La procedura liquidatoria semplificata regolata dal titolo VI della Proposta di Direttiva é riservata alle microimprese. Con questo termine si fa riferimento alle imprese che rientrano nella definizione dettata dall’art. 2 dell’Allegato A alla Raccomandazione della Commissione 6 maggio 2003, (2003/361/CE). Secondo questa definizione è microimpresa “un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro”. Si tratta dunque di imprese non piccolissime, almeno guardando alle dimensioni medie delle imprese italiane, in molti casi superiori ai limiti previsti per l’applicazione della disciplina del sovraindebitamento ed in particolare della liquidazione controllata.
Com’è noto, il codice della crisi prevede per le imprese commerciali sotto soglia, per le imprese agricole senza limiti di dimensioni, per i professionisti, per le start up nei limiti in cui sono soggette al sovraindebitamento, e per tutti gli soggetti non imprenditori ad esso sottoposti, la liquidazione controllata con il duplice limite, nel caso in cui la domanda sia proposta dai creditori che i debiti non siano inferiori a 50.000 euro e che nel caso di debitore persona fisica l’apertura della procedura possa portare all’acquisizione di attivo da distribuire ai creditori ( art. 268 CCII). Va sottolineato che la definizione di microimpresa adottata dalla Raccomandazione 6 maggio 2003, all. A, non ha limiti verso il basso. L’art. 5 della Raccomandazione precisa che tra gli addetti si considerano anche i proprietari gestori e quindi non è necessario che vi siano lavoratori dipendenti per rientrare nella definizione unionale. Occorre che si tratti di impresa, ma va ricordato che la disciplina del sovraindebitamento contenuta nel codice della crisi riguarda le imprese sotto soglia, le imprese agricole senza limiti dimensionali, i professionisti che, secondo la legislazione europea, sono considerati imprenditori. Vi è quindi un’ampia fascia di soggetti, oggi sottoposti alla liquidazione controllata, cui potrebbe applicarsi la nuova procedura liquidatoria semplificata. Va aggiunto che, secondo l’art. 56 della Proposta, a conclusione della procedura avrebbero accesso all’esdebitazione non soltanto gli imprenditori, ma anche i fondatori, i proprietari o i soci che siano illimitatamente responsabili per le obbligazioni della microimpresa, previsione quest’ultima che per i soci è contenuta anche nell’art. 278 CCII.
L’esdebitazione, precisa ancora l’art. 56, dovrebbe essere regolata secondo le previsioni della Direttiva Insolvency, quindi secondo i principi che sono stati fatti propri dal codice della crisi.
Vi è dunque un’area di non irrilevanti dimensioni in cui la disciplina della procedura liquidatoria semplificata prevista dalla Proposta di Direttiva si sovrapporrebbe a quella oggi regolata dalla liquidazione controllata, con la previsione di regole molto differenti. Tali regole inciderebbero in misura importante anche sulla disciplina della liquidazione giudiziale, posto che una parte numericamente significativa di queste procedure riguarda imprese con un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro. Va tuttavia ricordato che la liquidazione controllata può essere chiesta dal debitore in stato di sovraindebitamento e dunque anche quando non sussista lo stato d’insolvenza, che corrisponde sostanzialmente al requisito oggettivo richiesto dalla Proposta di Direttiva, ma soltanto lo stato di crisi. Vi è dunque una fascia di imprese che oggi possono accedere alla liquidazione controllata, ma che trovandosi soltanto in stato di crisi non potranno chiedere l’apertura della nuova procedura semplificata. Pur in difetto di dati l’impressione, tuttavia, è che le imprese in stato di crisi che accedono alla liquidazione controllata non siano numerose.
Venendo ora alle regole del nuovo procedimento liquidatorio semplificato va anzitutto osservato che la procedura dovrà essere affidata alla direzione e controllo di un’autorità competente che potrà essere un giudice o un’autorità amministrativa, secondo la tradizione giuridica propria di ogni Stato membro. Poiché, come si vedrà, il procedimento di apertura della liquidazione semplificata prevede un accertamento sommario cui può far seguito un’impugnazione con contenuto più ampio che deve necessariamente svolgersi davanti ad un giudice, il nostro Paese nel recepire la Direttiva potrebbe forse attribuire la competenza per la prima fase ad un’Autorità amministrativa, che con le opportune modifiche potrebbe anche corrispondere agli OCR la cui struttura e disciplina andrebbero ovviamente ripensati.
Il legislatore europeo osserva che raramente le microimprese chiedono di essere ammesse alla procedura liquidatoria ordinaria prevista dalle legislazioni nazionali e che, quando lo fanno, è troppo tardi per conservarne il valore. In molti Paesi il procedimento liquidatorio standard o non è accessibile o la domanda viene respinta. Ciò accade quando non vi sono asset da liquidare o quando il risultato della liquidazione non coprirebbe i costi. L’obiettivo della Proposta di Direttiva è pertanto di assicurare che le microimprese siano liquidate in maniera ordinata, anche quando non vi è attivo da distribuire tramite un procedimento agevole e privo di costi rilevanti. Il fine è quindi da un lato di semplificare la procedura e dall’altro di ridurne i costi.
L’apertura e la prosecuzione della procedura semplificata non potrebbe essere negata per il fatto che non vi sono asset da liquidare o che non sono sufficienti per coprire i costi della liquidazione. Tuttavia gli Stati membri dovrebbero garantire che i costi siano in ogni caso coperti (art. 38, par. 4). Un’indicazione che sembra suggerire che sia lo Stato a sostenere tali costi, come sostiene Kevin Silvestri nel suo commento [K. Silvestri,
La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto dell'insolvenza, 17 gennaio 2023 in
Dirittodellacrisi.it] , o che essi vengano addossati al mondo delle imprese attraverso una qualche forma di contribuzione spalmata sull’intero sistema imprenditoriale.
L’art. 39 della Proposta prevede che la nomina del curatore, insolvency practitioner nel linguaggio della Proposta di Direttiva, come già in altri strumenti legislativi unionali in tema di insolvenza, sia disposta soltanto su richiesta del debitore, di un creditore o di un gruppo di creditori e che il costo del curatore sia sostenuto dall’attivo della procedura o, in alternativa, dalla parte che ne ha chiesto la nomina.
La Direttiva non chiarisce chi debba sostenere i costi nel caso in cui non vi sia attivo ed i creditori non abbiano manifestato disponibilità in tal senso.
Poiché, come si è detto, il costo principale è rappresentato dal compenso del professionista incaricato di svolgere le funzioni di curatore, nella liquidazione controllata l’OCR o il gestore della crisi, e poiché d’altra parte in queste imprese la liquidazione non è così complessa da richiedere la presenza di un professionista, si prevede che di regola il debitore non sia spossessato, rimanga quindi in possession, come in molte procedure di ristrutturazione, e proceda lui stesso alla liquidazione. A questo proposito l’art. 43 stabilisce che il debitore, salvo i casi in cui viene nominato un curatore, avrà diritto a rimanere nel controllo degli asset e quindi dei beni strumentali dell’impresa ed a compiere gli atti di ordinaria amministrazione. Non vi sono indicazioni che i poteri gestori del debitore siano necessariamente limitati a tali atti. Tuttavia quando viene nominato il curatore, il provvedimento del giudice o dell’autorità amministrativa competente dovrà specificare se i poteri gestori, e qui la Direttiva fa riferimento non soltanto ai rights, ma anche ai duties, cioè alle obbligazioni che fanno carico all’imprenditore in connessione con l’attività d’impresa, vengono trasferiti al curatore. Ancora la Direttiva (art. 43, par. 4) richiede che venga precisato, nel caso di nomina del curatore, se i poteri gestori rimangono in capo all’imprenditore, ma questi è vincolato all’autorizzazione del giudice o dell’Autorità amministrativa competente, o se essi vengono trasferiti ai creditori.
Per consentire l’esercizio del controllo e degli eventuali poteri autorizzatori il Considerando 40 prevede che il debitore debba, all’inizio della procedura e durante il suo svolgimento, fornire informazioni accurate, affidabili e complete sulla sua situazione e sullo svolgimento degli affari.
Un altro key factor è costituito dalla scelta di ricorrere ad un sistema di vendita dei beni per mezzo di aste elettroniche, che ogni Stato membro dovrà realizzare come parte del procedimento liquidatorio semplificato. Questo obbligo dovrà essere adempiuto indipendentemente dall’esistenza di piattaforme multiple che già vi sono per la vendita di specifiche categorie di beni. Nel caso dell’Italia occorrerà rivedere l’attuale sistema di aste telematiche che, tuttavia, nei suoi tratti generali dovrebbe soddisfare i requisiti previsti dalla Direttiva.
Per quanto l’esistenza di alcune piattaforme on line di carattere commerciale, come ad esempi EBAY, dimostri che una piattaforma di questo tipo può operare con un certo successo, è lecito dubitare che la vendita degli asset che tipicamente si reperiscono nelle procedure italiane di modeste dimensioni, possa sortire risultati migliori soltanto per l’adozione del sistema di vendite elettroniche. Ovviamente il legislatore europeo ha tenuto conto della presenza di imprese più grandi, posto che, come si è visto, le microimprese possono assumere anche dimensioni non trascurabili.
L’art. 50 della Proposta prevede che gli Stati membri possano, ma non debbano, prevedere che siano consentite offerte per l’acquisto dell’azienda del debitore come going concern. Sarebbe opportuno, a questo proposito, un coordinamento tra la disciplina della procedura di pre-pack ed il procedimento semplificato.
La vendita telematica potrà essere utilizzata, a discrezione degli Stati membri, anche per le vendite collegate ad altri tipi di procedure d’insolvenza esistenti nel loro territorio.
La piattaforma elettronica dovrà essere collegata con il Portale E Justice in modo da consentire ai cittadini che da altri Paesi UE intendono partecipare, di collegarsi al sistema di vendite proprio di ogni Stato, trovando anche adeguate indicazioni ed istruzioni. L’art. 51 della Proposta prevede a questo proposito che accedendo all’E Justice sia possibile ricercare le offerte nei sistemi di vendita elettronica di tutti gli Stati membri con opportuni hyperlink alle pagine dei sistemi nazionali dove le offerte potranno essere direttamente presentate. E’ forse la prima volta che il termine “hyperlink” trova posto in un testo legislativo.
Una più dettagliata disciplina dei metodi di comunicazione ed informazione, degli standard di sicurezza, del contenuto minimo d’informazione, delle caratteristiche del sistema di ricerca, della protezione dei dati personali dovrà essere emanata dalla Commissione con provvedimenti successivi all’approvazione della Direttiva previa interlocuzione con il Committee on Restructuring and Insolvency previsto dalla Direttiva Insolvency.
La Commissione dovrà effettuare delle indagini di mercato per proporre soluzioni già esistenti ovvero per introdurne di nuove.
Come si è accennato la Proposta stabilisce come presupposto per l’apertura della procedura liquidatoria semplificata lo stato di insolvenza, ma, contrariamente alla scelta fatta con la Direttiva Insolvency, non rimette tale nozione alla legislazione degli Stati membri. La nozione di insolvenza prescinde dalle regole di bilancio che sovente non si possono applicare alle microimprese, se non altro perché spesso le scritture contabili non sono tenute in maniera adeguata o si tratta di imprenditori che non sono tenuti agli obblighi di redazione del bilancio (Considerando 37). Occorrerà pertanto riferirsi al criterio generale della cessazione dei pagamenti di origine francese, che corrisponde sostanzialmente alla nostra definizione di stato d’insolvenza. L’art. 38 dispone che si ha insolvenza quando l’impresa non è, in generale, in condizioni di pagare i propri debiti alla scadenza. Gli Stati membri debbono indicare le condizioni che soddisfano questo requisito e debbono verificare che tali condizioni siano chiare, semplici e facilmente accertabili. In proposito non pare che la nozione di insolvenza propria della nostra tradizione giuridica, già espressa dall’art. 5 L. fall. e ora dall’art. 2, lett. b, CCII, richieda ulteriori specificazioni, anche perché si tratta di nozione ampiamente consolidata nella giurisprudenza. Tuttavia è possibile che la Proposta di Direttiva intenda chiedere agli Stati membri di definire una sorta di test pratico per l’individuazione dello stato di insolvenza, ricorrendo al contributo della scienza aziendalistica, com’è già stato fatto dal legislatore italiano nel redigere il test di accesso alla composizione negoziata.
Si noti che vi è una certa contraddizione nel rilevare che le microimprese non sono in genere in condizioni di tenere i conti in modo accurato ed affidabile, tanto da evitare di accertare lo stato di insolvenza sulla base dei bilanci, e pretendere poi che l’imprenditore, che rimane nel possesso dei beni, sia in grado di redigere in modo adeguato la contabilità della procedura.
Per assicurare un rapido svolgimento del procedimento dovranno essere previsti termini brevi, Le formalità procedurali dovranno essere ridotte sia per l’apertura del procedimento, sia per la insinuazione e l’ammissione dei crediti, la determinazione dell’attivo della procedura, la liquidazione di tale attivo. La domanda di apertura della procedura dovrà giovarsi di un format standard, le comunicazioni dovranno svolgersi in formato elettronico sia con l’autorità competente, sia con i creditori e, quando nominato, con il curatore. L’art. 41 della Proposta precisa che il format dovrà indicare i dati identificativi del debitore, l’elenco dei suoi beni, i dati identificativi e i recapiti dei creditori conosciuti e un elenco delle somme ad essi dovute e delle eventuali garanzie. Si tratta dei requisiti che anche il nostro ordinamento richiede quando la domanda di liquidazione è proposta dal debitore (cfr. art. 39 CCII, richiamato con tutte le norme del titolo III dall’art. 65, comma 2). Il legislatore europeo non chiede di allegare i bilanci per le stesse ragioni che ne prescindono ai fini della determinazione dello stato di insolvenza.
Poiché i dati richiesti sono in gran parte nella disponibilità del debitore e non dei creditori, l’art. 41 della Proposta prevede che il debitore nella difesa che è legittimato a svolgere e che è limitata all’alternativa tra il consenso e la contestazione della domanda del creditore, nella prima ipotesi debba fornire tali dati e che invece, ove abbia contestato la domanda o non abbia risposto alla medesima, li debba fornire entro due settimane dall’avvenuta notificazione dell’avviso di avvenuta apertura del procedimento.
Va sottolineato che il contenuto del format dovrà essere approvato dalla Commissione con un atto successivo all’emanazione della Direttiva, coadiuvata dal Committee on Restructuring and Insolvency previsto dall’art. 30 della Direttiva Insolvency. Ne deriva che la domanda di apertura della procedura, sia essa presentata dal debitore o da un creditore, sarà redatta secondo lo stesso format in tutti gli Stati membri, facilitandone la presentazione anche ai creditori stranieri.
Il procedimento deve concludersi entro due settimane. A tal fine l’Autorità competente, sia essa giudiziaria o amministrativa, può rifiutare l’apertura della liquidazione semplificata soltanto in una serie di casi tassativi:
a) quando il debitore non è una microimpresa; b) quando il debitore non è insolvente secondo la nozione di insolvenza accolta dalla Proposta di Direttiva; c) quando l’autorità competente non ha giurisdizione, espressione che va riferita all’incompetenza territoriale; d) quando difetta la giurisdizione internazionale dello Stato membro.
Se non ricorre una di queste ipotesi il procedimento semplificato deve essere aperto, ma la decisione di apertura potrà essere impugnata sia dal debitore che dai creditori davanti ad un giudice. L’impugnazione non ha efficacia sospensiva. Va sottolineato che tra le eccezioni che possono essere sollevate dal debitore nella prima fase del procedimento non figura la contestazione del credito vantato dal creditore e quindi della sua legittimazione attiva.
Si tratta di un limite che costituisce un serio vulnus al diritto di difesa, che forse potrà essere rivisto nel successivo iter legislativo della Proposta.
Anche l’accertamento del passivo si svolge secondo regole tese ad accelerare i tempi della procedura. Il primo principio che viene espresso è che i crediti indicati dal debitore nella domanda di apertura della liquidazione o nella difesa proposta nel caso di domanda del creditore o ancora nella dichiarazione da presentarsi nelle due settimane successive all’apertura della liquidazione, s’intendono insinuati de jure, senza necessità di ulteriore domanda da parte del creditore interessato. I creditori possono insinuare i crediti non risultanti dall’elenco predisposto dal debitore o contestare i crediti già insinuati entro trenta giorni dalla pubblicazione della data di apertura della liquidazione o dal ricevimento dell’avviso individuale cui hanno diritto, dovendosi far riferimento all’ultimo nel tempo di tali atti. In difetto di contestazione nei termini i crediti già insinuati s’intendono definitivamente ammessi. Non vi sarebbe quindi spazio per eccezioni d’inopponibilità dei crediti alla massa da parte del curatore, se nominato. Sui crediti insinuati ex novo dai creditori dovrà provvedere l’autorità competente o il curatore, se nominato.
Poiché i crediti contestati possono diventare uno strumento per dilatare i tempi della procedura, come osserva il Considerando 42, le Autorità preposte possono autorizzare la continuazione della procedura semplificata per il soddisfacimento nelle more dei soli crediti non contestati. Sulla contestazione decide l’autorità competente o un giudice. In questo caso la Proposta (art. 46, par. 5) prevede che la controversia sia trattata rapidamente, ma non vengono stabiliti termini. Non viene neanche chiarito se debbano essere effettuati accantonamenti a garanzia del credito contestato.
La Proposta non prevede insinuazioni tardive dei crediti, neanche nel caso in cui il creditore non abbia avuto avviso della procedura senza sua colpa. Fa quindi stato la pubblicità prevista per il provvedimento di apertura.
La Proposta prevede che, dopo l’apertura della liquidazione semplificata, il debitore sia in grado di beneficiare di una sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali, ma gli Stati membri possono escludere alcuni crediti dall’area della sospensione in due ipotesi che frequentemente ricorrono nella legislazione di altri ordinamenti e che, in qualche misura sono prese in considerazione anche nella disciplina della composizione negoziata: quando l’azione esecutiva non danneggia la massa dei creditori e quando la sospensione danneggerebbe ingiustamente il creditore interessato (art. 44 della Proposta).
Le azioni revocatorie dovrebbero essere proponibili soltanto dai creditori o dal curatore, se nominato. Creditori e curatore non sono obbligati all’esercizio dell’azione revocatoria. L’Autorità competente può valutare di trasformare la procedura semplificata in procedura ordinaria per consentire l’esperimento delle azioni revocatorie, valutando il costo che deve essere anticipato, la durata e complessità delle azioni, le probabilità di recupero ed i benefici attesi per tutti i creditori (Considerando 43).
L’autorità competente o il curatore, se nominato, debbono stabilire l’elenco dei beni che costituiscono la massa attiva sulla base della lista fornita dal debitore nella fase preliminare o a seguito dell’apertura del procedimento. L’elenco comprende i beni che sono nel possesso del debitore al momento dell’apertura della procedura o acquisiti, sempre dal debitore, successivamente e i beni ricuperati tramite le azioni revocatorie o altre azioni. Dovranno anche essere indicati i beni esclusi dalla procedura che il debitore è legittimato a trattenere (art. 48).
Una volta che l’elenco dei beni che costituiscono la massa attiva sia stato formato e che sia definito lo stato passivo, l’autorità competente provvede alla liquidazione dei beni ed al riparto in favore dei creditori ovvero dispone la chiusura per mancanza di attivo. Tale ultima soluzione potrà essere adottata sia quando non vi sono beni da liquidare sia quando il valore di tali beni sia talmente modesto da non giustificare i costi di vendita e di distribuzione del ricavato. Tale soluzione potrà essere adottata anche quando il valore della massa attiva sia inferiore all’ammontare dei crediti dei creditori privilegiati sui beni stessi, tanto da giustificare che questi creditori procedano autonomamente all’esecuzione forzata in proprio favore (art. 49). Nel caso in cui si disponga di procedere alla liquidazione si dovranno indicare le modalità di vendita, privilegiando la vendita per asta pubblica elettronica, salvo che altre forme di vendita si rendano appropriate in ragione della natura dei beni o delle circostanze in cui si svolge il procedimento.
La nostra tradizione giuridica è molto lontana dalla maggior parte delle soluzioni proposte sia se si guarda a quella parte delle microimprese che rientrano nell’ambito di applicazione della liquidazione controllata sia a quelle che potrebbero essere assoggettate alla liquidazione giudiziale. Lascia dubbiosi la previsione di far luogo all’apertura della procedura anche quando non vi è attivo da distribuire, soltanto per assicurare un ordinato svolgimento della procedura stessa.
Va ricordato che i costi della procedura non si esauriscono negli oneri connessi con il pagamento del compenso del curatore, ma riguardano anche l’incidenza di un gran numero di procedure, prive di utilità significativa sia per i creditori che per il debitore, sul sistema giudiziario. Proprio questa circostanza suggerì al legislatore italiano di porre limiti alla possibilità dei creditori di chiedere il fallimento con la riforma del 2005-2006[13].
Va tuttavia sottolineato che il debitore ha interesse, nel sistema del codice della crisi, a richiedere l’apertura della liquidazione controllata quando non vi è attivo, per poter beneficiare dell’esdebitazione, almeno quando non ricorrono le condizioni per l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente disciplinata dall’art. 283 CCII. La mancanza di attivo preclude l’apertura della procedura soltanto nell’ipotesi in cui l’istanza sia proposta dal creditore (art. 268, comma 3, CCII).
L’obbligo di far luogo alla procedura liquidatoria anche nel caso di mancanza di attivo giova ai creditori sia nel caso ora visto sia quando sono stati commessi atti di mala gestio e vi sono profili di responsabilità penale.
Complessivamente peraltro si tratta di una soluzione decisamente costosa dal punto di vista dei carichi di lavoro degli uffici giudiziari, che non pare opportuno introdurre nell’ordinamento unionale e nel nostro sistema.
Le perplessità riguardano anche il quesito se, senza un soggetto di riferimento che svolga una certa attività di controllo, il debitore possa procedere alla liquidazione in modo efficace e ragionevolmente efficiente.
Il controllo dovrebbe essere svolto dall’autorità competente, sia essa un giudice o un’autorità amministrativa, ma il più diligente dei controlli non può trasformare un debitore riluttante in un gestore efficiente.
Prescindendo dai casi patologici in cui siano stati commessi o possano essere commessi reati collegati ad atti distrattivi, resta che il debitore di regola non avrà la competenza e la capacità di procedere egli stesso alla liquidazione. La mancata nomina di un curatore comporterà che egli dovrà addossarsi una serie di oneri, per garantire tramite un professionista di fiducia, l’avvio e lo svolgimento della procedura. I costi di impiego di un professionista vi sarebbero anche in questo caso, ma rimarrebbero a carico del debitore.
Per ridurre i costi della procedura ed evitare la nomina del curatore la Commissione UE prevede due soluzioni: a) che la gestione sia affidata al debitore secondo lo sperimentato parametro del debtor in possession, che, occorre ricordarlo, non esonera il debitore dalla responsabilità della gestione, perché egli è vincolato a realizzare l’attivo per soddisfare gli interessi dei creditori; b) che la gestione sia invece di competenza di un creditore, a condizione che il giudice o l’autorità amministrativa che ha la vigilanza sulla procedura si convinca che non possa farsi luogo al modello del debtor in possession. La Proposta non lo dice, ma pare evidente che nel secondo caso occorre anche che il creditore sia disponibile a gestire l’impresa.
In qualche misura la Commissione UE ritorna al passato. Alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, ai creditori si attribuivano rilevanti attività gestorie. Viene alla mente il regime del codice di commercio italiano del 1882, ripreso dalla tradizione francese, dove all’assemblea dei creditori erano riconosciuti notevoli poteri. Essa nominava la delegazione dei creditori con compiti di sorveglianza (art. 691 n. 4), dava il suo parere sulla nomina definitiva del curatore (art. 691 n. 4, art. 717), poteva chiedere la surrogazione del curatore nominato dal tribunale con altro di sua fiducia (art. 719).
Tuttavia la scelta di limitare al massimo la nomina del curatore, preferendo la gestione del patrimonio da parte del debitore, può portare a risultati negativi soprattutto nei casi minori. Quando vi sia un attivo rilevante, è ragionevole pensare che la nomina del curatore possa essere richiesta dai creditori, anche perché l’attivo consentirà di provvedere al compenso del professionista nominato. Negli altri casi invece, salvo che uno o più creditori si dichiarino disponibili a sostenere gli oneri del curatore, facilmente la gestione sarà mantenuta dal debitore, perché è improbabile che i creditori possano essere disponibili a sostenere l’onere e che l’attivo sia capiente per far fronte alla spesa. Ma è proprio in questi casi che occorre invece un esperto, che impedisca l’eccessiva durata del procedimento.
Va ricordato a questo proposito che in Inghilterra l’Insolvency Act del 1986 (sez. 136-139) ha previsto nel caso della compulsory liquidation, una liquidazione forzata per ordine del giudice, che spetti all’Official Receiver, che è un funzionario dell’Insolvency Service¸ decidere se convocare i creditori per la nomina di un trustee o se invece procedere direttamente alla liquidazione, come avviene normalmente nei casi minori. L’esperienza formatasi su quel modello normativo dimostra che, quando l’attivo è limitato, è ragionevole che la gestione sia assunta direttamente dallo Stato per il tramite di un suo funzionario, perché l’esperienza insegna che gli altri sistemi hanno dato cattiva prova. Quando invece l’attivo è sufficientemente rilevante, è possibile rimettere ai creditori la scelta del curatore.
Meritano approvazione le scelte fatte in tema di accertamento del passivo. Il principio per cui i crediti indicati dal debitore nelle sue difese o, in alternativa, subito dopo l’accoglimento dell’istanza di liquidazione, s’intendono direttamente insinuati risolve molte incertezze e lentezze del nostro sistema. Tuttavia la Proposta di Direttiva non chiarisce molti punti importanti: non soltanto la mancata previsione delle domande tardive, ma anche la mancata valutazione dell’indicazione compiacente del debitore sull’esistenza di crediti ed il regime dell’inopponibilità dei crediti alla massa.
Nonostante le notazioni critiche, va detto che vi sono nella soluzione indicata dalla Commissione UE molti spunti efficaci che potrebbero essere inseriti già oggi nella disciplina sia della liquidazione controllata che della liquidazione giudiziale, a cominciare dalle modalità di formazione dello stato passivo, che sembrano più efficienti del nostro raffinato sistema, che molto risente dell’espressa analogia del legislatore tra insinuazione al passivo e domanda giudiziale.