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La cd. "transazione fiscale" dalla facoltatività alla obbligatorietà: riflessioni operative in tema di obbligatorietà attenuata

Giuliano Buffelli e Federico Clemente, Dottori Commercialisti in Bergamo

18 Marzo 2021

L’istituto della cd. transazione fiscale post 1/1/2017 è tema che, nella sua pratica attuazione, ha creato non poche problematicità. 
Anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge 159/2020, che è intervenuta sugli artt. 180 co. 4, 182 co. 4 e 182 ter L. fall., e della circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 34/E del 29/12/2020, l'argomento presenta ancora aspetti di articolata interpretazione.
Con il presente studio, oltre all’analisi (sintetica) dell’art. 182 ter L. fall. si esploreranno, in particolare, due argomenti, di cui uno poco trattato in dottrina, e cioè quello del passaggio dalla facoltatività alla obbligatorietà dell'utilizzo dell'istituto della cd "transazione fiscale", ponendo l’accento sulla individuazione operativa del concetto di imperatività che, ad un esame attento della normativa, e nella sua pratica applicazione si presenta sicuramente attenuata, e l'altro, di particolare attualità, e cioè quello delle conseguenze alla cd. mancanza di voto o mancanza di adesione.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
L’art. 3 comma 1-bis del D.L. 7/10/2020 n. 125, convertito con modificazioni nella L. 27/11/2020 n. 159 è intervenuto, con modifiche di rilievo, sulla legge fallimentare: in primis sull’art. 182-ter rubricato “Trattamento dei crediti tributari e contributivi” (riferimento legge di stabilità 2017 n. 232 del 11/12/2016). In uno con la correlata Circolare n. 34/E del 29 dicembre 2020 della Agenzia delle Entrate, l’intervento normativo offre l’occasione per un inquadramento generale dell’istituto di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare.
Si richiama in via preliminare la modifica apportata alla rubrica dall’articolo 1 L. 232/2016 (da “Transazione fiscale” a “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”) che è di rilievo posto che con la stessa viene meno l’originaria forma facoltativa e transattiva dell’accordo con l’amministrazione fiscale per assumere una diversa veste di un istituto finalizzato ad essere necessariamente applicato ogniqualvolta vi siano crediti tributari e contributivi la cui soddisfazione viene proposta in forma parziale e/o dilazionata in ambito concordato preventivo o accordo di ristrutturazione debiti.
La legge 159/2020 è come di seguito, in sintesi, intervenuta sulla materia della cd. “transazione fiscale” (come ancora impropriamente definita) nell’ambito della legge fallimentare.
Le modifiche riguardano:
-  l’art. 180 quarto comma (Giudizio di omologazione) 
cui è stato aggiunto il seguente periodo:
Il Tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”;
-  l’art. 182-bis, quarto comma (Accordi di ristrutturazione dei debiti)
cui è stato aggiunto il seguente periodo:
Il Tribunale omologa l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”;
-  l’art. 182-ter (Trattamento dei crediti tributari e contributivi)
·  primo comma, secondo periodo dopo le parole “natura chirografaria” sono inserite le seguenti “anche a seguito di degradazione per incapienza”;
·  quinto comma, secondo periodo è stato sostituito dal seguente:
“In tali casi l’attestazione del professionista, relativamente ai crediti tributari o contributivi, e relativi accessori, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; tale punto costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del Tribunale” e, dopo il terzo periodo, è stato inserito il seguente: “Ai fini della proposta di accordo su crediti aventi ad oggetto contributi amministrativi dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, copia della proposta e della relativa documentazione, contestualmente al deposito presso il Tribunale, deve essere presentata all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore”.
Con gli interventi sopra richiamati è stato attribuito al Tribunale il potere di omologare il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione anche in mancanza rispettivamente del voto o dell’adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie.
Nell’ambito delle due procedure di gestione della crisi interessate dal tema, la nuova disciplina del trattamento dei crediti tributari e contributivi può come di seguito essere sintetizzata:
Concordato preventivo: il Tribunale può omologare il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti di gestione delle forme di previdenza o assistenza nel caso in cui:
- l’adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti di gestione delle forme di previdenza o assistenza è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta (art. 172 L. fall.) 
e
- la proposta di trattamento dei crediti tributari e contributivi è più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria (art. 180 comma 4 L. fall.).
Accordo di ristrutturazione dei crediti: il Tribunale può omologare l’accordo anche in mancanza della adesione da parte della amministrazione finanziaria e degli enti gestori di previdenza e assistenza obbligatoria nel caso in cui:
- l’adesione della amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale minima dei consensi (art. 182-bis comma 4) 
e
- la proposta di trattamento dei crediti tributari e contributivi è più conveniente dell’alternativa liquidatoria (art. 182-bis comma 4).
2 . Analisi sintetica per commi dell’art. 182 ter L. fall.
Primo comma: il primo comma riguarda la procedura di concordato preventivo; con il piano di cui all’art. 160 L. fall. il debitore, esclusivamente tramite la domanda di “trattamento dei crediti tributari e contributivi”:
- Può proporre il pagamento parziale o dilazionato dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali (trattasi dell’Irpef, Ires con relative addizionali e imposte sostitutive, Irap, imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposta di bollo, imposte sulle successioni e donazioni, imposte demaniali, dazi, imposte di fabbricazione, IVA, ritenute operate e non versate e i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, degli interessi e delle sanzioni ecc.).
Restano esclusi i tributi propri degli enti locali.
- Può proporre il pagamento parziale o dilazionato dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria e dei relativi accessori [trattasi dei crediti per contributi, premi e accessori (interessi e somme aggiuntive iscritti e non iscritti a ruolo) quali crediti Inps, Inail, Enasarco, Inpdap, Inpgi, Enpals, Cassa Edile ecc.].
Nessuna limitazione vi è alla falcidia o dilazionabilità dei crediti chirografari se non quella derivante dalla creazione di specifica classe come previsto dall’ultima parte del comma in esame. 
Tale operatività è consentita alla condizione che il piano concordatario ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato, in caso di liquidazione [1], avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, così come indicato da relazione di professionista attestatore in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 co 3 lett. d) L. fall..
Trattasi di indicazione che ripropone la previsione di cui all’art. 160 co 2 L. fall..
Il secondo periodo del comma in esame prevede l’obbligo a carico del debitore di offrire “percentuale, tempi di pagamento e garanzie” non inferiori o meno vantaggiose rispetto a quelle offerte ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle Agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria.
La condizione per proporre un pagamento parziale o dilazionato dei crediti tributari o previdenziali privilegiati è rappresentata dalla incapienza del valore di realizzo dei beni o diritti su cui rileva la causa di prelazione; così come attestato dal professionista attestatore di cui al già richiamato art. 67 co 3 lett. d) L. fall..
In conseguenza di tale stima potrà essere individuata la quota di credito che potrà essere soddisfatto in privilegio e quella che andrà degradata al chirografo; in quest’ultimo caso è prevista l’istituzione di specifica classe.
Secondo comma: il secondo comma rileva che:
- L’amministrazione finanziaria/agente della riscossione, non oltre il termine di 30 giorni dalla data di presentazione della domanda di “trattamento dei crediti tributari e contributivi” deve trasmettere al debitore certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo o sospeso;
- L’ufficio nello stesso termine deve procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità e di quelli di accertamento;
- L’ufficio deve attestare il complessivo debito fiscale non ancora trasmesso all’agente della riscossione.
Sempre il secondo comma regola, come osservato, il rilascio a cura degli enti preposti della certificazione dei carichi pendenti iscritti a ruolo, l’ammontare dei crediti iscritti a ruolo ecc. sia per il concordato preventivo che per gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Terzo e quarto comma: trattano del soggetto che deve esprimere il voto e le connesse modalità.
Quinto comma: il quinto comma completa le previsioni previste per gli accordi; è previsto:
- Con richiamo al comma 1 il debitore può effettuare la proposta di “trattamento dei crediti tributari e contributivi” anche nell’ambito degli accordi e anche nella fase delle trattative che precedono la stipula dell’accordo.
In tali ipotesi l’attestazione del professionista ex art. 67 co 3 lett. D) L. fall., relativamente ai crediti tributari e contributivi e relativi annessi, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale [2].
La proposta di “transazione fiscale” con la documentazione prevista dall’art. 161 L. fall. è depositata presso gli uffici previsti dal comma 2.
Sesto comma: la “transazione fiscale” nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione è risolta di diritto se il debitore non paga integralmente entro 90 giorni dalle scadenze previste i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
3 . Dalla facoltatività alla obbligatorietà “attenuata”
Come già richiamato nelle premesse del presente elaborato, con la L. 232/2016 (legge di stabilità 2017) è stata rivista la disciplina della “cd. transazione fiscale” di cui all’art. 182-ter L. fall. nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con particolare attenzione alla chiarificazione delle incertezze indotte dal precedente testo in termini di facoltativo o obbligatorio ricorso all’istituto.
Alla modifica della rubrica della norma di cui si è già detto (con attenzione alla soppressione del termine transazione) segue quella che evidenzia il passaggio dalla facoltatività alla obbligatorietà dell’istituto ogniqualvolta vi siano crediti tributari e contributivi tra le passività da soddisfare tramite concordato preventivo o accordo di ristrutturazione debiti, e la soddisfazione sia prevista in misura parziale o dilazionata; con tale intervento il legislatore ha “risolto” la situazione di incertezza che per un certo periodo di tempo ha caratterizzato dibattiti in dottrina e giurisprudenza.
Si ricorda infatti che la Corte di Cassazione con due interventi (n. 22931 e 22932 del 4/11/2011) aveva introdotto la possibilità per il debitore, nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione del debito, di proporre la falcidia dei debiti tributari anche in assenza della transazione fiscale, sancendo la mera facoltà dell’istituto [3].
Con riferimento alle modifiche testé ricordate si osserva che nell’ambito del concordato preventivo l’istituto del “trattamento dei crediti tributari e contributivi” ha perso la sua natura negoziale e transattiva per assumere la forma obbligatoria del trattamento dei crediti tributari e contributivi.
Peraltro, l’obbligatorietà si determina ed è limitata con riguardo al procedimento formale. Una volta che il debitore rispetta i passaggi prescritti dall’art. 182-ter L. fall., gli enti interessati vengono posti sul medesimo piano degli altri creditori, senza alcuna possibilità di veto. In questi termini, dunque, si può utilizzare la definizione di obbligatorietà “attenuata”.
Di converso, nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti sembra permanere una autonomia degli enti previsti posto che il consenso degli stessi va deliberato e manifestato mediante sottoscrizione dell’atto negoziale da parte del direttore dell’ufficio.
E’ forse in considerazione della riflessione che precede che il legislatore ha mantenuto, nei commi 5 e 6 dell’art. 182-ter L. fall., la locuzione “transazione fiscale” e i termini “adesione” e “assenso”. Tuttavia, laddove gli enti non esprimano assenso espresso (e quindi non si perfezioni un accordo), anche negli accordi di ristrutturazione ora il Tribunale può omologare l’accordo.
4 . Obbligatorietà attenuata nel concordato preventivo
Il concetto che si vuole evidenziare in questa sede è dunque quello della obbligatorietà attenuata.
Concentrandosi sul concordato preventivo, è opportuno focalizzare ciò che è effettivamente “obbligatorio”.
Dal 2017 è stato cristallizzato, e reso obbligatorio, esclusivamente l’iter formale per lo stralcio e/o la dilazione delle poste passive erariali e contributive.
L’iter si compone dunque di alcune regole, ciascuna e nel complesso obbligatorie, e più precisamente:
1) la parte di credito assistito da privilegio non può essere soddisfatta secondo percentuali e tempi di pagamento e con eventuali garanzie inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quanto realizzabile “in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o i diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista”. Per la quota di credito chirografaria, per natura o per effetto del degrado, “il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”;
2) la quota di credito privilegiato eventualmente degradata al chirografo deve essere necessariamente inserita in apposita classe. Con tale classe, dunque, gli enti coinvolti esprimono una valutazione autonoma ed esclusiva, senza alcuna commistione con altri creditori che pure, in ipotesi, possano avere posizioni omogenee;
3) copia della domanda e della relativa documentazione debbono essere specificamente presentate “al competente agente della riscossione e all’ufficio competente”, in contestualità con il deposito della domanda concordato in Tribunale.
Si ritiene che:
- non debba essere presentata una domanda specifica, ma la proposta di definizione delle posizioni erariali e contributive possa andare a confluire nella domanda cui è allegato il piano piano, e ne costituisca uno specifico aspetto;
- la contestualità, anche solo prudenzialmente, vada considerata in termini di medesima data;
- la presentazione possa avvenire anche solo tramite comunicazione di posta elettronica certificata, in linea con le modalità telematiche di deposito in Tribunale e in generale con le linee cardine della legge fallimentare.
Al deposito della domanda con queste caratteristiche, si apre una serie di formalità a carico dell’ufficio competente e dell’agente della riscossione.
Ai sensi dell’articolo 182-ter co 2, infatti, “l’agente della riscossione, non oltre 30 giorni dalla data della presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. L’ufficio, nello stesso termine, deve procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati, ma non ancora consegnati all’agente della riscossione”.
Si ritiene che tali adempimenti siano obbligatori per gli enti, per quanto non siano previste conseguenze a fronte della loro omissione.
I contenuti obbligatori della norma, peraltro, si esauriscono con quanto riepilogato.
Così rispettato e formalizzato l’iter, le conseguenze paiono nitidamente delineate.
In primo luogo gli enti creditori, ancorché allocati in specifica classe, sono parificati a tutti gli altri creditori. Ciò significa che il loro voto, favorevole o contrario, entrerà nelle regole generali per l’approvazione del concordato, senza necessità di alcun accordo.
Ne deriva che, anche in presenza di voto contrario dell’Agenzia, il voto degli altri creditori che comporti il raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 L. fall. comporta l’approvazione della proposta di concordato. Tale approvazione, quindi, conduce alla validità del piano di ristrutturazione per tutti i creditori, cosicché anche gli enti saranno trattati in base alle previsioni del piano, cui dovranno adeguarsi [4].
L’altra conseguenza è che, in ogni caso, le poste debitorie verso gli enti non sono definitivamente cristallizzate, così come per tutti gli altri creditori.
Proseguiranno gli eventuali contenziosi in essere (la cui possibile sussistenza è espressamente prevista dall’articolo 182-ter), e perdureranno le possibilità di nuovi accertamenti fiscali, secondo le regole ordinarie.
L’inquadramento, ad avviso di chi scrive, non viene meno neppure in caso di voto favorevole da parte degli enti.
Inoltre, quand’anche la proposta dovesse essere in qualche modo cristallizzata da un atto di transazione (si ribadisce, non previsto dalla norma), è dubbio che gli enti possano disporre a priori di una rinuncia al potere accertativo. Potrà essere invece definito il contenzioso pendente ma, si ritiene, non in virtù di un accordo transattivo in sede di concordato, ma secondo gli ordinari strumenti deflattivi del contenzioso (ancorché la normativa nulla precisi al riguardo, cosicché potrebbe restare salva una possibilità di manovra degli enti al di fuori degli istituti di legge).
In chiusura, è bene portare all’attenzione la circostanza per cui l’articolo 182-ter si applichi in tutti i casi in cui sia previsto un pagamento parziale o dilazionato delle poste ivi richiamate.
Tra queste, si pongono anche le quote chirografarie ab origine quali, ad esempio, la metà delle sanzioni previdenziali ex art. 2754 c.c..
Ciò significa che, ogni qual volta vi sia un pagamento percentuale e/o dilazionato dei tributi, contributi e relativi accessori di cui al primo comma dell’articolo 182-ter, siano essi in privilegio, in chirografo ab origine, in chirografo per effetto di degrado, si devono rispettare i requisiti fissati (obbligatoriamente) dall’articolo stesso, a pena di inammissibilità della proposta (con la precisazione che, per le poste chirografarie ab origine, non sarebbe necessaria la creazione di una specifica classe).
5 . Obbligatorietà attenuata negli accordi di ristrutturazione
Negli accordi di ristrutturazione, come è noto, il perfezionamento del piano di risanamento non avviene tramite una votazione dei creditori, cui consegua l’emersione di una maggioranza a vincolare una minoranza.
L’istituto, infatti, prevede la sussistenza di un vero e proprio accordo (contrattualizzato) con ciascuno dei creditori che vengono interessati dalla ristrutturazione. Quanti non aderiscono all’accordo devono essere integralmente pagati, entro centoventi giorni dall’omologazione per le posizioni scadute alla data di omologazione, ovvero entro centoventi giorni dalla scadenza.
Con riguardo ai debiti tributari e contributivi di cui all’articolo 182-ter co 5, la norma prevede in particolare:
1) la necessità di una specifica proposta di “pagamento parziale o anche dilazionato”;
2) una specifica attestazione circa “la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale”;
3) il deposito della proposta di “transazione fiscale” presso gli uffici competenti;
4) la allegazione di una dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore, “che la documentazione…rappresenta fedelmente e integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio”.
Gli uffici competenti, in persona del direttore, devono espressamente esprimere l’adesione alla proposta tramite “sottoscrizione dell’atto negoziale”.
Il percorso, dunque, è completamente diverso da quello che (in particolare dal 2017) riguarda il concordato.
È previsto un assenso espresso, e quindi la vera e propria formazione di una “transazione”, certamente di natura contrattuale.
Tuttavia, in questo quadro irrompe l’articolo 3 della legge 159/20, e ne muta radicalmente la struttura.
Infatti, il Tribunale competente alla omologazione di un accordo di ristrutturazione può darvi corso “anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria”, alla richiamata condizione di convenienza “rispetto all’alternativa liquidatoria”.
Negli accordi di ristrutturazione, l’intervento del Tribunale va ad influenzare direttamente il percorso di adesione degli enti.
Di fatto, si ricrea il percorso già vagliato per il concordato preventivo, ossia:
- una fase formale obbligatoria, contraddistinta dai passi già esaminati;
- una fase eventuale, che può vedere la formazione di un accordo o per volontà diretta del creditore, o per intervento coattivo del Tribunale.
Il dato letterale della norma parrebbe anche comportare che l’intervento del Tribunale possa portare alla omologazione degli accordi anche in presenza di espressa volontà negativa degli enti, sulla base del solo giudizio di convenienza.
6 . L’alternativa liquidatoria e le relative attestazioni
L’operatività della transazione fiscale è condizionata ad una serie di attestazioni:
1) nel concordato preventivo:
a) l’attestazione ex art. 160, comma 2, necessaria per il degrado dei debiti con prelazione e finalizzata ad attestare il pagamento dei prelatizi “in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”;
b) l’attestazione ex art. 182-ter, comma 2, ai fini del trattamento dei crediti tributari e contributivi, e finalizzata alle medesime garanzie di cui al punto che precede. La terminologia è identica a quella di cui all’articolo 160, comma due e una ovvia lettura sistemica porta alla coincidenza delle attestazioni, come già nella prassi;
2) negli accordi di ristrutturazione:
a) l’attestazione ex art. 182-bis “sulla veridicità dei dati aziendali e dell’attuabilità dell’accordo”;
b) l’attestazione ex art. 182-ter, contenuta nella precedente, circa “la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale”.
Il tema delle attestazioni viene ripreso in relazione al vaglio di omologa del Tribunale:
-  nel concordato preventivo, ex art. 180 co 4 L. fall. il Tribunale omologa il concordato “anche in mancanza di voto da parte della amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatoria… quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta… è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”;
- negli accordi di ristrutturazione, il Tribunale ex art a 182-bis co 4 omologa l’accordo “anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatoria… quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista,… la proposta… è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.
Due distonie vengono in evidenza nella sequenza delle norme.
Quanto al concordato, la convenienza è vagliata “sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma”.
Si rileva al riguardo che, in tale relazione, il giudizio di convenienza è riservato solo al caso del concordato in continuità, ex art 186-bis, secondo comma L. fall. Si hanno due prospettive:
- il richiamo all’articolo 161 va inteso estensivamente come richiamo all’articolo 160;
oppure
- anche nel concordato liquidatorio il professionista dovrà esprimere un giudizio di convenienza, sulla falsariga di quello di cui al concordato in continuità.
Volendo preservare il dato letterale della norma, si deve propendere per la seconda soluzione.
Quanto agli accordi di ristrutturazione, il giudizio di convenienza del professionista viene rilasciato ai sensi dell’articolo 182-ter rispetto alla alternativa della “liquidazione giudiziale”, da intendersi quindi come fallimento (ovvero come liquidazione coatta amministrativa). Peraltro, nelle valutazioni di convenienza del Tribunale ai sensi dell’articolo 182-bis co 4, la convenienza è vagliata rispetto “all’alternativa liquidatoria”, e non necessariamente all’alternativa della liquidazione giudiziale.
Giova un excursus circa i termini di paragone per i richiamati giudizi, muovendo dal concordato preventivo.
Innanzitutto, la data di riferimento per le valutazioni comparative è quella della data della domanda di concordato (o meglio, dell’iscrizione della stessa nel registro delle imprese), anche nella forma cosiddetta prenotativa di cui all’articolo 160, comma 6 della legge fallimentare.
Altro aspetto riguarda i criteri che portano all’espressione di un “valore di mercato” dei beni (e, per i privilegi generali, di tutti gli attivi).
Tenuto conto che le norme richiamano il concetto di ricavato in caso di liquidazione, senza altra precisazione, si pone il tema di come debbano essere valutate le prospettive e le modalità di liquidazione dei beni, tra le possibili alternative:
- della liquidazione ordinaria;
- del fallimento.
È opinione di chi scrive che, in primo luogo, debba guardarsi alla alternativa liberamente perseguibile dal debitore, ossia la liquidazione ordinaria. In conformità con questo indirizzo si pongono i “Principi di attestazione dei piani di risanamento” approvati dal CNDCEC il 3 settembre 2014, secondo cui “relativamente al termine di confronto rispetto al quale formulare il richiesto giudizio di comparazione quantitativa, [l’attestatore] deve considerare le sole ipotesi alternative di discontinuità concretamente praticabili. Quindi:
- la liquidazione del patrimonio del debitore, ove concretamente praticabile;
- il fallimento, in caso di impossibilità di procedere con una liquidazione in bonis”.
Ciò porta, in linea di principio, ad escludere quale termine di comparazione il fallimento, fatto salvo il caso in cui la liquidazione ordinaria non sia in concreto sostenibile.
Dunque, si deve guardare in primis alla prospettiva della liquidazione ordinaria, quale percorso per la chiusura dell’impresa e per il soddisfacimento dei creditori.
Laddove si debba guardare al fallimento quale unica alternativa percorribile, va ricordato come quest’ultimo potrebbe differenziarsi dagli altri percorsi quanto all’esercizio delle azioni revocatorie e risarcitorie da parte del curatore, a vantaggio dei creditori.
Peraltro trattasi di azioni che, anche al di fuori dell’alveo fallimentare, possono essere esercitate dai creditori, cosicché si può ragionevolmente sostenere che l’unica differenza riguardi i vantaggi probatori delle azioni revocatorie fallimentari rispetto a quelle ordinarie, nonché la revocabilità degli atti normali di gestione nei sei mesi e dei pagamenti anormali nell’anno e normali nei sei mesi antecedenti l’accesso alla procedura.
Inoltre, nel fallimento dovranno essere analizzate anche le prospettive di esercizio provvisorio, affitto e cessione d’azienda.
Le valutazioni comparative, peraltro, presuppongono che vengano tenuti presenti alcuni capisaldi, di cui di seguito si vuole fornire breve memoria:
1) gli attivi aziendali, dal fermo della gestione d’impresa propedeutico alla loro liquidazione, subiscono di regola un’importante perdita di valore. Altrettanto si può dire per le rimanenze che, perdendo i canali commerciali classici e le possibilità di riassortimento, conoscono sistematicamente valori liquidatori.
Ma anche gli stessi crediti, sebbene rappresentino spettanze dovute a valori numerari definiti, conoscono dal fermo di attività di norma un rilevante incremento degli incagli e delle insolvenze, venendo meno la continuità dei rapporti tra cliente e fornitore;
2) l’interruzione dell’attività d’impresa può comportare (come di norma avviene) l’insorgenza di significativi oneri e penali e di complesse (e costose) diatribe giuridiche, con evidenti riflessi sugli attivi destinabili ai creditori; 
3) la liquidazione aziendale comporta in ogni caso, anche in fallimento, una serie di costi fissi che, nonostante l’interruzione della gestione operativa (o in alcuni casi proprio per tale motivo), vengono a manifestarsi per una corretta monetizzazione degli attivi e per i diversi adempimenti formali. Tra essi si possono rammentare, non a titolo esaustivo:
-  i costi del personale amministrativo;
-  i costi del personale/di terzi per la gestione delle vendite, ivi compreso eventualmente il personale di magazzino;
-  i costi di vigilanza, di assicurazione, per utenze;
-  le necessità logistiche, ivi compresi gli affitti di locali per lo stoccaggio dei beni (ovvero la prosecuzione, almeno fino ai termini contrattuali di recesso o cessazione pattizia, dei contratti di locazione in essere);
- i compensi professionali; 
- gli oneri di pubblicità, provvigionali e fiscali connessi all’attività di vendita. 
Al fine di determinare la capienza del patrimonio gravato da privilegio mobiliare, dunque, si deve ripercorrere l’analisi dell’attivo e del passivo a valori rispettivamente di mercato e di presumibile estinzione, per poi ricondurre le analisi all’alveo di una possibile procedura alternativa.
Ancora più controverso è il percorso interpretativo in caso di accordi di ristrutturazione (istituto, si ricorda di rilevante valenza privatistica).
Da un lato, pare ancor più condivisibile quanto sopra affermato, ossia che le valutazioni devono in primo luogo essere svolte in relazione alle alternative della liquidazione ordinaria o del concordato preventivo.
Tuttavia, la norma (art. 182-ter co 5) richiama espressamente la comparazione con la liquidazione giudiziale, il che non lascerebbe spazio a strade alternative.
Peraltro, tale riferimento specifico non è riproposto in sede di giudizio del Tribunale, laddove riprende la terminologia della “alternativa liquidatoria”.
A parere di chi scrive, per tutte le attestazioni e per i relativi fini, deve valere il principio per cui le valutazioni di una proposta, in sede di concordato o di accordo di ristrutturazione, devono essere comparate alla migliore soluzione alternativa percorribile. Che, non necessariamente, è sempre quella del fallimento.
7 . L’astensione e il voto contrario nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione
Tornando al concordato preventivo e agli accordi, ad avviso di chi scrive è necessario distinguere l’ipotesi della mancanza di voto/di adesione da parte degli enti interessati, rispetto a quella del voto contrario.
L’articolo 180, comma 4, consente l’omologazione del concordato preventivo “anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie”; l’art. 182 bis co. 4, negli accordi consente al tribunale di “omologare l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”
Le norme esplicano la propria finalità consentendo al Tribunale di omologare una proposta concordataria o di accordo di ristrutturazione in cui non siano state raggiunte le maggioranze di legge, in ipotesi di “mancanza” di voto favorevole (mancanza di adesione” degli enti interessati alla proposta ex art 182-ter a due condizioni:
- che il voto degli enti sia determinante “ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 L. fall.” (per il concordato preventivo) e quando “l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di legge” per gli accordi (art. 182 bis co. 4 L. fall.);
- che la proposta sia conveniente “rispetto all’alternativa liquidatoria” per il concordato preventivo e “rispetto alla liquidazione giudiziale” negli accordi.
Pacificamente, le norme si applicano al caso in cui gli enti non abbiano espresso alcun voto, o adesione.
Molto più discutibile è se le norme possano operare anche in caso di voto dichiaratamente negativo.
Da parte di chi ritiene di ricomprendere nell’ambito di applicazione delle norme anche il possibile voto negativo, si sostiene come la finalità della stessa sia quella di “superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate” (come testualmente indicato nella relazione illustrativa al Codice della crisi), e che quindi nella “resistenza” ben si collochi il voto negativo.
Le norme, dunque, sarebbero in linea con il fine di “assicurare alle imprese debitrici una reale tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di rigetto delle proposte di transazione” [5], in sintonia al principio della convenienza della proposta concordataria o dell’accordo.
Chi scrive ritiene che tale possibile estensione sia da valutare con la massima cautela.
Si impone infatti, in primo luogo, il dato letterale delle norme, che indicano la sola “mancanza di voto” – “mancanza di adesione”. Il fine teleologico, dunque, pare quello di superare la ritrosia degli enti ad esprimere il voto, ritrosia che si traduce nell’astensione e che costituisce un dato di fatto incontrovertibile.
Ben altra cosa sembra essere il voto contrario o il dissenso (giudizio di manifesta inattendibilità o insostenibilità), che comportano chiaramente una scelta, una presa di posizione, una argomentazione motivata al riguardo (come altresì chiesto dalla stessa Agenzia delle Entrate nella propria circolare 34/E cap. 3.3).
Poter superare una espressione di volontà ben precisa, nell’ambito di un procedimento di gestione di una crisi d’impresa fondato sulla approvazione dei creditori, parrebbe un percorso contrario alle norme e alla filosofia dell’istituto, e ben potrebbero ipotizzarsi violazioni di diritti fondamentali. Il tutto, in contrasto con la più ampia facoltà di scelta (e di astensione) di tutti gli altri creditori; si ricorda peraltro che l’ordinamento offre la possibilità di reclami o di azioni di invalidità
Si consideri altresì che le norme, nel prevedere il possibile intervento del Tribunale, non ipotizzano alcun contraddittorio al riguardo. 
Di converso, l’omologazione in presenza di un voto contrario (se determinante) degli enti interessati pare in linea con il dettato normativo ricorrendo le altre precise indicazioni degli articoli 180 co. 4 e 182 bis co. 4 e cioè, si ripete, la convenienza e la determinanza dell’adesione o decisività della medesima .
Di fatto il tribunale con il potere di decidere anche in mancanza di voto o in mancanza di adesione, o anche in caso di voto o adesione negativi, stante la letteralità delle norme, potrebbe omologare il concordato e l’accordo trasformando il voto/adesione negativi in positivi facendo prevalere i principi della convenienza, della determinanza|decisività (art. 180 e 182 bis L. fall.), e quello del trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi (art. 182 ter L. fall.).[6]
Le argomentazioni che precedono evidenziano ulteriori interrogativi interpretativi in ambito accordo di ristrutturazione dei debiti e in particolare per quanto attiene alla relazione del professionista il quale, ex art. 182 bis co. 1 L. fall., deve attestare la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare nei termini di legge il pagamento dei creditori estranei. 
La condizione della “attuabilità” potrebbe creare dubbi applicativi nel caso in cui la stessa la si estenda anche alla verifica del limite del 60%; diversa riflessione potrebbe rilevare nel caso in cui il professionista attestatore, nel suo elaborato, con motivazione adeguata, precisi che il raggiungimento del detto limite quantitativo, nel caso di “trattamento dei crediti tributari e contributivi”, si determinerebbe se il tribunale procedesse ad omologare l’accordo anche in presenza di adesione negativa (pur determinante) da parte dell’agenzia fiscale e degli enti di previdenza e assistenza. 
L’attestazione sarebbe con riserva, riserva peraltro motivata su base giuridicamente fondata. 
Peraltro, non sfugge come si tratterebbe ad un primo esame di una attestazione condizionata ad un evento futuro e incerto che, prima della promulgazione delle norme in esame, era radicalmente esclusa in dottrina e in giurisprudenza. Di fatto, l’attestatore si fa carico della valutazione di convenienza della procedura, ed in base a tale valutazione, ritiene che il Tribunale perverrà alla omologazione dell’accordo pur in mancanza di adesione degli enti interessati ex art. 182-ter c.c..
L’attestazione, pur con riserva, è supportata, a parere di chi scrive, da motivazione giuridicamente fondata.
8 . Conclusioni
La definizione delle poste erariali e contributive in ambito concordatario o di accordi di ristrutturazione ha sempre costituito un percorso faticoso e di difficile confronto, che ha mosso i primi passi tra confini molto rigidi, quali la necessità di assenso degli enti e l’infalcidiabilità di iva e ritenute, e si è via via scavato un tracciato più ampio ed elastico.
Per passi successivi, si è pervenuti ad un percorso obbligato per la falcidiabilità di tutte le poste. Peraltro, una volta rispettato l’iter formale di tale percorso, può non essere più necessario il consenso degli enti.
Gli ultimi interventi normativi mirano ad una ulteriore facilitazione del percorso di omologazione di procedure di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione, pur in assenza di adesione degli enti alla proposta di trattamento dei debiti erariali e contributivi ex art. 182-ter L. fall..
Fin da una prima analisi non mancano aspetti problematici, tra cui spiccano le prospettive di valutazione della convenienza, il possibile voto contrario degli enti, le attestazioni del professionista indipendente.

Note:

[1] 
Il termine va inteso in senso ampio, ricomprendendo sia la liquidazione ordinaria che quella giudiziale 
[2] 
Da riferirsi al fallimento e alla liquidazione giudiziale 
[3] 
Come confermato anche di recente, cfr. Cass., ordinanza 22456/20 
[4] 
Come correttamente osservato in dottrina,  in base al comma 3 dell'articolo 182-ter il voto "deve essere sulla ‘proposta concordataria’ (e non sulla ‘ proposta’ di trattamento dei crediti tributari ex se" (così Andreani e Tubelli, Transazione fiscale e crisi d’impresa, pagina 72)
[5] 
Così Andreani, “Una tutela contro i rigetti immotivati”, in Il Sole 24 Ore, 18 gennaio 2021
[6] 
Conforme ordinanza del 14/1/2021 del Tribunale di La Spezia che sottolinea la “Conversione ipso jure in voto positivo del voto negativo espresso dall’Agenzia delle Entrate”. L’intervento peraltro va ricondotto nell’ambito degli accordi di composizione della crisi, in cui vige il principio del silenzio-assenso.

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