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Il concordato preventivo in continuità aziendale diretta - Costruzione di un caso pratico

Federico Clemente, Dottore Commercialista in Bergamo
Lorenzo Corati, Dottore in Economia Aziendale

20 Ottobre 2023

Nella fattispecie oggetto di studio si propone l’analisi di una proposta concordataria in continuità aziendale diretta nella quale possano trovare collocazione le molteplici leve per il soddisfacimento del fabbisogno concordatario. Tra le soluzioni operative per il reperimento della liquidità necessaria, le più comuni oltre alla formazione di flussi conseguenti alla gestione ordinaria erano, e permangono, le operazioni sul capitale sociale, la liquidazione parziale degli attivi e il ricorso a finanziamento di terzi. Ad esse si può aggiungere lo spostamento di debiti al di fuori dell’arco temporale interessato dal piano.
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1 . Il caso
Si ipotizzi che la società Alfa S.r.l. versi in una condizione di crisi e, per poter ristrutturare il proprio debito e sanare la propria posizione debitoria, valuti il ricorso alla procedura di concordato preventivo in continuità diretta.
La situazione patrimoniale della società, alla data di analisi, è così dettagliata:

Attivo societario
Passivo societario
Si procede all’analisi delle varie alternative liquidatorie, con particolare attenzione al confronto tra la liquidazione giudiziale e il concordato preventivo in continuità aziendale, per poter valutare l’effettiva convenienza di quest’ultima rispetto all’ipotesi di cessazione dell’attività d’impresa (art. 84, comma 1, CCII), e le conseguenti possibilità di degrado delle poste debitorie (art. 84, comma 5).
In questo ambito non si vuole approfondire la delicata tematica della cosiddetta finanza esterna e interna[1], né quella della approvazione del concordato e della sua omologazione.
Lo schema condotto presuppone che la liquidità prevista dal piano venga distribuita ai creditori secondo le regole della cd. priorità assoluta, fino a concorrenza di quanto prevedibile in ambito di liquidazione giudiziale, e secondo le regole della priorità relativa quanto alla liquidità ulteriore [2].
Nella prospettiva della liquidazione giudiziale[3], si ipotizzi che le valutazioni conducano alla previsione di soddisfare:
- integralmente le spese di procedura prededucibili;
- integralmente la banca con ipoteca sull’immobile A;
- per euro 330 la banca con ipoteca sull’immobile B;
- integralmente le prelazioni mobiliari relative a dipendenti, fornitori, artigiani e INPS;
- in una percentuale pari circa al 27% i debiti per imposte dirette e relative sanzioni.
Il totale dell’attivo realizzato in sede liquidatoria ammonta a 2.240. 
La quota della massa mobiliare è pari a circa il 49% (1.100/2.240=0,4911) e la quota della massa immobiliare è pari a circa 51% (1.140/2.240=0,5089). Tale percentuale deve essere utilizzata per la ripartizione tra le masse delle spese generali; a ciascuna massa devono poi essere imputate le spese specifiche.
Le spese di procedura vengono stimate in complessivi 220 (80 curatore e 140 spese di gestione e fondo rischi e oneri). Vengono imputate spese per 120 alla massa mobiliare e per 100 alla massa immobiliare e, tra i due creditori ipotecari, 70 all’ipotecario A e 30 all’ipotecario B.
Il passivo soddisfatto in ipotesi di liquidazione giudiziale è così articolato:
[4] [5] [6] [7]
Nulla, conseguentemente, per i creditori chirografari.
Ciò comporta che possono essere oggetto di degrado:
- i debiti per imposte dirette e relative sanzioni (pari a complessivi 1.625) per euro 1.185 (vengono pagati in prelazione per 440, di cui 330 da massa mobiliare e 110 da massa immobiliare);
- il debito verso la banca con ipoteca sull’immobile B per euro 470 (viene pagato in prelazione per 330).
2 . La proposta concordataria
Il passivo concordatario, dunque, per effetto delle poste degradate al chirografo potrebbe essere così rappresentato:
Si immagini di prospettare il riconoscimento ai creditori chirografari del 10,00%, e quindi Euro 1.870.
Il fabbisogno concordatario è dunque pari a complessivi Euro 4.280 così determinato:
Si pone ora il tema di quali soluzioni la società possa prospettare per formare, nell’arco del piano, la liquidità necessaria per far fronte al fabbisogno concordatario (fatte salve, ovviamente, soluzioni che prevedano per alcuni creditori un soddisfacimento non monetario, quali la trasformazione del credito in capitale o titoli di debito, la datio in solutum di beni eccetera).
Le possibilità sono molteplici e compatibili le une con le altre. Tra le più comuni:
1. la formazione di flussi di liquidità in termini di capitale circolante netto operativo;
2. la cessione di beni a terzi;
3. il ricorso a finanziamenti bancari o di terzi, con eventuale beneficio della prededuzione;
4. l’aumento di capitale;
5. lo spostamento di debiti al di fuori del piano.
Tra gli elementi da tenere in considerazione, inoltre, si rammentano i seguenti:
-  è ormai acquisito come nel concordato in continuità non debba esserci un livello minimo di soddisfacimento dei creditori chirografari, affinché si abbia a ritenere realizzata la causa concreta della procedura[8];
-  il Tribunale può omologare il concordato anche in assenza dell’adesione della amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante, laddove la proposta di soddisfacimento dei medesimi sia conveniente o comunque non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria;
-  nel piano economico e finanziario dovranno essere tenuti in considerazione gli effetti della normativa fiscale. Si richiamano in particolare i temi relativi alla imponibilità o meno di plusvalore e minusvalore ai fini Ires/Irpef, al bonus da concordato, al riporto delle perdite fiscali degli esercizi precedenti, alla possibilità per i creditori di emettere note di variazione per iva (ove degradata), alle imposte di registro per i trasferimenti, all’IMU e altre imposte comunali;
- durante la procedura e fino all’omologazione sono sospese le prescrizioni civilistiche relative alla perdita del capitale sociale. Peraltro, all’omologazione la società dovrà necessariamente recuperare un patrimonio netto positivo, con un capitale sociale pari a quello prescritto dalla normativa per la propria forma societaria;
- per quanto attiene ai crediti contestati, il Giudice delegato deve ammettere provvisoriamente in tutto o in parte tali crediti, ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze[8] ed è previsto altresì l’obbligo, per quanto attiene ai crediti oggetto di contestazione giudiziale, di inserimento degli stessi in classi ai fini di poter assolvere all’esigenza di informazione del ceto creditorio[10]. Inoltre, con riguardo ai crediti tributari contestati, a mente dell’art. 90, comma 2, D.P.R. n. 602 del 1973, bisogna operare un obbligo di accantonamento prudenziale delle somme oggetto di contestazione[11].
3 . Analisi delle possibili soluzioni per la copertura del fabbisogno concordatario
a. La formazione di flussi di liquidità
Nel concordato in continuità, la gestione dell’azienda si pone di regola come la prima chiave di lettura della bontà e della prognosi di possibile esito favorevole del piano di ristrutturazione del passivo.
È evidente che, nell’arco di durata del piano, il debitore dovrà preventivare (e conseguire) una gestione aziendale che porti ad un risultato reddituale positivo, obiettivo finale di ogni programma di risanamento aziendale.
La produzione di utile, inoltre, rappresenta nella percezione comune il primo indicatore di una attività di impresa capace di formare flussi positivi di liquidità, e quindi di veleggiare in equilibrio finanziario.
Tale percezione, tuttavia, non è esaustiva.
Il risultato positivo, infatti, è solo una delle leve che conduce alla formazione di liquidità.
Innanzitutto, è opportuno semmai vagliare l’andamento reddituale in termini di EBITDA, ossia quantomeno prima dell’imputazione a conto economico degli ammortamenti e delle imposte, e senza considerare gli effetti di eventi non ordinari. 
Gli ammortamenti infatti costituiscono, come è noto, una imputazione figurativa di costi, cui non fa da contraltare una uscita finanziaria.
Le imposte, dal canto loro, possono essere influenzate dall’assorbimento di perdite fiscali maturate in precedenza, cosicché anche all’imputazione a bilancio delle medesime non necessariamente segue una fuoruscita finanziaria.
Inoltre, la formazione di liquidità è influenzata significativamente dalle variazioni di capitale circolante netto operativo, ossia:
- dall’incasso dei crediti, con conseguente possibile riduzione dell’esposizione, dovuta sia alla diminuzione di tempi di incasso, sia eventualmente alla diminuzione progressiva di fatturato;
- dal pagamento dei fornitori, per i quali analogamente l’allungamento dei tempi di pagamento può consentire un beneficio positivo sulla liquidità;
- dalla gestione delle rimanenze, la cui diminuzione (anche a costo di vendite a stock) libera all’evidenza liquidità.
Si analizzi, per poter comprendere appieno l’importanza delle variazioni del capitale circolante netto, l’esempio che segue:

MOVIMENTI ANNO N+1
1. Ricavi di vendita per 3.000,00 Euro con incasso immediato;
2. Acquisto materie prime per 400 Euro, pagamento nell’anno n+2;
3. Costi trasformazione materie prime per 1.200,00 Euro (dipendenti, amministrazione, ecc.) tutti pagati al 31/12/n+1;
4. Ammortamenti per 300,00 Euro;
5. Utilizzo di tutte le materie prime, sia a magazzino al 31/12/n che acquistate nell’anno n+1;
6. Pagamento dei debiti v/fornitori al 31/12/n per 600,00 Euro;
7. Incasso dei crediti v/clienti al 31/12/n per 800,00 Euro.
Come si evince dallo schema, la formazione di liquidità deriva dai seguenti fattori:
- EBITDA positivo, che produce liquidità per 900 (di cui 600 di utile e 300 di ammortamenti);
- decremento rimanenze, che contribuisce alla formazione di liquidità per 500;
- decremento crediti dell’esercizio precedente, che contribuisce alla formazione di liquidità per 800;
- decremento debiti, che assorbe liquidità per 200 (frutto dell’incremento di debiti per 400, e del pagamento di debiti dell’esercizio precedente per 600). 
Con una ulteriore controprova:
- nell’esercizio l’azienda incassa 3.000 per ricavi del periodo, e 800 di crediti pregressi;
- sempre nell’esercizio, l’azienda paga 1.200 per oneri di trasformazione del periodo, e 600 per fornitori pregressi.
Riepilogando:
Di fatto, nell’esempio l’area che più influisce è quella della gestione del magazzino e dei tempi ed entità di incasso dei clienti e pagamento di debiti, rispetto al contributo portato dalla gestione positiva in termini di utile d’esercizio. 
Si consideri, per quanto possa apparire di primo acchito paradossale, che anche in presenza di una gestione con un risultato reddituale negativo si può pervenire ad un miglioramento della liquidità, quantomeno nel breve periodo.
Un risultato negativo non è infatti incompatibile con un miglioramento delle leve del circolante.
Ad esempio, prescindendo dai tempi di incasso e pagamento:
- l’imprenditore diminuisce il fatturato, e per tale via diminuisce l’esposizione verso clienti, liberando liquidità e diminuisce i costi di produzione ed i conseguenti impegni finanziari (stipendi, energia, materie prime eccetera);
- l’imprenditore vende rimanenze sottocosto. L’operazione produce una perdita, ma libera liquidità[12].
D’altro canto, a fronte di una impresa in perdita prima dell’accesso all’Istituto concordatario, è ragionevole ipotizzare che un programma di ristrutturazione, per quanto serio, possa evidenziare almeno nei primi tempi risultati reddituali in perdita (e anche assorbimenti di liquidità).
Innanzitutto, le inversioni di tendenza per dato di esperienza non sono immediate. Inoltre, gli interventi di razionalizzazione evidenziano sovente costi straordinari, quali ad esempio:
- i contributi economici e previdenziali legati a programmi di riduzione del personale (anche all’esito di trattative sindacali);
- lo spostamento/accorpamento di linee produttive;
- la razionalizzazione della logistica;
- la ricerca di nuovi mercati di acquisto e di vendita;
- le consulenze straordinarie;
- l’interruzione dei contratti, con la conseguente emersione di penali.
La circostanza tuttavia, come visto, non è in contrasto con la bontà di un piano nel medio periodo, né necessariamente con la formazione di liquidità. Lo stesso articolo 87, al comma 1, lettera e), in qualche misura pare indirettamente confortare gli assunti poc’anzi sviluppati, laddove pone l’accento in via diretta sul piano finanziario e sui “tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria”. Ovviamente, si ribadisce, nell’arco di piano dovrà ragionevolmente essere recuperato un equilibrio economico, tenuto altresì conto che nello stesso articolo 87, al comma 3, è previsto che il piano sia atto “a garantire la sostenibilità economica dell’impresa”.

b. La cessione di beni a terzi
Altra area di possibile intervento nei piani di risanamento è quella degli investimenti e dei disinvestimenti.
Da un lato, sovente le ristrutturazioni aziendali prevedono programmi di investimento, volti all’ammodernamento o al rinnovamento degli impianti e in generale della struttura operativa aziendale. Il budget economico e quello finanziario, dunque, dovranno recepire la programmazione al riguardo.
Di converso, possono essere previsti programmi di dismissione, volti a liberare liquidità, per poter far fronte al fabbisogno concordatario.
Le dismissioni potranno certamente riguardare beni non più strategici, quali:
- linee produttive eccedenti le correnti necessità, od obsolete;
- compendi immobiliari sovradimensionati (con eventuali programmi di trasferimento della sede operativa, i cui relativi costi ed effetti sull’attività dovranno conseguentemente essere recepiti nel piano);
- parchi automezzi, con affidamento della logistica a terzi.
Non è peraltro da escludersi che possano essere ceduti anche beni strategici, o comunque di rilevante utilità per l’azienda.
Si pensi, ad esempio, ancora ad un compendio immobiliare in relazione al quale, per caratteristiche e/o costi di trasferimento elevati, non sia ipotizzabile il trasferimento di sede, o comunque quest’ultimo non sia compatibile con le necessità (finanziarie e/o produttive) del piano di risanamento.
Al riguardo, potrà essere prevista la cessione del compendio ad investitori istituzionali, e la riassunzione in locazione dello stesso.
Da un lato l’impresa potrà monetizzare un importante parte dell’attivo immobilizzato, pur gravando in seguito il conto economico di un canone di locazione in precedenza non sostenuto.
Dall’altro, l’investitore istituzionale potrà contare immediatamente su un rendimento (anche in ipotesi significativo, rispetto ai tassi medi) del capitale investito, con l’auspicio di una durata nel tempo a fronte di un piano costruito con tutti gli approfondimenti e le cautele che, nella buona prassi, accompagnano una ristrutturazione aziendale in sede concordataria, cui si aggiunge il presidio e il vaglio dell’attestatore e degli Organi di giustizia.
In analogia, possono essere costruite operazioni di lease-back, anche su beni mobili (quali gli impianti).
Anche un ramo d’azienda in funzionamento potrà essere oggetto di cessione nell’ambito di un processo riorganizzativo.
Dal punto di vista della delle imposte dovute, si rammenta come l’art. 86 d.P.R. 9/7/86, comma 5 disponga che “la cessione dei beni ai creditori non costituisca realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.
Il tenore letterale della norma potrebbe fare ritenere che, anche nel concordato in continuità, le richiamate poste reddituali siano neutrali ai fini della tassazione del reddito. Ne conseguirebbe in ipotesi e nello specifico che non parteciperebbero al reddito imponibile le eventuali plusvalenze sui beni derivati, nel piano, al soddisfacimento dei creditori contrattuali. 
Si segnala peraltro come, secondo l’Agenzia delle Entrate, in sede di concordato in continuità non si applichino le esenzioni previste dall’art. 86 d. P.R. 917/86 ai fini della tassazione Ires/Irpef delle plusvalenze e minusvalenze conseguenti al realizzo di beni (comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento)[13].

c. Il ricorso a finanziamenti bancari o di terzi
Rammentiamo come la normativa concordataria preveda espressamente, all’articolo 87, comma 1, lett g) CCII “gli apporti di finanza nuova…e le ragioni per cui sono necessari per l’attuazione del piano”.
Di seguito, la normativa enuclea:
- i finanziamenti “prededucibili autorizzati prima dell’omologazione del concordato preventivo, con la facoltà anche di concedere pegno o ipoteca o di cedere crediti, a garanzia dei finanziamenti autorizzati” (articolo 99 CCII);
- i finanziamenti prededucibili in esecuzione di un concordato preventivo (articolo 101 CCII);
- i finanziamenti prededucibili dei soci, con l’avvertenza che per questi ultimi la prededuzione è limitata “fino all’80% del loro ammontare”, salvo che il finanziatore abbia acquisito la qualità di socio in esecuzione del concordato (articolo 102 CCII);
I finanziamenti potranno essere contratti in varie forme, quali ad esempio:
- cessione dei crediti, al sistema bancario o anche a società di factoring;
- anticipazione bancaria;
- finanziamenti a medio-lungo termine.
Tali apporti di liquidità, dunque, potranno essere previsti con l’accortezza, per quelli autorizzati fino all’omologazione del concordato, di:
- specificare la destinazione degli stessi;
- indicare l’impossibilità “di reperirli altrimenti”;
- il grave pregiudizio che si determinerebbe per l’attività aziendale e per il prosieguo della procedura.
Sempre in relazione ai finanziamenti autorizzati fino all’omologazione, l’attestatore dovrà confermare la sussistenza dei requisiti e la loro funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori.
Pare di poter affermare che:
- tutti i tipi di finanziamenti dovranno essere “necessari per l’attuazione del piano”;
- i finanziamenti fino alla omologazione dovranno essere destinati in linea di principio a sostegno dell’attività aziendale, al fine di evitare la disgregazione del complesso operativo, con probabili conseguenti riflessi negativi per i creditori in loro assenza; 
- i finanziamenti in esecuzione di un concordato e i finanziamenti dei soci potranno più liberamente essere destinati a sostegno dell’attività, all’effettuazione di investimenti, al pagamento dei creditori ante concordato (si immagini al riguardo un apporto specificamente destinato, ad esempio, al saldo di alcune categorie di prelatizi, ovviamente nel rispetto dei gradi di legge e nei termini rideterminati dalla proposta).
Quanto in particolare ai finanziamenti successivi all’omologazione del concordato, ci si pone al riguardo una domanda, e cioè se tali finanziamenti debbano essere puntualmente indicati nel piano (tipologia, entità, soggetto concedente) e formalizzati in contestualità al piano, o se sia possibile solo prevederne l’entità, lasciando alla fase dell’esecuzione l’individuazione di forme e soggetti eroganti, laddove possa essere ritenuta ragionevole la loro concessione una volta riequilibrate le sorti aziendali grazie anche all’omologazione del concordato.
Sul punto è venuta in aiuto la Corte di Cassazione, già con la sentenza n. 24970/13. La Corte, infatti, ha ritenuto che la mancanza di impegni cogenti per la nuova finanza dopo l’omologazione (come pure gli impegni all’acquisto dei beni offerti in liquidazione) non comporti l’esclusione in futuro dell’apporto della liquidità prevista al riguardo, e quindi che la conseguente prospettazione di tali iniziative possa essere espressa in termini di ragionevolezza.

d. L’aumento di capitale
Ulteriore chiave di lettura per il riequilibrio societario, sia per le necessità gestionali che per la formazione della liquidità necessaria al pagamento del passivo concordatario, può essere ovviamente quella dell’aumento di capitale.
Trattasi di operazione perseguita in particolare quando si vuole favorire l’ingresso di terzi nella compagine sociale.
Si impone peraltro una serie di tutele e di attenzioni, nell’interesse sia del debitore e della procedura, sia del soggetto eventualmente interessato all’ingresso in società.
Sotto il primo profilo, l’impegno dovrà essere garantito, e quindi ad esempio:
- l’aumento potrà avvenire prima che si tenga l’adunanza dei creditori, o tra questa e l’omologazione;
- dovranno essere valutati eventuali sovrapprezzi;
- saranno previste opportune garanzie e cautele in ordine al concreto versamento della quota sottoscritta.
Dal punto di vista di chi sottoscrive, al contrario, saranno opportune tutele in tema di diritti d’opzione, o in caso di mancato passaggio in giudicato del decreto di omologazione per evitare che il versamento venga vanificato dal successivo assoggettamento dell’impresa alla procedura di liquidazione giudiziale, per mancata approvazione alla proposta concordataria.
Una strada mediatamente alternativa può essere quella del finanziamento prededucibile di terzi, con impegno alla conversione in capitale all’omologazione del concordato. 
Il tutto, eventualmente, con l’acquisto da parte del nuovo soggetto interessato di parte delle quote societarie.
Nell’ambito dell’aumento di capitale si collocano, ovviamente, tutte le possibili opzioni di conversione dei crediti a capitale, con la fissazione di rapporti di conversione.
Ricordiamo peraltro al riguardo alcune interessanti prescrizioni introdotte dagli articoli 120-bis e seguenti del Codice della crisi:
- ai fini della ristrutturazione, “il piano può prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci” (articolo 120-bis, comma 2);
- il provvedimento di omologazione del concordato “determina la riduzione e l’aumento del capitale e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti dal piano” (articolo 120-quinquies, comma 1);
- il medesimo articolo “demanda agli amministratori l’adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione” e li autorizza a porre in essere le ulteriori modificazioni statutarie programmate dal piano (articolo 120-quinquies, comma 1);
- laddove il piano preveda “modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci”, è prevista la formazione obbligatoria di una o più classi di soci (articolo 120-ter, comma 2), i quali esprimono il voto al pari dei creditori, in misura proporzionale alla quota di capitale posseduta anteriormente alla presentazione della domanda (articolo 120-ter, comma 3). Quanto al voto di queste classi, vale il principio del silenzio assenso.
È altresì previsto che possa intervenire un vaglio del “notaio incaricato” (articolo 120-quinquies, comma 2).
In ipotesi di carenza di operatività al riguardo da parte degli amministratori dopo l’omologazione, il Tribunale potrà nominare un amministratore giudiziario con i necessari poteri.
All’evidenza, inoltre, i versamenti di capitale conseguenti alla mutata composizione societaria potranno essere effettuati dopo l’omologazione. Valgono a maggior ragione, al riguardo, i richiami alla costruzione di strumenti giuridici che consentano di rafforzare la probabilità che tali versamenti avvengano (garanzie fideiussorie, versamenti anticipati su conti vincolati o a mani del notaio incaricato eccetera).

e. Lo spostamento di debiti al di fuori del piano
Come segnalato, la normativa del Codice della Crisi consente (ed impone di indicare) “eventuali parti non interessate dal piano”, con una “descrizione dei motivi per cui non sono interessate” (art. 87 c.1 lett. n)).
Ad avviso di chi scrive, la previsione ha solo una valenza chiarificatoria e di ordine dispositivo.
Infatti, già prima della riforma erano prospettati piani concordatari in cui parte dei debiti veniva collocata in tutto o in parte oltre l’arco di piano, con il conseguente soddisfacimento al di fuori delle regole e delle garanzie offerte dalla normativa concordataria. A presidio e garanzia del pagamento dei debiti, restano gli attivi societari (e la prosecuzione dell’ordinaria attività di impresa, riequilibrata all’esito del piano), come di regola e comunque prima della proposta concordataria.
Sovvengono al riguardo i seguenti esempi:
 · Il trattamento di fine rapporto
Quanto al TFR, se l’impresa prosegue non sarà necessario (né si potrà) pagare tutte le spettanze per TFR durante il periodo interessato dal piano, in quanto la debenza di tale posta si manifesta alla cessazione del rapporto. Poiché una parte (in ipotesi, anche significativa) dei dipendenti verosimilmente potrà proseguire nel rapporto, si dovranno preventivare come uscite finanziarie per TFR all’interno del piano:
-  quelle legate ad un programma di ridimensionamento dell’organico;
-  quelle per rapporti che giungeranno al pensionamento nell’arco di durata del piano;
-  quelle legate ad un fisiologico turn over, sulla base dei dati storici e con un margine di prudenza.
Va considerato che il trattamento di fine rapporto, come regolamentato dall’art. 2120 cod. civ., è un diritto che sorge a favore del prestatore di lavoro subordinato “in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro”. Da qui, la dottrina prevalente[14] ha attestato che il diritto del lavoratore nasce solo al momento della cessazione del rapporto, cessazione che assume dunque i connotati di un elemento costitutivo della fattispecie sebbene, correttamente, venga contabilmente accantonato di anno in anno dalle imprese[15]. Il principio trova conferma nella posizione della Suprema Corte[16], secondo cui la cessazione del rapporto di lavoro deve intendersi come momento di maturazione del diritto, momento che diviene elemento della fattispecie costitutiva e non termine dell’adempimento, sussistendo in precedenza meri accantonamenti contabili.
Ne deriva che, anche dal punto di vista di stretta interpretazione di diritto, la strada appare percorribile. Né, per le stesse ragioni, si ritiene necessario il consenso dei lavoratori interessati. 
· I finanziamenti di durata pluriennale
La riforma portata dal Codice della Crisi, all’articolo 100, comma 2, in caso di concordato in continuità ha previsto la possibilità di procedere “al rimborso alla scadenza convenuta delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all’esercizio dell’impresa”.
Quanto precede, in deroga al principio di cui all’articolo 154, comma 2, secondo il quale i crediti pecuniari si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.
La norma prescrive i seguenti requisiti:
- deve trattarsi di mutuo con garanzia reale su beni strumentali all’esercizio dell’impresa;
- il debitore deve aver adempiuto le proprie obbligazioni alla data della domanda di concordato (e quindi, in primis, devono essere state pagate tutte le rate scadute prima della domanda);
- diversamente, il Tribunale deve autorizzare il pagamento per capitale ed interessi di quanto scaduto alla data della domanda;
- il professionista indipendente (il medesimo che attesta la proposta nel suo complesso) attesta che “il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori”.
Dunque, la riforma istituzionalizza la possibilità di proseguire secondo le ordinarie scadenze il rimborso di un mutuo assistito da garanzie reali su beni dell’impresa.
Ciò potrà comportare che, per le rate scadenti oltre l’orizzonte temporale del piano, parte del debito non dovrà essere pagata all’interno del medesimo, e quindi la proposta non dovrà preoccuparsi delle relative risorse in termini di fabbisogno.
Analogamente, possono essere disposti accordi privatistici tra il debitore e alcuni creditori, tali da portare tutto o parte del debito al di fuori dell’arco di piano.
Ad esempio, potrà esserci un accordo diretto tra imprenditore e banche ipotecarie, atto a riscadenzare il capitale residuo, rivedere gli interessi, regolamentare lo scaduto. Va da sé che in questo caso, anche per le poste debitorie di mutuo assistite da garanzia reale, potranno essere derogate le regole di cui all’articolo 100 CCII. 
Potrà altresì essere stipulato un accordo con specifici fornitori, tale da ipotizzare scadenze di pagamento al di fuori del piano concordatario.
Ed ancora, determinate poste potranno essere postergate, quanto al pagamento, all’avvenuto preventivo soddisfacimento degli altri creditori concorsuali, nei termini del piano.
I debiti potranno considerarsi non scaduti. I pagamenti di quote di capitale e la maturazione di interessi ovviamente, se all’interno del piano, dovranno rispettare le regole concordatarie, in termini di prelazione, percentuali, tassi applicati.
4 . Proposta di concordato preventivo in continuità
Dopo aver analizzato le differenti soluzioni per poter produrre la liquidità necessaria a copertura del fabbisogno concordatario, si riprende l’analisi dell’esempio numerico ut supra.
La liquidità necessaria per poter procedere con la proposta concordataria ammonta a complessivi Euro 4.280 così dettagliati:
In particolare, si immagini la costruzione di un piano che preveda, grazie alla redazione e attuazione di un budget economico e finanziario e alla prosecuzione dell’attività d’impresa, che vengano generati flussi, al netto dei costi, delle imposte e della eventuale finanza destinata agli investimenti, per Euro 1.650 (in termini di V.C.C.N.).
Si decide di procedere alla vendita dell’immobile B ipotecato, tramite vendita competitiva, realizzando complessivi Euro 330 e prevedendo il degrado del creditore ipotecario a rango chirografario, per la restante quota non soddisfatta pari a Euro 470.
Inoltre, si prevede un aumento di capitale per euro 800 a fronte del quale verrà immessa nuova liquidità utile al soddisfacimento dei creditori.
Si prospetta infine un finanziamento prededucibile in esecuzione al concordato ex art. 101 CCII per un ammontare pari a 1.500.
Dunque, l’attivo ipoteticamente realizzabile secondo il piano concordatario è così dettagliato:
Tale liquidità consente di coprire il fabbisogno concordatario nell’arco di piano, con un avanzo (pur modesto) a costituire ulteriore presidio per possibili variabili.
Ovviamente, laddove ci fossero debiti posti al di fuori dell’arco di piano (parte del TFR, quote di mutuo ipotecario, alcuni fornitori) il fabbisogno concordatario diminuirebbe.
5 . Conclusioni
Il Codice della Crisi, dal punto di vista della costruzione della proposta concordataria, ha mantenuto e rafforzato alcune specificità del concordato in continuità diretta e quindi le possibilità di costruire una proposta che sia frutto di molteplici aree di intervento.
L’auspicio è che le potenzialità dell’istituto possano trovare nuova linfa, anche con il superamento di alcune problematiche interpretative; su tutte, ad avviso di chi scrive, quelle correlate al voto dei creditori e alla fase di omologazione che, al momento, paiono contribuire ad un contenuto ricorso all’istituto.

Note:

[1] 
Ci si permette rinviare per una valutazione personale del tema a F. Clemente - L. Corati, “Degrado e finanza nel concordato preventivo in continuità”, in Dirittodellacrisi.it, 24 marzo 2023.
[2] 
Si richiama, con riguardo alle spettanze erariali e contributive nella vigenza della legge fallimentare, Cass., 26 maggio 2022, num. 17155, secondo cui l'articolo 182 ter, derogando l'articolo 160, comma 2, L. fall. "elimina la condizione preclusiva dell'integrale soddisfazione dei crediti di rango superiore ai fini del soddisfacimento di quelli di rango inferiore; il che significa che ai crediti tributari e contributivi può essere applicata, in luogo della cosiddetta absolute priority rule, la cosiddetta relative priority rule… Possibilità invece negata ai crediti di altra natura, muniti di privilegio, pegno o ipoteca, dall'articolo 160, comma 2, secondo periodo, L. Fall.".
[3] 
Come già patrimonio di riflessione acquisito, e confermato anche dai Principi di attestazione dei piani di risanamento, laddove non sia percorribile la liquidazione ordinaria il valore di riferimento per il degrado dei creditori prelatizi è dato da quanto realizzabile in sede di liquidazione giudiziale, al netto delle relative spese. Il principio è ora rafforzato dall’art. 84, comma 1, CCII per il quale il soddisfacimento dei creditori non può avvenire “in misura inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione giudiziale”. Non va ovviamente dimenticato che tra gli attivi presi in considerazione nell'ipotesi della liquidazione giudiziale dovranno essere ricompresi gli esiti delle possibili azioni risarcitorie e revocatorie, nonché le eventuali possibilità di cessione dell'azienda in funzionamento (cosicché anche il potenziale avviamento venga ad essere compreso tra i valori da offrire ai creditori).
[4] 
Le spese da imputare all'ipotecario A ammontano a 70. Avanzano 110 per prelazione ex art. 2776 al netto contributo spese. 
[5] 
Le spese da imputare all'ipotecario B ammontano a 30. Retrocede quindi al chirografo la quota insoddisfatta pari a 470.
[6] 
Da massa mobiliare (1.100 ambito mobiliare – (120-150-200-100-200) =330 di somma a Erario.
[7] 
Da massa immobiliare (1.140 ambito immobiliare– (100-600-330) = 110 di somma a Erario.
[8] 
Cfr. Cass. Civ, 8 febbraio 2019, secondo cui “non è possibile individuare una percentuale fissa minima al di sotto della quale la proposta concordataria possa ritenersi di per sé inadatta a perseguire la causa concreta a cui la procedura è volta”.
[9] 
Cfr. Cass. Civ. num. 15414 del 2018.
[10] 
Cfr. Cass. Civ. 7 marzo 2017, secondo cui “la sussistenza di crediti oggetto di contestazione giudiziale non preclude il loro doveroso inserimento in una delle classi omogenee previste dalla proposta, ovvero in apposita classe ad essi riservata, assolvendo tale adempimento, ricadente sul debitore ed oggetto di controllo critico sulla regolarità della procedura assolto dal tribunale, ad una fondamentale esigenza di informazione dell’intero ceto creditorio”.
[11] 
Cfr. Cass. Civ. num. 15414 del 2018.
[12] 
Con un esempio: rimanenze iscritte in bilancio a 1.000, vendute a 700. La perdita dell'operazione è di 300, ma il beneficio di liquidità è di 700.
[13] 
Risposta ad interpello 201/2022. Sul tema, in chiave critica, vedasi Buffelli e Rota, Vademecum analitico della fiscalità degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza del CCII, in Dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2022.
[14] 
Per tutti Tagliamento, Disciplina del trattamento di fine rapporto, Ariccia (RM), 2011, pag. 12.
[15] 
Il Principio Contabile 19, relativamente al TFR, parla di “indennità spettanti al personale dipendente in forza di legge o di contratto (art. 2120 c.c.) al momento di cessazione del rapporto di lavoro subordinato costituenti onere retributivo certo da iscrivere in ciascun esercizio con il criterio della competenza economica”.
[16] 
Cassazione n. 12548/98.

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