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Possibili modifiche in tema di norme fiscali nello schema di decreto correttivo del codice della crisi

Giulio Andreani, Dottore Commercialista e Consulente fiscale in Milano

7 Maggio 2024

Lo schema di decreto correttivo del Codice della crisi e dell’insolvenza datato 17 aprile 2023 prevede anche la modifica e l’integrazione delle norme di natura fiscale, presenti nel Codice, che disciplinano: 1) la responsabilità tributaria del soggetto che acquista l’azienda del debitore nella composizione negoziata della crisi; 2) la possibilità di falcidiare anche nella composizione negoziata tutti i debiti tributari (inclusi sia quelli relativi propriamente ai tributi erariali e non solo agli accessori, sia quelli nei confronti degli enti pubblici territoriali, cioè di comuni, province e regioni, per tributi e accessori) e contributivi; 3) l’emissione delle note di variazione iva da parte dei creditori non integralmente pagati per effetto di accordi conclusi nella composizione negoziata della crisi; 4) la transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti; 5) la transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo in continuità. 
Pare tuttavia, in base alle più recenti informazioni, che tali disposizioni - salvo quella concernente l’estensione della transazione fiscale alla composizione negoziata, che potrebbe essere semplicemente integrata - verrebbero stralciate da detto decreto, per diventare oggetto, in modo più organico e articolato, di un provvedimento dedicato esclusivamente alle norme tributarie relative alla crisi, comprensivo sia di quelle presenti nel Codice, riguardanti soprattutto la transazione fiscale, sia di quelle contenute nelle leggi che disciplinano la determinazione delle imposte dovute in tale contesto e i relativi obblighi dichiarativi. 
Ciò posto, con l’augurio che possano rivelarsi utili, vengono espresse qui di seguito alcune considerazioni, o quanto meno alcuni auspici, sulla revisione di tali norme. 
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1 . La responsabilità tributaria dell’acquirente dell’azienda dell’impresa debitrice nella CNC (art. 22, comma 1, lett. d)
Con riguardo al caso in cui nell’ambito della composizione negoziata della crisi il debitore ceda la propria azienda o un ramo aziendale, viene introdotta nell’art. 22 (che disciplina le autorizzazioni del tribunale nell’ambito di tale percorso) una disposizione con cui si prevede, in presenza dell’autorizzazione alla cessione rilasciata dal tribunale, l’esclusione della responsabilità del soggetto acquirente relative all’azienda trasferita, oltre che ai sensi dell’art. 2560 c.c., anche dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997. 
Per effetto della prima di tali norme, l’acquirente dell’azienda risponde dei debiti inerenti all’esercizio della stessa, maturati anteriormente al trasferimento e risultanti dai libri contabili obbligatori; in base alla seconda, invece, il cessionario dell’azienda è responsabile solidalmente (fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda trasferito) per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuto il trasferimento e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. Le due responsabilità sono fra loro concorrenti. 
Il citato art. 14 contempla peraltro due esimenti: una oggettiva, discendente dal rilascio dell’apposito certificato dei carichi fiscali pendenti previsto dal comma 3,  ai sensi del quale il certificato negativo produce la liberazione del cessionario, e una soggettiva, stabilita dal successivo comma 5 bis, in forza del quale in capo al cessionario non sussiste responsabilità in solido quando il trasferimento d’azienda avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti soggetto a omologazione, di un piano attestato di risanamento (o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio). 
La disposizione non tiene tuttavia conto degli istituti introdotti dal Codice della crisi e dell’impresa: da qui l’esigenza di un suo adeguamento alle modifiche legislative intervenute, che è ancor più evidente se si considera che una limitata esimente è peraltro già prevista dal Codice della crisi, e segnatamente nell’art. 22, comma 1, lett. d), con riferimento alla composizione negoziata, e negli artt. 214 e 118, comma 2, relativi alla liquidazione giudiziale e al concordato preventivo; dette norme prevedono tuttavia l’esclusione della responsabilità del cessionario dell’azienda dei debiti pregressi solo con riguardo agli istituti testé menzionati ed esclusivamente in relazione al disposto dell’art. 2560, comma 2, c.c.. 
Ne discende una disciplina “a macchia di leopardo”, con un evidente disallineamento tra l’esclusione della responsabilità di natura civilistica per i debiti aziendali (accordata solo per la composizione negoziata, la liquidazione giudiziale e il concordato preventivo) e l’esclusione della solidarietà tributaria prevista per imposte e sanzioni (che riguarda invece la liquidazione giudiziale, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese, il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti soggetti a omologazione, i piani attestati di risanamento, il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio). 
Per questi motivi con il decreto delegato avente a oggetto la riforma del sistema sanzionatorio tributario discendente dalla Legge Delega n. 111/2023, concernente la revisione del sistema tributario, è già stato stabilito, attraverso una modifica del citato articolo 14 del D.Lgs. n. 472/1997, che, sempreché l’operazione non abbia natura di frode, la suddetta responsabilità non trova applicazione quando il trasferimento dell’azienda avviene nell'ambito di una procedura concorsuale, di uno degli istituti disciplinati dal Codice della crisi, o della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, rendendo dunque l’esclusione delle responsabilità tributaria omogenea ed estesa a tutti i menzionati istituti. Con l’integrazione dell’art. 22 prevista dallo schema di decreto correttivo tale omogeneità, peraltro con l’introduzione di una norma che si sovrappone a quella prevista dal citato decreto delegato sulla riforma del sistema sanzionatorio, è assicurata relativamente alla composizione negoziata. Tale misura, sovrapposizione a parte, è pertanto condivisibile. 
Tuttavia, nonostante il principio direttivo previsto dall’art. 9, comma 1, della Legge Delega n. 111/2023 abbia a oggetto anche la responsabilità discendente dal citato art. 2560 del codice civile, il decreto delegato sulle sanzioni non ha disposto la modifica di quest’ultima norma relativamente agli istituì con riguardo ai quali l’esimente non è prevista: da qui la necessità di introdurre in essa una disposizione analoga a quella introdotta nell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997 dal decreto sulle sanzioni, al fine di prevedere un’analoga esimente anche relativamente alle responsabilità da essa discendenti nell’ambito di tutti gli istituti disciplinati dal Codice della crisi; in assenza di detta modifica, infatti, in alcuni contesti l’acquirente dell’azienda non risponderebbe dei debiti tributari per effetto del menzionato art. 14, ma ne risponderebbe a causa della mancata disapplicazione della previsione recata dall’art. 2560 del codice civile. È infatti evidente che un simile assetto normativo non sarebbe né coerente né efficiente. 
Peraltro, nel citato decreto delegato sulle sanzioni tributarie l’esimente è più completa, essendo opportunamente stabilito che essa si applica anche nel caso in cui il trasferimento sia effettuato nei confronti di terzi, e dunque a soggetti collegati o correlati all’impresa trasferente, da una società controllata, ai sensi dell’art. 2359 del codice civile, commi 1 e 2, dall’impresa o dalla società che è stata assoggettata a procedura concorsuale o ha fatto ricorso a uno di detti istituti, a condizione che a) il trasferimento sia autorizzato dall’Autorità giudiziaria ovvero sia previsto in un piano omologato dal tribunale e b) sia strumentale al risanamento dell’impresa o della società che controlla la società cedente o al soddisfacimento dei creditori di tali soggetti. 
Sarebbe quindi opportuno che il decreto correttivo prevedesse anche un’analoga disposizione, al fine di attribuire pienezza all’esimente di cui trattasi seppur, evitando al tempo stesso eventuali abusi della norma.
2 . L’estensione della transazione fiscale alla CNC (art. 23, commi 2 bis e 2 ter)
Attualmente il pagamento parziale e/o dilazionato dei debiti tributari è consentito, negli istituti previsti dal Codice della crisi, solo in presenza: (i) di apposite norme che lo permettano, quali sono quelle relative alla transazione fiscale, che è però prevista dai citati artt. 63 e 88 esclusivamente nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo, ovvero (ii) di una disposizione che, seppur non introducendo uno specifico procedimento, ne consenta la falcidia, qual è quella stabilita dal comma 3 dell’art. 80 del Codice della crisi, che prevede l’omologazione del concordato minore nonostante la mancata adesione dei creditori pubblici, se ricorrono taluni presupposti. 
Tale assetto normativo impedisce quindi: 1) da un lato, che la transazione fiscale possa trovare applicazione nella composizione negoziata della crisi, nel piano attestato di risanamento di cui all’art. 56 del Codice della crisi e nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione di cui all’art. 64 bis del medesimo codice, il che - per quanto attiene a quest’ultimo strumento - è confermato dal fatto che questa disposizione, nel richiamare le norme del concordato applicabili anche a tale istituto, evita di richiamare l’art. 88, pur richiamando gli artt. 87 e 89; 2) dall’altro lato, che la possibilità di pagamento parziale dei debiti tributari possa essere tratta - in assenza da norme siffatte - da altre disposizioni, analoghe a quelle previste nel concordato minore e nel concordato semplificato, nei quali, nonostante l’assenza della transazione fiscale, la falcidia dei debiti di cui trattasi discende o, come nel concordato minore, da una norma che produce i medesimi effetti della transazione fiscale ovvero, nel concordato semplificato, dalle regole generali dell’istituto. 
È pertanto evidente che, così stando le cose, la “variabile fiscale” influenza la scelta dello strumento utilizzabile ai fini del superamento delle situazioni di crisi e che tale situazione genera sia distorsioni sia ostacoli al risanamento delle imprese. Da qui l’esigenza di una omogeneizzazione del trattamento dei debiti tributari negli istituti disciplinati dal Codice della crisi, a cui occorre aggiungere quella di superare le controversie sinora sorte circa la possibilità di falcidiare i debiti relativi ai tributi locali, consentendone espressamente il pagamento parziale, attraverso la transazione fiscale ed eliminando così il rischio che tali debiti, nonostante siano assistiti da una causa di prelazione di rango inferiore a quelle che assistono i crediti erariali, finiscano per essere trattati meglio di questi ultimi. 
Mediante la modifica dell’art. 23 prevista dal decreto correttivo entrambe le esigenze vengono soddisfatte limitatamente all’ambito della composizione negoziata, seppur rimanendo insoddisfatte con riguardo a tutti gli altri istituti disciplinati dal Codice della crisi. 
Infatti, con l’introduzione dei commi 2 bis e 2 ter in tale articolo viene prevista la possibilità di attuare nell’ambito della composizione negoziata della crisi un accordo transattivo, tra il debitore, da un lato, e le agenzie fiscali, gli istituti previdenziali e gli enti pubblici territoriali (per quanto attiene ai tributi di loro competenza), dall’altro lato, avente a oggetto, non solo i debiti erariali, ma anche quelli contributivi e i debiti inerenti ai tributi locali; viene inoltre introdotta, relativamente a tributi e contributi, non solo la possibilità di dilazionarne il pagamento sino a dieci anni, com’è attualmente previsto, ma anche di concordarne la riduzione, che allo stato è consentita limitatamente agli accessori dei tributi. 
L’accordo deve essere sottoscritto dalle parti alla presenza dell’esperto e produce effetto con il suo deposito presso il tribunale competente; il giudice, previa verifica formale dell’accordo, ne autorizza l’esecuzione con decreto. 
È prevista la comprensibile esclusione in tale contesto della possibilità di cram down fiscale, in considerazione della natura dell’istituto, che non consente adesioni forzose dei creditori e non prevede un procedimento di omologazione dell’accordo raggiunto. 
La disposizione di cui trattasi è certamente opportuna, perché consente il superamento delle criticità attualmente esistenti, evitando, ove la riduzione marginale dei debiti tributari e contributiva attualmente consentita nella composizione negoziata sia insufficiente per superare lo stato di crisi del debitore, la necessità che la composizione negoziata sfoci in un diverso istituto in cui una maggior falcidia di tali debiti sia conseguibile mediante l’istituto della transazione fiscale, il che, tuttavia, ancorché possibile, si traduce inevitabilmente in un ampliamento dei tempi del risanamento e  ne limita quindi l’efficacia. Tuttavia, appaiono presenti in tale norma alcune lacune, costituite principalmente: 
1) dalla mancanza di un atto che fornisca alle amministrazioni pubbliche sopra menzionate quelle informazioni qualificate e indipendenti di cui necessitano per valutare la convenienza della proposta transattiva formulata loro dal debitore e per potersi esprimere senza ingiustificate difficoltà sulla stessa. È previsto, infatti, che l’accordo sia sottoscritto “alla presenza dell’esperto”, ma non che questi rilasci un parere sul piano di risanamento e sulla bontà della proposta transattiva, di cui i suddetti creditori possano precedentemente avvalersi per adottare le decisioni di loro competenza, agevolandone l’adozione e favorendo quindi il superamento della crisi aziendale, ove questo sia possibile e meriti di essere perseguito. Né, tanto meno, è richiesta la redazione, da parte di un professionista indipendente, di una relazione sulla convenienza dell’accordo, la quale sarebbe ancor più utile all’Amministrazione finanziaria, agli enti previdenziali e assicurativi e agli enti pubblici territoriali nel corso delle loro istruttorie. È vero che, ove l’accordo arrecasse pregiudizio ai creditori o alle prospettive di risanamento, l’esperto dovrebbe segnalarlo per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo ai sensi dell’art. 21, com’è altrettanto vero sia che l’esperto potrebbe rilevare l’inopportunità dell’accordo nella relazione finale richiesta dall’art. 17, comma 8, sia che la sua presenza alla sottoscrizione dell’atto, in assenza di alcuna censura, dovrebbe costituire implicita approvazione della transazione; è vero, infine, che l’accordo deve essere autorizzato dal giudice, che può non autorizzarlo in assenza dei necessari presupposti. Tuttavia, per i creditori pubblici sarebbe utile ricevere informazioni qualificate e indipendenti prima del momento della conclusione del percorso di composizione negoziata e della sottoscrizione dell’accordo, proprio per poter decidere, grazie a tali informazioni, se approvarne la sottoscrizione; 
2) tra i creditori pubblici a cui l’accordo di cui trattasi non è menzionata l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che non vi è però alcun motivo di escludere tra i soggetti destinatari della proposta transattiva, quanto meno relativamente ai tributi pacificamente falcidiabili; trattasi probabilmente solo di una mera dimenticanza, a cui dovrebbe essere quindi facile porre rimedio. 
Per tali motivi pare opportuna un’integrazione della norma di cui trattasi, prevedendo sia l’obbligo di un’attestazione del piano di risanamento redatta da un professionista indipendente e di una relazione concernente la situazione patrimoniale dell’impresa debitrice rilasciata da un revisore legale, sia l’inclusione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli tra i creditori pubblici che possono concludere l’accordo. 
Analogamente a quanto attualmente l’art. 63 del Codice della crisi stabilisce con riguardo alla transazione fiscale attuata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, la norma di cui trattasi prevede opportunamente che l’accordo si risolve di diritto in caso di apertura della liquidazione giudiziale o della liquidazione controllata, dell’accertamento dello stato d’insolvenza oppure di grave adempimento, precisando che quest’ultima fattispecie ricorre a seguito del mancato pagamento di tre rate consecutive oppure, se l’accordo non prevede alcuna rateizzazione del debito, a causa del mancato pagamento, entro il termine di novanta giorni dalla scadenza stabilita, delle somme dovute in virtù dell’accordo. 
3 . L'estensione della transazione fiscale agli istituti in cui non è attualmente prevista
Lo schema di decreto correttivo non prevede l’estensione della transazione fiscale a istituti diversi dall’accordo di ristrutturazione dei debiti e dal concordato preventivo, nel cui contesto essa è attualmente esclusivamente prevista. Tuttavia, nella prospettata revisione delle norme tributarie attinenti alla crisi, evidenti ragioni sistematiche e di opportunità ne consigliano l’applicazione anche nei seguenti diversi ambiti: 
a) nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) di cui all’art. 64 bis del Codice della crisi. È infatti del tutto irragionevole che la transazione fiscale, seppur prevista nel contesto dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo, continui a rimanere esclusa dal piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, il quale, pur costituendo un istituto autonomo e non una specie di altro strumento di regolazione della crisi, è per certi versi collocabile nella sostanza proprio fra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo, prevede anch’esso la nomina di un commissario giudiziale e la omologazione da parte del tribunale degli accordi conclusi dal debitore con i creditori. Ferma restando l’esclusione del cram down fiscale, ancorché la omologazione forzosa sia consentita nell’accordo di ristrutturazione e nel concordato preventivo, in considerazione della natura del PRO, che è fondato sul voto favorevole di tutte le classi di creditori e comporta necessariamente la costituzione di una classe formata esclusivamente da crediti fiscali; 
b) al concordato minore di cui all’art. 74 del Codice della crisi, posto che non sussiste alcun motivo per sottoporre a discipline diverse fattispecie fra loro del tutto omogenee; 
c) al concordato attuato nell’ambito della liquidazione giudiziale ai sensi dell’art. 240 del suddetto Codice, essendo ingiustificato anche in questo caso un procedimento che non preveda i medesimi effetti che si producono in caso di concordato preventivo e penalizzi così il debitore; 
d) al concordato attuato nell’ambito dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, ancorché, nel primo caso, con talune differenze dovute al peculiare procedimento di approvazione del concordato previsto dal citato decreto legislativo n. 270/1999. 
4 . L’emissione di note di variazione iva da parte del cedente/creditore nella CNC (art. 23, comma 5 bis)
Lo schema di decreto correttivo prevede la facoltà, per il creditore che ha concluso un accordo con i propri creditori, di emettere una nota di variazione iva corrispondente all’ammontare del credito non recuperato, ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, aggiungendo all’art. 23 un comma contenente la medesima norma già introdotta con l’art. 38, comma 2, del D.L. n. 13/2023 proprio relativamente alla composizione negoziata. Tale disposizione è certamente opportuna, ma dovrebbe essere coordinata con quanto previsto al riguardo dallo schema di decreto delegato sulla fiscalità della crisi e di decreto delegato sull’iva discendenti dalla già citata Legge Delega n. 111/2023.
Infatti, tali provvedimenti prevedono, relativamente all’estensione della disposizione recata dal comma 3 bis del citato art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, che attribuisce al cedente/creditore il diritto di emettere la nota di variazione iva di cui al comma 2 del medesimo articolo, che tale facoltà si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente, nel caso in cui quest’ultimo abbia fatto ricorso o sia stato assoggettato a una delle procedure o a uno degli istituti disciplinati dal Codice della crisi; è conseguentemente prevista l’abrogazione del comma 10 bis del citato art. 26, in quanto assorbito dalle disposizioni introdotte nel novellato comma 3 bis. È inoltre introdotta la modifica del comma 5 del medesimo articolo, prevedendo che l’obbligo del cessionario e o del committente stabilito dal primo periodo di tale comma (cioè quello di registrare specularmente “a debito” la  variazione operata - “a credito” - dal cedente o prestatore) non si applica esclusivamente nel caso delle procedure concorsuali e degli istituti da cui deriva l’estinzione delle imprese o delle società che a esse sono state assoggettate o a essi hanno fatto ricorso; ciò allo scopo di limitare l’esclusione di detto obbligo, che costituisce una deroga al principio della neutralità del tributo, solo con riguardo agli istituti da cui discende l’estinzione del soggetto passivo d’imposta, e non a tutti gli istituti disciplinati dal Codice della crisi e dell’insolvenza indipendentemente dal fatto che il soggetto a cui tale obbligo si riferisce sia, o meno, destinato a essere estinto per effetto della procedura. Ne dovrebbe discendere che, al di fuori dell’ipotesi in cui l’impresa debitrice venga estinta a seguito della procedura concorsuale, nel qual caso a fronte del recupero del creditore non sorgerebbe in capo al debitore alcun debito d’imposta corrispondente al credito generatosi a favore del debitore, in tutte le altre ipotesi, cioè quando l’impresa non si estingue e l’attività prosegue, al recupero dell’iva da parte del creditore corrisponderà specularmente l’addebito del medesimo importo di tributo a carico del debitore. 
Questa disciplina contrasta, sotto quest’ultimo profilo, con la disciplina discendente dalla disposizione oggetto del decreto correttivo ed è quindi necessario un miglior coordinamento tra tali norme. 
5 . Le modifiche relative alla transazione fiscale attuata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 63)
Lo schema di decreto correttivo introduce alcune modifiche anche all’art. 63, che disciplina la transazione fiscale nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Tali modifiche sono utili. Lo sono, in particolare, quelle (entrambe mutuate dalla bozza di decreto delegato sulla fiscalità della crisi) che prevedono: i) l’estensione della transazione ai crediti tributari degli enti pubblici territoriali e ii) che nei novanta giorni successivi al deposito della proposta di transazione le agenzie fiscali, gli enti previdenziali e gli enti pubblici territoriali non possono avviare o proseguire azioni esecutive e cautelari relative ai crediti oggetto di tale proposta e, per il medesimo periodo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 48 bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, relativamente ai crediti oggetto della proposta, non costituendo il mancato pagamento degli stessi irregolarità fiscale ai fini delle disposizioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 sugli appalti. 
In base alla legge attualmente vigente tali tributi non rientrano nel campo di applicazione della transazione fiscale, ma possono essere oggetto di ristrutturazione, come ha da tempo affermato la Corte dei conti - Sezione regionale di controllo per la Toscana (a cui ha fatto seguito un’analoga pronuncia della Sezione regionale dell’Umbria), con la deliberazione n. 4/2021/ PAR del 15 giugno 2021, emessa in risposta a un quesito con cui un comune chiedeva se fosse legittima l’adesione ex art. 182 bis della Legge fallimentare (corrispondente all’art. 57 del Codice della crisi) a un accordo di ristrutturazione dei debiti che prevedeva il pagamento parziale dell’IMU e delle relative sanzioni, ancorché in misura comunque superiore a quella che sarebbe derivata dalla liquidazione dell’impresa. 
Al riguardo tale Sezione della Corte dei conti, da un lato, ha stabilito che, “in considerazione della chiarezza del dato letterale della norma, nel campo di applicazione dell’art. 182 ter (ndr: che disciplinava la transazione fiscale) non possono rientrare ulteriori situazioni creditorie di spettanza degli enti locali (ossia quelli che non risultino amministrati dalle agenzie fiscali)”; dall’altro ha però riconosciuto come, “al di fuori della transazione fiscale, i crediti (non solo fiscali) riferiti agli enti locali possano comunque essere oggetto di accordo ‘transattivo’ (con riduzione dell’ammontare del debito, dilazione di pagamento, ecc.), così come previsto per tutti gli altri crediti nell’ambito del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione. Proprio quest’ultimo, pertanto, potrà essere lo strumento a cui l’imprenditore può ricorrere per attenuare la pressione dei tributi e dei crediti degli enti locali, nei modi previsti dall’art. 182 bis. Ciò in conformità all’obiettivo del sistema normativo in esame, che è quello di evitare all’imprenditore in crisi il dissesto irreversibile dell’impresa consentendogli di ridurre in termini percentuali i crediti fiscali (e non), diversi da quelli oggetto di transazione”. 
Inoltre, come la Sezione toscana della Corte dei conti ha altresì affermato, se le norme in commento dovessero essere interpretate nel senso di negare la possibilità di aderire a un siffatto accordo e di imporre il pagamento integrale di tali crediti, si perverrebbe all’assurdo risultato per cui l’ordinamento giuridico garantirebbe ai tributi locali un trattamento migliore rispetto ai crediti erariali, sebbene i primi siano normalmente assistiti da un grado di privilegio inferiore. 
Per tutte queste ragioni la citata Sezione della Corte dei conti ha quindi testualmente rappresentato “come l’art. 182 bis possa trovare applicazione ai crediti, non solo tributari, di spettanza degli enti locali, qualora non possano essere oggetto di transazione fiscale ai sensi dell’art. 182 ter”. 
Tale interpretazione è perfettamente in linea con il principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica amministrazione stabilito dall’art. 97 Cost., consentendo agli enti locali di esercitare la propria discrezionalità in maniera “controllata” o comunque “vincolata” secondo il canone della convenienza economica, attraverso l’accettazione del miglior trattamento offerto rispetto a quello che deriverebbe, in alternativa, dalla liquidazione dell’impresa debitrice. 
Ciò nonostante, sarebbe illogico che il trattamento di tali tributi continuasse a soggiacere a regole diverse da quelle che disciplinano il trattamento dei tributi erariali e dovesse essere attuato mediante un istituto diverso da quello utilizzabile per il trattamento di questi ultimi, per di più senza poter ricorrere alla omologazione forzosa che, seppur con le limitazioni a cui si è fatto cenno, è invece consentita relativamente a questi crediti. 
Anche in applicazione dello specifico principio direttivo previsto dall’art. 9, comma 1, della Legge Delega n. 111/2023 è quindi auspicabile che venga esteso ai crediti afferenti ai tributi (non amministrati dalle agenzie fiscali) di cui sono titolari gli enti locali e le regioni (unitariamente definiti enti pubblici territoriali) l’ambito oggettivo della transazione fiscale, con riguardo a tutti gli istituti in cui dovrebbe essere prevista, prevedendone anche la possibilità di omologazione forzosa in base alle medesime regole applicabili ai tributi erariali, senza ingiustificate distinzioni. 
La seconda delle modifiche sopra indicate ha lo scopo di impedire – per il periodo strettamente necessario affinché i creditori pubblici si pronuncino sulla proposta di transazione - che, sebbene l’impresa debitrice abbia formulato detta proposta corredata dalla relativa documentazione, l’agente della riscossione promuova o prosegua azioni esecutive e cautelari, che possono ostacolare la ristrutturazione dei debiti avviata dal contribuente, con ricadute negative anche rispetto al recupero dei crediti erariali. Non sempre, infatti, le misure protettive disciplinate dall’art. 54 del Codice della crisi sono prive di effetti controproducenti in ordine alla regolare prosecuzione dell’attività dell’impresa, né sono pienamente efficaci, atteso che non rilevano ai fini della conservazione della regolarità fiscale richiesta per la partecipazione a gare di appalto e in merito alla sospensione degli effetti previsti dal citato art. 48, i quali sono analoghi a quelli prodotti da un’azione esecutiva o cautelare. La norma corrisponde peraltro anche a un principio di civiltà giuridica, essendo difficilmente giustificato l’esercizio di azioni esecutive e cautelari nel corso delle trattative, tranne che in ipotesi di condotte fraudolente o improntate a mala fede da parte del debitore. 
Nonostante l’opportunità dei suddetti interventi, sempre nell’ottica della prospettata revisione delle norme tributarie attinenti alla crisi, sarebbe opportuno prevedere anche che: 
a) la transazione può avere a oggetto i debiti sorti sino alla data di presentazione della proposta stessa. Anzi, attesa la sua funzione, dovrebbe avere (più che poter avere) a oggetto tali debiti, con effetto analogo a quello che si produce a seguito del deposito della proposta di transazione formulata contestualmente a quella di concordato, pur non sussistendo nell’accordo di ristrutturazione un discrimine temporale inderogabile; 
b) qualora, successivamente alla sua presentazione, la proposta di transazione venga modificata, il termine di 90 giorni, previsto ai fini della possibilità di omologazione forzosa della stessa, dovrebbe essere aumentato di 45 giorni decorrenti dal deposito della modifica originaria. Questa disposizione ha lo scopo di evitare le incertezze manifestatesi, a seguito della modifica della proposta, circa la permanenza del termine ordinario di 90 giorni o il decorso ex novo di tale termine dalla data della modifica. In effetti, entrambe tali soluzioni appaiono irragionevoli, poiché la modifica della domanda di transazione, da un lato,  non può essere irrilevante rispetto ai tempi occorrenti per l’esame della proposta e, dall’altro lato, non può tuttavia nemmeno giustificare un raddoppio dei termini ordinari, a meno che non si tratti di una proposta completamente diversa da quella precedentemente presentata, nel qual caso non dovrebbe però trovare applicazione la norma di cui trattasi da cui deriva un incremento del termine ordinario, bensì il decorso ex novo di tale termine di ordinario di 90 giorni; 
c) con riguardo al caso in cui il termine indicato nell’ultimo periodo del comma 2 spiri successivamente a quello fissato dal tribunale ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera a), si dovrebbe prevedere che quest’ultimo termine sia prorogabile dal tribunale fino a ulteriori sessanta giorni, ancorché sia stata presentata un’istanza per l’apertura della liquidazione giudiziale. In questo modo, infatti, si metterebbe fine all’asincronia che si verifica ogniqualvolta la proposta di transazione fiscale venga presentata contestualmente alla domanda “con riserva” di cui all’art. 44 del Codice della crisi in pendenza di un’istanza di apertura della liquidazione giudiziale, posto che in tal caso il termine di 90 giorni concesso all’amministrazione finanziaria per pronunciarsi sulla proposta di transazione eccede quello di sessanta giorni previsto dal citato articolo 44 ai fini del deposito della proposta di concordato preventivo, della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti o della domanda di omologazione del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione. 
Inoltre, è auspicabile che l’art. 63, pur tenendo conto delle disposizioni introdotte con l’art. 1 bis del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 103, che limitano la possibilità di cram down nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, venga ulteriormente modificato al fine di escludere l’applicazione di tali limitazioni nei seguenti casi: 1) in caso di rigetto non espresso o non motivato della proposta di transazione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria; 2) a seguito dell’inerzia di quest’ultima; 3) quando il debitore fornisce la prova, confermata da specifica attestazione resa dal professionista indipendente, che l’importo della riduzione dei debiti tributari e contributivi prevista dalla proposta di transazione non eccede quello della riduzione dei medesimi debiti che l'amministrazione finanziaria, gli enti pubblici territoriali e gli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie avrebbero subito nel caso in cui una proposta di transazione più conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale fosse stata tempestivamente presentata dal debitore entro ventiquattro mesi dal primo omesso versamento anche di uno solo dei tributi oggetto della proposta di cui viene richiesta la omologazione forzosa; 4)  quando l'Amministrazione finanziaria, gli enti pubblici territoriali e gli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie non instaurano con il debitore il contraddittorio avente a oggetto la proposta di transazione; 5) quando il rigetto della proposta di transazione fiscale o contributiva è fondato, integralmente o anche solo parzialmente, sulla eccessiva durata della dilazione richiesta dal debitore ovvero sul fatto che l’accordo di ristrutturazione abbia a oggetto esclusivamente i crediti tributari o contributivi e non sia stato concluso alcun accordo con altri creditori, se la proposta di transazione comunque rispetta le disposizioni di cui al citato art. 1 bis. Nel caso sub n. 3), infatti, è da escludere una condotta abusiva da parte del debitore, sempre che quest’ultimo ne fornisca adeguata prova, e non sussiste quindi il presupposto di applicazione di una norma antiabusiva, qual è quella prevista dall’art. 1 bis del D.L. n. 69/2023 introdotta con la citata legge n. 103/2023; nei casi sub n. 1), 2) e 4) l’Amministrazione finanziaria non può dolersi del comportamento del debitore se nemmeno istaura con questi alcun confronto, violando il principio di leale collaborazione e buona fede, non si pronuncia sulla proposta o non motiva il rigetto della stessa; nel caso sub n. 5), infine, deve essere esclusa una condotta abusiva da parte del contribuente, se la proposta supera il vaglio del rispetto delle disposizioni recate dalla norma antiabusiva, nel senso che vi è abuso se tali disposizioni non sono rispettate e, per contro, non vi è abuso se invece la proposta è a esse conforme per quanto attiene sia alla misura del soddisfacimento offerto a seconda della partecipazione di altri creditori o meno all’accordo di ristrutturazione dei debiti, sia alla durata della dilazione di pagamento delle somme dovute in base alla transazione. 
Indipendentemente dalla fattispecie di cui al citato art. 1 bis, dovrebbe essere inoltre esclusa, ai fini della omologazione forzosa della transazione nel contesto dell’accordo di ristrutturazione, la necessità che l’adesione dei creditori pubblici sia determinante per raggiungere le soglie di adesione del 60 e del 30 per cento stabilite dagli articoli 57 e 60 del Codice della crisi ai fini dell’efficacia dell’accordo. Ciò perché tale necessità trova giustificazione nell’ambito del concordato preventivo, ove la proposta concordataria può essere approvata anche in assenza dell’adesione dell’Amministrazione finanziaria e senza cram down, a seguito del raggiungimento della maggioranze di legge nonostante il voto contrario del Fisco; non ne ha tuttavia alcuna con riguardo all’accordo di ristrutturazione dei debiti, atteso che, se una proposta è conveniente per l’Erario, non vi è motivo di consentirne o escluderne la omologazione forzosa in dipendenza delle adesioni degli altri creditori, fermo restando il necessario  rispetto delle suddette soglie, con riguardo alle quali l’adesione dei creditori pubblici, tanto volontaria quanto forzosa, può tuttavia essere anche irrilevante, pur essendo necessaria ai fini del trattamento dei debiti di cui trattasi. Conseguentemente, l’omologazione forzosa dovrebbe essere disposta dal tribunale, ricorrendone i presupposti, anche se le suddette soglie siano state già raggiunte grazie agli accordi conclusi con creditori diversi da quelli pubblici, mentre dovrebbe rimanere preclusa se, nonostante l’adesione dei creditori pubblici, tali soglie non vengano comunque raggiunte.
6 . La transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo in continuità (art. 88)
Lo schema di decreto correttivo, infine, introduce alcune modifiche all’art. 88, che disciplina la transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo, prevendendo anche in questo contesto l’estensione della transazione fiscale ai tributi locali di cui sono titolari gli enti pubblici territoriali. Le altre misure hanno natura più formale, tranne due: 1) quella che, modificando l’incipit dell’articolo, prevede un miglior coordinamento tra le disposizioni recate dai commi 6 e 7 dell’art. 84 del Codice, riguardanti l’applicazione della relative priority rule, stabilendone la prevalenza rispetto al divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi stabilito dal comma 1 dell’art. 88, che rimane applicabile, ma subordinatamente al rispetto di detta regola; 2) quella che elimina i riferimenti testuali che, unitamente a considerazioni logiche e di merito, consentono allo stato di sostenere la possibilità di attuare l’omologazione forzosa della transazione fiscale anche nel concordato preventivo in continuità, nonostante opinioni e pronunce giurisprudenziali contrastanti: si tratta dell’eliminazione del riferimento contenuto nel comma 2 bis dell’art. 88 al carattere non deteriore, e non solo alla convenienza, che la proposta di transazione fiscale (e contributiva) deve possedere per poter essere oggetto di omologazione forzosa. 
La prima modifica è da condividere, perché consente di superare le incertezze interpretative insorte nei primi due anni di applicazione del Codice della crisi e dell’insolvenza relativamente al coordinamento fra il divieto di trattamento deteriore stabilito dal citato art. 88, da un lato, e il comma 6 dell’art. 84 e la lettera b del comma 2 dell’art. 112, concernenti il rispetto della relative priority rule, dall’altro lato. 
La seconda modifica non appare invece condivisibile, perché è tesa a escludere l’omologazione forzosa della transazione fiscale, che - almeno a chi scrive - non appare condivisibile, potendo tale esclusione in alcuni casi ostacolare seriamente il risanamento delle imprese in crisi e la prosecuzione della loro attività, con ricadute negative anche sul gettito erariale. Inoltre, l’omologazione forzosa è pacificamente prevista nell’accordo di ristrutturazione dei debiti che assume la continuazione dell’attività, mentre è esclusa nell’accordo di ristrutturazione che ha carattere liquidatorio; non si comprende quindi con quale coerenza il cram down fiscale possa essere previsto nel concordato liquidatorio, in cui è infatti pacificamente attuabile, e non nel concordato in continuità, attribuendo una sorta di disvalore in un caso alla liquidazione dell’impresa e nell’altro alla continuità della stessa; non si comprende, inoltre, con quale coerenza possa essere esclusa nell’accordo di ristrutturazione liquidatorio, ma ammessa nell’accordo fondato sulla prosecuzione dell’attività, seppur le limitazioni a cui si è già fatto cenno. 
I motivi per i quali l’omologazione forzosa potrebbe e non potrebbe essere disposta nel concordato preventivo in continuità sono stati già affrontati in un precedente scritto pubblicato su questa stessa Rivista, commentando la sentenza del Tribunale di Lucca del 18 luglio 2023, a cui per un eventuale approfondimento si rinvia (G. Andreani, “Il cram down fiscale nel concordato in continuità”, 3 ottobre 2023). La querelle interpretativa - lo ricordiamo - nasce dalla poca chiarezza di due norme presenti nell’art. 88 del Codice della crisi: 
1) dall’attuale incipit del comma 1 di tale articolo, il quale, nel disciplinare la transazione fiscale nel concordato preventivo, precisa che resta “fermo quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2”: si pone dunque l’interrogativo se le disposizioni di cui all’art. 112 si aggiungano a quelle dell’art. 88, in particolare a quelle del comma 2 bis che disciplinano l’omologazione forzosa, ovvero le sostituiscano. Nella prima ipotesi le disposizioni del comma 2 bis rimarrebbero comunque applicabili, e quindi il cram down non risulterebbe escluso; nella seconda, invece, troverebbero applicazione solo le norme previste dall’art. 112 e non quelle che regolano l’omologazione forzosa, che sarebbe quindi inattuabile; 
2) dal comma 2 bis dell’art. 88, che richiama solo l’art. 109, comma 1, il quale riguarda il concordato liquidatorio e non anche quello in continuità, sollevando un ulteriore dubbio circa la possibilità dell’omologazione forzosa in questo tipo di concordato. 
Proprio recentemente il Tribunale di Napoli si è pronunciato, con sentenza del 24 aprile 2024, a favore dell’estensione della disciplina del cram down al concordato in continuità, sulla base dei seguenti motivi: 
a) il comma 2 dell’art. 88 prevede che l’attestazione del professionista indipendente deve avere a oggetto anche la convenienza del trattamento proposto al Fisco rispetto alla liquidazione giudiziale e, “nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”: ciò depone evidentemente a favore dell’applicazione del comma 2 bis anche al concordato in continuità, poiché il concetto di non deteriorità del trattamento dei crediti tributari e contributivi è riferibile specificamente a tale tipo di concordato (con la modifica prevista dal correttivo questo argomento verrebbe tuttavia meno); 
b) non è decisiva la questione del richiamo, nell’art. 88, all’art. 109, comma 1, relativo al concordato liquidatorio, e non anche al comma 5 di detto articolo, che riguarda il concordato in continuità. Ciò perché è lo stesso comma 1 a far salva l’applicazione delle regole di cui al comma 5 per il concordato in continuità; 
c) in ogni caso, risulta preminente, su tali considerazioni di ordine tecnico, la ratio della omologazione forzosa, che è quella di superare ingiustificati dinieghi da parte degli enti finanziari e previdenziali in presenza di proposte non deteriori rispetto all’alternativa liquidatoria. 
Pertanto, posto che, in base a tale ratio, a rilevare è il voto derivante dal cram down e non quello espresso dalle amministrazioni pubbliche, se, ad esempio, i creditori sono suddivisi, come nel caso esaminato dal Tribunale di Napoli, in cinque classi votanti, tre delle quali costituite dagli enti finanziari e previdenziali, grazie al cram down fiscale il concordato è da intendersi approvato persino in assenza del voto favorevole di alcuna delle altre classi (in quanto approvato da tre su cinque), fermo restando, ai fini della omologazione del concordato, il necessario rispetto degli altri presupposti previsti dal comma 2 dell’art. 112. 
Anche in considerazione di tali ragioni, e in particolare di quella concernente la richiamata ratio della omologazione forzosa, nell’ottica di una revisione dell’art. 88 del Codice della crisi sarebbe opportuno prevedere che nel concordato in continuità aziendale, ferme restando le altre condizioni previste ai fini della omologazione dall'articolo 112, comma 2, del Codice, il tribunale possa omologare il concordato, in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria, degli enti pubblici territoriali o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, se tale adesione è determinante ai fini dell’approvazione della proposta di concordato da parte della maggioranza delle classi di cui al primo periodo dell’articolo 112, comma 2, lettera d), nonché ai fini della omologazione del concordato, anche quando la predetta maggioranza è raggiunta solo escludendo (cioè “sterilizzando” o “neutralizzando”) il voto delle agenzie fiscali, degli enti pubblici territoriali o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza e, sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento di tali creditori risulti non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria. Detta disposizione dovrebbe peraltro trovare applicazione solo ove la proposta concordataria non fosse approvata dalla maggioranza delle classi e, al tempo stesso, il concordato non potesse essere omologato in virtù della disposizione recata dalla seconda parte della lett. d) del comma 2 del citato art. 112; ciò perché la omologazione forzosa risulta inutile qualora la omologazione possa comunque intervenire in via ordinaria, in virtù dell’approvazione della proposta da parte maggioranza delle classi di creditori ovvero della cosiddetta “classe svantaggiata” nonostante la mancata approvazione della proposta da parte della maggioranza delle classi di creditori. 
La previsione della menzionata “sterilizzazione” o “neutralizzazione” del voto dei creditori pubblici, anziché quella della “conversione” dello stesso da negativo a positivo, impedirebbe peraltro un effetto così rilevante come quello originatosi nel caso oggetto della pronuncia del Tribunale di Napoli, in cui l’omologazione è intervenuta senza che alcuna classe avesse espresso un voto favorevole alla proposta concordataria, o come quello che potrebbe derivare dalla ristrutturazione trasversale originata dal voto favorevole della “classe svantaggiata” costituita da creditori titolari di crediti tributari o contributivi, che risulti tale, non in quanto così espresso da detti creditori, ma per effetto della conversione dello stesso discendente dal cram down fiscale. Si tratterebbe – beninteso – di una conseguenza della ratio della omologazione forzosa, ma non mancano ragioni per escludere effetti così estremi, compresa quella di rispettare gli artt. 10 e 11 della Direttiva Insolvency

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