L’organo amministrativo deve avere una responsabilità immediata verso i soci e mediata verso i creditori sociali in ogni fase della vita sociale e dunque paradossalmente anche quando la società si trova in bonis, in funzione della “protezione delle prerogative degli stakeholder”, secondo le teorie viste sopra in tema di società? Senza distinguere tra i tre momenti (in bonis, crisi, insolvenza)? Non solo per un richiamo del principio del neminem laedere ma anche per il richiamo all’art 41 della Costituzione e perché le scelte operate dal management quando la società è ancora sana possono assumere rilevanza ex post nella genesi della crisi o addirittura del dissesto, si tende a rispondere affermativamente. La giurisprudenza (Tribunale Milano, ordinanza 17 luglio 2013, in tema di gruppi) richiama il principio di buona fede proprio in ottica di protezione degli stakeholder. [11]
Il passo in avanti compiuto da CCII sarebbe di stampo finalistico perché il legislatore riterrebbe che lo scopo degli “assetti adeguati” starebbe anche nel tentativo di intercettare in via tempestiva la crisi e la possibile perdita della continuità aziendale. Da qui le affermazioni del Tribunale di Milano, sez. spec. in materia di imprese, 18 ottobre 2019 per il quale “le condotte degli amministratori non in linea con i doveri gestori oggi predicati dall’art. 2086 comma 2 cc, costituiscono una grave irregolarità nella gestione”. La BJR, perciò (Marinelli e Sabatini ) trova dei limiti anche in seno alla fase di crisi e di pre-insolvenza proprio perché già in questa fase il contegno dell’organo amministrativo deve improntarsi anche alla tutela dell’interesse sociale, ovvero di tutti i soggetti interessati ai risultati dell’impresa, ivi inclusi i creditori: rientra in questa visione il concetto ,sia di successo sostenibile, sia di tutela della continuità aziendale come si evince dai principi Isa 570, sia dalla direttiva Insolvency (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 (per un dialogo con vari portatori di interessi): questa direttiva, riguardante la ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione prevede che se “il debitore è prossimo all’insolvenza è importante proteggere i legittimi interessi dei creditori da decisioni di gestione che potrebbero ripercuotersi sulla costituzione della massa fallimentare”, giunge secondo gli autori citati a rendere responsabile l’organo amministrativo verso i soci e verso i terzi senza distinzione, ”ovvero gli obblighi di conservazione del patrimonio aziendale gravano sul manager sia quando l’impresa gestita è in bonis sia in occasione della crisi (a maggior ragione quando ci si trovi innanzi alla perdita del capitale) tuttavia in tale seconda fase deve necessariamente attenuarsi l’ambito di autonomia dell’organo amministrativo, dovendosi adottare un contegno volto a maggiore prudenza e attenzione verso il ceto creditorio. Ciò non significa che il beneficiario esclusivo della gestione sarà il creditore sociale, residuando comunque in capo al socio un preminente interesse a vedersi riconosciuti i diritti all’esito della soddisfazione dei terzi, ma significa che la diligenza di cui all’art. 2393 cc permea l’attività gestoria in ogni sua fase e nei confronti di tutti gli stakeholder.” Perciò Zoppini arriva a sostenere che il modello di amministrazione deve essere in grado di diagnosticare tempestivamente e di reagire ai segnali di crisi.
Nella fese dell’emergenza dell’insolvenza sorgono doveri fiduciari in capo agli amministratori verso i creditori, il modello di utilità sotteso all’azione amministrativa deve confrontare i benefici e i pregiudizi attesi in capo ai creditori e conseguentemente la business judgment rule (BJR) nella fase dell’emersione dell’insolvenza causa una responsabilità per gli amministratori se questa valutazione comparativa non è stata fatta e istruita.
Da qui emerge l’importanza della giurisprudenza che fa applicazione concreta di certe impostazioni ed in particolare della sentenza del Tribunale di Roma, sez. spec. Impresa del 15 settembre 2020 che ha fatto da battistrada per una serie di affermazioni.
Il provvedimento nasce da una richiesta al ex art. 2049 c.c. per domandare la revoca dei componenti del consiglio di amministrazione e la nomina di un amministratore giudiziario stante la presenza di gravi irregolarità consistenti nell’aver omesso di rilevare la perdita di continuità aziendale nonché il compimento di atti che recano pregiudizio al patrimonio sociale.
Al di là che i provvedimenti del Tribunale possono essere giustificati anche in base al solo art. 2049 c.c. senza ricorrere all’art 2086 c.c., se gli amministratori non possono essere chiamati in responsabilità solo perché la gestione dell’impresa ha avuto esito negativo, la responsabilità può discendere se dall’agire si denota la mancata adozione di quelle cautele o non osservanza di canoni di comportamento di diligente gestione, che nessuno ha il dovere di gestire l’azienda con successo economico ma solo con la dovuta diligenza. Tuttavia il Tribunale afferma che il principio di insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto ma vi sono due limiti.
Il primo che la scelta sia stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta).
Il secondo che la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre).
Non solo cioè verifica che prima di assumerla sia stata fatta questa comparazione ma sindacato di razionalità sulla scelta.
Circa il primo profilo, di fatto, si verifica non solo se vi sia un’istruttoria a se vi sia una adeguata istruttoria.
Circa il secondo profilo non basta che l’amministratore abbia assunto le necessarie informazioni e abbia eseguito ( attraverso l’uso di risorse interne o di consulenze esterne) tutte le verifiche del caso (cosa significhi “tutte”…ricorda certe teorie alla Lucas per far riferimento ad un economista famoso, oppure un sottile riferimento all’Unione Sovietica), ma essendo pur sempre necessario che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse.
In pratica, benché nessuno abbia il dovere del successo economico, se qualcosa va male anche per circostanze economico - politiche delle ultime ore o giorni, per informazioni non assumibili senza organizzazione molto sofisticate, si può essere responsabili. Di fatto diventerà un giudizio ex post sul fatto che si è avuto successo?
La dottrina aggiunge (Marinelli e Sabatini, p. 176 e ss.) che l’amministratore che abbia svolto tutte le verifiche necessarie e consultato tutti gli esperti disponibili e, nonostante ciò, effettui una scelta non razionalmente inerente alle informazioni ricevute e dannose per la società, non sarà irresponsabile nei confronti della società, ma al contrario doppiamente responsabile, per gli inutili costi dell’informazione e per il danno arrecato. Le scelte organizzative e la predisposizione di un assetto organizzativo non sono un obbligo specifico e predeterminato nel suo contenuto (Tribunale Roma 8 aprile 2020 n. 8159-1/2020) ma tale obbligo è assolto efficacemente guardando non tanto a rigidi parametri normativi, quanto ai principi elaborati dalle scienze aziendali: le clausole di adeguatezza sono elastiche, per cui se la scelta organizzativa attiene al merito gestorio per il quale vige l’insindacabilità, la scelta deve essere razionale (o ragionevole), noto per inciso che non sarebbe la stessa cosa, non sia ab origine connotata da imprudenza tenuto conto del contesto e sia stata accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.
Alla giurisprudenza occorrerebbe una (ri) lettura di certi capitoli della Teoria Generale di Keynes sopra indicati!
Se poi certi discorsi si collegano ad altri in tema di ragionevole discrezionalità e si ritiene fondata la dottrina che ritiene fuorviante la distinzione tra scelte “gestorie” e scelte “organizzative” (Eugenio Barcellona) si giunge ad affermare che “ tutte le scelte anche quelle che hanno per contenuto l’organizzazione endo - aziendale, sono sempre scelte gestorie - tanto che abbiano ad oggetto un’operazione extra aziendale, quanto che abbiano ad oggetto un assetto endo - aziendale- devono essere assunte in modo organizzato e cioè con una procedura diretta alla corretta valutazione del rischio. L’organizzazione - quale requisito di diligenza - afferisce al quomodo dell’adempimento, non all’oggetto di ciò che si decide”). Altra dottrina, prevalente (D. Galletti, P. Montalenti). Pensa, in tema di Business Judgment Rule e scelte organizzative, al contrario della dottrina individuata, che il “dovere specifico” di imprimere un assetto organizzativo “adeguato” alla struttura aziendale non sarebbe sussumibile tra “i principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale”.
La giurisprudenza, però, ritiene che le scelte organizzative hanno tutti i caratteri che caratterizzano le scelte imprenditoriali, cioè il carattere “prognostico”, la “connessa non predeterminazione degli effetti”, un “elevato grado di complessità” e la necessità di perseguire i doveri di “contemperare i costi e i benefici inerenti [alle singole scelte] con l’ulteriore dovere di massimizzare il valore del patrimonio sociale” (L. Benedetti).
Così se pare corretto ritenere che l’autonomia gestoria non possa essere minata né vagliata ex post neanche per quello che concerne gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili (per i rischi per un amministratore che essendosi tenuto a canoni di diligenza e rigore, potrebbe essere accusato di aver optato per un’organizzazione piuttosto che un’altra), per non avere valutazioni giudiziarie del tutto soggettive, avremo la nomina di CTU che nella maggioranza dei casi scelti saranno tra commercialisti che possono esprimersi su aspetti contabili ma saranno in grado di esprimersi su quelli organizzativi, amministrativi e aziendalistici interni?
Chi ha avuto a che fare con commercialisti, che in altro settore, le amministrazioni giudiziarie di imprese di soggetti presunti mafiosi e quando gli sono restituite le aziende perché si scopre che non lo erano, si può dare una risposta, risposta di come sia diverso fare il commercialista e fare l’imprenditore: Keynes lo sapeva!
2. A questo proposito facciamo breve digressione, che poi non è una digressione perché serve per spiegare come certe impostazioni giuridiche non siano realistiche.
Un illustre economista (Dani Rodrik) spiega come funzionano i modelli in economia e la spiegazione ha rilievo anche per il nostro tema.
Un classico modello è il dilemma del prigioniero (che tra l'altro nelle varie versioni dimostra che sarebbe meglio cooperare). Nella forma in cui è presentato si fa riferimento a due individui che saranno condannati se uno di loro confessa.
Presentiamolo come un problema economico.
Due imprese in concorrenza devono decidere se avere un cospicuo budget pubblicitario (i modelli organizzativi e gli adeguati assetti, uno degli esempi che i giuristi fanno e se c'è responsabilità se si hanno 50 o 40 magazzinieri a seconda dei piani di espansione, dell'offerta in base ad una prevedibile domanda e quindi un modello di un'azienda in base ad una domanda, Marinelli e Sabatini, p. 179, più volte citati fanno l’esempio dell’amministratore che assume 50 magazzinieri ma scopre dopo pochi mesi che ne servono 5 e, perciò potrebbe essere intentata un’azione di responsabilità verso di lui per i costi addossati all’azienda, per scelte dovute ad assetti non adeguati, responsabilità per l’irragionevolezza della sua scelta, irragionevolezza che non vi sarebbe se fosse stato sufficiente assumere 45 e non 50).
La pubblicità consentirebbe a un'impresa di sottrarre all'altra una parte della sua clientela. Ma quando entrambe conducono una campagna pubblicitaria, gli effetti sulla domanda dei consumatori si elidono. Alla fine le imprese hanno speso del denaro inutilmente?
Potremmo aspettarci che entrambe le imprese decidano di non spendere molto in pubblicità, ma questa logica non è realistica (a proposito di razionalità nelle decisioni bisognerà che il diritto prenda in considerazione l'economia comportamentale, che la razionalità è spesso eclissata dall'emozione o da scorciatoie cognitive erronee, che si vogliono soluzioni solamente soddisfacenti).
Quando le imprese prendono le loro decisioni indipendentemente e si preoccupano unicamente del loro profitto, ognuno ha un incentivo a valersi della pubblicità senza riguardo delle scelte dell'altra: quando l'altra impresa rinuncia alla campagna pubblicitaria, se si fa pubblicità ,si può sottrarle i clienti; quando l'altra impresa fa pubblicità, devi usare la pubblicità per evitare di perdere clienti.
Perciò le due imprese finiscono in un equilibrio insoddisfacente in cui entrambe devono sprecare risorse.
Questo mercato non è efficiente.
Ma che un mercato sia efficiente o no dipende da certe assunzioni e dalla loro modifica eventuale.
Consideriamo un altro modello. Il modello del coordinamento. Un' impresa, o una pluralità di imprese, sta decidendo se investire nelle costruzioni navali.
Se può produrre su scala sufficientemente larga, sa che l'attività sarà profittevole.
Ma un input importante è l'acciaio a basso prezzo che deve essere prodotto nelle vicinanze. La decisione dell'impresa si riduce a questo: se esiste un'acciaieria nelle vicinanze, investire nelle costruzioni navali; altrimenti non investire. Ora consideriamo il ragionamento dei potenziali investitori nella siderurgia della regione. Assumiamo che i cantieri navali siano gli unici potenziali compratori di acciaio. I produttori di acciaio pensano di poter realizzare profitti se esiste un cantiere che acquisti il loro acciaio, ma non altrimenti.
A questo punto abbiamo due possibili esiti, ossia una situazione caratterizzata da quelli che gli economisti chiamano "equilibri multipli”. C'è un esito "positivo” in cui sono effettuati entrambi i tipi di investimento, sia il cantiere navale sia l'acciaieria ottengono profitti ed entrambi sono soddisfatti: l'equilibrio è raggiunto.
Poi c'è l'esito "negativo”, in cui non viene effettuato nessun tipo di investimento. Anche questo secondo esito è un equilibrio perché le decisioni di non investire si rafforzano l'un con l'altra. Se non c'è il cantiere, i produttori di acciaio non vogliono investire; se non c'è nessuna acciaieria, il cantiere non sarà costruito. Questo risultato è in larga misura non correlato con il numero di potenziali partecipanti al mercato. Esso dipende invece in modo cruciale da altre tre caratteristiche:
1) esistono economie di scala (in altre parole perché l'operazione sia profittevole deve aver luogo su un'ampia scala);
2) acciaierie e cantieri navali sono reciprocamente indispensabili;3) non esistono mercati e fonti di input alternativi (che possano essere forniti, per esempio, dal commercio con l'estero).
Modelli differenti, diverse visioni di come i mercati funzionano o non funzionano. Nessuno di essi è giusto o sbagliato. Ognuno mette in luce un importante meccanismo che è o potrebbe essere in atto in economie del mondo reale.
Cominciamo a vedere che il modello " giusto" quello più adatto al contesto è importante.
La risposta in economia ai problemi è: dipende.
Consideriamo qualche esempio.
Il salario minimo riduce o aumenta l’occupazione? Dipende a seconda che i singoli datori di lavoro si comportino in modo concorrenziale o meno (ossia, dalla loro capacità di influenzare i livelli salariali praticati nelle loro aziende).
I movimenti di capitali in un’economia di mercato emergente accrescono o riducono la crescita economica? Dipende.
La risposta varia a seconda che la crescita del paese sia impedita dalla mancanza di fondi investibili o da una scarsa profittabilità dovuta ad esempio ad imposte elevale.
Una riduzione del disavanzo pubblico soffoca o stimola l’attività economica?
La risposta dipende dal livello di credibilità, dalla politica monetaria e dal regime monetario.
Ma il “dipende”, è dovuto a fattori contingenti, variabili, anche rapidamente da luogo a luogo, da fattori psicologici, di capacità o errori cognitivi, bias, dal caso, da fatti generali, politico economici, o locali.
Dipende da assetti a priori?
L’economista della Cambridge University, Ha-Joon Chang, a proposito di modelli matematici o precisi e rigorosi ha detto” Il 95%dell’economia è senso comune, fatto sembrare difficile grazie all’uso del gergo e della matematica “. Kenneth Boulding ha fatto due battute, ma era un economista eretico.
La prima “La matematica ha apportato rigore all’economia; disgraziatamente era rigor mortis”.
La seconda “La scienza economica non deve diventare la meccanica celeste di un mondo inesistente”.
Neanche la scienza giuridica.
3) Torniamo all’aspetto giuridico.
Varie sono le questioni. Soffermiamoci su due.
L’analisi sarà in ottica giuridica ma non trascurando l’aspetto economico, che deve costituire, costituisce, in questo settore, la guida reale cioè della realtà (storica) cui è impossibile sottrarsi. Non sarebbe neanche giusto. Una guida che, spesso, è critica verso certe impostazioni solo giuridiche.
a- Obiettivi degli adeguati assetti.
Prima di verificare in cosa debbano consistere gli adeguati assetti menzionati nell'art. 2086 c.c. e nell'art. 3 c.c.i.i., è opportuno interrogarsi sugli obiettivi che gli stessi devono raggiungere, per come vengono delineati dai co. 2 – 4 dell'art. 3. Dato che il legislatore non offre una descrizione precisa degli assetti da istituire, è solo apprezzando quali siano le finalità da perseguire che si può tentare di delinearne il contenuto concreto.
Gli obiettivi perseguiti dalle norme sono sostanzialmente due.
Da un lato, quello di consentire all'amministratore di “prevedere tempestivamente l’emersione della crisi” e dall'altro quello di assumere le “idonee iniziative” per superarla o quanto meno affrontarla.
La locuzione utilizzata e poc'anzi richiamata chiarisce che gli assetti di cui si deve dotare l'impresa non debbano tanto riconoscere la crisi quando questa si presenta, ma rilevare gli indizi che la precedono e quindi consentire una prognosi che ne anticipi l'emersione. Benché la stessa crisi, secondo la definizione introdotta all'art. 2 co. 1, lett. a) c.c.i.i., già consista nella probabilità di insolvenza ovvero nell'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi: un arco temporale non breve che induce a ritenere come gli strumenti per anticipare in misura significativa l'emersione della crisi non potranno che essere dotati di particolare efficacia.
In concreto (e questa è una delle novità di maggior rilevanza della versione dell'art. 3 c.c.i.i. introdotta dal D. lgs. n. 83/2022) gli assetti di cui si deve dotare l'imprenditore devono consentire di rilevare squilibri di carattere patrimoniale o economico - finanziario in relazione alle caratteristiche dell'impresa (comma 3, lett. a) e di verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale per i successivi 12 mesi, oltre che i segnali specifici delineati al comma 4 (comma 3, lett. b).
Detti segnali consistono in specifiche soglie di indebitamento maturate in aree cruciali dell'attività di impresa, ovvero verso:
- i dipendenti (comma 4, lett. a),
- i fornitori (comma 4, lett. b),
- le banche e gli intermediari finanziari (comma 4, lett. c),
- i cosiddetti creditori pubblici qualificati (Inps, Inail, Agenzia Entrate e Riscossioni) come definiti nell'art. 25 novies CCII (comma 4, lett. d).
Ad una prima lettura pare che si tratti di soglie abbastanza avanzate di indebitamento che quindi fanno presumere non tanto una crisi probabile o imminente, ma già in atto e che quindi non serviranno a “prevedere tempestivamente” la crisi, ma forse a diagnosticare una situazione ormai conclamata.
Invero, tanto il ritardo di trenta giorni nel pagamento nelle retribuzioni di oltre la metà dei dipendenti (comma 4, lett. a), quanto quello di novanta giorni nella soddisfazione della maggior parte dei fornitori (comma 4, lett. b) rappresentano segnali di una situazione di difficoltà economico – finanziaria evidente, per quanto forse ancora astrattamente rimediabile. Non è quindi escluso che almeno alcune delle soglie indicate dal legislatore si rivelino all'atto pratico troppo avanzate per costituire segnali idonei a perseguire l'ambizioso fine di “prevedere” l'emersione della crisi.
Può invece considerarsi scontato che non sarà necessario superare tutte le soglie di indebitamento perché il segnale della crisi di impresa si concreti. Basterà anche il superamento di uno solo dei parametri, come dimostra l'utilizzo del termine plurale del comma in esame.
Nello stesso tempo, può essere sottolineata la decisiva rilevanza dei segnali elencati nel comma 4, dell'art. 3 CCII, non pare che l'elenco abbia pretese di esclusività per cui potranno in concreto presentarsi situazioni nelle quali, pur non essendo integrata alcune delle ipotesi espressamente formulate, lo stato di crisi sarà comunque prevedibile e magari imminente.
La lettera normativa “costituiscono segnali per la previsione” non depone chiaramente in tal senso. Ma la circostanza che l'esemplificazione sia contenuta nel comma finale della disposizione, dopo che al precedente (lett. a) e b) vengono delineate ipotesi molto generali ed ampie, alludendo a squilibri di carattere patrimoniale o economico finanziario ed alle prospettive di continuità aziendale dei successivi dodici mesi, chiarisce come il superamento delle varie soglie di indebitamento sia solo uno dei possibili segnali, non certo l'unico che gli adeguati assetti devono essere in grado di rilevare.
Il secondo obiettivo perseguito dagli assetti che l'amministratore deve istituire e che si affianca alla rilevazione della imminente crisi è quello di affrontare la sua emersione e quindi di dotare sin da subito gli organi gestionali e di controllo di tutte le informazioni ed i dati necessari per una reazione tempestiva ed appropriata.
La circostanza non emerge in via diretta dall'art. 2086 c.c., ma si evince con sufficiente chiarezza dalle previsioni contenute all'art. 3 comma 3, lett. c) e dall'art. 4, comma 2, lett. b) CCII.
Se, infatti, gli assetti devono consentire di rilevare le informazioni necessarie per redigere la lista particolareggiata e il test per verificare la ragionevole perseguibilità del risanamento dell'impresa, non si può che dedurre come dagli stessi debbano ricavarsi tutte le informazioni utili a valutare, non solo se il risanamento è possibile e ragionevole, ma anche il modo attraverso cui si può pensare di raggiungere un simile, in molti casi ambizioso, obiettivo.
D'altra parte, l'obbligo di assumere tempestivamente le iniziative idonee ad individuare le soluzioni per il superamento degli squilibri economico finanziari (art. 4, comma 2, lett. b) CCII) non può avvenire se gli adeguati assetti non saranno stati efficienti ed esaustivi.
Perciò sebbene in concreto le decisioni sul miglior modo per affrontare la emergente crisi di impresa spettino in via esclusiva agli amministratori, le premesse per il corretto esercizio di tale potere si concretano nella preventiva dotazione di adeguati assetti per l'individuazione (o meglio, la previsione) della crisi, perché è difficile pensare che diversamente possa adempiersi con puntualità l'obbligo di assumere idonee e tempestive iniziative.
b-Il concreto contenuto delle obbligazioni poste a carico dell’amministratore.
Delineati, seppure per sommi capi, gli obiettivi che gli adeguati assetti devono essere in grado di perseguire è possibile interrogarsi con qualche strumento in più su cosa in concreto l'amministratore debba fare per contare su un “assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato”.
Tali assetti dovendo essere definiti in ragione delle dimensioni e della natura della impresa non possono stabilirsi a priori, perché solo calandosi nella concreta realtà imprenditoriale è possibile valutare ed apprezzare l'adeguatezza degli strumenti prescelti.
Tuttavia lo sforzo dell'interprete deve essere quello di mettere a disposizione degli amministratori indicazioni concrete che possano fornire da guida e per certi versi lo tutelino nel caso di approdo all'ipotesi – deteriore ma pur sempre possibile, nonostante ogni cautela – di liquidazione giudiziale.
Quindi innanzitutto ci si può chiedere se gli assetti adeguati debbano essere interni all'azienda o se sia possibile esternalizzarli, incaricando professionisti esperti di effettuare verifiche periodiche sull'andamento patrimoniale ed economico – finanziario dell'impresa. La norma depone, credo, nel primo senso.
L'istituzione di un assetto adeguato rimanda ad una struttura intrinseca all'azienda, tant'è che per l'imprenditore individuale il legislatore si limita a parlare (art. 3, comma 1) di adozione di “misure idonee” e quindi di un contributo che di certo potrà essere esterno, sul presupposto di una organizzazione imprenditoriale più semplice e contenuta.
Ciò non significa peraltro che la struttura organizzativa, amministrativa e contabile dell'imprenditore collettivo non possa giovarsi di contributi esterni.
E' indubbio che una simile lettura della norma imponga alle imprese, specie quelle di piccole e medie dimensioni, di dotarsi di risorse che al momento spesso non hanno e quindi non troverà facile recepimento in un periodo economico tanto contrastato ed incerto quale quello attuale.
Del resto, la stessa normativa vigente ammette per molte imprese l'adozione di sistemi contabili semplificati che mal si conciliano con l'istituzione e l'efficace funzionamento degli adeguati assetti. Basti pensare tra gli altri all'art. 2435 bis c.c. che consente l'adozione di bilanci in forma abbreviata, all'art. 2435 ter c.c. che semplifica ulteriormente la redazione del bilancio per le c.d. microimprese, alla possibilità di adottare una contabilità semplificata come previsto dall'art. 18 D.p.r. n. 600/1973. Ma pur considerando simili criticità o contraddizioni intrinseche al sistema, non si ritiene che, sulla base dell'attuale dettato degli artt. 2086 c.c. e 3 CCII gli adeguati assetti possano risolversi in meri test periodici eseguiti da professionisti di fiducia, perché solo conoscendo dall'interno l'impresa e le sue dinamiche commerciali e produttive è possibile apprezzare con sufficiente tempestività i segnali della futura crisi. Gli assetti quindi potranno consistere in concreto:
- nel reclutamento e nella formazione di personale addetto alla sorveglianza ed all'analisi dei parametri significativi sotto il profilo patrimoniale ed economico – finanziario,
- nell'adozione di mansionari e moduli strutturati di organigramma destinato ad operare le predette analisi,
- nella redazione periodica di budget previsionali di carattere patrimoniale, economico e finanziario,
- nell'acquisizione di risorse di carattere informatico che potranno rendersi utili per operare diagnosi e previsioni contabili e finanziarie,
- nella previsione di sistemi di controllo interno sull'operato del personale addetto e sulla sua formazione,
- nell'adozione di criteri di libera circolazione delle informazioni all'interno dell'impresa in modo che le criticità e le loro possibili conseguenze possano essere valutate con la necessaria tempestività.
Molto importante, tanto in una prospettiva di migliore funzionamento degli assetti, quanto di verifica di eventuali responsabilità dell'amministratore, sarà la procedimentalizzazione delle attività dell'apparato organizzativo mediante la predisposizione di regole scritte che definiscano funzioni, poteri e modus operandi del personale addetto.
Non di meno, gli esiti di questa attività di monitoraggio imporranno valutazioni non agevoli (perché tale spesso non è quella di formulare una prognosi di continuità aziendale per i successivi dodici mesi) nonché di ricavare informazioni complesse quali quelle indispensabili per redigere la lista particolareggiata ed il test di ragionevole perseguibilità di risanamento previsto per accedere alla composizione negoziata (art. 13 c.c.i.i.). Sicché è improbabile che i compiti vengano totalmente espletati all'interno dell'impresa, a meno che questa non abbia notevoli dimensioni e personale altamente qualificato.
Sarà necessario che l'impresa si giovi del contributo di professionisti esterni (in particolare commercialisti ed avvocati) che, essendo dotati dell'indispensabile bagaglio professionale, orientino l'amministratore nel difficile obiettivo di superare la crisi, pur a prescindere dall'obbligo generalizzato della difesa tecnica sancito dall'art. 9, comma 2, CCII.
Considerato che i doveri di adottare adeguati assetti organizzativi finalizzati a prevenire la crisi di impresa e di agire tempestivamente per affrontarla utilizzando gli strumenti posti a disposizione dell'ordinamento sono ormai codificati, può considerarsi pacifico che tanto il radicale inadempimento quanto l'inesatto adempimento di tali specifiche obbligazioni costituiscano potenziali fonti di responsabilità per gli amministratori.
Anzi, si può ipotizzare che saranno forse nel futuro uno dei principali fondamenti delle azioni di responsabilità che il curatore potrà attivare.
In una simile prospettiva non potrà che muoversi dalla conclusione che il modo attraverso cui l'amministratore adempie il dovere di istituire gli adeguati assetti organizzativi, contabili e amministrativi rientra nell'alveo della business judgment rule e che quindi allo stesso dovrà riconoscersi un'ampia discrezionalità.
Essa però non sarà certo insindacabile da parte del giudice, tutte le volte in cui sia stata esercitata in modo irragionevole e manifestamente imprudente e quando le decisioni assunte difettino di sufficienti verifiche istruttorie.
Perciò la giurisprudenza, con tutto quello che ho detto facendo riferimento all’uso delle clausole generali, svolgerà un ruolo decisivo e potenzialmente non rassicurante: judgment rule giurisprudenziale, di fatto?
Precisamente in questo senso, seppure al diverso fine di giustificare l'assunzione dei provvedimenti previsti dall'art. 2409 c.c., si veda Tribunale di Roma, 15 settembre 2020 in www.ilsole24ore.it e www.giurisprudenzadelleimprese.it, ove si nota:” mentre da un lato appare certo che la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comporti di per sé una responsabilità dell’organo gestorio, dall’altra, si ritiene possibile assoggettare a sindacato giudiziale la struttura organizzativa predisposta dall’amministratore nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza (e, precisamente in questo ambito secondo i criteri della adeguatezza), ciò al fine di verificare se fosse idonea a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo gestorio sia ragionevole e non manifestamente irrazionale. Ed è evidente che tale verifica andrà effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, ed a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati raggiunti”. Non sembrano affermazioni rassicuranti, intrise di giudizi di irrazionalità, proporzionalità, informazioni conosciute o conoscibili (concetti sui quali da Keynes sino alla moderna economia comportamentale che analizza gli andamenti di borsa e come si formano e i loro effetti sugli equilibri finanziari, si potrebbero scrivere volumi e ai quali, sommariamente, si farà cenno).
Per gli amministratori convenuti l'onere probatorio rischierà di essere particolarmente gravoso. E' certo che dinnanzi ad una allegazione di inadempimento o di inesatto adempimento da parte del curatore, sarà onere dell'amministratore provare di avere adempiuto in modo soddisfacente ai doveri.
Recente giurisprudenza [12] mette in evidenza il ruolo fondamentale dell’art 2086, comma 2, c.c. e ritiene che sia una grave irregolarità, che impone la nomina di un amministratore giudiziario, la mancata adozione di adeguati assetti da parte dell’organo amministrativo, ma altrettanto grave, se non addirittura più grave, è la mancata adozione di adeguati assetti da parte di un’impresa in una situazione di equilibrio economico finanziario.
Vi è la necessità di istituire adeguati assetti indipendentemente dalle circostanze e senza che l’eventuale condizione di sostenibilità economica dell’impresa possa costituire da discrimine, anche tacito.
Si afferma che gli assetti adeguati sono funzionali ad evitare che l’impresa “scivoli inconsapevolmente verso una situazione di crisi o di perdita della continuità” e hanno lo scopo di consentire all’organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali di crisi, dando la possibilità di predisporre le opportune iniziative. Da una parte si attribuisce agli adeguati assetti una funzione salvifica, come se avessero un’onnipotenza, che in economia non esiste .La letteratura economica, parliamo di quella che si occupa di macroeconomia per non interferire troppo sull’attività di impresa, è piena di esempi persino di Stati che se a un certo punto hanno squilibri o shock economici e hanno, come Stati, vari sistemi di prevenzione o previsione, non si può certo parlare di “colpa” e come gli shock possano essere improvvisi. Dall’altra parte sembra quasi ci sia una presunzione di colpa o responsabilità derivante dalla mancanza o, più subdolamente dalla semplice insufficienza (così ritenuta) degli adeguati assetti. Per conseguenza l’attenzione è stato detto in sede di commento che, per il Tribunale di Cagliari, ”circa la predisposizione di assetti adeguati deve essere maggiormente intensa proprio quando la società non si trova in crisi, perché in quella fase l’ente ha le risorse per predisporre le misure adeguate; invece, una volta che la crisi si è manifestata, ciò che risulta maggiormente rilevante non è tanto la (mancata) adozione di adeguati assetti, quanto piuttosto l’omessa o inefficace adozione di uno degli strumenti previsti dalla legge per fronteggiare la crisi”. Perciò ogni società in bonis, quale che sia la dimensione deve formare uffici studi, organismi che facciano previsioni microeconomiche, creditizie, che possano immaginare situazioni di credit crunch, di crisi energetiche (tipo anni 70 o odierne, non dico eventi bellici), non sapendo bene inoltre come si può atteggiare il rapporto causa - effetto in campo (macro)economico. Quelle che sono già in crisi sembrano in “colpa” per altri motivi. Comunque tutte, quasi sempre, di fatto, da “sanzionare”. E arriva l’amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c. [13]
Ma la sentenza cagliaritana, come altre e anche diverse esposizioni giuridiche soffrono di una scarsa attinenza e scarsa voglia di interfacciarsi con l’economia: uno dei pregi dell’opera di è stato quello di vedere nei problemi i due aspetti (economico e giuridico). Bisogna tenere conto degli aspetti anche macroeconomici che inevitabilmente hanno una ricaduta sulle imprese e famiglie, sugli individui, sugli aspetti microeconomici, ma anche giuridici.
L’inserimento della macroeconomia sugli atteggiamenti concreti di imprese e individui è un punto oramai assodato non solo da Keynes in poi ma da quando come si dice “macroeconomia: il tutto è maggiore della somma delle parti” e nel 1933 l’economista norvegese Ragnar Frisch coniò il termine macroeconomia. Vediamo con una piccola digressione di far comprendere il concetto sull’incertezza e sulle decisioni e anche sui conseguenti “adeguati assetti “e su certe pretese di marca solo giuridica ma che sono monche della parte economica.
Perché una cosa sono i sistemi di allerta, i segnali di un disequilibrio che inizia, altro è applicare certi principi e obblighi generali in altre situazioni.
4. L’incertezza in economia e nelle decisioni economiche è il tema ineludibile. Del quale la giurisprudenza non tiene forse a sufficienza conto. come già indicato si può cominciare con le classiche opere di Knight Frank, Risk, uncertainty, and profit (1921; trad it. 1960); Capital, time and interest rate (1934); The ethics of competition and other essays (1935); Freedom and reform (1948); The economic organization (1951); Essays on history and method of economics (1956); Intelligence and democratic action (1960), per arrivare a John Maynard Keynes (che per quanto ne sappia non ha riconosciuto il merito a Knight) nel Capitolo 12 della sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936). Per Keynes "Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvibile” e nel 1936 affermava, a proposito della borsa di Wall Street ,che quando era aperta almeno la metà' degli acquisti o delle vendite degli investimenti era intrapresa nella prospettiva ,da parte dello speculatore (che per lui era semplicemente di svolgeva un'attività che cercava di prevedere la psicologia del mercato mentre faceva attività di impresa di cercava di prevedere il rendimento futuro di un investimento nel corso della sua vita ) , di fare l'operazione inversa in giornata. E questo, aggiungeva, valeva anche per il mercato delle materie prime, non solo per i prodotti finanziari. Perciò tutto il mondo è paese e da secoli...
Esistono i cattivi o spesso le condizioni economiche cambiano senza che un imprenditore non solo possa farci nulla ma neanche prevederlo?
Persino gli Stati in deficit è dubbio che possano avere patenti di colpa o di cattivi e debbano soffrire come prezzo della loro pigrizia o debolezza.
Facciamo un banale esempio. Ci può essere uno shock esogeno che colpisce un paese (una volta un cattivo raccolto, adesso un improvviso aumento di una materia prima per via di una guerra, o un’inondazione o qualsiasi altro evento che comunque non dipende dalla colpa del paese).
-Arriva lo shock esogeno sopra indicato che colpisce il paese A e questo induce una riduzione delle importazioni dal paese B, perché il suo reddito (senza colpe) diminuisce.
- Si verifica perciò anche una riduzione delle esportazioni di B.
Niente è cambiato nelle esportazioni di A verso B (il cui reddito è costante ):è’ noto che se le importazioni dipendono dal reddito di un paese (più aumenta il suo reddito e più possono aumentare, a seguito dell’aumento dei consumi ,le sue importazioni), le esportazioni di un paese non dipendono dal suo reddito ma dal reddito degli altri paesi, quelli dove esporta (le esportazioni possono dipendere anche dalla competitività delle merci nazionali, dalla tecnologia ,dalla specializzazione ecc, ma non scendiamo in particolari).
Perciò siamo nella situazione che a seguito dello shock esogeno di A (senza colpa), questi ha ridotto le importazioni da B, ma le esportazioni di A verso B non si sono ridotte perché il reddito di B è invariato. Proseguiamo.
3-il paese B svilupperà un deficit della bilancia dei pagamenti e A un surplus.
A il paese che ha ridotto il reddito e le importazioni, ma non le esportazioni ha un surplus e B, quello che non ha ridotto il reddito, ha un deficit. Bel paradosso!
Ma gli effetti continuano.
4-Le esportazioni di B verso A sono una parte importante della domanda aggregata di B:se tale domanda si riduce, il reddito di B si riduce. Non rimane più invariato.
5-Ma se il reddito di B si riduce anche la sua domanda per A si riduce e così il reddito di A (che esporterà di meno verso B)
6-E così finché, dice la teoria ma è da vedere (dopo successivi aggiustamenti al ribasso) il deficit di B scompare e la bilancia commerciale di A torna in pareggio.
7-Ma viene ristabilito un equilibrio a un livello più basso di reddito e di occupazione per entrambi i paesi.
Ma senza che nessuno dei due abbia colpe specifiche o si possa fare, anche alla partenza graduatorie di virtuosità.
Tutto questo naturalmente influisce sulle imprese e i loro “adeguati assetti”?
L’esempio è astratto e molto semplificato ma rende l’idea.
Keynes diceva, a proposito delle patenti di pigrizia o debolezza da espiare che qualche paese voleva dare ad un altro, quando c’era il sistema del gold standard, con un’etica del gold standard che copriva di vergogna certi paesi per aver accumulato debiti, ma a beneficiarne spesso erano altri paesi in eccedenza, che nell’ordine internazionale, come nella vita ordinaria, che i mendicanti erano di rado i veri cattivi. Cioè il sistema del gold standard portava spesso alla deflazione e alla disoccupazione. Con una impostazione tutta morale. Si riteneva che insito nel sistema del gold standard vi fosse la concezione che la sofferenza era un prezzo da pagare perché un paese era pigro, indolente, cicala, debole ecc... Non capendo che se un paese aveva infrastrutture economiche poco efficaci era giusto che vi ponesse rimedio, ma che a volte i deficit della bilancia commerciale non dipendevano da colpe specifiche (aumento di materie prime di cui non si è dotati ad esempio, comunque le nazioni avevano deficit commerciali perché dovevano e non perché erano più o meno avventate rispetto a quelle che avevano un surplus che spesso non avevano meriti). Non si dica che queste sono politiche economiche generali e prevedibili. La loro adozione, il loro cambiamento, decisioni all’interno di un’impostazione, cambiano molto le cose. Le modifiche periodiche o continue degli adeguati assetti, anche se fossero possibili, spesso sono inutili. Soprattutto far discendere da un obbligo generale conseguenze giuridiche, persino ex art. 2409 per tornare alle norme.
Ma guardiamo al settore finanziario e bancario e se uno shock lo colpisce. Si dice spesso che il settore finanziario e bancario sia come una cipolla. Sfogliando uno strato dopo l’altro, ci si chiede se in definitiva esista un nucleo solido! Ora con la crisi energetica che mette in crisi aziende molto solide che avranno ricevuto finanziamenti e fidi dalle banche, fidi e finanziamenti ritenuti sicuri, non c’è il rischio di una crisi anche nel settore finanziario? Anzi di una doppia crisi:
1-nel settore finanziario perché certi finanziamenti e fidi diventano non più sicuri e solvibili. Anche magari quelli dati alle famiglie. Non solo alle imprese;
2- una crisi nel settore del credito perché le banche potrebbero diventare riluttanti al prestito avendo problemi di solvibilità. Quando c’è una crisi del credito l’economia si arresta perché non concedendo più prestiti.
A proposito delle interconnessioni e di effetti sfavorevoli ma improvvisi che possono verificarsi su soggetti ma anche su imprese e sono eventi per il singolo o per la singola impresa imprevedibili e comunque improvvisi e non governabili, per mancanza oggettiva di informazioni, che non sono in possesso neanche degli enti preposti e che anche se ognuno le avesse non potrebbe farci nulla, nel 2008 a seguito dei noti fatti si verificò un fenomeno di contagio finanziario che è stato tale da provocare drammi per coloro che ne sono colpiti senza che ne abbiano, quasi responsabilità. Se gli amministratori della Lehman Brothers o della A.I.G, ecc... possono meritare, a certe condizioni, punizioni almeno morali, altri no. Il circolo vizioso del deleveraging fa sì che un'istituzione finanziaria che si trovi sotto pressione cerca di vendere le proprie attività per procurarsi liquidità. Vendendo le attività rapidamente, spesso deve venderle a sconto. Il contagio deriva dal fatto che altre istituzioni finanziarie detengono attività simili, i cui prezzi diminuiscono a causa della vendita "a ogni costo". Il calo dei prezzi innesca una spirale perversa. La diminuzione dei prezzi di queste attività danneggia le altre istituzioni finanziarie, inducendo i rispettivi creditori a bloccare i prestiti. Le istituzioni finanziarie sono a loro volta costrette a vendere a ogni costo le loro attività per avere liquidità ed evitare il fallimento, alimentando la caduta dei prezzi. Nei mesi successivi al tracollo della Lehman questo fenomeno si manifestò in tutta la sua evidenza, mettendo in crisi non solo il sistema, ma dimostrando che lasciar fallire il colpevole, tipo la Lehman, se può essere giusto, non è responsabile.
I prezzi di una vasta gamma di attività detenute dalle istituzioni finanziarie, dalle obbligazioni societarie, ai titoli rappresentativi di cartolarizzazioni di prestiti studenteschi (erano coloro che solamente volevano studiare in una Università prestigiosa a pagare anche per la Lehman!) crollarono sotto la pressione di un'ondata di vendite. Comunque torniamo a certe pratiche che coinvolgono addirittura gli Stati a loro insaputa. Il carry trade è un sistema per il quale si prende a prestito soldi in paesi che applicano bassi tassi di interesse, come la Russia o il Brasile. Dopo il fallimento della Lehman, è avvenuto un fenomeno ben descritto da Krugman che è simile a quello che era avvenuto già in precedenza in Giappone. Dice l'autore "Il travaso di fondi dal Giappone in altri paesi a bassi tassi di interesse si era bloccato....Siccome i capitali non uscivano più dal Giappone, il valore dello yan è aumentato; e siccome i capitali non entravano più nei mercati emergenti, il valore delle loro monete è diminuito. Ciò ha causato grandi perdite sul capitale per tutti coloro che si erano finanziati in una divisa e avevano concesso prestiti in un'altra. ...le aziende dei mercati emergenti che si erano finanziate a basso costo all'estero, si trovassero improvvisamente a contabilizzare grosse perdite "(Paul Krugman)
Certi governi come quello russo, ad esempio, che credevano di non dover subire effetti dalle vicende Usa o Lehman, hanno scoperto, quasi a loro insaputa appunto, che i loro tentativi, magari di corretta amministrazione o di isolamento, venivano vanificati dalla ingiustificata propensione al rischio del settore privato. In Russia, le banche o le aziende erano andate a finanziarsi in massa all'estero perchè i tassi di interesse erano più bassi di quelli praticati sul rublo. Il governo russo, diciamo formica, aveva riserve estere per 560 miliardi di dollari, ma le banche o le aziende avevano debiti esteri per 460 miliardi di dollari. Improvvisamente queste aziende e banche si sono trovate con le linee di credito bloccate, mentre il valore in rubli dei loro debiti saliva. Egualmente per le banche brasiliane, che magari non avevano loro personalmente forti esposizioni all'estero, anche loro formiche, ma i loro clienti nazionali purtroppo si.
Per questo ho detto che i controlli e i requisiti devono essere eguali per tutti e che le conseguenze negative possono colpire tutti, dallo studente che ha fatto un prestito per andare all'università e al quale viene revocata una linea di credito, pur pagando puntualmente, ma anche a chi, Stato o altri è stato, persino una formica.
Ritornando al diritto, tra l’altro, con l’impostazione, che sembra prevalere in giurisprudenza diventa una conseguenza ritenere gravi irregolarità la mancata predisposizione degli assetti, ma anche l’inadeguatezza degli assetti medesimi, cui è da aggiungere la mancata verifica periodica della loro adeguatezza. Se per gli interessi degli stakeholders questi temi e aspetti possono essere logici con riferimento alle s.p.a., anche senza fare distinzioni, per le altre società diventano oneri notevoli. L’organo di controllo, poi, con questa impostazione che fa propria, come dice il Tribunale di Cagliari la visione che gli assetti adeguati, in società in bonis, sono “funzionali proprio per evitare che l’impresa scivoli inconsapevolmente in una situazione di crisi”, saranno spinti ad essere più realisti del Re? Ma, posto che è legittimo che un organo di controllo non sia stato nominato, quando i soci abbiano deciso, come consente l’art. 2477 c.c. in tema di S.r.l., di nominare un revisore, sia in caso di nomina facoltativa (art. 2477, comma 1), questa mancanza come viene valutata? Forse il legislatore dovrebbe fare almeno uno sforzo di coordinamento. [14] Il nuovo Codice della crisi d’impresa, che non riguarda solo le imprese in stato di insolvenza o in grave crisi, ma contiene norme dirette a tutte le società, può diventare dirigista? Nel tentativo di prevenire, di tutelare, prevenendo ogni cosa o evento, gli stakeholders, attraverso l’art. 2086 cc fa richiamo agli strumenti delineati all’art. 2381 “applicabile anche alle S.r.l, che sono bilancio, budget e cash flow da redigersi e valutarsi almeno a cadenza semestrale” (Giuseppe Verna). Questo per tutte le S.r.l., anche quelle unipersonali. Non dovrebbe essere facile sindacare la decisione di intraprendere l'uno piuttosto che l'altro strumento di regolazione.
Dovrebbe essere verosimile, infatti, che la scelta sarà stata assunta con l'ausilio di un professionista terzo, al giudizio del quale l'amministratore, attesa la particolare complessità della materia, non potrà che rimettersi in larga misura. Piuttosto si potrà sindacare la tempestività dell'adozione di tali iniziative, ma il tema è inscindibilmente connesso alle modalità di emersione dei segnali della imminente crisi, alla loro gravità ed alla complessità dell'impresa, sì che non pare possibile svolgere in punto di tempestività considerazioni di carattere astratto che abbiano un reale significato e rilievo. Assai più problematico è per l'amministratore dare prova di aver dotato l'impresa di “adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile”. Questo onere lo impegnerà su due fronti distinti, sebbene collegati. Il primo è quello di provare che gli assetti erano stati istituiti ed il secondo che essi erano adeguati, ovvero idonei e funzionali a rilevare le potenziali crisi sopravvenienti. E' perciò evidente che solo qualora gli adeguati assetti siano stati oggetto di procedimentalizzazione per iscritto (e quindi siano state individuate le figure aziendali destinate ad occuparsene, i loro poteri e doveri e le procedure da seguire per appurare il pericolo di crisi, etc.) l'amministratore sarà in grado di fornire prove idonee ad esimerlo da responsabilità. Non pare infatti, credibile che la prova dell'adempimento di tali obbligazioni possa avvenire mediante prove orali. Va invero considerato non soltanto il tempo che spesso intercorre tra i fatti e il loro vaglio giudiziale, ma anche il disgregarsi dell'organizzazione imprenditoriale che segue l'apertura della liquidazione giudiziale, sulla quale quindi l'amministratore non potrà più fare conto quando si troverà chiamato a fornire prova dell'esatto adempimento .Parimenti (atteso che non sarà sufficiente che gli adeguati assetti vengano istituiti, ma si dovrà anche appurare che funzionino) pure l'attività di monitoraggio dell'andamento dell'impresa attuato dagli assetti organizzativi dovrà provarsi per iscritto o comunque in un modo che possa essere a posteriori agevolmente documentato. Non è chi non veda insomma che gli oneri probatori posti a carico dell'amministratore in caso di azione di responsabilità saranno perciò ponderosi ed impegnativi.
Il recente D.Lgs. n. 136/2024 non muta il quadro delineato in generale.
Lo affina nell’ambito di una pretesa, come ho detto tipica da Minority Report, per cercare di cogliere indizi o prove di pre-crisi, creando obblighi, oneri e relativi costi che, spero, non siano essi stessi tali da far precipitare la pre-crisi in crisi. Sia per i costi in sé, sia per l’opera di professionisti, che potrebbero, a scopo cautelativo, gridare spesso “al lupo”.
La prima novità riguarda l’art. 3 del CCII che ha la finalità di dare una corretta e più appropriata lettura al concetto di tempestiva indicazione di segnali di crisi.
In particolare l’intervento è espresso dal quarto comma della norma in esame alla luce del quale: “Costituiscono segnali che, anche prima dell’emersione della crisi e dell’insolvenza agevolano la previsione di cui al comma 3”.
I segnali previsti dall’art. 3, comma 4, CCII come di per sé indicatori di una precrisi che, sulla base della relazione illustrativa vanno intesi come elementi che forniscono indicazioni in chiave prospettica.
E’ evidente che gli adeguati assetti dovranno essere in grado di captare anche segnali di precrisi o probabilità di crisi.
La definizione di questa condizione la si rinviene nell’art. 12, comma 1, CCII che, nell’ambito della composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa, pone evidenza alla situazione di “squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”.
La seconda novità di interesse, quanto al tema in esame, la si rinviene all’art. 25 octies CCII “Segnalazioni dell’organo di controllo o del soggetto incaricato della revisione legale”.
La norma, pur non avendo un nesso diretto con gli assetti riveste una importanza indiretta di rilievo perché sottolinea l’importanza delle segnalazioni inserendo tra i soggetti tenuti a tale adempimento anche l’incaricato della revisione legale oltre all’organo di controllo. Il legislatore fornisce precise indicazioni ai soggetti tenuti alle segnalazioni.
Quanto al dovere di segnalazione a carico dell’organo di controllo e del revisore nell’ambito degli articoli 25 octies e 25 novies CCII si distinguono due tipi di segnalazione indotte da:
- Allerta interna (art. 25 octies CCII): sulla base di questa è previsto che l’organo di controllo e il revisore (nell’esercizio delle rispettive funzioni) in caso di segnali di crisi o di insolvenza devono informare in forma scritta l’organo amministrativo della sussistenza dei presupposti per la presentazione della istanza per la composizione negoziata della crisi ex art. 17 CCII. L’indicazione della relazione ha una precisa rilevanza.
Infatti:
- se per il sindaco la situazione di crisi o di insolvenza diventa riscontrabile non solo nell’ambito dei controlli trimestrali, della partecipazione ai CDA, la domanda che ci si pone è cosa cambia per il revisore rispetto al contesto operativo in cui ha operato sino al 27/9/2024.
- Orbene, il revisore, in merito alla crisi e alla insolvenza, fino alla modifica del correttivo, è stato chiamato a valutare la ricorrenza del principio di continuità (ISA Italia 570), valutazione che normalmente viene effettuata in sede di controllo del bilancio di esercizio.
Dal 28/9/2024, ai sensi dell’art. 25 octies, dovrà anche procedere alla segnalazione nel caso ricorrano le ipotesi di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) e b) (crisi e insolvenza).
Il revisore, peraltro, non avendo contatti continui con la governance/CDA, dovrà “coltivare” rapporti collaborativi con il collegio sindacale/sindaco unico.
- Allerta esterna (art. 25 novies CCII): tale previsione ha subito una importante modifica; nella prima versione ante D.Lgs. n. 83/2022 i creditori pubblici qualificati, al superamento di soglie (basse) sui debiti dell’imprenditore segnalavano a quest’ultimo, all’OCRI (soggetto che in caso di insuccesso del percorso assistito avrebbe dovuto segnalare al PM al fine di far aprire la liquidazione giudiziale) e all’organo di controllo il superamento dei limiti.
Nella attuale versione la segnalazione che proviene dai creditori pubblici qualificati viene limitata all’organo amministrativo e a quello di controllo.
La segnalazione rappresenterà lo strumento di stimolo agli amministratori finalizzato al tentativo di superare la situazione di crisi, avendo sempre ben presente che lo strumento base per verificare sia la continuità che segnali di crisi o precrisi, rimane sempre l’adeguatezza degli assetti amministrativi, organizzativi e contabili.