Gli scriventi si sono posti il tema del perimetro della indagine dell’ausiliario, il tema della profondità della analisi richiesta, avendo il tribunale, già a disposizione, un bagaglio di relazioni e pareri dell’esperto, e dovendo oltretutto, l’ausiliario attenersi ai principi di celerità ed economicità che sembrano innervare la procedura di concordato semplificato in modo particolare.
L’art. 25 sexies, CCII recita espressamente che “il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale (…) e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, nomina un ausiliario ai sensi dell’art. 68 del codice di procedura civile, assegnando allo stesso un termine per il deposito del parere (…)”.
C’è da chiedersi quali attività debba svolgere l’ausiliario, e conseguentemente quali caratteri di completezza e affidabilità debbano assicurare i risultati dell’attività dell’ausiliario medesimo; quali conseguenti profili di diligenza e responsabilità debbano potersi rappresentare in capo all’ausiliario; e quale significato possa avere, dunque, la nomina, prevista per legge, di un professionista, in presenza financo di un una “relazione finale” dell’esperto [già redatta nell’ambito della ‘composizione negoziata’] ovvero di un “parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte” [già redatto e agli atti] [art. 25 sexies, comma 3, CCII].
Ci possono essere diverse ratio nella previsione normativa della nomina dell’ausiliario.
Una cosa è certa: il regime di riservatezza nel quale opera l’esperto rende imperscrutabili o difficilmente fruibili le verifiche dallo stesso eseguite, i suoi fogli di lavoro e note tecniche e, quindi, la relazione finale può essere insuscettibile di serio vaglio critico.
Ma andiamo con ordine.
Per comprendere il ruolo dell’ausiliario e, quindi, che estensione e quale profondità possa assumere l’indagine che egli deve svolgere al fine di redigere il parere richiestogli, appare utile comprendere innanzitutto cosa fa e cosa deve fare l’esperto nominato nell’ambito della composizione negoziata che necessariamente precede l’apertura del concordato.
Gli scriventi partono dal dato normativo che disegna la figura dell’esperto nella ‘composizione negoziata’.
L’esperto assume preliminarmente “informazioni” dall’organo di controllo e dal revisore legale della società richiedente [sempre che ci siano; non tutti gli imprenditori collettivi sono tenuti a nominare un professionista che svolga, in seno all’azienda siffatto ruolo]; “convoca senza indugio l’imprenditore”; il tutto per rendersi conto se ci sia una “concreta prospettiva di risanamento” [art. 17, comma 5, CCII]. Questi sono il primo step e la prima area di indagine dell’esperto. Si tratta della raccolta di dati [che possono essere più o meno completi, a seconda della diligenza e della buona fede degli interlocutori].
Ci sono uno step e una area di indagine ulteriori per il professionista incaricato di condurre la composizione negoziata: “l’esperto (…) verifica la coerenza complessiva delle informazioni fornite dall’imprenditore chiedendo al medesimo e ai creditori tutte le ulteriori informazioni utili o necessarie”; “Può avvalersi di soggetti dotati di specifica competenza, (…) e di un revisore legale” [art. 16, comma 2, CCII].
D’altro canto, bisogna ricordare che “l’imprenditore ha il dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto, ai creditori e agli altri soggetti interessati, in modo completo e trasparente e di gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori” [art. 16, comma 4, CCII].
Le informazioni che l’imprenditore offre ed è tenuto ad offrire all’esperto riguardano lo stato della impresa [situazione attuale in disequilibrio] e le azioni da porre in essere per ristabilire l’equilibrio patrimoniale o economico-finanziario [piano].
Per quanto concerne lo stato dell’impresa, la “coerenza complessiva delle informazioni” si traduce in numeri, in dati contabili.
L’esperto deve verificare la “coerenza complessiva” delle informazioni e “può”, [non deve], avvalersi di soggetti “dotati di specifica competenza” o di un “revisore legale” [ciò quando - si desume - non emerga una coerenza complessiva delle informazioni, e lo stesso esperto non sia in grado di cimentarsi da solo nell’adempimento].
Il concetto di “coerenza complessiva” è a ben vedere concetto diverso da “inventario del patrimonio”, da “relazione particolareggiata sulle cause del dissesto” o “sulla condotta del debitore”; è concetto diverso da accertamento volto a mettere in evidenza fatti di occultamento o dissimulazione di parte dell’attivo, di omessa indicazione di crediti, di esposizione di passività insussistenti [attività tipiche del ‘commissario giudiziale’, art. 105, CCII].
La “coerenza complessiva” è concetto più blando, meno pervasivo [almeno da punto di vista terminologico] dell’accertamento richiesto al commissario giudiziale, in un concordato preventivo, o all’attestatore [“veridicità dei dati aziendali”].
La coerenza complessiva certamente non può relegare l’esperto ad una verifica meramente formale [di quadratura numerica]. In fondo si parla di “coerenza complessiva delle informazioni fornite dall’imprenditore”, quindi, da un lato, il giudizio di coerenza passa attraverso la completezza [un sistema contabile incompleto non può dirsi coerente]; dall’altro lato, si parla di informazioni ricevute, e quindi tutte le informazioni ricevute debbono trovare espressione contabile e numerica nelle scritture della società.
Gli scriventi sono consci, altresì, che l’esperto può chiedere, all’imprenditore e ai creditori “tutte le ulteriori informazioni utili o necessarie”, contando sul loro dovere di trasparenza.
La verifica della “coerenza complessiva delle informazioni” potrebbe essere in definitiva un concetto meno pervasivo di quello con cui si usa intendere l’attività del commissario giudiziale o dell’attestatore e, d’altro canto, non appare un adempimento meramente formale.
Operando un confronto tra la procedura di concordato semplificato e quella di concordato preventivo si è ipotizzato, sempre in vademecum operativi per i fruitori di piattaforme telematiche, che la “relazione rilasciata dall’esperto all’esito del tentativo di composizione negoziata” farebbe luogo alla “relazione dell’attestatore”.
Si è ipotizzato e sostenuto con pregevole contributo che comunque l’esperto dovrebbe procedere con l’esame dell’attivo e del passivo dell’impresa: sotto questo profilo “
l’esame rimanda alla veridicità dei dati di cui alla normativa concordataria”. “
Infatti per esprimere un parere fondato sui “presumibili risultati della liquidazione” l’esperto non può che avere ragionevole convincimento della piena rappresentatività delle risultanze della contabilità”
[8].
L’Autore sopra citato sostiene che “l’esperto è in prima battuta chiamato a tutte quelle attività che devono essere svolte anche dall’attestatore al fine della “veridicità dei dati, ossia a titolo esemplificativo, circolarizzazione, verifiche di proprietà dei beni, richiesta di certificazione all’Agenzia delle Entrate ed Enti previdenziali, centrale rischi, carichi pendenti (…)”.
Pur cercando di valorizzare le tesi sopra esposte, gli scriventi opinano che per quanto approfondita sia e si riveli l’indagine dell’esperto, essa sconta un dato normativo che condiziona la fruibilità e la conoscibilità, non solo dei risultati della sua indagine, ma anche dei criteri con cui la stessa è stata condotta: “l’esperto non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nell’esercizio delle sue funzioni, né davanti all’autorità, né davanti ad altra autorità” [art. 16, comma 3 CCII].
La segretezza e la riservatezza male si attagliano alla necessità di appalesare le reali condizioni dell’impresa, in una relazione finale, come fossimo in presenza di una relazione ex art. 172, L. fall. o di una relazione commissionata ad un ausiliario dal tribunale.
L’Autore sopra citato, anch’egli mosso da un taglio pratico, per rendere plausibile la descrizione del ruolo dell’esperto sopra riportata, deve presupporre necessariamente che l’ausiliario si avvalga “
dei documenti aziendali e delle carte di lavoro dell’esperto; è impensabile che tutto l’iter di analisi debba essere svolto ex novo, sullo stile di un attestatore (…)”
[9].
Cosa, che però, non è scontata.
Anzi, l’esperienza concreta offre uno spaccato non in linea con la tesi sopra esposta, dal momento che l’esperto, alla richiesta di documenti formulata dall’ausiliario, mosso dalla necessità di non danneggiare l’imprenditore rivelando informazioni relative alla impresa, sottoposte in tutto o in parte a riservatezza, non sapendo dove sia il limite e quale sia il perimetro dell’ambito della anzidetta riservatezza, ha dubbi, centellina i documenti, e financo oppone un diniego alla ‘disclosure’.
Come dargli torto, o comunque non comprendere siffatta posizione di reticenza o di opposizione, da cui possono sorgere questioni di responsabilità, o per l’imprenditore, o per l’esperto stesso!
Per delineare il ruolo dell’esperto, e quindi, comprendere il perché della nomina dell’ausiliario [succedaneo], è decisivo indagare, quindi, la finalità della istituzione della prima figura: l’obiettivo che la legge affida all’esperto è quello di agevolare “le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni (…)” di “squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”.
Su questo si incentra anche la “relazione finale”: “(…) l’esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo, e che le soluzioni individuate (…) non sono praticabili (…)”.
Orbene, se l’obiettivo di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di squilibrio rappresenta la ‘mission’ dell’esperto; questo obiettivo può essere efficacemente raggiunto conferendo al concetto di “coerenza complessiva delle informazioni” una valenza certamente non meramente formale, ma contenuta rispetto agli obiettivi propri di un attestatore.
L’obiettivo del superamento della crisi e del buon esito delle trattative mitiga e condiziona lo sforzo indagatore, l’ampiezza delle verifiche e degli approfondimenti compiuti dall’esperto.
L’esperto non sembra, oltretutto, possa soffermarsi più di tanto sulla verifica della veridicità e correttezza delle scritture contabili, sulla reale consistenza e natura del passivo, sulla consistenza e natura dell’attivo.
Non può rischiare di ritardare le trattative, per accertamenti gravosi e certosini.
E se questo viene fatto, non è certo, né chiaro, in che limiti l’esperto possa rendere compartecipe delle informazioni raccolte l’ausiliario che sopraggiunge.
L’imperativo per la composizione negoziata è che l’ambito della consultazione con l’esperto, non sia il terreno di raccolta di informazioni che verranno poi usate in un’altra sede, dall’ausiliario, da un tribunale o da un P.M, contro l’imprenditore.
Ciò avrebbe un effetto disincentivante.
L’attività dell’esperto rimane a livello di “coerenza complessiva delle informazioni”, perché deve concentrarsi sulle trattative tra debitore e creditori.
Ergo, l’ausiliario può verosimilmente tenere conto, nello svolgimento del suo incarico, della relazione finale e del parere prescritti, rispettivamente, dall’art. 17, comma 8, CCII e dall’art. 25 sexies, comma 3, CCII, ma non ha agevole accesso alle informazioni collocate ad un livello più arretrato della indagine dell’esperto e difficilmente fruibili dall’ausiliario medesimo.
Gli scriventi non credono che possa bastare all’ausiliario la relazione finale dell’esperto [ammesso e non concesso che fornisca elementi utili] per lo svolgimento dell’incarico affidatogli.
L’ambito di intervento dell’ausiliario [figura che subentra all’esperto, in una nuova e diversa procedura] deve, dunque, presupporre che una verifica della “coerenza complessiva delle informazioni” sia stata fatta dall’esperto medesimo [ciò al fine più ristretto di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di squilibrio]. L’ausiliario, però, non deve adagiarsi sulla attività compiuta dall’esperto [la cui conoscenza è preclusa nel merito e in dettaglio all’ausiliario, se non estrapolando i contenuti della sola relazione finale e del parere prescritti all’esperto medesimo], proprio perché l’obiettivo che si poneva [e doveva porsi l’esperto] era limitato a trovare una “soluzione” allo squilibrio anzidetto, in un contesto, come si diceva, di riservatezza ed imperscrutabilità.
L’ausiliario non deve trovare soluzioni per proseguire nella attività d’impresa, superando lo squilibrio dell’impresa medesima [posto che il concordato semplificato è sostanzialmente liquidatorio], ma rappresentare ‘un qualcosa’ di spendibile pubblicamente, utile al tribunale che lo ha nominato e ai creditori tutti, per consentire quelle valutazioni a cui sono chiamati i predetti soggetti.
Per fare un mero esempio, il superamento delle condizioni di squilibrio può raggiungersi [come obiettivo] anche nella ipotesi in cui gli amministratori abbiano distratto somme o fatto fuoriuscire a prezzo vile beni dalla impresa, o comunque aver gestito male l’impresa, con profili di responsabilità. Le condotte dianzi elencate potrebbero aver determinato la crisi, ma non precluso la soluzione della crisi medesima, con la buona riuscita della composizione negoziata e con la sottoscrizione di accordi con i creditori. L’esperto incaricato potrebbe non aver colto i segnali di siffatte condotte, perché interessato al raggiungimento dell’obiettivo a cui mira la composizione negoziata, ovverosia il risanamento; d’altro canto ciò che avviene all’interno della composizione negoziata assume, come detto, i necessari profili di ‘impermeabilità’ e ‘imperscrutabilità’ che non permettono nemmeno un vaglio critico di un ‘lavoro’ eventualmente già fatto, dall’esperto.
Il regime di riservatezza nel quale viene oggettivamente condotta l’indagine dell’esperto [preliminare alla trattativa si presume], non mette in condizione l’ausiliario di sindacare o vagliare criticamente i risultati di siffatta indagine.
E sempre tenendo conto del fatto che una indagine tecnica seria – come già detto – potrebbe richiedere un tempo incompatibile con la trattativa in corso.
Primo spunto di riflessione è, dunque, che l’ausiliario ha [deve avere] una missione sostanzialmente distinta da quella dell’esperto; le verifiche a cui è chiamato non sono finalizzate ai medesimi obiettivi [l’ausiliario non deve compiere una verifica di complessiva coerenza delle informazioni ricevute dall’imprenditore, al fine di individuare una soluzione alla crisi e allo squilibrio che ha condotto l’imprenditore a chiedere la nomina dell’esperto medesimo e l’ingresso nella composizione negoziata].
Il secondo spunto è che di tale indagine l’esperto – è lecito attendersi che – non voglia rendere edotto l’ausiliario, infrangendo così la regola della riservatezza, e nemmeno reputi di dover condividere i meri fogli di lavoro o gli appunti relativi all’indagine contabile e tecnica svolta sull’impresa, e financo la relazione del “revisore contabile”.
Da un lato, quindi, è chiaro cosa non debba perseguire l’ausiliario [soluzione della crisi attraverso le trattative e gli accordi con i creditori]; dall’altro è chiaro che la verifica della “coerenza complessiva delle informazioni” potrebbe non bastare all’ausiliario; e in ogni caso non basterebbero la relazione finale e il parere richiesto all’esperto, in assenza di fogli di lavoro, di report e giustificativi di una attività concretamente svolta, delle relazioni tecniche dell’esperto o del revisore contabile all’uopo nominato.
C’è da tenere in conto che, quando l’ausiliario viene nominato, l’antefatto è duplice: in primis, il mancato accordo con i creditori [e questo vorrà pur dire qualcosa: sfiducia? diffidenza?]; in secondo luogo, un giudizio di buona fede e correttezza nelle trattative, espresso dall’esperto [nelle “trattative”, non nella conduzione e gestione della impresa, ex art. 25 sexies, CCII, anche se le cose potrebbero intrecciarsi].
I creditori, quando si addivenga alla domanda di omologa del concordato semplificato, non hanno accettato la proposta di accordo con il debitore e non hanno creduto nelle prospettive di risanamento dell’impresa, o non hanno creduto alla rappresentazione dello stato dell’impresa e della società, così come fornita dall’imprenditore.
Ergo l’ausiliario deve svolgere verifiche in autonomia [dal momento che la ‘relazione finale’ o il parere dell’esperto sono tecnicamente inidonei a qualsivoglia disamina tecnica, se non offrono elementi di dettaglio ragionevole]; deve svolgere verifiche diverse o di diversa ‘intensità’ rispetto all’esperto, e in forma ‘pubblica’ [posto che – lo si rammenti – l’esperto opera, come detto, in regime di riservatezza; l’ausiliario no].
Gli autori, a onor del vero, parlano, con riguardo all’esperto, di attività rivolta a rassicurare sulla “veridicità dei dati” contabili, ma questa attività non è richiesta espressamente dal legislatore, è desunta e costruita da autorevoli giuristi, per ragionamento logico-giuridico, ma non compare – questa indagine – come obbligatorio passaggio contenutistico nemmeno nella relazione finale, o nel parere.
Che la figura dell’esperto resti e sia confinata al ruolo di facilitatore delle trattative è dimostrato anche dalla possibile convivenza dell’esperto e dell’ausiliario nell’incidente processuale della concessione delle “misure protettive e cautelari”; incidente nel quale, mentre l’esperto in parola è chiamato ad esprimere un “parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative”, l’ausiliario nominato, in quella sede, è funzionale a veri e propri “atti di istruzione indispensabili” anche con l’assunzione di informazioni “dai creditori”, o dai terzi, sul cui diritto incidono le invocate misure.
Mentre il parere dell’esperto è funzionale all’obiettivo delle trattative, quando utili, l’ausiliario è strumento per stabilire una verità circostanziata, su temi e questioni [atti di istruzione].