Saggio
Composizione negoziata della crisi: la stima della liquidazione del patrimonio*
Francesco Carnevali e Marcello Tarabusi, Dottore Commercialista in Milano e Dottore Commercialista e Avvocato del Foro di Bologna
7 Gennaio 2022
Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
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Sommario:
1 . Le finalità della stima della liquidazione del patrimonio: quando e come renderla
1.2 . La stima della liquidazione del patrimonio nell’ambito della composizione negoziata
1.2.1 . Accettazione dell’incarico
1.2.2 . Istanza autorizzativa al Tribunale per gli atti di straordinaria amministrazione
1.2.3 . La stima dell’alternativa liquidatoria del patrimonio
1.2.4 . La redazione della relazione finale dell’esperto
1.3 . La stima della liquidazione del patrimonio nell’ambito del concordato semplificato
1.4 . Considerazioni conclusive
2 . La stima del valore di realizzo dell’azienda o dei suoi rami
2.1 . Finalità della stima dell’azienda
2.2 . L’oggetto della stima e le configurazioni di valore
2.3 . Metodiche di valutazione
3 . La stima del canone di affitto dell’azienda o dei suoi rami
3.1 . Le ragioni per cui si stima il canone
3.2 . I criteri indicati dalla letteratura e dalla prassi
3.2.1 . Il tasso di giusta remunerazione
i. all’esperto potrà esser richiesto parere su manifestazioni di interesse e offerte ricevute per la cessione dell’intera azienda o dei suoi rami. Si può pertanto ritenere che un parere di opportunità/convenienza debba poggiare anche sulla valutazione delle alternative possibili[13];


Non solo perché – come per qualunque valutazione d’azienda – si deve tenere conto di tutti i fattori rilevanti (caratteristiche dell’azienda, contesto di mercato, prospettive delle parti, finalità e contesto dell’operazione, et cetera), ma anche – e soprattutto – perché il presupposto della valutazione è un contratto (stipulato o stipulando) il cui concreto contenuto negoziale risulta determinante nella definizione dell’assetto degli interessi delle parti e, conseguentemente, della capacità dell’una o dell’altra parte di estrarre valore dall’operazione.
Tra i vari fattori che incidono nella valutazione del caso concreto si possono ricordare: la presenza, o assenza dell’opzione di acquisto ed i relativi tempi e modalità; i criteri di determinazione del prezzo di tale acquisto; l’eventuale presenza di una formula di (parziale o totale) reimputazione dei canoni con formula rent-to-buy; i criteri di regolamento delle differenze di inventario al termine del contratto; i concreti rischi di dissipazione od appropriazione degli intangibili aziendali [53]; le effettive prospettive di incremento (o decremento) del valore dell’azienda al termine dell’affitto; la durata del contratto e le condizioni per eventuali proroghe, specie in relazione alla durata dei cicli operativi e finanziari aziendali; la presenza e la natura di eventuali garanzie (anche sotto forma assicurativa) di solvibilità e/o di mantenimento del valore; in caso di affitto di un solo ramo d’azienda, il trasferimento di risorse umane chiave e/o di competenze (anche attraverso obblighi formativi/informativi in capo al concedente), ovvero il perdurante collegamento tra il ramo affittato e l’azienda residua del concedente (ad esempio per servizi amministrativi e contabili, oustourcing informatico, licenze su beni immateriali, et cetera).
Tali fattori (e molti altri qui non elencati) condizionano certamente la valutazione della congruità di un canone già pattuito.
Ma nella prospettiva dell’esperto, si tratta soprattutto di altrettanti elementi da prendere in considerazione nell’ambito delle trattative finalizzate al risanamento: conoscere e comprendere l’impatto che ciascuno degli elementi negoziali sopra ricordati ha sui valori in gioco e, soprattutto, sulla loro distribuzione tra le parti è essenziale per condurre consapevolmente il tentativo di mediazione plurilaterale. Non si tratta solamente di allocare in modo corretto rischi e benefici tra le parti del contratto di affitto; l’obiettivo è, piuttosto, quello di distribuire in modo soddisfacente tra tutte le parti interessate (imprenditore, affittuario, creditori, altri stakeholders) i valori in gioco, possibilmente massimizzandoli (sotto i vincoli esistenti) per assicurare il corretto bilanciamento tra le aspettative di soddisfazione dei creditori e l’interesse (individuale e collettivo) al risanamento ed alla prosecuzione dell’attività.
Note:
EV pre money = V(Asset in place) + V(Redundant asset) – Nuova finanza – Costi di transazione (per la raccolta di nuova finanza) + V(Nuovi investimenti) – V(costi di monitoring e di bonding) - V(costi diretti ed indiretti di
dissesto) – V(rischi di minor committment sui nuovi investimenti) - V(rischi di asset substitution e di risk shifting). L’analisi di tale complesso metodo di stima esula dai limiti della presente trattazione; molti degli elementi che tale formula considera sono comunque trattati nel testo.
problematicamente – indiretta in caso di retrocessione dell’azienda al concedente (sulla problematicità della qualificazione del piano in tali fattispecie ci si permette di rinviare a M. TARABUSI, To continuity and beyond: viaggio ai confini della continuità aziendale, in ilFalliemntarista.it, 10 dicembre 2021).
FR = (W * IBR) + Rendita ΔW + MS
dove: FR = congruo canone di affitto (Fair Rent); W = valore economico dell’azienda affittata all’inizio del contratto; IBR = tasso di finanziamento marginale/incrementale (Incremental Borrowing Rate) dell’affittuario, ovvero il tasso di interesse di mercato a cui l’affittuario potrebbe ricevere un finanziamento da parti indipendenti, garantito dall’azienda affittata, avente durata pari al contratto di affitto e da rimborsare in una sola soluzione alla scadenza (definizione all’epoca conforme a IAS 17 § 4; si veda oggi l’Appendice A allo IFRS 16); Rendita ΔW = la rendita equivalente alla perdita (o incremento) di valore attesa alla fine del contratto, per la parte non coperta dal conguaglio di fine contratto (ove previsto); MS = l’ammontare medio atteso delle spese di manutenzione straordinaria a carico del concedente. Ciascuna delle componenti della formula viene valorizzata sulla base della specifica regolamentazione contrattuale in essere, delle caratteristiche dell’azienda e delle prospettive delle parti del contratto. Nell’intenzione degli A. tale formula «pare idonea a fornire elementi concreti per la determinazione di un valore economico del canone di affitto: –stimato nell’ottica di un terzo indipendente ed imparziale rispetto alle parti coinvolte nella negoziazione; –quantificato in modo quanto più razionale, dimostrabile e verificabile possibile;–stabile, tendenzialmente, nel tempo. A tale proposito, rilevato che vi è unanimità nella dottrina nel far dipendere il congruo canone di affitto dal valore economico dell’azienda affittata, ciò che lo schema proposto aggiunge in concreto è: –un criterio non discrezionale o apodittico per determinare il coefficiente moltiplicativo del valore economico da cui scaturisce il congruo canone (nel modello proposto, il tasso IBR); –degli elementi aggiuntivi (Rendita ΔW e MS) per tenere conto della natura non standardizzata del contratto di affitto di azienda, per cui risulta possibile prevedere canoni diversi per contratti che hanno pattuizioni contrattuali diverse e, quindi, convenienze economiche delle parti profondamente diverse. La formula proposta, infine, enucleando gli elementi di convenienza economica e i rischi a carico del gestore e del proprietario si presta anche come schema concettuale per la negoziazione». Il presupposto su cui si basa tale metodo di calcolo è che l’operazione sia assimilabile ad un finanziamento fatto all’affittuario avente come garanzia reale l’azienda: si assume, in sintesi, che tale sia la “sostanza economica” dell’operazione. Tale assimilazione è coerente con l’approccio tutto anglosassone al principio substance over form, che svilisce – forse eccessivamente - la qualificazione giuridica delle operazioni.
a) ove così si facesse, si assumerebbe che il canone di affitto assorba intermanete il profitto dell’affittuario, rendendo così l’operazione antieconomica per questi;
b) il rischio di impresa non grava più, o comunque non interamente, sul concedente, che lo sopporta solo indirettamente (come rischio di insolvenza dell’affittuario e/o di depauperamento/disavviamento dell’azienda), mentre il rischio diretto imprenditoriale grava sull’affittuario.