione revocatoria, cit., 243; P. Marano, La ristrutturazione dei debiti e la continuazione dell’impresa, in Fall., 2006, 101; L. Mandrioli, Presupposti ed effetti dei piani di risanamento: le finalità dell’istituto, in La disciplina dell’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare e nei «fallimenti immobiliari», a cura di S. Bonfatti, Milano, 2005, 147; L. Abete, Le vie negoziali per la soluzione della crisi d’impresa, in Fall., 2007, 625, secondo il la quale la società in stato di scioglimento che abbia già deliberato la propria liquidazione può ricorrere al piano attestato solo previa revoca dello stato di liquidazione ex art. 2487 ter, c.c. Contra D. Galletti, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in Riv, trim. dir. proc. civ., 2006, 1210.    
[14] 
Si veda al riguardo la Relazione illustrativa al Codice della Crisi in www.camera.it, Atti del Governo 053, 70, ove testualmente: «Il piano mira al risanamento dell'esposizione debitoria ed al riequilibrio della situazione finanziaria ed è riservato quindi alle ipotesi di continuità aziendale». 
[15] 
Così M. Fabiani, op. cit., 93, il quale precisa che «il fine della conservazione della continuità aziendale potrebbe sussistere anche come continuità-ponte per giungere ad una liquidazione controllata che conduce al riequilibrio finanziario, fermo restando che una parte di attività non dovrebbe poter essere dismessa subito dopo il perfezionamento del piano posto che l’art. 56 CCII evoca espressamente che il debitore presenti un piano industriale». Analogamente M. Sciuto, op. cit., 24, e G.B. Nardecchia, Il piano attestato, op.cit., 8, il quale, pur ammettendo la possibilità di un’attività di liquidazione di asset non rilevanti ai fini del risanamento, precisa che il tenore letterale della norma e «la finalità esclusiva del piano (l’esenzione da revocatoria degli atti in questione), rendono evidente come lo stesso sia incompatibile con la continuità indiretta in tutte le sue forme». V. anche G. Fauceglia, Il Piano di risanamento nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in Fall., 2019, 1282, il quale, pur escludendo la possibilità di un piano esclusivamente liquidatorio, ammette la possibilità che lo stesso possa essere orientato «ad una valorizzazione di quegli assets idonei ad accrescere il valore aziendale ai fini di una successiva migliore allocazione sul mercato, magari in parte, dello stesso compendio aziendale». Negli stessi termini A. Aiello, A. Auricchio, G. Covino, L. Jeantet, op. cit., 2; M. Bascelli, Gli “strumenti di regolazione della crisi”: gli “accordi” nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Luci ed (alcune) ombre, in www.dirittobancario.it, gennaio 2019, 5. 
[16] 
Si noti, al riguardo, che il contenuto della lett. g-bis) introdotta con il Secondo Correttivo ricalca esattamente la previsione dell’art. 87, comma 1, lett. f), CCII riguardante il concordato preventivo in continuità aziendale diretta, ciò che conferma la volontà del legislatore di riservare il piano attestato alle imprese in continuità diretta. 
[17] 
Cfr. S. Di Amato, op. cit, 313. Negli stessi termini F. Santangeli, op. cit., 7.
[18] 
Così L. Carrioli, op. cit., 368.  
[19] 
Ciò in ottemperanza alla prescrizione del legislatore delegante: l’art. 5, lett. e), della legge delega prevede, infatti, che il piano attestato deve avere forma scritta, data certa e contenuto analitico. 
[20] 
La Relazione illustrativa al Secondo Correttivo precisa, infatti, che lo scopo dell’intervento legislativo è quello di coordinare le disposizioni dell’art. 56 con «quelle, analoghe, che disciplinano il contenuto del piano degli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza».
[21] 
G.B. Nardecchia, Le esenzioni dall’azione revocatoria, cit. 241; S. Bonfatti – P. Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006, 268. 
[22] 
La dottrina pare unanime in questo senso: cfr. M. Fabiani, op. cit., 94; M. Bazzani, op. cit, 184; M. Sciuto, op. cit., 17; L. Carrioli, op. cit., 371 (ove ulteriori riferimenti dottrinali); G. D’Attorre, op. cit., 58 G.B. Nardecchia, Il piano attestato di risanamento, cit. 9; G. Fauceglia, op. cit., 1283. 
[23] 
Come sottolineato da M. Bazzani, op. cit., 184, a seguito dell’introduzione dell’art. 56, CCII, deve quindi ritenersi «superata l’affermazione diffusa prima dell’introduzione del Codice (e ancora non sopita), secondo cui il piano potrebbe anche essere un atto unilaterale dell’imprenditore … che non richiederebbe necessariamente un accordo con i creditori». Secondo G. D’Attorre, op. cit., 58, la conclusione di accordi con i creditori rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie, di talché «non si può beneficiare dei benefici previsti quando si sia in presenza di un documento unilaterale predisposto dall’imprenditore in crisi, non accompagnato da alcun accordo con i creditori». Sul punto v. anche M. Fabiani – G.B. Nardecchia, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza formulario commentato, Milano, 2023, 448, secondo i quali il fatto che la norma richiede l’indicazione dei creditori e dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle trattative «rende evidente come vi sia una successione cronologica necessaria in cui il piano costituisce un prius rispetto agli accordi». In giurisprudenza, già in relazione all’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., v. Trib. Catania, 11 gennaio 2019, secondo cui «il consenso del ceto creditorio coinvolto deve costituire un presupposto sussistente a monte e non, invece, da acquisirsi a valle successivamente alla predisposizione del piano». 
[24] 
V. per l’opinione contraria M. Sciuto, op. cit., 18, secondo il quale a tale conclusione dovrebbe giungersi in quanto l’art. 166, comma 3, lett. d), nel comminare l’inefficacia dell’esenzione per i casi di dolo o colpa grave dell’attestatore o del debitore, prevede che ciò rilevi soltanto nel caso di conoscenza da parte del creditore (e non dei terzi) di tale dolo o colpa grave al momento del compimento dell’atto revocabile, il che escluderebbe che l’atto del terzo rientri nella fattispecie di esenzione.  
[25] 
F. Lamanna, op. cit., 354. 
[26] 
In questi termini S. Di Amato, op. cit., 312. 
[27] 
G.B. Nardecchia, il piano attestato di risanamento, cit. 7. Per una disamina delle caratteristiche del piano cfr. R. Ranalli, “Logica” e “tecnica” dei piani di risanamento, in Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria a cura di G. Ferri jr. e D. Vattermoli, Pisa, 2021, 27; R. Ranalli, I piani negli accordi di ristrutturazione e nei concordati preventivi in continuità tra il regime attuale e la loro evoluzione, in Fall., 2018, 1477 nonché i Principi per la redazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC il 25.5.2022, in www.fondazionenazionalecommercialisti.it. 
[28] 
Norma a sua volta oggetto di un importante intervento modificativo ad opera del D. Lgs. n. 83/2022 (Primo Correttivo). 
[29] 
Così M. Fabiani, op. cit., 94. V. anche sul tema P. Bastia, Crisi aziendali e piani di risanamento, Torino, 2019, 192, il quale sottolinea come una corretta diagnosi delle cause della crisi è essenziale al fine di individuarne i rimedi. 
[30] 
Così L. Carrioli, op. cit., 373. M. Bazzoli, richiamando il principio 5.2.1 dei Principi CNDCEC (v. supra nota 23), sottolinea che il piano deve indicare la strategia di risanamento da adottare in termini di azioni di medio termine in grado di definire un assetto industriale e finanziario sostenibile e di creare i presupposti per il risanamento dell’impresa. Per R. Ranalli, I Piani negli accordi di ristrutturazione, cit., 1479, «il piano deve essere sorretto da intenzioni strategiche che siano razionalmente atte a consentire il superamento dello stato di crisi. Perché ciò sia possibile occorre che il piano di risanamento contenga una chiara e convincente individuazione delle cause della crisi ed una altrettanto convincente attitudine delle linee guida del piano a rimuoverle». 
[31] 
M. Fabiani, op. cit., 96; F. Lamanna, op. cit., 357, il quale sottolinea come la mancata previsione della prededucibilità determini una disparità di trattamento rispetto agli altri strumenti di regolazione della crisi che non incentiverà l’erogazione di nuova finanza nell’ambito dei piani attestati. Secondo M. Bazzani, op. cit., 188, l’assenza di prededucibilità può essere mitigata dalla concessione di garanzie reali sui beni della debitrice e/o dalla cessione in garanzia di crediti vantati dall’imprenditore, in quanto atti coperti dall’esenzione da revocatoria se previsti nel piano. 
[32] 
P. Manzoni, Le operazioni straordinarie negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani attestati di risanamento, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2022, 3, 783. 
[33] 
L. Carrioli, op. cit., 374; G. D’Attorre, op. cit., 1226.
[34] 
Le Linee Guida per il Finanziamento alle imprese in crisi del 28 aprile 2015, II edizione, edite da Università degli Studi di Firenze, CNDCEC, Assonime, sono chiare nell’affermare che «l’arco temporale del piano, entro in quale l’impresa deve raggiungere una condizione di equilibrio economico-finanziario, non deve estendersi oltre i 3/5 anni, anche se eventuali pagamenti ai creditori possono essere previsti in tempi più lunghi» 
[35] 
R. Ranalli, I Piani negli accordi di ristrutturazione, cit., 1485. 
[36] 
R. Ranalli, “Logica” e “tecnica” dei piani, cit., 35, il quale precisa che «un piano è controllabile se reca indicatori di performance atti a consentire la tempestiva verifica in continuo dell’andamento aziendale: la loro rilevazione corrente dovrà poter essere posta a raffronto con l’andamento storico e con quello delle corrispondenti grandezze del piano». 
[37] 
V. Trib. Milano, 5 luglio 2018, in www.ilcaso.it, in materia di concordato preventivo. 
[38] 
Cfr. R. Ranalli, I Piano negli accordi di ristrutturazione, cit., 1485, il quale precisa che l’indagine da compiere dovrebbe essere «di tipo matriciale in cui tutti i fattori di rischio vengono fatti interagire congiuntamente per individuare (anche graficamente nella matrice) la linea di frattura oltre la quale il piano non potrà essere eseguito. L’esito dell’analisi di sensitività deve poi essere oggetto di una valutazione critica, principalmente da parte dell’attestatore». V. sul punto anche le Linee guida per il finanziamento alle imprese in crisi, cit.., 32, che affermano l’opportunità di esplicite analisi di sensitività (o stress test) che dimostri quanto i risultati indicati nel piano siano sensibili alle variazioni dei parametri utilizzati per la sua redazione. 
[39] 
Così F. Santangeli, op. cit., 9; L. Carrioli, op. cit., 374; M. Bazzani, op. cit., 191, il quale precisa che «se, però, non sono previsti meccanismi di aggiustamento automatico e il piano non sia più fattibile, il mantenimento dell’efficacia protettiva prevista dalla legge per i successivi atti è subordinata a una necessaria modifica del piano originario (rectius alla predisposizione di un nuovo piano), che dovrà, a sua volta, essere oggetto di attestazione da parte del professionista». 
[40] 
L. Boggio, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – Gli strumenti di regolazione concordata della crisi e dell’insolvenza, in Giur. It., 2019, 8-9, 1943. 
[41] 
V. sul punto, F. Lamanna, op. cit., 357. Secondo M. Bazzani, op. cit., 189, «non soltanto è richiesta l’indicazione della manovra finanziaria – che deve perseguire il duplice scopo di portare il debito a livello sostenibile e rispondere al fabbisogno finanziario del capitale circolante per tutto l’arco di Piano (principio 7.1 dei Principi CNDCEC) – ma si specifica chiaramente che essa deve avere alla base un piano industriale, i cui effetti sul piano finanziario vanno evidenziati nel piano». 
[42] 
Così A. Audino, Commento all’art. 87, in Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Milano, 2023, 637. 
[43] 
Sarà esemplificativamente necessario rivolgersi al notaio qualora l’accordo preveda il rilascio di una garanzia ipotecaria e la sua connessa iscrizione. 
[44] 
M. Ferro, Commento all’art. 67, comma 3, lett. d), op. cit., 898; A. Zorzi, Il finanziamento alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione), in G. Comm, 2009, 1236; L. Rovelli, Quale competitività per le imprese dopo le “trasformazioni” della legge fallimentare, in Fall., 2006, 114. 
[45] 
V. sul punto G.B. Nardecchia, Il piano attestato di risanamento, cit., 9, secondo cui «scopo dell’attribuzione di data certa ai principali atti esecutivi del piano è quello di provare la effettiva consequenzialità cronologica degli atti esecutivi medesimi in relazione al piano ed alla sua attestazione da parte dell’esperto e quindi il rispetto dell’originario progetto di risanamento»; M. Bazzani, op. cit., 192, che correttamente esclude dall’obbligo di data certa le operazioni poste in essere nel quadro della normale attività d’impresa che sia continuata in esecuzione del piano; F. Santangeli, op. cit., 11. Per M. Fabiani, op. cit., 95, meno agevole è la comprensione della richiesta di dotare di data certa gli atti unilaterali, quali sono, ad esempio, i pagamenti. Secondo l’Autore «per evitare eccessi di formalismo, sarebbe più coerente con la flessibilità degli strumenti di pagamento che la nozione di data certa (che è nozione tecnica derivante dall’art. 2704 c.c.) venisse intesa come equipollente di “certezza della data del pagamento”, ovverosia come prova certa». 
[46] 
Così Cass. 22/6/2020, n. 12171, in Giust Civ. Mass.; negli stessi termini Trib. Milano, 28/4/2023, in Banca dati Giuffrè. 
[47] 
Per un utile modello di attestazione v. M. Fabiani e G.B. Nardecchia, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., 465. 
[48] 
Cfr. sul punto Cass., sez un., 23/1/2013, n. 1521, secondo cui all’attestatore è «attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall’interno», affinché i creditori aderenti all’accordo possano trarre le informazioni occorrenti per verificare «la congruità e la logicità della motivazione, anche sotto il profilo del collegamento effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio». 
[49] 
Cfr. Cass., 10/2/2020, n. 3018, secondo cui la veridicità dei dati aziendali costituisce elemento costitutivo dell’attestazione, quale necessario presupposto della valutazione di ragionevolezza del piano. In dottrina v. L. Carrioli, op. cit., 376. Sul contenuto dell’attestazione v. I. Baratta, La verifica sulla veridicità dei dati aziendali nell’attestazione del professionista, in Dirittodellacrisi.it, 16.12.2022 
[50] 
In questo senso i Principi di attestazione dei piani di risanamento, versione 2024 aggiornata al CCII (§ 4.1), in www.fondazionenazionalecommercialisti.it. 
[51] 
V. sul punto F. Santangeli, op. cit., 13, secondo cui l’eliminazione del riferimento alla fattibilità giuridica lascia perplessi, in quanto mentre per gli accordi di ristrutturazione dei debiti – ove pure il riferimento è stato espunto – la valutazione della fattibilità giuridica è rimessa al vaglio del tribunale in sede di omologazione «lo stesso non può dirsi con riferimento al piano attestato di risanamento che resta quindi privo di un preventivo controllo sulla fattibilità giuridica spostando tale verifica in sede di accertamento giudiziale sulla revocabilità degli atti posti in essere in esecuzione del piano attestato». Secondo S. Ambrosini e A. Tron, I principi di attestazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC e il ruolo del professionista, in www.ilcaso.it, 8.3.2015, 25, l’attestatore deve verificare la tenuta giuridica delle soluzioni proposte dall’imprenditore, anche alla luce dello strumento giuridico adottato. Dello stesso avviso D. Carlone e T. Iannaccone, Il piano attestato di risanamento nel nuovo codice della crisi, in www.ilcaso.it, 4.8.2022, 9. 
[52] 
Cfr. Cass., 22/5/2014, n. 11423, Cass., 5/2/2016, n. 2320, Cass. 1/3/2018, n. 4790, tutte in Banca Dati Giuffrè, che intendono la fattibilità economica come “realizzabilità nei fatti” o “in concreto” del piano. 
[53] 
Cfr. i Principi di attestazione, cit. § 6.8.1. 
[54] 
In proposito, i Principi di attestazione, cit, § 6.1.1, prevedono che l’attestatore deve verificare «che le principali ipotesi che la direzione aziendale pone a fondamento della strategia di risanamento siano evidenziate esplicitamente - meglio se in una parte specifica - nel Piano e riguardino: i) per il proseguimento della gestione aziendale, l’evoluzione prevista del mercato di riferimento dei prodotti/servizi e l’evoluzione prevista dei rapporti con il contesto competitivo (clienti, fornitori, concorrenti, aziende partner); ii) per la dismissione di significativi elementi del patrimonio, l’interesse di potenziali acquirenti (se individuati) o, in assenza di questi, la valutazione dei medesimi elementi con criteri di liquidazione; iii) il tutto in coerenza rispetto alle cause della crisi, come declinate nel Piano». 
[55] 
Al riguardo G.B. Nardecchia, Il piano attestato di risanamento, cit., 13, afferma in maniera condivisibile che «se da una parte è quindi sufficiente che al momento dell’attestazione siano in corso delle trattative per la rinegoziazione dei crediti (non essendo necessario che il professionista attesti la conclusione positiva delle stesse), dall’altra sarà necessario che il professionista indipendente, dovendo attestare la fattibilità … del piano, dia atto dei presumibili e ragionevoli esiti delle trattative, anche nella prospettiva degli strumenti da adottare in caso di scostamento tra gli obiettivi e il piano». 
[56] 
E’ infatti pacifico che l’attestatore debba svolgere analisi di sensitività e prove di resistenza (stress test) sugli effetti che eventuali modifiche delle assunzioni poste a base del piano potrebbero avere sul perseguimento dell’obiettivo del risanamento (così i Principi di attestazione, cit. § 6.6). V. sul punto ampiamente S. Ambrosini e A. Tron, op. cit., 26, i quali definiscono l’analisi di sensitività come «quell’attività volta a comprendere gli impatti economico-patrimoniali e soprattutto finanziari di andamenti delle principali variabili del piano diversi rispetto a quelli previsti, al fine di comprendere se, anche in ipotesi di stress, il piano medesimo conservi la propria tenuta prospettica e sia, comunque, in grado di rispettare i covenant di solito presenti nell’accordo di ristrutturazione». 
[57] 
Così F. Santangeli, op. cit., 14, che propende per la soluzione affermativa, rilevando che si tratta di un nuovo scenario prognostico che «potrà, da un lato, ampliare i margini di discrezionalità dell’attestazione, e, tuttavia, dall’altro, anche aumentare il rischio di un controllo maggiormente invasivo da parte della giurisprudenza». 
[58] 
Cfr. i Principi di attestazione, cit. § 6.8.6, ove si aggiunge che «a tale fine verifica le previsioni di flussi di cassa operativi positivi, valutando se siano realizzabili e se siano tali da permettere nel tempo il sostenimento del debito finanziario (sia come finanziamenti già esistenti, sia come “nuova finanza”) e l’effettuazione degli investimenti a regime occorrenti». 
[59] 
Cfr. i Principi di attestazione, cit. § 8.4.5. 
[60] 
Cfr. i Principi di attestazione, cit. § 8.4.7. 
[61] 
Trib. Treviso, 1/6/2016; Trib. Roma, 16/12/2015; Trib. Forlì, 7/10/2015, tutte in www.ilcaso.it. L. Carrioli, op. cit., 377; S. Ambrosini e A. Tron, op. cit., 34. 
[62] 
Cfr., tra le tante, Cass., 22/6/2020, n. 12171, in www.ilcodicedeiconcordati.it. 
[63] 
Così in dottrina L. Salamone, Responsabilità del professionista attestatore nelle procedure concorsuali. Note da un dialogo con la giurisprudenza, in Dir. Fall., 2023, 865. In giurisprudenza v. Trib. Roma, 13/3/2012, secondo cui «il controllo e la conseguente assunzione di responsabilità dell’attestatore in ordine alla veridicità dei dati contabili costituisce il presupposto logico e fattuale indefettibile della successiva valutazione di attuabilità o di fattibilità del piano e comporta, pertanto, la responsabilità dell’attestatore per l’eventuale colposa erroneità della verifica stessa o per la dolosa falsificazione dei relativi dati». 
[64] 
Così S. Fortunato, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi d’impresa, in Fall., 2009, 889. Negli stessi termini L. Salamone, op. cit., 866, il quale aggiunge che «la responsabilità per omissione o per diniego dell’attestazione, nei confronti del debitore - committente, può derivare soltanto dalla mancata prova liberatoria ex art. 1218 c.c., di non avere adempiuto senza provare che ciò sia dipeso da causa a lui non imputabile (= dati provatamente non veritieri; piano macroscopicamente non fattibile)».  
[65] 
V. in proposito Trib. Venezia, 19/5/2015, in Dir. fall., II, 1040, in cui il tribunale autorizza il sequestro 
conservativo contro amministratori, sindaci e attestatore di una società fallita, in virtù del danno cagionato dal ritardo; S. Fortunato, op. cit., 889. Contra L. Stanghellini – A. Zorzi, Il piano di risanamento, in Trattato delle procedure concorsuali diretto da A. Jorio – B. Sassani, Milano, 2017, 596, che ravvisano tale responsabilità solo nei confronti dei terzi e non nei confronti della società ed escludono una legittimazione del curatore a far valere tale danno. 
[66] 
G.B. Nardecchia, Le esenzioni dall’azione revocatoria, op. cit., 254. 
[67] 
S. Fortunato, op. cit., 889; L. Salamone, op.cit., 868; L. Stanghellini – A. Zorzi, op. cit., 595. 
[68] 
Trib. Milano, 25/3/2010, in www.ilcaso.it. 
[69] 
Cass., 4/5/2018, n. 10752; negli stessi termini Cass. 2/2/2021, n. 2288, entrambe in Banche dati Giuffrè. 
[70] 
S. Fortunato, op. cit., 889. V. in materia di responsabilità da contatto sociale la nota Cass., sez. un., 26/6/2007, n. 14712. 
[71] 
S. Fortunato, op. cit., 889. 
[72] 
In questo senso F. Lamanna, op. cit., 358, e D. Vattermoli, Piani attestati, il professionista attesta pure la fattibilità economica, in Il Sole 24Ire, I Focus di Norme e Tributi, 6.7.2022, il quale rileva come «in un sistema in cui l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi è visto con estremo favore ed anzi in buona misura imposto, non solo al debitore ma anche agli altri soggetti coinvolti dalla crisi medesima, sarebbe stato più coerente rendere obbligatoria la pubblicazione del piano, preferendo così la trasparenza alla confidenzialità». 
[73] 
M. Bascelli, Le operazioni volte alla ‘soluzione negoziale’ della crisi d’impresa. Spunti per vecchie e nuove riflessioni alla luce della L. 7 agosto 2012, n. 134, in Notariato, 2012, 684. Contra F. Santangeli, op. cit., 15. 
[74] 
L’art. 88, comma 4 ter, Tuir fa ancora riferimento all’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., che prevedeva la sola pubblicazione del “piano attestato”, rimane quindi il dubbio se sia necessaria la pubblicazione dell’attestazione e degli accordi. La soluzione più convincente pare quella di ritenere necessaria la pubblicazione sia del piano e dell’attestazione (che congiuntamente formano il piano attestato), sia degli accordi, in quanto è da essi – i quali possono essere formalizzati anche dopo la predisposizione del piano e della relazione di attestazione - che derivano le sopravvenienze attive non tassabili.  
[75] 
Così la Risposta n. 183/2023 ad un’istanza di interpello sul trattamento fiscale delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, in www.agenziaentrate.gov.it. In precedenza, l’Agenzia aveva già fornito chiarimenti in ordine all’applicabilità dell’art. 88, comma 4 ter, TUIR, agli effetti della rinegoziazione del debito bancario a condizioni diverse da quelle di mercato (Risposte n. 302/2022 e 303/2022). V. sul punto diffusamente L. Manzini, Piano attestato di risanamento e detassazione delle sopravvenienze attive, in www.dirittobancario.it, 7.6.2022. 
[76] 
V. in proposito il Principio di diritto n. 1/2023 dell’Agenzia delle Entrate, in www.agenziaentrate.gov.it. 

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