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Concordato preventivo omologato e successiva dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale: la questione dell’"omisso medio"

Postilla a cura di Giacomo Giustinelli , Avvocato in Verona

Visualizza: App. Catania, 7 giugno 2023, Pres. Balsamo, Est. Fichera

Muovendo dalla sentenza con cui la Corte d’Appello di Catania, in applicazione dell’art. 119, comma 7, CCII, ha revocato la liquidazione giudiziale dichiarata omisso medio rispetto ad un concordato preventivo omologato nel vigore della legge fallimentare, il contributo si sofferma sul delicato (e rinnovato) tema del rapporto tra risoluzione del concordato preventivo e dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.

1. La decisione – Una società ammessa al concordato preventivo omologato in epoca anteriore alla data di entrata in vigore del Codice della crisi (vale a dire, il 15 luglio 2022) si rivelava inadempiente agli obblighi assunti in sede di omologa. 
Su ricorso di alcuni creditori concorsuali, il tribunale, ravvisando l’insolvenza, dichiarava l'apertura della liquidazione giudiziale a prescindere dalla previa risoluzione del concordato preventivo [1]. 
La sentenza, reclamata dalla società debitrice, veniva riformata dalla Corte d’ Appello che, ritenuto nella specie applicabile il Codice della crisi [2], e segnatamente il comma 7 dell’art. 119 CCII, revocava la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale pronunciata senza che il concordato fosse stato prima risolto.
Ad avviso della Corte, infatti, tale previsione, secondo cui: «[i]l tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo», introduce una condizione di ammissibilità della liquidazione giudiziale che si applica a tutte le domande successive all’entrata in vigore del Codice della crisi, ancorché proposte nei confronti di imprenditori ammessi a concordati preventivi aperti ed omologati nella vigenza della legge fallimentare. 
2. L’inapplicabilità della disciplina transitoria del Codice della Crisi – Come è noto, le norme del Codice della crisi si applicano (soltanto) ai ricorsi diretti all’apertura di uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ivi disciplinati, che siano stati depositati successivamente alla data del 15 luglio 2022. 
Questa, infatti, è la “regola” che può ricavarsi a contrario dall’art. 390 CCII, che, nel delineare il discrimen temporale tra disciplina ante-vigente e nuova normativa, prevede espressamente che i) i ricorsi per la dichiarazione di fallimento e per le proposte di concordato fallimentare, i ricorsi per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, per l’apertura del concordato preventivo, per l’accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa e alle domande di accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento depositati prima dell’entrata in vigore del Codice della crisi (comma 1), nonché ii) le procedure di fallimento e le altre procedure concorsuali pendenti alla data di entrata in vigore del Codice della crisi e quelle aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande depositate prima della stessa data (comma 2) siano disciplinati (e disciplinate) secondo le previgenti disposizioni della legge fallimentare. Èd è sulla scorta di questa previsione che la Corte d’Appello, rilevando come il concordato, in quanto omologato, non fosse più “pendente” alla data di entrata in vigore del nuovo Codice – giusto il disposto di cui all’art. 181, comma 1, l. fall., secondo cui: «[l]a procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione [...]» – ha escluso l’applicabilità, in via transitoria, della legge fallimentare, che non prevedeva alcun onere in ordine alla risoluzione del concordato omologato.
3. Osservazioni – La decisione in commento offre l’occasione per tornare sulla questione, a lungo dibattuta, relativa alla possibilità di dichiarare il fallimento (oggi, la liquidazione giudiziale) del debitore ammesso a concordato preventivo omologato che non adempia agli obblighi concordatari anche a prescindere dalla previa risoluzione del concordato (e dunque, “omisso medio”) [3].
Il problema, come è noto, si era posto all’attenzione degli interpreti per la frequenza con cui nella prassi si registravano casi di concordati preventivi “dormienti”, ossia inadempiuti ma non risolti a causa dell’inerzia (comunemente dettata da ragioni economiche [4]) dei creditori concorsuali, unici soggetti che, a norma dell’art. 186 l. fall., potevano chiederne la risoluzione. 
Per superare la situazione di “stallo” derivante dal mancato esercizio dell’azione nel termine di decadenza annuale di cui al comma 3 dell’art. 186 l. fall. [5], la giurisprudenza di merito, nel silenzio normativo sul punto, aveva ammesso la possibilità, per tutti i soggetti legittimati ai sensi degli artt. 6 e 7 l. fall., di provocare il fallimento del debitore inadempiente anche in assenza della previa risoluzione del concordato preventivo omologato [6]. 
La soluzione, che era stata avallata dalla Corte di cassazione [7], non aveva, tuttavia, trovato piena condivisione in dottrina, dove a prevalere era l’opinione di quanti invece sostenevano la necessità della preventiva risoluzione [8].
Il dibattito che era sorto da tali antitetiche posizioni aveva condotto alla devoluzione della questione alle Sezioni Unite [9], che, da ultimo, avevano ritenuto di confermare l’ammissibilità della dichiarazione di fallimento “omisso medio” [10]. E ciò non soltanto nell’ipotesi (per così dire, “patologica”) in cui il termine per domandare la risoluzione fosse inutilmente spirato, ma finanche prima del suo decorso, qualora fosse ragionevole prevedere l’inadempimento delle obbligazioni concordatarie [11]. 
Senonché, rispetto a questo principio, la Corte d’Appello, nella decisione in esame, rileva come non possa sussistere più un affidamento delle parti meritevole di tutela, poiché lo stesso contrasterebbe con quanto prevede oggi il comma 7 dell’art. 119 CCII.
La nuova previsione, infatti, nello stabilire che «[i]l tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato», deve essere intesa nel senso che l’inadempimento delle obbligazioni concordatarie debba farsi preventivamente valere con la domanda di risoluzione del concordato preventivo e che, di conseguenza, i creditori concordatari possono proporre l’istanza di apertura della liquidazione giudiziale solo insieme a detta domanda, ovvero in seguito alla sentenza che risolve il concordato: cosicché, in difetto di tale pronuncia, il tribunale non può dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale, a meno che non accerti uno stato di insolvenza conseguente «a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato» e rimasti inadempiuti [12]. Circostanza, quest’ultima, che ricorre con più frequenza nei concordati con continuità aziendale e per la quale, invero, non si è mai dubitato della possibilità dell’“omisso medio”, se non altro perché i creditori cd. “posteriori”, non essendo assoggettati alle regole del concorso, non sarebbero neppure legittimati a chiedere la risoluzione del concordato [13]. 
Ciò che è più importante, però, è che la norma non precisa se la mancata risoluzione del concordato per effetto dell’inutile decorso del termine per richiederla possa egualmente precludere ai creditori concordatari (e, in ipotesi, al P.M. o al debitore stesso) di instare per l’apertura della liquidazione giudiziale. 
Ferma restando, infatti, l’inammissibilità della liquidazione giudiziale “omisso medio” in pendenza dell’anno per l’esercizio dell’azione, che ne sarebbe dell’ipotesi – tutt’altro che infrequente nella prassi dei concordati preventivi omologati nel regime previgente – in cui il concordato, per quanto ineseguito, non possa (più) essere risolto?
La questione, per vero, non è stata affrontata dalla Corte d’Appello, né, a quanto consta, dalla giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del nuovo Codice. 
Tuttavia, sembra difficile giustificare la permanenza di una simile preclusione anche dopo la scadenza del termine per la risoluzione del concordato.
Del resto, se è vero che alla base della scelta legislativa di negare l’“omisso medio” vi sarebbe l’esigenza di ristabilire, tra i creditori concorsuali, le condizioni di par condicio necessarie nella successiva liquidazione concorsuale [14] – posto che solo la risoluzione potrebbe rimuovere erga omnes gli effetti esdebitatori e segregativi conseguenti all’omologazione [15] –, non è meno vero che la medesima esigenza verrebbe a mancare allorché, decorso il suddetto termine senza che l’azione sia stata promossa, questi effetti si fossero irrimediabilmente consolidati; sicché, a questo punto, non vi è motivo di escludere che i creditori (sia pure nei limiti dei crediti “falcidiati”), così come il P.M. e lo stesso debitore, possano domandare l’apertura della liquidazione giudiziale pur decorso il termine per richiedere la risoluzione del concordato.
Né, d’altro canto, si può trascurare come una soluzione diversa finirebbe, di fatto, per legittimare quelle situazioni di “stallo” alle quali la Riforma, con l’opportuna estensione al commissario giudiziale (benché «ad istanza di uno o più creditori») della legittimazione all’azione (art. 119, comma 3, CCII), ha cercato di porre rimedio [16]; e ciò a voler tacere dei dubbi di legittimità costituzionale di una disposizione che, se diversamente interpretata, priverebbe i creditori concordatari della possibilità di accesso alla tutela concorsuale [17].
Delineato in questi termini il (perdurante) problema dell’“omisso medio” e ritenuto, comunque, che la mancata risoluzione del concordato inadempiuto non escluda la “fallibilità” del debitore concordatario, rimane, in ogni caso, da sottolineare l’irrazionalità della scelta (?) normativa di non disporre espressamente per un caso di così frequente verificazione e da chiedersi (piuttosto) se tutto quanto vi sarà di equivoco intorno a simili vicende non potrebbe essere evitato posticipando gli effetti estintivi del concordato preventivo ad un momento successivo alla verifica dell’esatto adempimento di quanto “omologato”.
Ma questo, per citare De Gaulle, è davvero un programma troppo ambizioso.


[1] Si tratta di Trib. Siracusa, 27 gennaio 2023, n. 4, in Il Fall., 2023, p. 568.
[2] In senso contrario, peraltro, si veda Trib. Prato, 17 gennaio 2023, in Dirittodellacrisi.it;
[3] Per un’attenta indagine sul tema, si veda Innocenti, Dichiarazione di fallimento in assenza di risoluzione del concordato preventivo, in Dir. Fall., 2018, p. 823 ss.
[4] Si vedano, a riguardo, le riflessioni di Ambrosini, La risoluzione del concordato preventivo e la (successiva?) dichiarazione di fallimento: profili ricostruttivi del sistema, in Ilcaso.it, 6 marzo 2017.
[5] Termine che, come dispone oggi l’art. 119, comma 4, CCII, decorre dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato.
[6] Si vedano, ex multis, Trib. Treviso, 10 gennaio 2017, in Ilcaso.it; Trib. Rovigo 30 novembre 2016, in Il Fall., 2017, p. 235 ss.; Trib. Torino, 26 luglio 2016, ivi.  
[7] Si vedano, infatti, Cass., 17 luglio 2017, n. 17703, in Ilcaso.it e Cass. 11 dicembre 2017, n. 29632, in Il Fall., 2018, 731 ss.; conf. Cass., 17 ottobre 2018, n. 26002, in www.ilcaso.it; Cass., 20 giugno 2020, n. 12085, ivi.
[8] Innocenti, loc. cit.; Ratti–Pezzano, L’irrealizzabile esecuzione del concordato preventivo: il fallimento senza risoluzione, in Il Fall., 2018, p. 735 ss.; Ambrosini, loc. cit.; Ambrosini, Inadempimento del concordato preventivo: fallimento omisso medio o previa risoluzione? La parola alle Sezioni Unite, in Ilcaso.it, 24 aprile 2021; Casa, “Per la contraddizion che nol consente”: una critica ad una lettura antisistematica degli artt. 168 e 186 l.fall., in Il Fall., 2017, p. 974 ss. Contra D’Attorre, Concordato omologato e fallimento successivo, in Dir. Fall., 2016, p. 1347 ss.; Giurdanella, Inadempimento del concordato preventivo e mancata richiesta infrannuale di risoluzione, in Il Fall., 2016, p. 230 ss.
[9] Cfr. Cass. (ord.), 31 marzo 2021, n. 891, in Dir. Fall., 2021, p. 736 ss., con nota di Di Lauro, Alle Sezioni Unite il fallimento omisso medio.
[10] Si tratta, come è noto, di Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2022, n. 4696, in Giur. comm., 2023, p. 679 ss. con nota di D’Attorre, La dichiarazione di fallimento o di liquidazione giudiziale omisso medio; in Il Fall., 2022, p. 467 ss., con nota di De Santis, Le Sezioni Unite e la dichiarazione di fallimento omisso medio; in Banca, borsa, tit. cred., 2022, p. 769 ss., con nota di Barletta, La mancata risoluzione del concordato preventivo omologato non esclude la fallibilità. Considerazioni per un’interpretazione restrittiva del nuovo art. 119, comma 7°, c.c.i.i; in Dir. Fall., 2022, p. 1287 ss., con nota di Italia, La consecuzione delle procedure concorsuali tra giurisprudenza e normativa.
[11] In tal senso, si veda Cass., 17 ottobre 2018, n. 26002, in www.ilcaso.it; Cass., 20 giugno 2020, n. 12085, ivi.
[12] Cfr. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, p. 165.
Tale interpretazione trova conforto nella Relazione illustrativa al Decreto cd. correttivo al Codice della crisi – d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 – dove si legge che, all’art. 119: «[è] stato introdotto inoltre il comma 7 che al fine di dirimere un contrasto interpretativo non sopito, neppure successivamente agli interventi della Corte di cassazione (ve n’è traccia, ad esempio, in Cass. 26002/2019), stabilisce che l’apertura della liquidazione giudiziale presuppone la risoluzione del concordato preventivo, fatta eccezione per il caso in cui lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo e dunque a debiti non qualificabili come concorsuali all’interno della prima procedura».
[13] In tal senso, si veda Capo, Art. 186, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2014, p. 552.
[14] Italia, op. cit., p. 1314 ss.
[15] D’Attorre, Concordato omologato e fallimento successivo, p. 1347 ss.
[16] Barletta, op. cit., p. 781 ss.
Del resto, come spiega la Relazione illustrativa al Codice della crisi: «L’attribuzione anche al commissario giudiziale della legittimazione [all’azione di risoluzione] è finalizzata ad evitare che vi siano procedure concordatarie che si prolungano per anni ineseguite in quanto i creditori spesso scoraggiati dall'andamento della procedura e preoccupati dei costi per l'avvio di un procedimento giudiziale non si vogliono assumere l'onere di chiederne giudizialmente la risoluzione».
[17] Cfr. D’Attorre, La dichiarazione di fallimento o di liquidazione giudiziale omisso medio, p. 685.
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