Si è inteso vagliare la vicenda processuale in oggetto in quanto essa riassume in sé tutti gli estremi del vivace dibattito attorno ai limiti dell’istanza di composizione negoziata nel procedimento di apertura della liquidazione giudiziale.
La vicenda prende le mosse dal ricorso di un creditore al Tribunale di Roma, depositato in data 16 gennaio 2024, diretto ad ottenere, ai sensi degli artt. 41, 49 CCII, la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della società debitrice. Quest’ultima, costituitasi in giudizio, depositava in data 7 marzo 2024 un’istanza di accesso alla composizione negoziata e chiedeva l’applicazione delle misure protettive di cui all’art. 18 CCII.
Sulla base di queste premesse, i giudici proseguono ponendosi l’interrogativo centrale della trattazione: se l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della società resistente sia preclusa dal deposito, in data successiva al predetto ricorso, dell’istanza di accesso alla composizione negoziata della crisi.
La soluzione del quesito in esame si individua in base all’analisi interpretativa che si vuole dare dell’art. 25 quinquies CCII, e, segnatamente, il Tribunale di Roma adotta un’interpretazione di segno preclusivo, escludendo la possibilità di accesso alla composizione negoziata in pendenza di procedimento d’apertura della liquidazione giudiziale, pur riconoscendo le divergenze interpretative sorte in dottrina e giurisprudenza.
La linea motivazionale che il Tribunale capitolino percorre a sostegno di tale tesi è basata su ragioni letterali e sistematiche. Le ragioni letterali si svolgevano tramite il rinvio tout court dell’art. 25 quinquies CCII al ricorso ex art. 40 CCII, che ricomprende espressamente anche l’accesso alla liquidazione giudiziale, in particolare senza limitazioni soggettive, ossia senza alcuna differenziazione tra la domanda proposta dal debitore e quella proposta dal creditore o dal terzo. Sotto il profilo sistematico rilevavano i richiami a precedenti orientamenti di merito dello stesso segno ( [1] ), nel quale veniva valorizzato il concetto di insolvenza reversibile ( [2] ). Secondo quest’orientamento, infatti, la ratio della norma in questione risiederebbe nell’evitare un possibile abuso della composizione negoziata della crisi che si avrebbe nel caso in cui l’imprenditore istante versasse in situazione non già di squilibrio economico-finanziario e/o patrimoniale ma di c.d. insolvenza irreversibile che ha determinato la proposizione della domanda ex art. 41 CCII. In questa prospettiva, la finalità perseguita dal legislatore con la composizione negoziata è quella di offrire una ristrutturazione preventiva, quando lo stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario sia ancora in una fase embrionale, così da stimolare un intervento anticipato di composizione della crisi. Si è inteso affermare, in buona sostanza, che il requisito oggettivo per l’accesso al percorso di composizione negoziata è uno stato dell’imprenditore di c.d. pre-crisi, stato diverso e precedente rispetto a quello descritto nelle definizioni normative dello stato di crisi e dello stato di insolvenza di cui rispettivamente alla lett. a) e lett. b) dell’art. 2, comma 1, CCII. Seguendo questo solco, l’imprenditore in stato di insolvenza deve avvalersi esclusivamente degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, non della composizione negoziata, con l’importante precisazione che anche nell’ambito dell’uso di tali strumenti è, naturalmente, possibile perseguire il risanamento dell’impresa.
Di tal guisa, il Tribunale di Roma, non ravvisando limiti ostativi alla pronuncia auspicata dal creditore ricorrente, ha dichiarato l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della società debitrice con sentenza n. 180/2024 emessa in data 23 marzo 2024.
In seguito la società ricorre innanzi alla Corte d’Appello di Roma chiedendo la revoca della suddetta sentenza del Tribunale, deducendo “una erronea interpretazione, da parte del Tribunale, dei presupposti applicativi della disposizione di cui all’art. 25 quinquies del Codice della crisi”.
Nell’ottica ermeneutica fatta valere dalla ricorrente, l’operatività della norma va limitata all’ipotesi in cui l’istanza ai sensi dell’art. 40 CCII sia avanzata dal debitore; di riflesso, la domanda di liquidazione giudiziale proveniente da un creditore non sarebbe idonea ad ostacolare l’avvio della composizione negoziata e l’emanazione delle misure protettive previste dall’art. 18 CCII.
Secondo questa impostazione il dato testuale è dirimente: gli artt. 17, comma 3, lett. d), e 18, comma 2, CCII prevedono che il debitore indichi se siano pendenti ricorsi per la liquidazione giudiziale e, altresì, che attesti di non avere presentato ricorsi ai sensi degli artt. 40, 44 e 54, comma 3, CCII. La distinzione tra “pendenza” di iniziative altrui e “deposito” di iniziative proprie rivela una differente incidenza preclusiva. Se la preclusione valesse in entrambi i casi, basterebbe la dichiarazione di non pendenza del procedimento. Deve quindi ritenersi che il procedimento unitario promosso da terzi non osti all’accesso alla composizione negoziata, mentre l’incompatibilità sussiste solo quando il ricorso sia stato presentato dal debitore ( [3] ).
Il reclamante conclude ritenendo che l’interpretazione dell’art. 25 quinquies CCII testé proposta sia la più conforme alla Direttiva (UE) Insolvency n. 1023/2019, giacché non attribuisce valore impeditivo alla pendenza di procedimenti instaurati da terzi e riconduce gli effetti preclusivi alle sole iniziative del debitore, quali indici di un intento dilatorio.
La motivazione dei giudici di secondo grado si fonda, ancora una volta, su un’interpretazione letterale della norma: in particolare, si evidenzia che l’art. 25 quinquies CCII richiama iniziative giudiziali esclusivamente riservate al debitore (artt. 44, comma 1, lett. a), 54, comma 3, e 74 CCII). Da ciò la Corte deduce che il divieto in questione si applica solo quando sia il debitore a presentare l’istanza di liquidazione giudiziale e non opera, invece, nell’ipotesi in cui l’apertura della liquidazione giudiziale sia domandata dal creditore.
La Corte richiama opportunamente la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 83/2022, nella quale si afferma che l’art. 25 quinquies CCII “non consente l’accesso alla composizione negoziata in pendenza del procedimento per l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza”. Il riferimento testuale agli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” esclude in radice che l’istanza di apertura della liquidazione giudiziale proposta da un terzo possa inibire l’accesso alla composizione negoziata, essendo pacifico che la liquidazione giudiziale non rientri tra i predetti strumenti di regolazione, ma configuri una distinta procedura liquidativa.
La tesi antagonista finirebbe per elidere l’efficacia applicativa dell’art. 18, comma 4, CCII, il quale - dalla pubblicazione dell’istanza di composizione negoziata sino alla chiusura delle trattative o alla sua archiviazione - impedisce al Tribunale di pronunciare l’apertura della liquidazione giudiziale a prescindere dal momento in cui il creditore abbia proposto il relativo ricorso. Ridurre l’operatività della disposizione ai soli ricorsi per l’apertura della liquidazione giudiziale successivi all’istanza di composizione negoziata non trova, secondo la Corte, alcuna ragionevole giustificazione.
Alla luce di tutto ciò, la Corte d’appello di Roma accoglie il reclamo aderendo alla tesi di parte attrice, revocando l’apertura della liquidazione giudiziale precedentemente disposta dal Tribunale di Roma.