Nel caso di contratto d’appalto pendente, cioè di prestazione ancora da eseguire o comunque da completare al momento della dichiarazione di liquidazione giudiziale[3], la regola-base resta lo scioglimento disciplinato dall’art. 186 CCII, anche nel particolare sub-scenario del secondo comma, salva diversa determinazione del curatore, da adottarsi, previa autorizzazione del comitato dei creditori, nello spatium deliberandi di sessanta giorni, in cui il rapporto rimane sospeso.
Sospensione che, in ogni caso, non incide sulla decorrenza ex nunc dello scioglimento, ovverosia a far data dalla sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale, come affermato dalla prevalente giurisprudenza già sedimentatasi nella vigenza dell’omologa disposizione di cui all’art. 81 L. fall.[4]
Va, tuttavia, specificato che parte della dottrina era, invece, orientata in una posizione più “bilanciata”, alla stregua della quale, trattandosi di una fattispecie a formazione progressiva, il rapporto rimane in una fase di piena quiescenza sino allo spirare del termine di legge (oppure al subentro del curatore).[5]
Il Codice della Crisi ha optato per tale ultima soluzione, come può desumersi della previsione, innovativamente esplicitata dall’art. 172, comma 1, CCII,[6] secondo cui il curatore, in caso di scelta per la prosecuzione del contratto, assume i relativi obblighi solamente dalla data del subentro e quindi, ove non lo faccia, nelle more non succede nulla, restando di conseguenza il contratto in totale stato di stallo, in cui sono inertizzati tutti i relativi effetti sin dalla data dalla dichiarazione di liquidazione giudiziale.[7]
Dunque, ci troviamo sempre al cospetto della disciplina generale sancita dall’art. 172 CCII, con alcune specificità dettate proprio dalla peculiarità del contratto d’appalto.
Anzitutto, il termine di sessanta giorni, “riservato” al curatore per decidere se proseguire o meno nell’esecuzione del contratto, è stabilito preventivamente dalla legge (anziché dal Giudice Delegato su interpello del contraente in bonis, come nella previsione generale di cui all’art. 172, comma 2, CCII), per evitare così che un rapporto, di siffatto rilievo, possa trattenersi per troppo tempo in una fase di limbo.
In secondo luogo, il curatore che ritenesse più conveniente, per la massa, la prosecuzione dell’appalto, dovrà comunque offrire “idonee garanzie”, che, nel caso di insolvenza del committente, saranno rappresentate dalla capacità del relativo patrimonio di far fronte senz’altro all’impegno economico assunto[8].
Invece, in caso di default dell’appaltatore, dovrà essere data dimostrazione (anche) del persistere di un’adeguata capacità organizzativa della relativa impresa.
Scenario che lascia supporre che il curatore abbia previamente optato per l’esercizio dell’impresa ex art. 211 CCII, anche limitatamente allo specifico ramo d’azienda inerente all’appalto[9].
Così, a fronte di una scelta che potrebbe rilevarsi infelice per le obbiettive complessità che un rapporto d’appalto implica, il curatore si premurerà di munirsi, oltre che del previo “suggello” del giudice delegato sull’operazione (attraverso l’autorizzazione ai sensi dell’art. 211, comma 3, CCII, resa dopo l’obbligatorio parere del comitato dei creditori), della facoltà, comunque, di potersi poi sciogliere.
Difatti, durante il corso dell’esercizio dell’impresa, i contratti possono proseguire anche solo provvisoriamente[10], essendo poi sempre possibile, ad esercizio chiuso, sciogliervisi (art. 211, commi 8 e 9, CCII).
E sempre in tale logica - proiettata soprattutto rispetto agli appalti pubblici e al relativo primario interesse al tempestivo e corretto completamento dell’opera - il Codice della Crisi ha previsto che il curatore, pur con esercizio dell’impresa autorizzato, “non può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi ovvero essere affidatario di subappalto” (art. 211, comma 10, CCII).
Naturalmente, la scelta del curatore per lo scioglimento del contratto risulterà obbligata allorché, per le peculiarità del contratto d’appalto, le qualità soggettive dell’appaltatore siano state “un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto” (art. 186, comma 2, CCII, in linea con i precetti in generale previsti innovativamente dall’art. 175 CCII)[11].
Sempre che il curatore - con l’approvazione del comitato dei creditori - abbia previamente apprezzato la convenienza della scelta a favore della massa e il committente in bonis acconsenta alla prosecuzione del rapporto, ritenendo sussistenti anche le “idonee garanzie” per il completamento dell’opera.
Ma quid iuris se dovessero sorgere contestazioni sull’idoneità delle garanzie offerte ovvero sull’eventuale rifiuto del committente rispetto alla prosecuzione del rapporto?
Considerato anche l’anodino silenzio dell’art. 186 CCII, non potrà provvedervi il giudice delegato, organo deputato a dirimere controversie prettamente economiche incidenti sul concorso con gli altri creditori (come, ad esempio, nei casi degli equi indennizzi dei contratti d’affitto e di locazione immobiliare di cui, rispettivamente, agli artt. 184 e 185 CCII). Dunque, bisognerà ricorrere al tribunale ordinario, in ogni caso del luogo in cui è stata dichiarata la liquidazione giudiziale, alla luce del disposto dell’art. 32 CCII, che sancisce la relativa competenza funzionale in quanto controversie derivanti dall’apertura della procedura concorsuale de qua[12].
Alla luce della nuova espressa disposizione dell’art. 172, comma 3, CCII, risulta ora chiaro che, in caso di subentro del curatore nel contratto d’appalto, le prestazioni precedenti non beneficiano della prededuzione.
Neppure ove si tratti di un appalto di servizi, e quindi assimilabile ad un rapporto ad esecuzione continuata o periodica[13], considerato anche che l’art. 179 CCII non riproduce più la disposizione in tema dell’omologo art. 74 L. fall., secondo cui “se il curatore subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati.”.
Anzi, viene ora espressamente chiarito che il curatore paga solo “il prezzo delle consegne avvenute e dei servizi erogati dopo l’apertura della liquidazione giudiziale”, precisandosi, altresì, che per il prezzo delle consegne e servizi pregressi “il creditore può chiedere l’ammissione al passivo” (precisazione, forse, inutile, quanto foriera di possibili dubbi, atteso che anche un credito anteriore con rango prededucibile si invoca attraverso il procedimento di ammissione al passivo)[14].