Alla luce di quanto rappresentato nei precedenti paragrafi, occorre innanzitutto chiedersi se il “PRO” disciplinato dall’art. 64 bis del Codice, anche in ragione della sua collocazione, possa configurarsi come una fattispecie speciale degli accordi di ristrutturazione soggetti a omologazione o del concordato preventivo con continuità aziendale, in un rapporto da genus a species. Se così fosse, infatti, non vi sarebbe necessità di ricorrere a un’interpretazione estensiva del comma 4 ter dell’art. 88 (vietata dall’ordinamento tributario, data la finalità agevolativa della norma), perché le sopravvenienze attive derivanti da tale istituto risulterebbero automaticamente comprese tra quelle ivi contemplate.
In proposito occorre evidenziare che, come si legge nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 83/2022, il “PRO” risponde all’esigenza di dare attuazione all’art. 11, par. 1, della Direttiva Insolvency mediante la previsione di una tipologia di piano il cui contenuto possa essere predeterminato liberamente dal debitore derogando ai principi generali dettati in materia di responsabilità del debitore (art. 2740 c.c.), par condicio creditorum e ordine delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.) purché intervenga mediante il giudizio di omologazione il controllo del tribunale sul (corretto) classamento dei creditori, sulla formazione unanime del consenso delle classi dei creditori e sulle regole di distribuzione adottate nel caso concreto. Si tratta testualmente di uno strumento “che riduce al minimo la fase dell’ammissibilità, fornisce al debitore una maggiore libertà di azione – tranne che per i lavoratori, che non sono mai considerate parti interessate e non votano - ma per poter essere omologata richiede l’approvazione di tutte le classi”.
Il “PRO”, dunque, si inserisce tra gli strumenti c.d. preventivi dell’insolvenza ovvero tra gli strumenti che anticipano, per evitarla quanto più possibile, la liquidazione giudiziale, ma che, a causa di continui rinvii agli altri istituti e in particolare al concordato preventivo, presenta una natura ibrida, anche alla luce della sua collocazione in una via mediana tra accordo di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa e concordato preventivo in continuità aziendale[1]. Senonché nel “PRO” è assente l’aspetto negoziale tipico degli accordi di ristrutturazione dei debiti, per i quali le possibilità di estensione degli effetti dell’accordo ai non aderenti è retta da condizioni inderogabili, visto il principio per cui i creditori dissenzienti devono essere soddisfatti integralmente. Sebbene sussistano differenze fra i due istituti, poiché nel concordato vige il principio maggioritario che determina la vincolatività del piano omologato per tutti i creditori, forse sul piano procedurale il “PRO” presenta caratteristiche similari al concordato preventivo, essendo anche per tale istituto prevista la nomina del commissario giudiziale (e del pre-commissario in caso di procedura con riserva) e del giudice delegato, oltre a un regime di autorizzazioni alla contrazione di finanziamenti prededucibili, alla previsione del voto dei creditori e alla esdebitazione che si estende verso tutti i creditori (inclusi quelli dissenzienti). Tuttavia, il “PRO” si distanzia in maniera esiziale dal concordato preventivo per l’assenza di una regola distributiva e dunque perché non si tratta di una procedura concorsuale in senso stretto[2], sicché gli artt. 64 ter e 64 quater del Codice prevedono la possibilità di convertirlo in concordato preventivo e viceversa. In questa prospettiva il legislatore ha sentito la necessità di dare un nome specifico alla disciplina, parlando di “piano di ristrutturazione soggetto a omologazione” e non di “concordato preventivo”, proprio perché nel concordato in continuità aziendale la regola del rispetto delle cause di prelazione è stata mantenuta nei termini di cui all’art. 84, comma 6, e dunque per “evitare che un piano privo di vincoli di distribuzione rappresentasse la base di un concordato (…). Al tempo stesso si è doverosamente escluso che si trattasse di un accordo di ristrutturazione, dato che, diversamente da questo, il piano in questione non è basato sulla volontà negoziale vera e propria, ma su una volontà comunque raggiunta in base a regole di maggioranza. Per queste ragioni il piano di ristrutturazione è stato tenuto separato dal concordato e dagli accordi, dando però, nella logica della fluidità tra strumenti impressa dalla Direttiva, la possibilità di conversione dal piano al concordato contemplata dall’art. 64 ter CCII anche nel caso inverso, quando il debitore che ha presentato la domanda di concordato preventivo, finché non siano iniziate le operazioni di voto, chieda l’omologazione del piano di ristrutturazione”[3]. Pertanto, nonostante la sua natura ibrida, in realtà il “PRO” non può che configurarsi come istituto autonomo le cui regole richiamano di volta in volta altri istituti previsti dal Codice, con il ricorso al quale il debitore non subisce alcuno spossessamento e mantiene su di sé la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa.
Stando così le cose, e non essendo altresì ammessa un’interpretazione estensiva della disposizione contenuta nel comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR se e in quanto considerata come norma fiscalmente agevolativa (per le ragioni rappresentate nel paragrafo che precede), occorre però evidenziare che il “PRO” condivide con gli altri istituti ivi contemplati la medesima funzione, ovverosia consentire la soluzione della crisi per evitare la liquidazione giudiziale, come dimostra inequivocabilmente la sua collocazione nonché il frequente richiamo (in particolare) alle disposizioni in tema di concordato preventivo.
In considerazione della funzione e della ratio dell’istituto, quale emerge anche dalla relazione illustrativa a commento dell’art. 16 D.Lgs. n. 83/2022, non v’è ragione per escludere dall’agevolazione de qua le riduzioni dei debiti derivanti dal “PRO”, non sussistendo alcuna differenza rispetto a quelle derivanti dalla conclusione degli accordi di ristrutturazione dei debiti da omologare o dagli accordi che sono alla base dei piani attestati di risanamento ovvero ancora rispetto a quelle discendenti dal provvedimento giudiziario che omologa la domanda di concordato preventivo: in tutti queste ipotesi, infatti, la riduzione dei debiti è la misura necessaria per consentire all’impresa debitrice di uscire dalle crisi in cui si trova. La suddetta esclusione si rivelerebbe perciò illegittima sotto il profilo costituzionale, visto che, secondo le prescrizioni della Corte costituzionale, il “PRO” e gli istituti attualmente menzionati dal comma 4 ter “appaiono effettivamente rispondere a una medesima ratio” e presentano “l’elemento oggettivo comune” costituito dalla risoluzione della crisi, sebbene disciplinati da regole parzialmente diverse. Inoltre essa si potrebbe rivelare foriera di effetti distorsivi della libera concorrenza, con conseguente violazione dell’art. 41 Cost., attribuendo un regime fiscale più favorevole alle imprese che hanno fatto ricorso agli istituti al momento espressamente elencati dall’art. 88, comma 4 ter, del TUIR (tra i quali rientrano - per effetto dell’art. 25 bis, comma 5, del Codice) anche il contratto e l’accordo di cui all’art. 23, comma 1, lett. a) e c), conclusi all’esito della procedura della composizione negoziata della crisi e pubblicati nel registro delle imprese).
L’esclusione della detassazione delle riduzioni dei debiti derivanti dal “PRO”, dunque, integrerebbe una irragionevole e ingiustificata discriminazione rispetto al regime fiscale accordato a quelle derivanti dagli altri istituti contemplati dal comma 4 ter, che il giudice delle leggi sarebbe sicuramente chiamato a rimuovere dichiarandone l’illegittimità qualora - come risulta - gli uffici territoriali dell’Agenzia dovessero ritenere non applicabile tale norma al “PRO”.
A quest’ultimo proposito, a quanto consta, il rifiuto dell’Agenzia di comprendere le sopravvenienze attive da “PRO” nel comma 4 ter risiede, paradossalmente, proprio nella previsione contenuta nell’art. 9 della dapprima citata L. n. 111/2023, con cui il Governo è stato delegato dal Parlamento a coordinare il testo del suddetto comma con gli istituti del Codice, visto che a modificare detto comma non si era direttamente provveduto in occasione della sua entrata in vigore; ciò perché gli uffici dell’Agenzia stanno erroneamente interpretando la prevista modifica del comma 4 ter come espressione della volontà legislativa di estendere il regime agevolativo a favore di istituti cui altrimenti non spetterebbe.
Invece la delega in commento risponde allo scopo esattamente opposto, ovverosia quello di aggiornare il testo del comma 4 ter inserendovi il riferimento ai nuovi strumenti di regolazione della crisi d’impresa nel frattempo introdotti dal legislatore, i quali non erano ancora disciplinati al momento dell’emanazione del D.Lgs. n. 147/2015 e perciò non potevano esservi menzionati. Si tratta dunque di un adeguamento automatico, che segue in maniera naturale l’evoluzione della normativa degli strumenti di composizione della crisi d’impresa e la cui effettuazione è stata disposta dalla L. n. 111/2023 proprio per scongiurare la declaratoria di incostituzionalità dapprima evidenziata, non essendo oggettivamente rinvenibile alcuna ragionevole giustificazione per discriminare il trattamento fiscale delle riduzioni dei debiti derivanti dal nuovo istituto di composizione della crisi denominati “PRO” rispetto a quello riservato alle riduzioni dei debiti derivanti dall’omologazione della domanda concordataria o degli accordi di ristrutturazione ovvero in caso di pubblicazione nel registro delle imprese dei piani attestati o degli accordi conclusi all’esito della composizione negoziata.
Il previsto ampliamento del novero degli istituti cui si applica la detassazione di cui al comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR prescritta dall’art. 9 della L. n. 111/2023, infatti, ha evidente natura meramente ricognitiva di un principio immanente che concerne tutti gli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dal Codice, sia di quelli preesistenti al Codice della crisi sia quelli introdotti da tale provvedimento legislativo, ovverosia ridurre l’onere fiscale naturaliter connesso all’esdebitazione per favorire la risoluzione della crisi, salvaguardare la prosecuzione dell’attività d’impresa ed evitare l’alternativa della liquidazione giudiziale.