Procedendo verso la questione della estensione della business judgment rule alle scelte di tipo organizzativo, si registra un orientamento dottrinale di segno negativo [35]. Si tratta di un approccio che limita questa rule alle sole scelte gestionali in senso stretto e quindi non estensibile al rispetto o meno dei doveri incombenti sugli amministratori. In effetti per come sin qui esposto, l’adozione degli assetti integra un dovere da parte degli amministratori, e per di più funzionale a quella che definiamo allerta interna secondo la prospettiva Rordorf.
Questa impostazione dottrinale in effetti coglie un aspetto centrale, ovvero quello in base al quale lo spettro dei doveri incombenti sugli amministratori è in generale sottratto ai profili di discrezionalità, atteso che questi più che altro attengono all’esercizio del potere gestorio. In questo senso, dunque, la dottrina richiamata è del tutto condivisibile, trattandosi allora di spostare la valutazione della portata della business judgment rule dal piano dei doveri a quello dei poteri degli amministratori e quindi al modo attraverso il quale questi poteri vengono esercitati [36], cercando anche di cogliere la dimensione teleologica degli stessi doveri.
Colta questa precisazione, si può certamente andare a verificare la sussistenza o meno di limiti al potere gestorio e la loro estensione ed intensità che, evidentemente, saranno modulati in modo diverso a seconda che il potere gestorio è esercitato per adempiere ad un dovere a contenuto generale o a contenuto specifico, in ragione della variazione o della limitazione/esclusione della discrezionalità che ne consegue.
Si tratta allora a questo punto di verificare la portata del dovere organizzativo. Al riguardo se da un lato è condivisibile, per come già evidenziato, che il dovere di adottare adeguati assetti sia una specificazione del generale dovere di corretta amministrazione, tuttavia non sembra che questo dovere abbia un contenuto specifico [37].
Diverse ragioni letterali e di sistema orientano verso questa conclusione.
In primo luogo la formulazione delle norme di cui agli artt. 2086 e 2381 c.c. lascia trasparire una modulazione aperta del dovere organizzativo. In dottrina è stato sottolineato l’uso dell’aggettivo “adeguata” per evidenziare che la scelta organizzativa necessita di una modulazione che non può essere individuata a priori, ma che deve adattarsi alla natura ed alla dimensione della impresa con continui aggiustamenti ed assestamenti attraverso quei compiti diversificati di cura, valutazione e vigilanza articolati tra plenum, organo delegato e collegio sindacale [38].
Si profila quindi un giudizio di congruità in riferimento agli assetti che potrà essere riscontrato facendo riferimento alle buone prassi gestionali definite dalla scienza aziendalistica proprio per dare consistenza concreta al criterio generale di adeguatezza che, peraltro, va anche visto e declinato in una dimensione dinamica conseguente appunto alla natura dell’attività di impresa [39].
Per altro verso, sul piano sistematico, il dovere organizzativo va coordinato con la suddetta ripartizione di competenze nell’ambito degli organi societari e con il dovere di agire informato degli amministratori.
Questa constatazione porta a ritenere che la scelta organizzativa sia mediata dall’azione interorganica e dallo scambio delle informazioni per garantire la gestione efficiente dell’impresa. Basta il richiamo a quanto dispone l’art. 2381, comma 3, c.c. laddove appunto si prescrive che il Cda “sulla base delle informazioni ricevute” valuta l’adeguatezza dell’assetto [40], per comprendere che l’adeguatezza va valutata ed apprezzata in una visione complessiva del sistema gestionale societario entro il quale intervengono anche criteri di proporzionalità [41].
Andando quindi ad analizzare l’esercizio del potere gestorio, non sembra revocabile in dubbio che in relazione agli assetti gli amministratori esercitino un potere discrezionale che si presenta funzionale, con diverse modalità e diversi ruoli, al rispetto di quei doveri di cura e di valutazione degli assetti previsti appunto in capo agli amministratori [42]. Del resto sappiamo che nei contesti organizzati ad ogni dovere non può che corrispondere anche un potere necessario per adempiere a tale dovere; potere che ha una sua portata ed una sua estensione proporzionale al dovere che deve essere adempiuto.
Sotto questo profilo di proporzionalità possiamo dunque a ben vedere rintracciare profili di discrezionalità che possono essere coperti dalla rule in esame.
La giurisprudenza di merito ha di recente risposto positivamente al quesito dell’applicazione di questa rule alle scelte organizzative riportandole, in definitiva, nell’ambito delle scelte strategiche che in effetti implicano l’esercizio del potere gestorio [43].
Più precisamente, la giurisprudenza richiamata argomenta la propria decisione soffermandosi a ritenere che l’obbligo organizzativo non è a contenuto specifico e che quindi il suo adempimento può avvenire in concreto secondo diverse modalità e diverse scelte che vanno appunto valutate in riferimento al contesto cui si riferiscono. Da qui l’applicazione della rule in esame.
Pertanto, dalla constatazione della configurazione dell’obbligo organizzativo come obbligo generale, la giurisprudenza citata individua un ambito di discrezionalità per il relativo potere organizzativo il cui esercizio potrà essere scrutinato sotto il profilo della legittimità e della ragionevolezza della relativa decisione.
In altri termini, il giudice può sindacare l’esercizio del potere gestorio, e quindi anche organizzativo, per verificare il metodo attraverso il quale la scelta è stata compiuta e se essa si presenta ragionevole e coerente rispetto alle valutazioni ed agli approfondimenti preliminari compiuti nel corso del processo decisionale.
Ora se da un lato è condivisibile l’assunto in base al quale anche le scelte organizzative, nella loro dimensione di potere gestorio, sono coperte dalla business judgment rule, perché rientranti nella visione strategica della gestione di impresa, nondimeno però occorre oggi tenere conto della nuova formulazione dell’art. 2086 c.c., di portata generale per la gestione societaria e collettiva, in punto di previsione di assetti che devono essere non solo adeguati ma “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi”.
É da ritenere dunque che accanto ai limiti della legittimità e della ragionevolezza della scelta organizzativa, si debba anche tenere conto, nello scrutinio critico della relativa scelta, del criterio fondamentale della funzionalità per la rilevazione della crisi.
Ma dobbiamo ancora aggiungere un’altra considerazione.
Il futuro nuovo impianto di disciplina della crisi, con l’introduzione del sistema di allerta (seppure con le esclusioni di cui all’art. 12, commi 4 e 5) del c.c.i.i., finirà per condizionare ancora di più le scelte organizzative degli amministratori, i quali evidentemente non potranno in futuro prescindere dalla operatività dell’allerta ed in particolare di quella c.d. interna. Difatti, il citato art. 12, comma 1, precisa che “Costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli artt. 14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione.”
Gli obblighi di segnalazione “unitamente” agli obblighi organizzativi compongono dunque il complesso sistema degli strumenti di allerta [44].
Potendosi forse arrivare a sostenere che l’obbligo organizzativo, funzionale alla rilevazione della crisi, andrà ad assumere una connotazione a contenuto speciale, cui potrebbe conseguire un obbligo di osservanza in punto di rilevazione tempestiva degli indicatori di crisi, con un maggiore vincolo per la scelta organizzativa degli amministratori secondo questa specifica prospettiva funzionale.
Del resto tra i doveri previsti dalla riforma Rordorf spicca quello di cui all’art. 3, comma 2, secondo il quale l’imprenditore collettivo “deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’art. 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”. Laddove appunto l’adeguatezza non è riferita solo alla natura ed alla dimensione della impresa, ma in termini più circoscritti e specifici alla rilevazione tempestiva della crisi. E ciò per l’ovvia considerazione che la gestione del rischio connota in modo pregnante la gestione di impresa e, in termini più complessi, quella societaria.
Per cui, al riguardo, ci potrà essere un margine di discrezionalità nella definizione dell’assetto; ma tale margine risulterà molto più ridotto, per l’indicazione appunto di una specifica funzione, rispetto a quanto non sia il criterio organizzativo riferito genericamente alle scelte strategiche di impresa.
Da questa considerazione ne discende un rafforzamento della dimensione strumentale e funzionale dell’organizzazione. Per cui il principio della business judgment rule implicherà il vaglio delle scelte organizzative non solo secondo i criteri della legittimità e della ragionevolezza, ma anche appunto secondo quello più stringente (e diremmo anche più specifico) della necessaria funzionalità al sistema di allerta [45].