La disciplina della liquidazione giudiziale di gruppo nel Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza, CCII, con le integrazioni del secondo Decreto correttivo e le implementazioni dello Schema Insolvency[1], si incentra sull’ occorrenza di affrontare la crisi di gruppo rispetto ad alcune o a tutte le imprese, comprese quelle “sotto soglia[2]” in una prospettiva “unitaria”[3]. In ciò, si possono cogliere, sin da subito, taluni aspetti poliedrici delle norme del diritto della crisi, che si dispiegano (nel raccordo tra disposizioni civilistiche e CCII) nelle specificità della nozione più ampia di “gruppo di imprese”, nonché nel dualismo[4] tra “soggetto autonomo” e “pluralità soggettiva”[5] che integra la ratio di preservare da una parte, la distinta soggettività delle imprese attraverso la conservazione dell’autonomia delle rispettive masse attive e passive (e il coordinamento della liquidazione degli attivi, se preferibile alla prospettiva di procedure autonome) e dall’altra, di favorire tecniche unitarie di governo della crisi di gruppo[6] a beneficio dei costi di procedura e dei vantaggi funzionali insiti nell’ “opportunità di liquidazione unitaria”. In questo senso, l’obiettivo del legislatore è quello di uniformare le relative procedure di ristrutturazione e di insolvenza delle imprese che rientrano nel perimetro del “gruppo”, coerentemente con i valori del diritto della crisi: i) dell’efficienza, ii) della precoce rilevazione della crisi e del suo tempestivo trattamento in funzione della conservazione della continuità aziendale, iii) del miglior possibile trattamento dei creditori[7] (V. artt. 284, comma 4 e 285, comma 5, CCII).
Il diritto della crisi antepone[8] nello scheletro normativo, la definizione di “gruppo di imprese” all’articolo 2, comma 1, lett. h): «l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545 septies del Codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica». La stessa disposizione soggiunge che, «a tal fine si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento delle società del gruppo sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci oppure dalla società o ente che le controlla, direttamente o indirettamente, anche nei casi di controllo congiunto». Dal tenore testuale della norma, è evidente che il CCII richiama da una parte la nozione di direzione e coordinamento posta alla base della disciplina generale dei gruppi ex artt. 2497 e ss., c.c. mutuando dalla disciplina codicistica la “presunzione” relativa di esercizio dell’eterodirezione fondata sull’obbligo di redigere il bilancio consolidato e sul rapporto di controllo di cui all’art. 2359 c.c.[9], e controllo congiunto, sposando così, una definizione di gruppo più estesa di quella del diritto societario, che fa emergere significati punti di disallineamento per le implicazioni che ne derivano.
Innanzitutto, il tratto caratterizzante la definizione di “gruppo” nel CCII si impernia nella nozione di “direzione unitaria”[10]. In questa, si sottolinea l’aspetto economico e pratico del fenomeno con una portata più ampia di “controllo”[11], che presuppone la presenza di elementi tali da configurare un’attività permanente e sistematica di ingerenza nelle scelte amministrative e nelle opzioni strategiche dei settori chiave della società subordinata[12]. Corollario di questa impostazione è la diversa funzione della “presunzione”[13] nell’ambito del diritto della crisi rispetto al diritto ordinario, che non è quella di agevolare la prova della sussistenza della direzione e coordinamento (in una prospettiva di tutela di interessi terzi rispetto al gruppo) ma, di semplificare la presentazione di istanze unitarie. Di conseguenza, la verifica della sussistenza in concreto dell’attività di direzione dovrebbe passare attraverso elementi probatori e non semplici presunzioni[14].
A ben vedere, l’adozione di una definizione più ampia di “gruppo” risulta in linea con quella parte della dottrina economico-aziendale italiana[15] che concepisce il gruppo come un’aggregazione di “imprese” suscettibile di originare un’entità economica unitaria in virtù particolari legami che si sostituiscono tra le aziende coinvolte, dove dunque il requisito fondamentale di un gruppo concepito come un particolare tipo di “unicum aziendale” (o la presenza di un unico soggetto economico che coordina e dirige l’attività dell’intero complesso) a prescindere dal possono di partecipazioni nel capitale[16]. Sotto questo profilo, si può affermare che il diritto della crisi accoglie ed esalta l’aspetto economico sostanziale del gruppo, privilegiando gli aspetti aziendalistici del fenomeno del gruppo rispetto quelli formali coerentemente con i principii generali della disciplina: i. la migliore soddisfazione dei creditori mediante forme di liquidazione coordinata delle masse delle varie società; ii. l’”opportunità della liquidazione unitaria” del gruppo[17].
L’ altro punto di disallineamento del diritto della crisi rispetto a quello ordinario, si legge nella novità dell’holding persona fisica ricompresa nella definizione di gruppo (sempre all’articolo 2, comma 1, lett. h)). Tale previsione se da una parte segna il superamento del dibattito sull’ammissibilità della holding persona fisica coerentemente con la più definizione del perimetro di gruppo, sotto il profilo sistematico suscita parecchie perplessità in relazione all’ambito di applicazione dell’art. 2497, comma 1, c.c.[18], con implicazioni operative già evidenziate da alcuni commentatori[19]. La prima questione riguarda l’accertamento dell’esistenza del gruppo e la verifica della sussistenza dell’esercizio dell’attività di direzione, non operando né l’art. 2497 bis, né l’art. 2497 sexies c.c., né le presunzioni della seconda parte dell’art. 2, lett. h) (“..a tal fine si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento delle società del gruppo sia esercitata dalla società, o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci oppure della società o ente che controlla..”) , tutte riferite alle sole società o enti controllanti. L’inoperatività, poi, dei meccanismi pubblicitari ex art. 2497 bis, c.c. renderebbe inapplicabile alla holding persona fisica il criterio per la scelta del tribunale o della camera di commercio competenti a fini procedurali. Al riguardo, alcuni autori si sarebbero espressi a favore di soluzioni sussidiarie[20]., come l’adozione del criterio alternativo dell’impresa con la maggiore esposizione debitoria.( Criterio questo che soccorre nelle ipotesi in cui la capogruppo sia in bonis ovvero non partecipi alla procedura, ovvero nelle ipotesi in cui non operi i meccanismi pubblicitari previsti dall’art. 2497 c.c., come nella fattispecie dell’holding persona fisica) Sul punto, sarà interessante seguire l’eventuale dispiegarsi dell’orientamento giurisprudenziale.