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Giovanni La Croce, Dottore Commercialista in Milano

La richiesta cautelare d’inibizione dell’escussione delle garanzie statali: l’harakiri del ristrutturatore.

19 Settembre 2025

Il nostro Paese, come sosteneva il geniale Ennio Flaiano, è noto per prediligere gli arabeschi. 

In particolare, piacciono ai suoi legislatori.

Le regole, secondo manzoniana memoria, devono essere astruse per definizione a marcare il confine sociologico tra chi le scrive/le applica e chi le deve solamente rispettare. 

Se il precetto è chiaro il rapporto Stato - cittadino è un rapporto democratico-partecipativo, se la disposizione è oscura il rapporto è di sudditanza. 

E si sa, i sudditi, rispetto ai cittadini, sono più facili da gestire.

Abbandonando ogni ulteriore premessa e andando al sodo non c’è disposizione più astrusa e irrazionale di quella che regola i crediti bancari assistiti da garanzia MCC o Sace.

Questi crediti nascono chirografi, ma se la banca escute la garanzia, il credito di regresso – un po’ come se si compisse un miracolo simile a quello delle nozze di Cana – si tramuta, pur in assenza di nostro Signore Gesù, in credito super privilegiato.

La ratio di questo miracoloso arabesco giuridico non è mai stata chiarita, dato che – per chi è dotato di un minimo di razionalità – o il prestito garantito è rimborsato integralmente, e allora la sua natura privilegiata o chirografaria poco conta, o il prestito non è rimborsato nella misura garantita e la garanzia sarà giocoforza oggetto di escussione e con essa la trasmutazione del chirografo in privilegio.

E allora, il credito sotto il profilo economico – che è quello che conta – è sostanzialmente un credito privilegiato ancor prima dell’escussione, poiché l’escussione è un evento inevitabile. L’unica variabile è quella temporale, cioè quando in concreto la banca si rivolgerà, dopo l’inadempimento del suo debitore, al garante per recuperarlo, ovviamente nei limiti della quota garantita.

Se così è – e non vedo come così non possa essere – mi sono sempre domandato perché nell’ambito di un processo di ristrutturazione si debba ragionare facendo prevalere la forma sulla sostanza. 

Ossia considerare l’escussione non una certezza e, in conseguenza, classificare il credito come chirografo, stanziando un corrispondente fondo rischi di escussione, quando si sa a priori che l’escussione interverrà.

Invero, un illustre autore (Massimo Fabiani, I crediti SACE per le garanzie ai finanziamenti alle imprese: la contraddizione del sistema dei privilegi e la ragione di Stato, in Il Fallimento, 2022, 497) aveva cercato di risolvere il mistero dell’arabesco, ipotizzando, con tesi tutt’affatto ardita, che perché si potesse legittimamente produrre la miracolosa trasmutazione da chirografo a super privilegio, occorreva l’anteriorità temporale dell’escussione rispetto all’apertura del concorso.

Tale tesi, purtroppo, è rimasta minoritaria in dottrina e del tutto ignorata in giurisprudenza. 

Eppure, se tale ricostruzione ermeneutica, che a mio parere è una delle più felici intuizioni dell’illustre autore, fosse stata condivisa, molte delle problematiche che la norma riflette nell’ambito delle ristrutturazioni aziendali sarebbero state eliminate a monte, quanto meno in tutti quei casi in cui l’ambiente fosse stato di tipo concorsuale. 

Ma tant’è.

In ogni caso quella ricostruzione che a me tanto convinceva – e convince tutt’ora - non sarebbe stata applicabile alla Composizione negoziata, dato che il suo avvio non determina giammai l’apertura di alcun concorso.

Bene, tra le maggiori complessità che il consulente dell’impresa che chiede l’accesso alla Composizione negoziata deve affrontare vi è quella delle trattative con i creditori finanziari garantiti da MCC e/o Sace. Semplificando, come si vedrà infra, come portare al tavolo delle trattative gli enti garanti non escussi.

Tale complessità a mio modesto avviso è spesso affrontata in modo del tutto inadeguato, ossia chiedendo al tribunale l’emissione di un provvedimento che vieti alle banche di rivolgersi allo Stato garante.

Se ciò, infatti, è una opzione ragionevole, per quanto non necessaria, nel caso in cui il piano preveda esclusivamente un riscadenziamento della facilitazione garantita, oppure un rimborso di entità pari al suo importo garantito, in ogni altra diversa circostanza la misura cautelare rischia di produrre un effetto boomerang.

Innanzi tutto, c’è il problema, come accennavo sopra, di come portare al tavolo delle trattative un creditore che tale non è (da ultimo: Cass. 6 marzo 2025, n. 5964), tanto che di norma non vi partecipa, ma la cui decisione finale, a tempo ormai scaduto, potrebbe incidere negativamente sulla conclusione positiva della ristrutturazione.

In secondo luogo, come ho prima sottolineato, solo l’escussione determina il miracolo della trasmutazione della natura del credito da chirografario a super-privilegiato. 

Circostanza questa che, sola, pone l’ente garante nella condizione di valutare la convenienza di un trattamento deteriore rispetto a quello che il super privilegio teoricamente gli assicurerebbe.

Facciamo un esempio: credito 100, garanzia statale 80, soddisfacimento previsto a piano 40.

Se nell’analisi del caso ipotizzato si procedesse facendo prevalere la sostanza economica sulla forma giuridica, sarebbe in re ipsaid quod plerumque accidit – che il piano avrebbe dovuto scontare che la banca chirografaria escutesse la garanzia, incassando 80 e perdendo 20, mentre il garante super privilegiato avrebbe dovuto accettare di incassare solo 40 al soddisfo del credito regresso super privilegiato, magari in dispregio della graduazione delle legittime cause di prelazione.

Di certo non si può ipotizzare che qualsiasi organo deliberativo bancario – pena la sua chiamata in responsabilità – accetti di rinunciare a parte della garanzia, oltre a perdere totalmente la quota non garantita (nel caso ipotizzato 20).

Capite, dunque, come il complesso arabesco disegnato dal nostro legislatore – bellissimo a guardarsi – alla conta dei fatti si rivela un labirinto senza uscita di sicurezza: il super-privilegio accordato al garante e non al garantito è solo teorico - il chirografo, a fronte di un credito di 100, incassa 80, mentre il super privilegiato, a fronte di un credito di 80, ne incassa solo 40. 

Altro che super privilegio per ragioni di Stato.

Di tal che diventa indispensabile che l’ente fideiussore sia oggetto di immediata escussione, sicché possa dire la sua sulla proposta che lo riguarda gioco forza sin da subito; cioè se è disponibile ad accettare, o no, un compromesso sul suo super privilegio. 

Ed allora, venendo a conclusione: ogni volta che il piano preveda il soddisfacimento del credito garantito dallo Stato per un importo inferiore alla garanzia, la stessa, nell’interesse dell’impresa in crisi medesima, dovrebbe essere immediatamente escussa anzi dovrebbe essere lo stesso piano a prevedere l’escussione come assunzione imprescindibile.

Al contrario, sempre più spesso i consulenti dell’imprenditore in crisi instano per la richiesta d’inibizione cautelare all’escussione delle garanzie statali e, con il parere favorevole dell’esperto riescono, nei tribunali che ritengono giuridicamente ammissibile una simile richiesta (Trib. Bologna, 12 Maggio 2025, in ilcaso.it, ad esempio, pretende la dimostrazione di un pericolo concreto e attuale), ad ottenere il provvedimento inibitorio.

Nessuno – non i consulenti dell’impresa, non gli esperti, non i tribunali – si rende, però, conto che in tal modo – e fatte salve le ipotesi del mero riscadenziamento del debito o la sua soddisfazione per l’intera parte garantita (l’80 di cui all’esemplificazione di cui sopra) – si introduce un profilo d’incertezza non misurabile sulle prospettive di buon esito delle trattive di ristrutturazione, stante l’assenza al tavolo dei negoziati, non diversamente coercibile, di uno dei creditori principali: MCC e/o Sace.

Se si condividessero le superiori prospettazioni, un esperto avveduto dovrebbe, al contrario, spiegare al tribunale, sollecitato dai consulenti del debitore a emettere il provvedimento inibitorio, che accogliendo l’istanza si finirebbe per ostacolare, e non agevolare, il processo di ristrutturazione.

Chiudo, anticipando un’eccezione che sicuramente mi sarà sollevata: “al momento della richiesta dell’inibitoria il piano potrebbe non essere definito, quanto meno riguardo al perimetro delle proposte da avanzare ai creditori".

Si tratterebbe di un’eccezione facile da superare. 

Se così fosse, infatti, sarebbe la mancanza di una base concreta, compatibile con il piano economico, per avviare tempestivamente le trattative con i creditori a dover indurre l’esperto, non solo ad esprimere il proprio parere negativo sull’inibitoria per le ragioni sopra dette, bensì anche a richiedere al segretario generale della Camera di commercio l’archiviazione del procedimento per assenza delle necessarie ragionevoli condizioni per il perseguimento del risanamento.
Edoardo Staunovo Polacco, Avvocato in Milano

22 Settembre 2025 9:13

Caro Giovanni, non posso che condividere totalmente quanto hai scritto. Un caro saluto. Edoardo
CARLO PIROZZI, DOTTORE COMMERCIALISTA ESPERTO CNC IN NAPOLI

4 Ottobre 2025 20:57

Pregiatissimo Giovanni La Croce 
ti ho sempre apprezzato quando mi è capitato di leggerti per la precisione e la franchezza dei tuoi ragionamenti.
 
Introduci il blog trasportandoci nel ‘600 manzoniano. L’Italia di adesso continua a prediligere gli arabeschi con una novità. La chiesa oggi non ha il potere temporale del ‘600  ma ci sono altre forme di potere che generano sudditanza: sto pensando alla UE, all’INPS (uno stato nello stato) e alle banche.
 
Nel mettere i piedi per terra consideriamo un ristrutturatore (azzeccagarbugli ?) e una PMI (Renzo ?).
 
Consentimi allora di dirti che la tua soluzione presta il fianco a delle obiezioni (da blog ma non da bar)  che sarai sicuramente in grado di risolvere.
 
A)    Il buon ristrutturatore che ha letto le disposizioni operative MCC come un codicillo importante (o se vuoi come una norma regolamentare secondaria) sottopone alla banca chirografa quell’accordo transattivo previsto nel paragrafo H.1.5 delle Disposizioni Operative MCC. Quella forma di accordo nella quale la banca tratta da chirografo e coinvolge MCC nella decisione è l’unico modo per evitare la trasmutazione genetica del credito. Su tale punto la mia posizione trova conforto anche in quanto previsto dal paragrafo 5.2.2.2 delle linee guida dell’associazione KRINO, dove si legge che, a seguito dell’accordo con l’assenso di MCC, quest’ultimo non può attivare il regresso nei confronti del debitore.
 
B)    MCC non partecipa mai alle composizioni negoziate quand’anche l’escussione sia già avvenuta e l’istituto riceve l’invito dall’esperto come creditore in proprio. Non oso pensare come farebbe a partecipare in generale laddove si pensi che deve gestire una massa di garanzie di 320 miliardi di euro. 
 
In piena onestà intellettuale ritengo che nessun interprete abbia una soluzione ottimale applicabile in tutte le diverse situazioni. Sono fermamente convinto che chiedere misure cautelari tese all’inibizione dell’escussione sia un dovere anche in funzione del fatto che la banca finanziatrice dovrebbe autonomamente astenersi da questa escussione per non compromettere il tentativo di risanamento.
 
Metto all’attenzione di chi voglia alimentare questo stimolante BLOG che a mio parere esistono tre punti critici rispetto al trattamento del credito garantito nei procedimenti e nelle procedure “consensuali” CNC e ARD:
 
1)     Le disposizioni operative (redatte ante CCII) andrebbero completamente riviste per valorizzare il ruolo di esperti ed attestatori che hanno il compito di mettere in evidenza come la perdita di MCC (che è una perdita per la collettività) può essere contenuta al minimo;
 
2)     Le tempistiche di valutazione delle proposte da parte di MCC che le disposizioni operative limitano a 30+10 giorni dovrebbero effettivamente prodursi secondo questo lasso temporale;
 
3)     Le banche non dovrebbero in nessun caso dilatare i tempi delle loro delibere sulle proposte transattive. Questo atteggiamento assolutamente incompatibile con il generale principio di correttezza e buona fede svela il loro effettivo intendimento di far scadere i termini di una CNC o di un ARD, onde poter escutere la garanzia.
 
Questi accorgimenti che fanno parte di un regolare comportamento secondo correttezza e buona fede non avrebbero nemmeno bisogno di nuovi codicilli ma solo di un rapporto più equilibrato tra gli interessi delle parti. 
 
In una buona CNC non deve esserci nessun Harakiri e se proprio dovesse verificarsi ciò il buon ristrutturatore e l’impresa risanabile dovranno mettersi in salvo. 
 
Giovanni La Croce, dottore commercialista

5 Ottobre 2025 18:28

Pregiatissimo Giovanni La Croce 
ti ho sempre apprezzato quando mi è capitato di leggerti per la precisione e la franchezza dei tuoi ragionamenti.
 
Introduci il blog trasportandoci nel ‘600 manzoniano. L’Italia di adesso continua a prediligere gli arabeschi con una novità. La chiesa oggi non ha il potere temporale del ‘600  ma ci sono altre forme di potere che generano sudditanza: sto pensando alla UE, all’INPS (uno stato nello stato) e alle banche.
 
Nel mettere i piedi per terra consideriamo un ristrutturatore (azzeccagarbugli ?) e una PMI (Renzo ?).
 
Consentimi allora di dirti che la tua soluzione presta il fianco a delle obiezioni (da blog ma non da bar)  che sarai sicuramente in grado di risolvere.
 
A)    Il buon ristrutturatore che ha letto le disposizioni operative MCC come un codicillo importante (o se vuoi come una norma regolamentare secondaria) sottopone alla banca chirografa quell’accordo transattivo previsto nel paragrafo H.1.5 delle Disposizioni Operative MCC. Quella forma di accordo nella quale la banca tratta da chirografo e coinvolge MCC nella decisione è l’unico modo per evitare la trasmutazione genetica del credito. Su tale punto la mia posizione trova conforto anche in quanto previsto dal paragrafo 5.2.2.2 delle linee guida dell’associazione KRINO, dove si legge che, a seguito dell’accordo con l’assenso di MCC, quest’ultimo non può attivare il regresso nei confronti del debitore.
 
B)    MCC non partecipa mai alle composizioni negoziate quand’anche l’escussione sia già avvenuta e l’istituto riceve l’invito dall’esperto come creditore in proprio. Non oso pensare come farebbe a partecipare in generale laddove si pensi che deve gestire una massa di garanzie di 320 miliardi di euro. 
 
In piena onestà intellettuale ritengo che nessun interprete abbia una soluzione ottimale applicabile in tutte le diverse situazioni. Sono fermamente convinto che chiedere misure cautelari tese all’inibizione dell’escussione sia un dovere anche in funzione del fatto che la banca finanziatrice dovrebbe autonomamente astenersi da questa escussione per non compromettere il tentativo di risanamento.
 
Metto all’attenzione di chi voglia alimentare questo stimolante BLOG che a mio parere esistono tre punti critici rispetto al trattamento del credito garantito nei procedimenti e nelle procedure “consensuali” CNC e ARD:
 
1)     Le disposizioni operative (redatte ante CCII) andrebbero completamente riviste per valorizzare il ruolo di esperti ed attestatori che hanno il compito di mettere in evidenza come la perdita di MCC (che è una perdita per la collettività) può essere contenuta al minimo;
 
2)     Le tempistiche di valutazione delle proposte da parte di MCC che le disposizioni operative limitano a 30+10 giorni dovrebbero effettivamente prodursi secondo questo lasso temporale;
 
3)     Le banche non dovrebbero in nessun caso dilatare i tempi delle loro delibere sulle proposte transattive. Questo atteggiamento assolutamente incompatibile con il generale principio di correttezza e buona fede svela il loro effettivo intendimento di far scadere i termini di una CNC o di un ARD, onde poter escutere la garanzia.
 
Questi accorgimenti che fanno parte di un regolare comportamento secondo correttezza e buona fede non avrebbero nemmeno bisogno di nuovi codicilli ma solo di un rapporto più equilibrato tra gli interessi delle parti. 
 
In una buona CNC non deve esserci nessun Harakiri e se proprio dovesse verificarsi ciò il buon ristrutturatore e l’impresa risanabile dovranno mettersi in salvo. 
 
Gentile Pirozzi,
Grazie per avermi segnalato l’esistenza di una parte nascosta dell’arabescato. Ma temo, come cercherò di spiegare, che si sia trattato di un miraggio. Gli stessi arzigogoli del legislatore spesso li inducono in tutti noi.

Per restare in ambito manzoniano - quale termine maggiormente vi si attaglia del “codicillo” - la prassi comportamentale interna di MCC (par. H15), secondo l’interpretazione da te mutuata da KRINO, vorrebbe che una volta approvato l’accordo sottoscritto dalla banca con il suo creditore MCC perda automaticamente il proprio diritto di regresso/surroga assistito dal super privilegio che miracolosamente  sorgerebbe a seguito dell’escussione. 

Dunque, secondo l’interpretazione proposta, il pubblico funzionario (pubblico ufficiale?), pur cosciente che MCC sarà escussa dalla banca rinuncerebbe,  approvando l’accordo sottoscritto da quest’ultima con il proprio debitore, ancor prima che l’escussione avvenga, a rivalersi sul debitore principale, ciò nonostante la disposizione di legge glielo consenta. Glielo imponga, come chiarirò.

Orbene, la prima questione che si dovrebbe indagare è la natura del codicillo. È una norma di legge?

Sarei portato a ritenere di no, e a ciò aggiungerei che non potrebbe mai porsi in contrasto con la norma principale a cui deve dare attuazione:  ➡️ escussa la garanzia, scatta ➡️  il diritto/obbligo di rivalsa assistito dal super privilegio generale. Obbligo,  perché si tratta di una norma che riguarda un ente pubblico che amministra pubbliche risorse e che deve improntare la propria attività al principio costituzionale (art. 97 Cost.) di efficienza. 

La norma principale non consente discrezionalità quanto a esercizio della rivalsa/surroga.  È ciò perché qualsiasi rinuncia preventiva si pone in contrasto ontologico con la protezione accordata dal legislatore alla garanzia statale. Cosa diversa sarebbe la negoziazione del credito super privilegiato sorto a seguito dell’escussione.

La garanzia pubblica è concessa alle condizioni di legge e nessun funzionario, o comitato di funzionari, vi può rinunciare, pena doverne rispondere alla Corte dei conti e, forse, non solo alla magistratura contabile.

Un esempio numerico aiuta sempre: credito banca 100, accordo a 50, escussione 30. Secondo la lettura che proponi, MCC potrebbe rinunciare non tanto al super privilegio, quanto al credito di regresso in sé, facendo venir meno il sinallagma stesso del contratto di garanzia.

Una lettura che a me pare del tutto improponibile, totalmente essa è eversiva delle finalità del precetto legislativo, ossia di una (la più importante) delle condizioni per cui può essere concessa la garanzia statale.

Non solo, alla teorizzazione della possibilità di rinunciare al credito di regresso da parte di MCC corrisponderebbe  automaticamente la legittimazione di un aiuto di Stato in favore delle aziende italiane in crisi, che sappiamo essere in contrasto con il diritto UE. 

Anzi, riflettendoci bene, il diritto di regresso con super privilegio fu pensato proprio per evitare un’ impugnativa sotto tale profilo da parte della Commissione UE.

Ma v’è di più. 

Maggiore è lo stralcio accettato dalla banca, maggiore sarebbe il sacrificio imposto a MCC, con un pericoloso effetto regressivo al di fuori da qualsiasi cornice normativa. 

Tutto su base puramente discrezionale, poi! 

Se è pur vero, infatti, che vi è più di una traccia nel nostro ordinamento di norme di stampo regressivo - pensiamo a quelle del regime forfettario in campo tributario, o  a quelle sull’apporto di finanza esterna nel concordato preventivo liquidatorio - è altrettanto vero che tale loro discutibile effetto discende dalla legge, mentre nel nostro lo si farebbe discendere da un semplice “codicillo” di prassi interno di MCC, così interpretato da KRINO quanto a effetti.

 A proposito, cosa dice la “sura” di Sace?

Ma vi sono ulteriori argomenti di segno contrario alla lettura che proponi. 

Ad esempio essa sarebbe praticabile solo nella CN e negli AdR base, non in quelli a efficacia estesa, e non nel concordato preventivo, né tanto meno nella liquidazione giudiziale.

Ciò vuol dire che il creditore pubblico -  che in un concordato o in una liquidazione giudiziale, dove non approva  alcun accordo raggiunto dalla banca garantita con il suo debitore, avrebbe il diritto di regresso accompagnato dalla super-garanzia - lo perderebbe solo perché il debitore sceglie di utilizzare la CN o gli AdR base.

A me pare, questa, una ricaduta del tutto irragionevole sotto il profilo costituzionale che destituisce di totale fondamento la lettura da cui deriva

Evidente, poi, che, perché una simile scelta non determini una responsabilità patrimoniale per danno erariale a carico del funzionario di MCC che la praticasse, occorrerebbe che il super privilegio che assisterebbe il credito di regresso della banca pubblica nel CP o nella LG (le due alternative praticabili) sia, in quei diversi contesti, del tutto incapiente. Diversamente sarebbe una scelta gravida di responsabilità.

Ulteriormente, senza dilungarmi ancora (potrei), occorrerebbe domandarsi, dandosi una risposta razionale, come l’esperto possa monitorare le possibilità di successo della CN se un attore fondamentale non vi partecipa. È vero che il diritto della crisi è connaturato da molte venature predittive, ma pur sempre ancorate a una qualche fattualità, che sarebbe invece del tutto assente nel caso di specie.

Concludo affermando che una norma, quand’anche irrazionale come quella che regola le garanzie pubbliche sulle facilitazioni bancarie alle imprese, non può essere, a motivo della sua irrazionalità,  applicata a discrezione.  Al più la si può, come argutamente fatto dal prof. Massimo Fabiani,  interpretarla in guisa da renderla razionale, come avevo spiegato in dettaglio nel mio blog introduttivo, chiarendo che da quella condivisibile lettura ne era esclusa, in assenza di concorso,  la CN.

A te la parola, dunque.
Linda Morellini, Avvocato

7 Ottobre 2025 19:24

Gentile Pirozzi,
Grazie per avermi segnalato l’esistenza di una parte nascosta dell’arabescato. Ma temo, come cercherò di spiegare, che si sia trattato di un miraggio. Gli stessi arzigogoli del legislatore spesso li inducono in tutti noi.

Per restare in ambito manzoniano - quale termine maggiormente vi si attaglia del “codicillo” - la prassi comportamentale interna di MCC (par. H15), secondo l’interpretazione da te mutuata da KRINO, vorrebbe che una volta approvato l’accordo sottoscritto dalla banca con il suo creditore MCC perda automaticamente il proprio diritto di regresso/surroga assistito dal super privilegio che miracolosamente  sorgerebbe a seguito dell’escussione. 

Dunque, secondo l’interpretazione proposta, il pubblico funzionario (pubblico ufficiale?), pur cosciente che MCC sarà escussa dalla banca rinuncerebbe,  approvando l’accordo sottoscritto da quest’ultima con il proprio debitore, ancor prima che l’escussione avvenga, a rivalersi sul debitore principale, ciò nonostante la disposizione di legge glielo consenta. Glielo imponga, come chiarirò.

Orbene, la prima questione che si dovrebbe indagare è la natura del codicillo. È una norma di legge?

Sarei portato a ritenere di no, e a ciò aggiungerei che non potrebbe mai porsi in contrasto con la norma principale a cui deve dare attuazione:  ➡️ escussa la garanzia, scatta ➡️  il diritto/obbligo di rivalsa assistito dal super privilegio generale. Obbligo,  perché si tratta di una norma che riguarda un ente pubblico che amministra pubbliche risorse e che deve improntare la propria attività al principio costituzionale (art. 97 Cost.) di efficienza. 

La norma principale non consente discrezionalità quanto a esercizio della rivalsa/surroga.  È ciò perché qualsiasi rinuncia preventiva si pone in contrasto ontologico con la protezione accordata dal legislatore alla garanzia statale. Cosa diversa sarebbe la negoziazione del credito super privilegiato sorto a seguito dell’escussione.

La garanzia pubblica è concessa alle condizioni di legge e nessun funzionario, o comitato di funzionari, vi può rinunciare, pena doverne rispondere alla Corte dei conti e, forse, non solo alla magistratura contabile.

Un esempio numerico aiuta sempre: credito banca 100, accordo a 50, escussione 30. Secondo la lettura che proponi, MCC potrebbe rinunciare non tanto al super privilegio, quanto al credito di regresso in sé, facendo venir meno il sinallagma stesso del contratto di garanzia.

Una lettura che a me pare del tutto improponibile, totalmente essa è eversiva delle finalità del precetto legislativo, ossia di una (la più importante) delle condizioni per cui può essere concessa la garanzia statale.

Non solo, alla teorizzazione della possibilità di rinunciare al credito di regresso da parte di MCC corrisponderebbe  automaticamente la legittimazione di un aiuto di Stato in favore delle aziende italiane in crisi, che sappiamo essere in contrasto con il diritto UE. 

Anzi, riflettendoci bene, il diritto di regresso con super privilegio fu pensato proprio per evitare un’ impugnativa sotto tale profilo da parte della Commissione UE.

Ma v’è di più. 

Maggiore è lo stralcio accettato dalla banca, maggiore sarebbe il sacrificio imposto a MCC, con un pericoloso effetto regressivo al di fuori da qualsiasi cornice normativa. 

Tutto su base puramente discrezionale, poi! 

Se è pur vero, infatti, che vi è più di una traccia nel nostro ordinamento di norme di stampo regressivo - pensiamo a quelle del regime forfettario in campo tributario, o  a quelle sull’apporto di finanza esterna nel concordato preventivo liquidatorio - è altrettanto vero che tale loro discutibile effetto discende dalla legge, mentre nel nostro lo si farebbe discendere da un semplice “codicillo” di prassi interno di MCC, così interpretato da KRINO quanto a effetti.

 A proposito, cosa dice la “sura” di Sace?

Ma vi sono ulteriori argomenti di segno contrario alla lettura che proponi. 

Ad esempio essa sarebbe praticabile solo nella CN e negli AdR base, non in quelli a efficacia estesa, e non nel concordato preventivo, né tanto meno nella liquidazione giudiziale.

Ciò vuol dire che il creditore pubblico -  che in un concordato o in una liquidazione giudiziale, dove non approva  alcun accordo raggiunto dalla banca garantita con il suo debitore, avrebbe il diritto di regresso accompagnato dalla super-garanzia - lo perderebbe solo perché il debitore sceglie di utilizzare la CN o gli AdR base.

A me pare, questa, una ricaduta del tutto irragionevole sotto il profilo costituzionale che destituisce di totale fondamento la lettura da cui deriva

Evidente, poi, che, perché una simile scelta non determini una responsabilità patrimoniale per danno erariale a carico del funzionario di MCC che la praticasse, occorrerebbe che il super privilegio che assisterebbe il credito di regresso della banca pubblica nel CP o nella LG (le due alternative praticabili) sia, in quei diversi contesti, del tutto incapiente. Diversamente sarebbe una scelta gravida di responsabilità.

Ulteriormente, senza dilungarmi ancora (potrei), occorrerebbe domandarsi, dandosi una risposta razionale, come l’esperto possa monitorare le possibilità di successo della CN se un attore fondamentale non vi partecipa. È vero che il diritto della crisi è connaturato da molte venature predittive, ma pur sempre ancorate a una qualche fattualità, che sarebbe invece del tutto assente nel caso di specie.

Concludo affermando che una norma, quand’anche irrazionale come quella che regola le garanzie pubbliche sulle facilitazioni bancarie alle imprese, non può essere, a motivo della sua irrazionalità,  applicata a discrezione.  Al più la si può, come argutamente fatto dal prof. Massimo Fabiani,  interpretarla in guisa da renderla razionale, come avevo spiegato in dettaglio nel mio blog introduttivo, chiarendo che da quella condivisibile lettura ne era esclusa, in assenza di concorso,  la CN.

A te la parola, dunque.
Caro Giovanni ed Egregio Dott. Pirozzi,
concordo anzitutto con il fatto che le Disposizioni Operative dovrebbero essere aggiornate in coerenza con le modifiche introdotte e con le novità apportate dal Codice della Crisi.
Allo stato della normativa, anche regolamentare, ritengo che l'ipotesi di responsabiltà erariale da parte dell'ente garante possa essere esclusa nella misura in cui, a fronte di proposte di accordo a saldo e stralcio, è necessario che le stesse siano corredate da un parere motivato di un professionista indipendente circa la reale convenienza di tale proposta rispetto ad altri scenari alternativi. In questo modo, l'accoglimento della proposta di saldo e stralcio da parte dell'ente garante, se è vero che diminuisce la recovery finale, tuttavia consente una minima forma di soddisfazione ed evita all'ente medesimo di vedersi riconosciuto un super privilegio sulla carta, ma senza alcuna possibilità di essere soddisfatto. 
CARLO PIROZZI, DOTTORE COMMERCIALISTA - ESPERTO CNC

7 Ottobre 2025 23:13

Caro Giovanni ed Egregio Dott. Pirozzi,
concordo anzitutto con il fatto che le Disposizioni Operative dovrebbero essere aggiornate in coerenza con le modifiche introdotte e con le novità apportate dal Codice della Crisi.
Allo stato della normativa, anche regolamentare, ritengo che l'ipotesi di responsabiltà erariale da parte dell'ente garante possa essere esclusa nella misura in cui, a fronte di proposte di accordo a saldo e stralcio, è necessario che le stesse siano corredate da un parere motivato di un professionista indipendente circa la reale convenienza di tale proposta rispetto ad altri scenari alternativi. In questo modo, l'accoglimento della proposta di saldo e stralcio da parte dell'ente garante, se è vero che diminuisce la recovery finale, tuttavia consente una minima forma di soddisfazione ed evita all'ente medesimo di vedersi riconosciuto un super privilegio sulla carta, ma senza alcuna possibilità di essere soddisfatto. 
Egregia Avv. Linda Morellini

La ringrazio per aver posto fine alla singolar tenzone in cui ci eravamo imbarcati. 
Non mi compiaccio del fatto che la sua interpretazione sia sovrapponibile alla mia, ma colgo la sua giusta riflessione sulla possibilità per il funzionario di basarsi sull'attestazione di convenienza.

Diversamente ragionando non vedo come colui che funzionario pubblico lo è senza ombra di dubbio (direttore regionale ADE) dovrebbe poter sottoscrivere una transazione fiscale mentre il funzionario MCC non potrebbe farlo.

Mi dispiace insistere sulla fallacia di alcuni argomenti giustapposti nella tesi dell'esimio collega La Croce. 
Non posso tacere che l'appellativo di "eversiva" dato alla mia interpretazione mi sembra altisonante quanto immeritato.

Circa il contrasto normativo tra la norma secondaria regolamento disposizioni operative MCC ( ex DM MIMIT  decreto ministeriale del 2 agosto 2023 ) norma primaria e disciplina unionale, lascio l'interpretazione agli uffici legali delle banche ed agli organi giurisdizionali in quanto io mi limito a ragionare de jure condito.

Nel mio sommesso e circoscritto intervento intendo ribadire che :

1)     Le disposizioni operative (redatte ante CCII) andrebbero completamente riviste (proprio per una armonizzazione al nuovo CCII)  per valorizzare il ruolo di esperti ed attestatori che hanno il compito di mettere in evidenza come la perdita di MCC (che è una perdita per la collettività) può essere contenuta al minimo;
 
2)     Le tempistiche di valutazione delle proposte da parte di MCC che le disposizioni operative limitano a 30+10 giorni dovrebbero effettivamente prodursi secondo questo lasso temporale;
 
3)     Le banche non dovrebbero in nessun caso dilatare i tempi delle loro delibere sulle proposte transattive. Questo atteggiamento assolutamente incompatibile con il generale principio di correttezza e buona fede svela il loro effettivo intendimento di far scadere i termini di una CNC o di un ARD, onde poter escutere la garanzia. Questo atteggiamento dilatorio è tanto più riscontrabile nel segmento dello small business dove dedicare uno staff di personale bancario alla gestione della pratica è considerato inefficiente..

 
Ripeto che nessuno di noi dispone della verità e che il nuovo codice dell'insolvenza mette tutti davanti ad un notevole sforzo interpretativo.  Con questo spirito vi invito tutti a leggere "IL RUOLO DELLE PARTI E DEI PROFESSIONISTI NEL FILM DELLA CRISI DI IMPRESA" del prof. Fabiani su questa rivista.  Con questa lettura possiamo meglio interpretare la sceneggiatura della crisi che può vedere il singolo professionista vestire i panni di Advisor in un procedimento, di Attestatore in altro e di Esperto in altro ancora. Forse il grande interprete deve sapersi calare nelle diverse parti abbandonando ogni preconcetto, ogni ragionamento apodittico (lo dico anche a me stesso, of course).

Lorenzo Marcello del Majno, Avvocato

8 Ottobre 2025 14:45

Egregia Avv. Linda Morellini

La ringrazio per aver posto fine alla singolar tenzone in cui ci eravamo imbarcati. 
Non mi compiaccio del fatto che la sua interpretazione sia sovrapponibile alla mia, ma colgo la sua giusta riflessione sulla possibilità per il funzionario di basarsi sull'attestazione di convenienza.

Diversamente ragionando non vedo come colui che funzionario pubblico lo è senza ombra di dubbio (direttore regionale ADE) dovrebbe poter sottoscrivere una transazione fiscale mentre il funzionario MCC non potrebbe farlo.

Mi dispiace insistere sulla fallacia di alcuni argomenti giustapposti nella tesi dell'esimio collega La Croce. 
Non posso tacere che l'appellativo di "eversiva" dato alla mia interpretazione mi sembra altisonante quanto immeritato.

Circa il contrasto normativo tra la norma secondaria regolamento disposizioni operative MCC ( ex DM MIMIT  decreto ministeriale del 2 agosto 2023 ) norma primaria e disciplina unionale, lascio l'interpretazione agli uffici legali delle banche ed agli organi giurisdizionali in quanto io mi limito a ragionare de jure condito.

Nel mio sommesso e circoscritto intervento intendo ribadire che :

1)     Le disposizioni operative (redatte ante CCII) andrebbero completamente riviste (proprio per una armonizzazione al nuovo CCII)  per valorizzare il ruolo di esperti ed attestatori che hanno il compito di mettere in evidenza come la perdita di MCC (che è una perdita per la collettività) può essere contenuta al minimo;
 
2)     Le tempistiche di valutazione delle proposte da parte di MCC che le disposizioni operative limitano a 30+10 giorni dovrebbero effettivamente prodursi secondo questo lasso temporale;
 
3)     Le banche non dovrebbero in nessun caso dilatare i tempi delle loro delibere sulle proposte transattive. Questo atteggiamento assolutamente incompatibile con il generale principio di correttezza e buona fede svela il loro effettivo intendimento di far scadere i termini di una CNC o di un ARD, onde poter escutere la garanzia. Questo atteggiamento dilatorio è tanto più riscontrabile nel segmento dello small business dove dedicare uno staff di personale bancario alla gestione della pratica è considerato inefficiente..

 
Ripeto che nessuno di noi dispone della verità e che il nuovo codice dell'insolvenza mette tutti davanti ad un notevole sforzo interpretativo.  Con questo spirito vi invito tutti a leggere "IL RUOLO DELLE PARTI E DEI PROFESSIONISTI NEL FILM DELLA CRISI DI IMPRESA" del prof. Fabiani su questa rivista.  Con questa lettura possiamo meglio interpretare la sceneggiatura della crisi che può vedere il singolo professionista vestire i panni di Advisor in un procedimento, di Attestatore in altro e di Esperto in altro ancora. Forse il grande interprete deve sapersi calare nelle diverse parti abbandonando ogni preconcetto, ogni ragionamento apodittico (lo dico anche a me stesso, of course).

Cara Linda, Caro Giovanni, Cari tutti,
alcune chiose operative a margine delle vostre riflessioni.
A mio avviso, ante escussione (rectius ante pagamento della Garanzia da parte del Fondo in favore della Banca), il garante MCC non può né deve essere “portato al tavolo” (discorso, in parte diverso, vale per SACE). 
Non può, perché MCC (rectius il Fondo di Garanzia) non è creditore della Società.
Non deve, perché non è destinatario diretto di alcuna proposta.
Lo schema dei rapporti prevede che il debitore formuli una proposta alla Banca, quest’ultima la valuti e, al fine di mantenere la Garanzia e/o escuterla, sottopone la proposta a MCC, che, con i suoi tempi, la valuterà.
In caso di proposta a saldo e stralcio, deliberata favorevolmente dalla Banca e da MCC, non ci sarà alcun regresso/surroga: MCC “metterà a perdita” del Fondo l’importo da pagare alla Banca e nessun regresso/surroga verrà azionato nei confronti della Società. 
(Esempio numerico (a) linea di 100, garanzia 80% (b) la Società propone un rimborso di 60 (c) la Banca verrà rimborsata per 60 dalla Società (d) la Banca escuterà la Garanzia per l’80% del residuo 40, ossia 32, (e) la Banca stralcia il residuo 18 (d) l’importo di 32 pagato da MCC alla Banca sarà rinunciato da MCC e non richiesto alla Società).
Nel caso diverso, in cui la Società presuppone l’escussione della garanzia MCC da parte della Banca, dovrà essere previsto nel Piano (i) il rimborso integrale dell’importo oggetto di escussione (i.e. che assumerà la natura di credito privilegiato) post notifica della cartella esattoriale (modalità con la quale MCC riscuote i suoi crediti) ed, eventualmente, con le modalità di rateizzazione previste da Agenzia della Riscossione, ove e nei limiti applicabili e (ii) lo stralcio integrale o il rimborso parziale in favore della Banca anche della parte non coperta dalla Garanzia.
(Esempio numerico (a) linea di 100, garanzia 80% (b) la Società presuppone l’escussione di 80 e quindi il rimborso di 80 in favore di MCC (c) la Banca escute e verrà rimborsata per 80 da MCC (d) MCC azionerà il credito privilegiato di 80 nei confronti della Società tramite Agenzia della Riscossione e che verrà rimborsato integralmente da parte della Società (e) la Banca rinuncia al residuo 20 non coperto dalla Garanzia ovvero ottiene un rimborso parziale di questo importo).
Come commento finale, aggiungo che gli advisor hanno un’enorme responsabilità nel far sì che le proposte possano essere tecnicamente “deliberabili” (secondo lo schema sopra riportato) e soprattutto che i tempi della CNC “combacino” con quelli del percorso di attivazione/escussione della Garanzia MCC, il che è difficile ma non impossibile.
Un caro saluto,
Lorenzo
Giovanni La Croce, dottore commercialista

10 Ottobre 2025 9:13

Cara Linda, Caro Giovanni, Cari tutti,
alcune chiose operative a margine delle vostre riflessioni.
A mio avviso, ante escussione (rectius ante pagamento della Garanzia da parte del Fondo in favore della Banca), il garante MCC non può né deve essere “portato al tavolo” (discorso, in parte diverso, vale per SACE). 
Non può, perché MCC (rectius il Fondo di Garanzia) non è creditore della Società.
Non deve, perché non è destinatario diretto di alcuna proposta.
Lo schema dei rapporti prevede che il debitore formuli una proposta alla Banca, quest’ultima la valuti e, al fine di mantenere la Garanzia e/o escuterla, sottopone la proposta a MCC, che, con i suoi tempi, la valuterà.
In caso di proposta a saldo e stralcio, deliberata favorevolmente dalla Banca e da MCC, non ci sarà alcun regresso/surroga: MCC “metterà a perdita” del Fondo l’importo da pagare alla Banca e nessun regresso/surroga verrà azionato nei confronti della Società. 
(Esempio numerico (a) linea di 100, garanzia 80% (b) la Società propone un rimborso di 60 (c) la Banca verrà rimborsata per 60 dalla Società (d) la Banca escuterà la Garanzia per l’80% del residuo 40, ossia 32, (e) la Banca stralcia il residuo 18 (d) l’importo di 32 pagato da MCC alla Banca sarà rinunciato da MCC e non richiesto alla Società).
Nel caso diverso, in cui la Società presuppone l’escussione della garanzia MCC da parte della Banca, dovrà essere previsto nel Piano (i) il rimborso integrale dell’importo oggetto di escussione (i.e. che assumerà la natura di credito privilegiato) post notifica della cartella esattoriale (modalità con la quale MCC riscuote i suoi crediti) ed, eventualmente, con le modalità di rateizzazione previste da Agenzia della Riscossione, ove e nei limiti applicabili e (ii) lo stralcio integrale o il rimborso parziale in favore della Banca anche della parte non coperta dalla Garanzia.
(Esempio numerico (a) linea di 100, garanzia 80% (b) la Società presuppone l’escussione di 80 e quindi il rimborso di 80 in favore di MCC (c) la Banca escute e verrà rimborsata per 80 da MCC (d) MCC azionerà il credito privilegiato di 80 nei confronti della Società tramite Agenzia della Riscossione e che verrà rimborsato integralmente da parte della Società (e) la Banca rinuncia al residuo 20 non coperto dalla Garanzia ovvero ottiene un rimborso parziale di questo importo).
Come commento finale, aggiungo che gli advisor hanno un’enorme responsabilità nel far sì che le proposte possano essere tecnicamente “deliberabili” (secondo lo schema sopra riportato) e soprattutto che i tempi della CNC “combacino” con quelli del percorso di attivazione/escussione della Garanzia MCC, il che è difficile ma non impossibile.
Un caro saluto,
Lorenzo
In attesa di articolare nel corso del we una risposta esaustiva alle varie eccezioni che sono state poste alla mia ricostruzione sull’operatività “in concreto” delle garanzie statali nell’ambito della Composizione negoziata, segnalo un articolo di ieri del Corriere della Sera riguardante la manovra finanziaria che il Governo si appresta a varare, nel quale si fa il quadro sulla dimensione delle garanzie in circolazione - 294 miliardi (!!), un valore prossimo al vulnus inflitto alle pubbliche finanze dal bonus 110% - e sulla stretta che ne deriverà.
La mia risposta partirà proprio da questo dato e da quello che indica al 2% (6 miliardi, il fabbisogno minimo ulteriore della sanità pubblica) il tasso di escussione.
Nell’articolo non v’è traccia di rinunce al regresso da parte degli enti statali garanti, che sarebbero antinomiche rispetto alla preoccupata attenzione del Governo al tema.
Chiudo questo primo flash introduttivo segnando che a guidare le nostre strategie di “risanatori” non dovrebbe essere il perseguimento di un obiettivo “insicuro”, incerto nella sua realizzabilità, bensì il perseguimento di obiettivi ragionevoli. Nel senso che se l’esistenza di chance di risanamento devono essere ragionevoli, gli obiettivi dovrebbero essere “sicuri”.
Non aggiungo altro per non privare di organicità la mia replica che spero di chiudere nel we.
 
Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze

11 Ottobre 2025 10:39

In attesa di articolare nel corso del we una risposta esaustiva alle varie eccezioni che sono state poste alla mia ricostruzione sull’operatività “in concreto” delle garanzie statali nell’ambito della Composizione negoziata, segnalo un articolo di ieri del Corriere della Sera riguardante la manovra finanziaria che il Governo si appresta a varare, nel quale si fa il quadro sulla dimensione delle garanzie in circolazione - 294 miliardi (!!), un valore prossimo al vulnus inflitto alle pubbliche finanze dal bonus 110% - e sulla stretta che ne deriverà.
La mia risposta partirà proprio da questo dato e da quello che indica al 2% (6 miliardi, il fabbisogno minimo ulteriore della sanità pubblica) il tasso di escussione.
Nell’articolo non v’è traccia di rinunce al regresso da parte degli enti statali garanti, che sarebbero antinomiche rispetto alla preoccupata attenzione del Governo al tema.
Chiudo questo primo flash introduttivo segnando che a guidare le nostre strategie di “risanatori” non dovrebbe essere il perseguimento di un obiettivo “insicuro”, incerto nella sua realizzabilità, bensì il perseguimento di obiettivi ragionevoli. Nel senso che se l’esistenza di chance di risanamento devono essere ragionevoli, gli obiettivi dovrebbero essere “sicuri”.
Non aggiungo altro per non privare di organicità la mia replica che spero di chiudere nel we.
 
Atteso che mi pare di aver inteso che si invoca l’aggiornamento, rispetto al CCII, del Regolamento del Fondo di Garanzia MCC , segnalo che è già avvenuto e ….non solo .
Difatti, abbiamo il :
 -  Decreto ministeriale 2 agosto 2023 Ministero delle Imprese e del Made in Italy- Fondo di Garanzia. Approvazione modifiche e integrazioni delle condizioni di ammissibilità e delle disposizioni di carattere generale 
Ma anche la:
 - Circolare n. 9/2024 Medio Credito CentraleProlungamenti della durata della garanzia per temporanea difficoltà dell'impresa, ai sensi della Parte VI, paragrafo D delle vigenti Disposizioni Operative del Fondo, per le operazioni ammesse ai sensi della Sezione 2.2 del Quadro temporaneo di crisi per sostenere l'economia nel contesto dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia (di seguito "Temporary Crisis and Transition Framework" o "TCTF")
Ove documenti non rinvenuti  sul sito ufficiale di MCC, possono trovarsi  su I Codici della Concorsualita’ - App. 14 .
Buona prosecuzione dell’interessante discussione 


Giovanni La Croce, Dottore commercialista

11 Ottobre 2025 20:54

Atteso che mi pare di aver inteso che si invoca l’aggiornamento, rispetto al CCII, del Regolamento del Fondo di Garanzia MCC , segnalo che è già avvenuto e ….non solo .
Difatti, abbiamo il :
 -  Decreto ministeriale 2 agosto 2023 Ministero delle Imprese e del Made in Italy- Fondo di Garanzia. Approvazione modifiche e integrazioni delle condizioni di ammissibilità e delle disposizioni di carattere generale 
Ma anche la:
 - Circolare n. 9/2024 Medio Credito CentraleProlungamenti della durata della garanzia per temporanea difficoltà dell'impresa, ai sensi della Parte VI, paragrafo D delle vigenti Disposizioni Operative del Fondo, per le operazioni ammesse ai sensi della Sezione 2.2 del Quadro temporaneo di crisi per sostenere l'economia nel contesto dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia (di seguito "Temporary Crisis and Transition Framework" o "TCTF")
Ove documenti non rinvenuti  sul sito ufficiale di MCC, possono trovarsi  su I Codici della Concorsualita’ - App. 14 .
Buona prosecuzione dell’interessante discussione 


Vi è prevista la rinunciabilità al diritto di regresso? 

Se sì, provvederei io stesso a notificare la violazione delle norme sugli aiuti di Stato alla Commissione UE.
Giovanni La Croce, dottore commercialista

12 Ottobre 2025 18:32

Atteso che mi pare di aver inteso che si invoca l’aggiornamento, rispetto al CCII, del Regolamento del Fondo di Garanzia MCC , segnalo che è già avvenuto e ….non solo .
Difatti, abbiamo il :
 -  Decreto ministeriale 2 agosto 2023 Ministero delle Imprese e del Made in Italy- Fondo di Garanzia. Approvazione modifiche e integrazioni delle condizioni di ammissibilità e delle disposizioni di carattere generale 
Ma anche la:
 - Circolare n. 9/2024 Medio Credito CentraleProlungamenti della durata della garanzia per temporanea difficoltà dell'impresa, ai sensi della Parte VI, paragrafo D delle vigenti Disposizioni Operative del Fondo, per le operazioni ammesse ai sensi della Sezione 2.2 del Quadro temporaneo di crisi per sostenere l'economia nel contesto dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia (di seguito "Temporary Crisis and Transition Framework" o "TCTF")
Ove documenti non rinvenuti  sul sito ufficiale di MCC, possono trovarsi  su I Codici della Concorsualita’ - App. 14 .
Buona prosecuzione dell’interessante discussione 


LA REPLICA
Premessa
Provo a replicare alle diverse critiche ed eccezioni che sono state formulate al mio intervento iniziale, non senza aver prima sgombrato il campo da un equivoco: non ho mai sostenuto che MCC o Sace non potessero transigere i loro crediti di regresso super privilegiati. Mi ero già espresso in modo chiaro nella risposta data al collega Carlo Pirozzi. Né poteva essere diversamente, avendo speso fiumi d’inchiostro sulla transigibilità dell’IVA. Infatti, mi si può rimproverare tutto, ma non di non essere testardamente coerente.
La cornice normativa e la sua ratio
Le disposizioni sui finanziamenti garantiti dallo Stato sono state così ricostruite dalla Corte di cassazione con la sentenza 10 aprile 2024, n. 9657:
 «Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in tema di interventi di sostegno pubblico erogati in forma di concessione di garanzia pubblica, l’avvenuta escussione di quest’ultima nei confronti di Mediocredito Centrale determina la surrogazione di detto garante nella posizione del garantito, con la nascita di un diritto di natura privilegiata, non più̀ volto al recupero del credito di diritto comune originato dal primigenio finanziamento, bensì mirato a riacquisire risorse pubbliche alla disponibilità del fondo per le piccole e medie imprese, con conseguente legittimità della riscossione esattoriale ex art. 17 d.lgs. n. 46 del 1999 (Cass., sez.3, 16/01/2023, n. 1005; Cass., sez. 1, 09/03/2020, n. 6508)».
Dunque, secondo la ricostruzione del giudice di legittimità, la surrogazione è stata concepita dal legislatore come mezzo per recuperare al bilancio statale risorse pubbliche originariamente impegnate in interventi di sostegno pubblico all’economia.
Sappiamo tutti, infatti, come tali interventi siano sempre a rischio di essere considerati dalla Commissione UE alla stregua dei vietati  “aiuti di Stato”.
Giova, allora, ricordare che costituisce aiuto di Stato qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza.
La previsione della surroga, quindi, accompagnata da un diritto di prelazione quasi assoluto risponde(va), proprio alla necessità evitare ogni contestazione in tal senso da parte della Commissione UE. Se così è, predicare la legittimità della rinuncia al diritto di surroga da parte dell’ente statale non può non apparire una pericolosa fuga in avanti che porterebbe la norma, così applicata in concreto, sotto la lente UE.
Né può autorizzare una simile declinazione la struttura irrazionale della disposizione da me denunciata nell’avvio del blog.
Analogamente pericoloso sarebbe forzarne la ratio, poiché non sarebbe la prima volta che la condanna da parte della Corte di Giustizia UE  perviene a seguito della contestazione di un uso del pubblico incentivo in modo difforme rispetto alle disposizioni normative che lo avevano introdotto.
 Nell’ottica del “buon ristrutturatore”
Non essendo, per altro, la prima volta che il nostro Paese subisce i richiami, anche tardivi, da parte della Commissione UE, ragionando nell’ottica del “buon ristutturatore”, riterrei azzardato fondare un piano di risanamento su un presupposto quanto meno incerto, fragilissimo, se non giuridicamente (secondo il diritto UE) inesistente.
 E qui veniamo al nocciolo della questione – sempre avuto a riferimento le scelte del consulente – della sua responsabilità nei confronti del proprio cliente e dei creditori.
Suppongo che il suo (del professionista non avventurista) piano prevederà la rinuncia al diritto di surroga da parte dello Stato garante escusso dalla banca garantita che avesse accettato una riduzione del proprio credito. 
Dal momento che tale attesa sarebbe quanto meno dubbia, penso anche che quel professionista avveduto darà conto, pure, delle ragioni per cui l’ente pubblico garante abbia interesse a rinunciare alla surroga. 
Non solo, il piano darà anche conto di come ottenere, nell’ambito delle trattative della Composizione negoziata, tale rinunzia.
Riguardo alla prima questione tenderei ad escludere che il “ristrutturatore attrezzato” vorrà proporre il ritrito argomento della centralità del salvataggio dell’impresa: la normativa europea, infatti, lo esclude, anzi lo vieta.
Ed allora dovrebbe confrontarsi con lo scenario alternativo, spiegando perché in caso di sottomissione dell’impresa alla LG il garante pubblico resterebbe con un “mucchio di mosche in mano” nonostante il suo credito sia assistito da un  “super” privilegio generale.
Da questo punto di vista, non è possibile escludere che al di fuori dell’id plerumque accidit si possa verificare che il secondo privilegio generale non sia soddisfatto nell’ambito di una LG, ma non è possibile legittimare una linea di condotta generale sulla base di un’eccezione.
Dunque, lato ente pubblico garante occorrerebbe che, ove escusso per l’intero 80%, esso non possa recuperare dalla LG neppure un solo euro in più di quanto il piano prevede di destinare alla banca garantita in qualità di creditore chirografario,  considerando che nella ipotetica LG  il soddisfacimento degli altri creditori chirografi sarebbe postergato al proprio credito di regresso.
Ciò potrebbe essere obiettivamente possibile in astratto, ma, anche in tale residuale ipotesi, si dovrebbe tenere conto di una ulteriore circostanza: ossia che alla medesima ristrutturazione potrebbe pervenirsi per il tramite di un concordato preventivo, dove la ricchezza dovrebbe essere distribuita secondo il doppio meccanismo della priorità assoluta sul “valore di liquidazione” e della priorità relativa sul “valore eccedente.
Col che il compito del consulente dell’impresa in crisi – se avveduto - si complicherebbe ulteriormente non poco. Stante la collocazione prioritaria del credito di regresso lo Stato garante avrebbe, infatti, interesse – anche a sollievo delle responsabilità dei propri funzionari – che la distribuzione delle risorse avvenisse sotto l’occhiuto controllo del tribunale e non del solo esperto, con cui, per altro, non avrebbe mai neppure parlato . Non va dimenticato in proposito che, contrariamente a quanto accade per i tributi – che hanno un grado di protezione inferiore -, la rinuncia al diritto di regresso non troverebbe conforto in nessun tipo di attestazione terza di convenienza.
Possiamo ora passare alla seconda questione, ossia come prevedere, nel piano, di ottenere il consenso del garante pubblico.
Mi par di capire – ma posso aver male interpretato – che del consenso del garante se ne dovrebbe occupare la banca garantita, dato che si è affermato che il garante non può essere chiamato al tavolo delle trattative, o, comunque, avrebbe diritto a non parteciparvi, se non previamente escusso. E di escussione non se ne vuol sentir parlare. Qui si aprono questioni estremamente delicate.
Da un lato ci si verrebbe a trovare difronte a un piano la cui ragionevole perseguibilità dipenderebbe dalla rinuncia alla surroga da parte del garante pubblico, senza che la rinuncia sia oggetto di trattativa nell’ambito della Composizione negoziata. Un’antinomia insuperabile, almeno a mio parere, poiché eversiva della stessa natura della CN, che pretende un negoziato trasparente, condotto secondo principi di buona fede e correttezza, sotto la regia dell’esperto. 
Dall’altro, quest’ultimo sarebbe privato degli strumenti necessari a valutare se, lato garante pubblico, si siano fatti, o no, progressi verso la condivisione del piano che, rammentiamoci, prevederebbe una rinuncia totale al credito di regresso. L’esperto dovrebbe fidarsi delle percezioni de relato della banca garantita, ma, sempre a mio parere, ove si affidasse al racconto di un terzo violerebbe gravemente il proprio mandato. 
Quanto sino a questo momento argomentato mi porta a ritenere che un piano di ristrutturazione che fondi le sue possibilità di successo su un’attesa rinuncia di un creditore eventuale che non partecipa alle trattative della CN sia un piano quanto mai “ballerino”.
 Della responsabilità del consulente e dell’esperto
È ora possibile affrontare il tema della responsabilità del consulente dell’impresa, e anche dell’esperto, laddove il piano di ristrutturazione avesse le caratteristiche sopra esposte, e alla fine del percorso – senza che né l’uno, né l’altro abbiano interloquito con lo Stato garante (voglio escludere, per prudenza, l’ipotesi che lo abbia fatto solo il professionista senza coinvolgere l’esperto) – la rinuncia al regresso non pervenisse e si aprisse in conseguenza la LG di quell’impresa.
 Al ricorrere di tale ipotesi si potrebbe ritenere, senza patemi d’animo, che le trattative siano state condotte secondo principi di buona fede e correttezza? Che le condizioni di risanamento fossero ragionevoli e tali siano restate durante tutto il percorso della CN?
 Si può dissentire – leggerò con attenzione le ragioni – ma personalmente sarei portato a dare ai quesiti una risposta negativa per tre ordini di motivi: (i) era noto ab origine che la disposizione sulle garanzie statali così interpretata si poteva risolvere in un vietato “aiuto di Stato”, da cui il diniego; (ii) la negoziazione della rinuncia è avvenuta al di fuori della stanza della CN; (iii) l’esperto è stato privato di ogni possibilità di verificare, nell’arco dei 6/12 mesi del suo mandato, la posizione del garante pubblico rispetto alla richiesta di rinuncia al regresso, con conseguente sua responsabilità per non aver assolto pienamente ai propri doveri.
A mio parere, quindi, sarebbe in ogni caso preclusa ogni possibilità di ricorrere al concordato semplificato per assenza di buona fede nelle trattative. 
Non solo. Se fossi il curatore della successiva dichiarata LG svolgerei nei confronti del professionista e dell’esperto quantomeno l’eccezione di inadempimento e, ove ne ricorressero le condizioni, ipotizzerei a loro carico, nella relazione ex art. 130 CCII, anche il concorso in bancarotta, se non altro di carattere preferenziale per i pagamenti effettuati in favore di creditori chirografari in presenza di un rischio concreto del possibile insorgere di un credito statale super privilegiato, lasciando in disparte eventuali super compensi percepiti dal consulente. 
Prima di affrontare temi “mercatistici”, fossi io il “ristrutturatore” di turno, pondererei, quindi, con grande prudenza il confezionamento di un piano che prevedesse contemporaneamente la rinuncia al regresso dell’ente pubblico garante e la sua non partecipazione al tavolo delle trattative della CN.
 Il mercato (questo sconosciuto)
Veniamo ora agli aspetti di mercato e misuriamo la forza degli interessi in gioco, per capire se, usando il metro del “buon padre di famiglia”, potremmo ritenere probabile l’evento della rinuncia al diritto di regresso da parte dell’ente pubblico, anche senza considerare le criticità giuridiche.
La banca garantita all’80% non ha particolare interesse – salvo nell’ipotesi di una proposta di soddisfacimento almeno pari a tale percentuale, con pagamento, per altro,  illico te immediate – ad accettare trattamenti inferiori e, per di più rateizzati, e promettere, al contempo, di ottenere la rinuncia al regresso del garante. 
Escutere la garanzia sarebbe, al contrario, il comportamento più naturale secondo le prassi di mercato. 
Di contro per MCC/Sace il regresso assistito dal super privilegio costituirebbe la condotta mercatistica tipica.  
Al contrario si pretende che un piano di risanamento possa fondare la sua ragionevolezza sull’assunzione che dei soggetti economici professionali – lasciando in totale disparte gli eventuali obblighi giuridici che incombono su di loro – agiscano al di fuori delle regole di mercato, facendo recedere i loro interessi adeguatamente tutelati dalla legge difronte a quelli dell’impresa in crisi. 
Occorre, dunque, che si spieghino le ragioni perché ciò possa ragionevolmente accadere.
L’equivoco
Da tutto quanto sopra emerge con nitidezza l’equivoco di fondo: ossia che in un ambito estraneo alle regole del concorso tra gli interessi configgenti in gioco debba accordarsi la preminenza a quelli dell’impresa in crisi, occorrendo anche forzando le regole stesse del concorso. 
Siamo al solito: “il salvataggio dell’impresa in crisi è bene in sé” e prevale su ogni altro “bene della vita” o interesse economico, che, al suo cospetto, devono recedere anche in una posizione più deteriore rispetto a quella che le regole del concorso gli attribuirebbero, ove il concorso si aprisse. 
Come, però, ho più volte sostenuto, se nell’ambito degli strumenti giudiziali per il superamento della crisi possono ravvisarsi norme (che a me non piacciono) che legittimano l’affermazione che il salvataggio dell’impresa costituisce un valore superiore, è indubbio come tale super-valore trovi dei limiti insuperabili nelle disposizioni che regolano quegli istituti. 
Ne consegue che lo stesso non può dirsi riguardo alla CN dove sono assenti regole di concorso e dove ciascun creditore ha solo l’obbligo di partecipare alle trattative secondo principi di buona fede e correttezza, ma non di aderire alle proposte del proprio debitore, se non perché le giudica conformi ai propri migliori interessi rispetto a quella concreta situazione.
L’aspetto macroeconomico
 Venerdì ho qui pubblicato un articolo del Corriere della Sera che offre uno spaccato del fenomeno delle garanzie statali sui prestiti alle imprese: 294 miliardi di garanzie rilasciate, 6 miliardi di garanzie escusse, proroga dei termini di rimborso dei prestiti garantiti. 
Il primo dato che colpisce è l’entità, in valore assoluto, delle escussioni: 6 miliardi, a cui si deve aggiungere un altro 1 miliardo e spiccioli perso dalle banche, trasferiti a imprese che nell’arco di un quinquennio sono finite in default. 
Da questi dati emerge che ove gli enti garanti rinunciassero al regresso si consoliderebbe un intervento a sostegno di imprese, poi “fallite”, di entità tale da non poter non essere considerato un aiuto di Stato, con l’aggravante che così ingenti risorse pubbliche, diversamente destinabili alla sanità pubblica, sarebbero state assegnate a imprese che, con ogni probabilità, si trovavano in difficoltà già al momento dell’ottenimento del finanziamento assistito dalla garanzia statale. 
Ecco perché ipotizzare che il garante pubblico rinunci al diritto di regresso verso l’impresa in CN verrebbe a costituire una seconda violazione del divieto agli aiuti di Stato. 
Ed ancora, dall’articolo del Corriere della Sera emerge anche della volontà del governo di porre un freno al rilascio delle pubbliche garanzie a sostegno delle imprese, sicché ipotizzare, in un quadro di revisione dello strumento stesso, che lo Stato rinunci al diritto di regresso assistito dal super privilegio, sarebbe ulteriormente assai imprudente.

🔶 🔶 🔶
 
A voi la parola, dunque…
                                                    
Edoardo Staunovo Polacco, avvocato in Milano

13 Ottobre 2025 9:12

LA REPLICA
Premessa
Provo a replicare alle diverse critiche ed eccezioni che sono state formulate al mio intervento iniziale, non senza aver prima sgombrato il campo da un equivoco: non ho mai sostenuto che MCC o Sace non potessero transigere i loro crediti di regresso super privilegiati. Mi ero già espresso in modo chiaro nella risposta data al collega Carlo Pirozzi. Né poteva essere diversamente, avendo speso fiumi d’inchiostro sulla transigibilità dell’IVA. Infatti, mi si può rimproverare tutto, ma non di non essere testardamente coerente.
La cornice normativa e la sua ratio
Le disposizioni sui finanziamenti garantiti dallo Stato sono state così ricostruite dalla Corte di cassazione con la sentenza 10 aprile 2024, n. 9657:
 «Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in tema di interventi di sostegno pubblico erogati in forma di concessione di garanzia pubblica, l’avvenuta escussione di quest’ultima nei confronti di Mediocredito Centrale determina la surrogazione di detto garante nella posizione del garantito, con la nascita di un diritto di natura privilegiata, non più̀ volto al recupero del credito di diritto comune originato dal primigenio finanziamento, bensì mirato a riacquisire risorse pubbliche alla disponibilità del fondo per le piccole e medie imprese, con conseguente legittimità della riscossione esattoriale ex art. 17 d.lgs. n. 46 del 1999 (Cass., sez.3, 16/01/2023, n. 1005; Cass., sez. 1, 09/03/2020, n. 6508)».
Dunque, secondo la ricostruzione del giudice di legittimità, la surrogazione è stata concepita dal legislatore come mezzo per recuperare al bilancio statale risorse pubbliche originariamente impegnate in interventi di sostegno pubblico all’economia.
Sappiamo tutti, infatti, come tali interventi siano sempre a rischio di essere considerati dalla Commissione UE alla stregua dei vietati  “aiuti di Stato”.
Giova, allora, ricordare che costituisce aiuto di Stato qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza.
La previsione della surroga, quindi, accompagnata da un diritto di prelazione quasi assoluto risponde(va), proprio alla necessità evitare ogni contestazione in tal senso da parte della Commissione UE. Se così è, predicare la legittimità della rinuncia al diritto di surroga da parte dell’ente statale non può non apparire una pericolosa fuga in avanti che porterebbe la norma, così applicata in concreto, sotto la lente UE.
Né può autorizzare una simile declinazione la struttura irrazionale della disposizione da me denunciata nell’avvio del blog.
Analogamente pericoloso sarebbe forzarne la ratio, poiché non sarebbe la prima volta che la condanna da parte della Corte di Giustizia UE  perviene a seguito della contestazione di un uso del pubblico incentivo in modo difforme rispetto alle disposizioni normative che lo avevano introdotto.
 Nell’ottica del “buon ristrutturatore”
Non essendo, per altro, la prima volta che il nostro Paese subisce i richiami, anche tardivi, da parte della Commissione UE, ragionando nell’ottica del “buon ristutturatore”, riterrei azzardato fondare un piano di risanamento su un presupposto quanto meno incerto, fragilissimo, se non giuridicamente (secondo il diritto UE) inesistente.
 E qui veniamo al nocciolo della questione – sempre avuto a riferimento le scelte del consulente – della sua responsabilità nei confronti del proprio cliente e dei creditori.
Suppongo che il suo (del professionista non avventurista) piano prevederà la rinuncia al diritto di surroga da parte dello Stato garante escusso dalla banca garantita che avesse accettato una riduzione del proprio credito. 
Dal momento che tale attesa sarebbe quanto meno dubbia, penso anche che quel professionista avveduto darà conto, pure, delle ragioni per cui l’ente pubblico garante abbia interesse a rinunciare alla surroga. 
Non solo, il piano darà anche conto di come ottenere, nell’ambito delle trattative della Composizione negoziata, tale rinunzia.
Riguardo alla prima questione tenderei ad escludere che il “ristrutturatore attrezzato” vorrà proporre il ritrito argomento della centralità del salvataggio dell’impresa: la normativa europea, infatti, lo esclude, anzi lo vieta.
Ed allora dovrebbe confrontarsi con lo scenario alternativo, spiegando perché in caso di sottomissione dell’impresa alla LG il garante pubblico resterebbe con un “mucchio di mosche in mano” nonostante il suo credito sia assistito da un  “super” privilegio generale.
Da questo punto di vista, non è possibile escludere che al di fuori dell’id plerumque accidit si possa verificare che il secondo privilegio generale non sia soddisfatto nell’ambito di una LG, ma non è possibile legittimare una linea di condotta generale sulla base di un’eccezione.
Dunque, lato ente pubblico garante occorrerebbe che, ove escusso per l’intero 80%, esso non possa recuperare dalla LG neppure un solo euro in più di quanto il piano prevede di destinare alla banca garantita in qualità di creditore chirografario,  considerando che nella ipotetica LG  il soddisfacimento degli altri creditori chirografi sarebbe postergato al proprio credito di regresso.
Ciò potrebbe essere obiettivamente possibile in astratto, ma, anche in tale residuale ipotesi, si dovrebbe tenere conto di una ulteriore circostanza: ossia che alla medesima ristrutturazione potrebbe pervenirsi per il tramite di un concordato preventivo, dove la ricchezza dovrebbe essere distribuita secondo il doppio meccanismo della priorità assoluta sul “valore di liquidazione” e della priorità relativa sul “valore eccedente.
Col che il compito del consulente dell’impresa in crisi – se avveduto - si complicherebbe ulteriormente non poco. Stante la collocazione prioritaria del credito di regresso lo Stato garante avrebbe, infatti, interesse – anche a sollievo delle responsabilità dei propri funzionari – che la distribuzione delle risorse avvenisse sotto l’occhiuto controllo del tribunale e non del solo esperto, con cui, per altro, non avrebbe mai neppure parlato . Non va dimenticato in proposito che, contrariamente a quanto accade per i tributi – che hanno un grado di protezione inferiore -, la rinuncia al diritto di regresso non troverebbe conforto in nessun tipo di attestazione terza di convenienza.
Possiamo ora passare alla seconda questione, ossia come prevedere, nel piano, di ottenere il consenso del garante pubblico.
Mi par di capire – ma posso aver male interpretato – che del consenso del garante se ne dovrebbe occupare la banca garantita, dato che si è affermato che il garante non può essere chiamato al tavolo delle trattative, o, comunque, avrebbe diritto a non parteciparvi, se non previamente escusso. E di escussione non se ne vuol sentir parlare. Qui si aprono questioni estremamente delicate.
Da un lato ci si verrebbe a trovare difronte a un piano la cui ragionevole perseguibilità dipenderebbe dalla rinuncia alla surroga da parte del garante pubblico, senza che la rinuncia sia oggetto di trattativa nell’ambito della Composizione negoziata. Un’antinomia insuperabile, almeno a mio parere, poiché eversiva della stessa natura della CN, che pretende un negoziato trasparente, condotto secondo principi di buona fede e correttezza, sotto la regia dell’esperto. 
Dall’altro, quest’ultimo sarebbe privato degli strumenti necessari a valutare se, lato garante pubblico, si siano fatti, o no, progressi verso la condivisione del piano che, rammentiamoci, prevederebbe una rinuncia totale al credito di regresso. L’esperto dovrebbe fidarsi delle percezioni de relato della banca garantita, ma, sempre a mio parere, ove si affidasse al racconto di un terzo violerebbe gravemente il proprio mandato. 
Quanto sino a questo momento argomentato mi porta a ritenere che un piano di ristrutturazione che fondi le sue possibilità di successo su un’attesa rinuncia di un creditore eventuale che non partecipa alle trattative della CN sia un piano quanto mai “ballerino”.
 Della responsabilità del consulente e dell’esperto
È ora possibile affrontare il tema della responsabilità del consulente dell’impresa, e anche dell’esperto, laddove il piano di ristrutturazione avesse le caratteristiche sopra esposte, e alla fine del percorso – senza che né l’uno, né l’altro abbiano interloquito con lo Stato garante (voglio escludere, per prudenza, l’ipotesi che lo abbia fatto solo il professionista senza coinvolgere l’esperto) – la rinuncia al regresso non pervenisse e si aprisse in conseguenza la LG di quell’impresa.
 Al ricorrere di tale ipotesi si potrebbe ritenere, senza patemi d’animo, che le trattative siano state condotte secondo principi di buona fede e correttezza? Che le condizioni di risanamento fossero ragionevoli e tali siano restate durante tutto il percorso della CN?
 Si può dissentire – leggerò con attenzione le ragioni – ma personalmente sarei portato a dare ai quesiti una risposta negativa per tre ordini di motivi: (i) era noto ab origine che la disposizione sulle garanzie statali così interpretata si poteva risolvere in un vietato “aiuto di Stato”, da cui il diniego; (ii) la negoziazione della rinuncia è avvenuta al di fuori della stanza della CN; (iii) l’esperto è stato privato di ogni possibilità di verificare, nell’arco dei 6/12 mesi del suo mandato, la posizione del garante pubblico rispetto alla richiesta di rinuncia al regresso, con conseguente sua responsabilità per non aver assolto pienamente ai propri doveri.
A mio parere, quindi, sarebbe in ogni caso preclusa ogni possibilità di ricorrere al concordato semplificato per assenza di buona fede nelle trattative. 
Non solo. Se fossi il curatore della successiva dichiarata LG svolgerei nei confronti del professionista e dell’esperto quantomeno l’eccezione di inadempimento e, ove ne ricorressero le condizioni, ipotizzerei a loro carico, nella relazione ex art. 130 CCII, anche il concorso in bancarotta, se non altro di carattere preferenziale per i pagamenti effettuati in favore di creditori chirografari in presenza di un rischio concreto del possibile insorgere di un credito statale super privilegiato, lasciando in disparte eventuali super compensi percepiti dal consulente. 
Prima di affrontare temi “mercatistici”, fossi io il “ristrutturatore” di turno, pondererei, quindi, con grande prudenza il confezionamento di un piano che prevedesse contemporaneamente la rinuncia al regresso dell’ente pubblico garante e la sua non partecipazione al tavolo delle trattative della CN.
 Il mercato (questo sconosciuto)
Veniamo ora agli aspetti di mercato e misuriamo la forza degli interessi in gioco, per capire se, usando il metro del “buon padre di famiglia”, potremmo ritenere probabile l’evento della rinuncia al diritto di regresso da parte dell’ente pubblico, anche senza considerare le criticità giuridiche.
La banca garantita all’80% non ha particolare interesse – salvo nell’ipotesi di una proposta di soddisfacimento almeno pari a tale percentuale, con pagamento, per altro,  illico te immediate – ad accettare trattamenti inferiori e, per di più rateizzati, e promettere, al contempo, di ottenere la rinuncia al regresso del garante. 
Escutere la garanzia sarebbe, al contrario, il comportamento più naturale secondo le prassi di mercato. 
Di contro per MCC/Sace il regresso assistito dal super privilegio costituirebbe la condotta mercatistica tipica.  
Al contrario si pretende che un piano di risanamento possa fondare la sua ragionevolezza sull’assunzione che dei soggetti economici professionali – lasciando in totale disparte gli eventuali obblighi giuridici che incombono su di loro – agiscano al di fuori delle regole di mercato, facendo recedere i loro interessi adeguatamente tutelati dalla legge difronte a quelli dell’impresa in crisi. 
Occorre, dunque, che si spieghino le ragioni perché ciò possa ragionevolmente accadere.
L’equivoco
Da tutto quanto sopra emerge con nitidezza l’equivoco di fondo: ossia che in un ambito estraneo alle regole del concorso tra gli interessi configgenti in gioco debba accordarsi la preminenza a quelli dell’impresa in crisi, occorrendo anche forzando le regole stesse del concorso. 
Siamo al solito: “il salvataggio dell’impresa in crisi è bene in sé” e prevale su ogni altro “bene della vita” o interesse economico, che, al suo cospetto, devono recedere anche in una posizione più deteriore rispetto a quella che le regole del concorso gli attribuirebbero, ove il concorso si aprisse. 
Come, però, ho più volte sostenuto, se nell’ambito degli strumenti giudiziali per il superamento della crisi possono ravvisarsi norme (che a me non piacciono) che legittimano l’affermazione che il salvataggio dell’impresa costituisce un valore superiore, è indubbio come tale super-valore trovi dei limiti insuperabili nelle disposizioni che regolano quegli istituti. 
Ne consegue che lo stesso non può dirsi riguardo alla CN dove sono assenti regole di concorso e dove ciascun creditore ha solo l’obbligo di partecipare alle trattative secondo principi di buona fede e correttezza, ma non di aderire alle proposte del proprio debitore, se non perché le giudica conformi ai propri migliori interessi rispetto a quella concreta situazione.
L’aspetto macroeconomico
 Venerdì ho qui pubblicato un articolo del Corriere della Sera che offre uno spaccato del fenomeno delle garanzie statali sui prestiti alle imprese: 294 miliardi di garanzie rilasciate, 6 miliardi di garanzie escusse, proroga dei termini di rimborso dei prestiti garantiti. 
Il primo dato che colpisce è l’entità, in valore assoluto, delle escussioni: 6 miliardi, a cui si deve aggiungere un altro 1 miliardo e spiccioli perso dalle banche, trasferiti a imprese che nell’arco di un quinquennio sono finite in default. 
Da questi dati emerge che ove gli enti garanti rinunciassero al regresso si consoliderebbe un intervento a sostegno di imprese, poi “fallite”, di entità tale da non poter non essere considerato un aiuto di Stato, con l’aggravante che così ingenti risorse pubbliche, diversamente destinabili alla sanità pubblica, sarebbero state assegnate a imprese che, con ogni probabilità, si trovavano in difficoltà già al momento dell’ottenimento del finanziamento assistito dalla garanzia statale. 
Ecco perché ipotizzare che il garante pubblico rinunci al diritto di regresso verso l’impresa in CN verrebbe a costituire una seconda violazione del divieto agli aiuti di Stato. 
Ed ancora, dall’articolo del Corriere della Sera emerge anche della volontà del governo di porre un freno al rilascio delle pubbliche garanzie a sostegno delle imprese, sicché ipotizzare, in un quadro di revisione dello strumento stesso, che lo Stato rinunci al diritto di regresso assistito dal super privilegio, sarebbe ulteriormente assai imprudente.

🔶 🔶 🔶
 
A voi la parola, dunque…
                                                    
Caro Giovanni, 

once again, you got the point.

Cari saluti.

Edoardo
Linda Morellini, Avvocato

13 Ottobre 2025 10:45

LA REPLICA
Premessa
Provo a replicare alle diverse critiche ed eccezioni che sono state formulate al mio intervento iniziale, non senza aver prima sgombrato il campo da un equivoco: non ho mai sostenuto che MCC o Sace non potessero transigere i loro crediti di regresso super privilegiati. Mi ero già espresso in modo chiaro nella risposta data al collega Carlo Pirozzi. Né poteva essere diversamente, avendo speso fiumi d’inchiostro sulla transigibilità dell’IVA. Infatti, mi si può rimproverare tutto, ma non di non essere testardamente coerente.
La cornice normativa e la sua ratio
Le disposizioni sui finanziamenti garantiti dallo Stato sono state così ricostruite dalla Corte di cassazione con la sentenza 10 aprile 2024, n. 9657:
 «Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in tema di interventi di sostegno pubblico erogati in forma di concessione di garanzia pubblica, l’avvenuta escussione di quest’ultima nei confronti di Mediocredito Centrale determina la surrogazione di detto garante nella posizione del garantito, con la nascita di un diritto di natura privilegiata, non più̀ volto al recupero del credito di diritto comune originato dal primigenio finanziamento, bensì mirato a riacquisire risorse pubbliche alla disponibilità del fondo per le piccole e medie imprese, con conseguente legittimità della riscossione esattoriale ex art. 17 d.lgs. n. 46 del 1999 (Cass., sez.3, 16/01/2023, n. 1005; Cass., sez. 1, 09/03/2020, n. 6508)».
Dunque, secondo la ricostruzione del giudice di legittimità, la surrogazione è stata concepita dal legislatore come mezzo per recuperare al bilancio statale risorse pubbliche originariamente impegnate in interventi di sostegno pubblico all’economia.
Sappiamo tutti, infatti, come tali interventi siano sempre a rischio di essere considerati dalla Commissione UE alla stregua dei vietati  “aiuti di Stato”.
Giova, allora, ricordare che costituisce aiuto di Stato qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza.
La previsione della surroga, quindi, accompagnata da un diritto di prelazione quasi assoluto risponde(va), proprio alla necessità evitare ogni contestazione in tal senso da parte della Commissione UE. Se così è, predicare la legittimità della rinuncia al diritto di surroga da parte dell’ente statale non può non apparire una pericolosa fuga in avanti che porterebbe la norma, così applicata in concreto, sotto la lente UE.
Né può autorizzare una simile declinazione la struttura irrazionale della disposizione da me denunciata nell’avvio del blog.
Analogamente pericoloso sarebbe forzarne la ratio, poiché non sarebbe la prima volta che la condanna da parte della Corte di Giustizia UE  perviene a seguito della contestazione di un uso del pubblico incentivo in modo difforme rispetto alle disposizioni normative che lo avevano introdotto.
 Nell’ottica del “buon ristrutturatore”
Non essendo, per altro, la prima volta che il nostro Paese subisce i richiami, anche tardivi, da parte della Commissione UE, ragionando nell’ottica del “buon ristutturatore”, riterrei azzardato fondare un piano di risanamento su un presupposto quanto meno incerto, fragilissimo, se non giuridicamente (secondo il diritto UE) inesistente.
 E qui veniamo al nocciolo della questione – sempre avuto a riferimento le scelte del consulente – della sua responsabilità nei confronti del proprio cliente e dei creditori.
Suppongo che il suo (del professionista non avventurista) piano prevederà la rinuncia al diritto di surroga da parte dello Stato garante escusso dalla banca garantita che avesse accettato una riduzione del proprio credito. 
Dal momento che tale attesa sarebbe quanto meno dubbia, penso anche che quel professionista avveduto darà conto, pure, delle ragioni per cui l’ente pubblico garante abbia interesse a rinunciare alla surroga. 
Non solo, il piano darà anche conto di come ottenere, nell’ambito delle trattative della Composizione negoziata, tale rinunzia.
Riguardo alla prima questione tenderei ad escludere che il “ristrutturatore attrezzato” vorrà proporre il ritrito argomento della centralità del salvataggio dell’impresa: la normativa europea, infatti, lo esclude, anzi lo vieta.
Ed allora dovrebbe confrontarsi con lo scenario alternativo, spiegando perché in caso di sottomissione dell’impresa alla LG il garante pubblico resterebbe con un “mucchio di mosche in mano” nonostante il suo credito sia assistito da un  “super” privilegio generale.
Da questo punto di vista, non è possibile escludere che al di fuori dell’id plerumque accidit si possa verificare che il secondo privilegio generale non sia soddisfatto nell’ambito di una LG, ma non è possibile legittimare una linea di condotta generale sulla base di un’eccezione.
Dunque, lato ente pubblico garante occorrerebbe che, ove escusso per l’intero 80%, esso non possa recuperare dalla LG neppure un solo euro in più di quanto il piano prevede di destinare alla banca garantita in qualità di creditore chirografario,  considerando che nella ipotetica LG  il soddisfacimento degli altri creditori chirografi sarebbe postergato al proprio credito di regresso.
Ciò potrebbe essere obiettivamente possibile in astratto, ma, anche in tale residuale ipotesi, si dovrebbe tenere conto di una ulteriore circostanza: ossia che alla medesima ristrutturazione potrebbe pervenirsi per il tramite di un concordato preventivo, dove la ricchezza dovrebbe essere distribuita secondo il doppio meccanismo della priorità assoluta sul “valore di liquidazione” e della priorità relativa sul “valore eccedente.
Col che il compito del consulente dell’impresa in crisi – se avveduto - si complicherebbe ulteriormente non poco. Stante la collocazione prioritaria del credito di regresso lo Stato garante avrebbe, infatti, interesse – anche a sollievo delle responsabilità dei propri funzionari – che la distribuzione delle risorse avvenisse sotto l’occhiuto controllo del tribunale e non del solo esperto, con cui, per altro, non avrebbe mai neppure parlato . Non va dimenticato in proposito che, contrariamente a quanto accade per i tributi – che hanno un grado di protezione inferiore -, la rinuncia al diritto di regresso non troverebbe conforto in nessun tipo di attestazione terza di convenienza.
Possiamo ora passare alla seconda questione, ossia come prevedere, nel piano, di ottenere il consenso del garante pubblico.
Mi par di capire – ma posso aver male interpretato – che del consenso del garante se ne dovrebbe occupare la banca garantita, dato che si è affermato che il garante non può essere chiamato al tavolo delle trattative, o, comunque, avrebbe diritto a non parteciparvi, se non previamente escusso. E di escussione non se ne vuol sentir parlare. Qui si aprono questioni estremamente delicate.
Da un lato ci si verrebbe a trovare difronte a un piano la cui ragionevole perseguibilità dipenderebbe dalla rinuncia alla surroga da parte del garante pubblico, senza che la rinuncia sia oggetto di trattativa nell’ambito della Composizione negoziata. Un’antinomia insuperabile, almeno a mio parere, poiché eversiva della stessa natura della CN, che pretende un negoziato trasparente, condotto secondo principi di buona fede e correttezza, sotto la regia dell’esperto. 
Dall’altro, quest’ultimo sarebbe privato degli strumenti necessari a valutare se, lato garante pubblico, si siano fatti, o no, progressi verso la condivisione del piano che, rammentiamoci, prevederebbe una rinuncia totale al credito di regresso. L’esperto dovrebbe fidarsi delle percezioni de relato della banca garantita, ma, sempre a mio parere, ove si affidasse al racconto di un terzo violerebbe gravemente il proprio mandato. 
Quanto sino a questo momento argomentato mi porta a ritenere che un piano di ristrutturazione che fondi le sue possibilità di successo su un’attesa rinuncia di un creditore eventuale che non partecipa alle trattative della CN sia un piano quanto mai “ballerino”.
 Della responsabilità del consulente e dell’esperto
È ora possibile affrontare il tema della responsabilità del consulente dell’impresa, e anche dell’esperto, laddove il piano di ristrutturazione avesse le caratteristiche sopra esposte, e alla fine del percorso – senza che né l’uno, né l’altro abbiano interloquito con lo Stato garante (voglio escludere, per prudenza, l’ipotesi che lo abbia fatto solo il professionista senza coinvolgere l’esperto) – la rinuncia al regresso non pervenisse e si aprisse in conseguenza la LG di quell’impresa.
 Al ricorrere di tale ipotesi si potrebbe ritenere, senza patemi d’animo, che le trattative siano state condotte secondo principi di buona fede e correttezza? Che le condizioni di risanamento fossero ragionevoli e tali siano restate durante tutto il percorso della CN?
 Si può dissentire – leggerò con attenzione le ragioni – ma personalmente sarei portato a dare ai quesiti una risposta negativa per tre ordini di motivi: (i) era noto ab origine che la disposizione sulle garanzie statali così interpretata si poteva risolvere in un vietato “aiuto di Stato”, da cui il diniego; (ii) la negoziazione della rinuncia è avvenuta al di fuori della stanza della CN; (iii) l’esperto è stato privato di ogni possibilità di verificare, nell’arco dei 6/12 mesi del suo mandato, la posizione del garante pubblico rispetto alla richiesta di rinuncia al regresso, con conseguente sua responsabilità per non aver assolto pienamente ai propri doveri.
A mio parere, quindi, sarebbe in ogni caso preclusa ogni possibilità di ricorrere al concordato semplificato per assenza di buona fede nelle trattative. 
Non solo. Se fossi il curatore della successiva dichiarata LG svolgerei nei confronti del professionista e dell’esperto quantomeno l’eccezione di inadempimento e, ove ne ricorressero le condizioni, ipotizzerei a loro carico, nella relazione ex art. 130 CCII, anche il concorso in bancarotta, se non altro di carattere preferenziale per i pagamenti effettuati in favore di creditori chirografari in presenza di un rischio concreto del possibile insorgere di un credito statale super privilegiato, lasciando in disparte eventuali super compensi percepiti dal consulente. 
Prima di affrontare temi “mercatistici”, fossi io il “ristrutturatore” di turno, pondererei, quindi, con grande prudenza il confezionamento di un piano che prevedesse contemporaneamente la rinuncia al regresso dell’ente pubblico garante e la sua non partecipazione al tavolo delle trattative della CN.
 Il mercato (questo sconosciuto)
Veniamo ora agli aspetti di mercato e misuriamo la forza degli interessi in gioco, per capire se, usando il metro del “buon padre di famiglia”, potremmo ritenere probabile l’evento della rinuncia al diritto di regresso da parte dell’ente pubblico, anche senza considerare le criticità giuridiche.
La banca garantita all’80% non ha particolare interesse – salvo nell’ipotesi di una proposta di soddisfacimento almeno pari a tale percentuale, con pagamento, per altro,  illico te immediate – ad accettare trattamenti inferiori e, per di più rateizzati, e promettere, al contempo, di ottenere la rinuncia al regresso del garante. 
Escutere la garanzia sarebbe, al contrario, il comportamento più naturale secondo le prassi di mercato. 
Di contro per MCC/Sace il regresso assistito dal super privilegio costituirebbe la condotta mercatistica tipica.  
Al contrario si pretende che un piano di risanamento possa fondare la sua ragionevolezza sull’assunzione che dei soggetti economici professionali – lasciando in totale disparte gli eventuali obblighi giuridici che incombono su di loro – agiscano al di fuori delle regole di mercato, facendo recedere i loro interessi adeguatamente tutelati dalla legge difronte a quelli dell’impresa in crisi. 
Occorre, dunque, che si spieghino le ragioni perché ciò possa ragionevolmente accadere.
L’equivoco
Da tutto quanto sopra emerge con nitidezza l’equivoco di fondo: ossia che in un ambito estraneo alle regole del concorso tra gli interessi configgenti in gioco debba accordarsi la preminenza a quelli dell’impresa in crisi, occorrendo anche forzando le regole stesse del concorso. 
Siamo al solito: “il salvataggio dell’impresa in crisi è bene in sé” e prevale su ogni altro “bene della vita” o interesse economico, che, al suo cospetto, devono recedere anche in una posizione più deteriore rispetto a quella che le regole del concorso gli attribuirebbero, ove il concorso si aprisse. 
Come, però, ho più volte sostenuto, se nell’ambito degli strumenti giudiziali per il superamento della crisi possono ravvisarsi norme (che a me non piacciono) che legittimano l’affermazione che il salvataggio dell’impresa costituisce un valore superiore, è indubbio come tale super-valore trovi dei limiti insuperabili nelle disposizioni che regolano quegli istituti. 
Ne consegue che lo stesso non può dirsi riguardo alla CN dove sono assenti regole di concorso e dove ciascun creditore ha solo l’obbligo di partecipare alle trattative secondo principi di buona fede e correttezza, ma non di aderire alle proposte del proprio debitore, se non perché le giudica conformi ai propri migliori interessi rispetto a quella concreta situazione.
L’aspetto macroeconomico
 Venerdì ho qui pubblicato un articolo del Corriere della Sera che offre uno spaccato del fenomeno delle garanzie statali sui prestiti alle imprese: 294 miliardi di garanzie rilasciate, 6 miliardi di garanzie escusse, proroga dei termini di rimborso dei prestiti garantiti. 
Il primo dato che colpisce è l’entità, in valore assoluto, delle escussioni: 6 miliardi, a cui si deve aggiungere un altro 1 miliardo e spiccioli perso dalle banche, trasferiti a imprese che nell’arco di un quinquennio sono finite in default. 
Da questi dati emerge che ove gli enti garanti rinunciassero al regresso si consoliderebbe un intervento a sostegno di imprese, poi “fallite”, di entità tale da non poter non essere considerato un aiuto di Stato, con l’aggravante che così ingenti risorse pubbliche, diversamente destinabili alla sanità pubblica, sarebbero state assegnate a imprese che, con ogni probabilità, si trovavano in difficoltà già al momento dell’ottenimento del finanziamento assistito dalla garanzia statale. 
Ecco perché ipotizzare che il garante pubblico rinunci al diritto di regresso verso l’impresa in CN verrebbe a costituire una seconda violazione del divieto agli aiuti di Stato. 
Ed ancora, dall’articolo del Corriere della Sera emerge anche della volontà del governo di porre un freno al rilascio delle pubbliche garanzie a sostegno delle imprese, sicché ipotizzare, in un quadro di revisione dello strumento stesso, che lo Stato rinunci al diritto di regresso assistito dal super privilegio, sarebbe ulteriormente assai imprudente.

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A voi la parola, dunque…
                                                    
Buongiorno a tutti,

brevi osservazioni agli interventi. 

Il codice della crisi scandisce la liturgia attraverso la quale si svolgono i procedimenti relativi ai vari strumenti di definizione della crisi. Con particolare riguardo alla composizione negoziata essa deve svolgersi (i) attraverso una collaborazione tra le parti della composizione, che dovrà essere leale e sollecita, (ii) in tempi perentoriamente scanditi dal legislatore. Non pare che né il decreto ministeriale 2 agosto 2023, né la circolare 9/2024 regolino questi aspetti posto che le Disposizioni Operative, nel caso di accordi transattivi e prolungamento della garanzia, prevedono che le interlocuzioni possano avvenire solo tramite portale (da parte del soggetto garantito) e prevedono termini indicativi per la decisione del Fondo che dovrà avvenire solo dopo la delibera positiva del soggetto richiedente. Nella prassi operativa la mancanza di MCC al tavolo della negoziazione indubbiamente rappresenta un aspetto critico in quanto, di fronte a tecnicismi operativi contenuti nelle proposte di accordi transattivi, la presenza del Fondo potrebbe essere importante per la positiva conclusione della composizione. Senza contare che i tempi di delibera del Fondo difficilmente si esauriscono entro 40 giorni (previsti per gli accordi transattivi) con la conseguenza che l’ efficacia dell’accordo finanziario, sottoscritto tra le parti finanziarie e la società in crisi rischia di rimanere sospensivamente condizionata alla positiva conclusione dell’iter deliberativo del Fondo per lungo tempo con pregiudizio per l’attività di impresa.
In questo senso un allineamento delle disposizioni operative con le previsioni legislative appare auspicabile per favorire il dialogo, la celerità e la certezza del percorso di risanamento.

In merito poi alla rinuncia al regresso da parte del Fondo, convengo che ci potrebbe essere una distonia con la normativa UE, tuttavia le Disposizioni Operative, con riguardo alla proposta di accordi transattivi, prevedono un limite minimo oltre al quale essi non possono essere proposti (15%) (a tal riguardo le Disposizioni Operative si riferiscono impropriamente alle procedure sulla crisi di impresa indicando anche la composizione negoziata della crisi di impresa che non è una procedura, generando negli operatori  incertezze sulla necessità di conseguire tale percentuale anche per le procedure di concordato), la necessità che il soggetto richiedente alleghi, inter alia, l’importo proposto a saldo e stralcio, le modalità di pagamento e la perdita a carico del Fondo a supporto della quale è necessario trasmettere le valutazioni tecnico legali che hanno indotto il soggetto richiedente a deliberare positivamente la proposta, la stima del valore degli immobili, la consistenza patrimoniale di un eventuale terzo garante ed infine il parere sulla convenienza da parte di un terzo. Va da sé che la delibera positiva del soggetto garantito deve tenere in considerazione anche gli interessi del garante, non facendo affidamento solo sulle possibilità di recupero derivanti dall’escussione del garante pubblico, pena la dichiarazione di inefficacia della garanzia.
 
Grazie per l’attenzione 
Enrico Olivieri, AUPP (ex avvocato)

13 Ottobre 2025 18:08

Rispondo a questa considerazione: "La ratio di questo miracoloso arabesco giuridico non è mai stata chiarita, ...".

In verità, la ratio è stata chiarita da plurime sentenze di Cassazione, che ho provato ad illustrare qui https://www.dirittodelrisparmio.it/2023/02/12/e-olivieri-nel-recupero-del-credito-privilegiato-il-fondo-di-garanzia-per-le-pmi-si-surroga-oppure-no/

C'è da dire (a mio personale avviso) che tutto muove da una considerazione perfettibile. Non errata, ma perfettibile. Che è quella di considerare l'intervento del Fondo (e di SACE) esclusivamente come una mera garanzia sul credito e non è così semplice. In realtà bisognerebbe considerare che si tratta, prima di ogni altra cosa, di un'agevolazione di Stato soggetta alle limitazioni delle normative unionali sugli Aiuti di Stato.

Se uno tiene la barra dritta su questo punto, si spiegano molte cose, anche se continuano a non essere chiare (ed equivocate) molte altre. E qui parlo esplicitamente del Fondo, non di SACE. 

Tra queste, le richieste di inibitoria a causa del fatto che è difficile condurre gli enti garanti al tavolo delle trattative. Non c'è alcun bisogno (a mio modesto parere) di provvedimenti cautelari inibitori, che andrebbero tutti respinti e non accolti, se si conoscessero bene (al di là del fatto che uno possa condividerle o meno ed io "non" le condivido, almeno per come sono materialmente scritte) le disposizioni del Fondo. Per quanto riguarda SACE, invece, comanda il contratto di garanzia, che è cosa ben diversa dalle disposizioni del Fondo. 
Giovanni La Croce, dottore commercialista

13 Ottobre 2025 21:41

Rispondo a questa considerazione: "La ratio di questo miracoloso arabesco giuridico non è mai stata chiarita, ...".

In verità, la ratio è stata chiarita da plurime sentenze di Cassazione, che ho provato ad illustrare qui https://www.dirittodelrisparmio.it/2023/02/12/e-olivieri-nel-recupero-del-credito-privilegiato-il-fondo-di-garanzia-per-le-pmi-si-surroga-oppure-no/

C'è da dire (a mio personale avviso) che tutto muove da una considerazione perfettibile. Non errata, ma perfettibile. Che è quella di considerare l'intervento del Fondo (e di SACE) esclusivamente come una mera garanzia sul credito e non è così semplice. In realtà bisognerebbe considerare che si tratta, prima di ogni altra cosa, di un'agevolazione di Stato soggetta alle limitazioni delle normative unionali sugli Aiuti di Stato.

Se uno tiene la barra dritta su questo punto, si spiegano molte cose, anche se continuano a non essere chiare (ed equivocate) molte altre. E qui parlo esplicitamente del Fondo, non di SACE. 

Tra queste, le richieste di inibitoria a causa del fatto che è difficile condurre gli enti garanti al tavolo delle trattative. Non c'è alcun bisogno (a mio modesto parere) di provvedimenti cautelari inibitori, che andrebbero tutti respinti e non accolti, se si conoscessero bene (al di là del fatto che uno possa condividerle o meno ed io "non" le condivido, almeno per come sono materialmente scritte) le disposizioni del Fondo. Per quanto riguarda SACE, invece, comanda il contratto di garanzia, che è cosa ben diversa dalle disposizioni del Fondo. 
Dispiace che si sia estrapolata una mia affermazione fuori dal suo completo contesto che riporto per comodità di tutti:
«La ratio di questo miracoloso arabesco giuridico non è mai stata chiarita, dato che – per chi è dotato di un minimo di razionalità – o il prestito garantito è rimborsato integralmente, e allora la sua natura privilegiata o chirografaria poco conta, o il prestito non è rimborsato nella misura garantita e la garanzia sarà giocoforza oggetto di escussione e con essa la trasmutazione del chirografo in privilegio.
E allora, il credito sotto il profilo economico – che è quello che conta – è sostanzialmente un credito privilegiato ancor prima dell’escussione, poiché l’escussione è un evento inevitabile. L’unica variabile è quella temporale, cioè quando in concreto la banca si rivolgerà, dopo l’inadempimento del suo debitore, al garante per recuperarlo, ovviamente nei limiti della quota garantita»  [enfasi aggiunta in questa sede]

La ragione necessitata di non incorrere in una contestazione di aiuti di Stato da parte della Commissione UE, dunque, mi era ben nota, come ho scritto nella mia replica a critiche di altro segno.. Ciò che contestavo era il bizantinismo (il miracolo delle nozze di Cana) del meccanismo, di cui ben si poteva fare a meno considerando il credito super privilegiato ab origine, dato che economicamente tale è.

Quanto sopra ove fosse sfuggita la seconda parte delle mie non equivoche, per quanto criticabili, affermazioni.
Enrico Olivieri, AUPP ex avvocato

13 Ottobre 2025 23:35

Forse ha equivocato il senso del commento, che era solo quello di fornire il sostegno giuridico a considerazioni del tutto condivisibili.
Non è vero che la ratio non c’è. La ratio c’è o, quantomeno, sembra esserci.
Da lì in avanti il ragionamento non fa una piega e diventa anzi più efficace, proprio perché poggia su una base più forte (ovviamente non mia, ma elaborata dalla Cassazione e, in particolare, dal prof. Dolmetta)
CARLO PIROZZI, DOTTORE COMMERCIALISTA ESPERTO IN CNC -NAPOLI

17 Ottobre 2025 0:20

LA REPLICA
Premessa
Provo a replicare alle diverse critiche ed eccezioni che sono state formulate al mio intervento iniziale, non senza aver prima sgombrato il campo da un equivoco: non ho mai sostenuto che MCC o Sace non potessero transigere i loro crediti di regresso super privilegiati. Mi ero già espresso in modo chiaro nella risposta data al collega Carlo Pirozzi. Né poteva essere diversamente, avendo speso fiumi d’inchiostro sulla transigibilità dell’IVA. Infatti, mi si può rimproverare tutto, ma non di non essere testardamente coerente.
La cornice normativa e la sua ratio
Le disposizioni sui finanziamenti garantiti dallo Stato sono state così ricostruite dalla Corte di cassazione con la sentenza 10 aprile 2024, n. 9657:
 «Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in tema di interventi di sostegno pubblico erogati in forma di concessione di garanzia pubblica, l’avvenuta escussione di quest’ultima nei confronti di Mediocredito Centrale determina la surrogazione di detto garante nella posizione del garantito, con la nascita di un diritto di natura privilegiata, non più̀ volto al recupero del credito di diritto comune originato dal primigenio finanziamento, bensì mirato a riacquisire risorse pubbliche alla disponibilità del fondo per le piccole e medie imprese, con conseguente legittimità della riscossione esattoriale ex art. 17 d.lgs. n. 46 del 1999 (Cass., sez.3, 16/01/2023, n. 1005; Cass., sez. 1, 09/03/2020, n. 6508)».
Dunque, secondo la ricostruzione del giudice di legittimità, la surrogazione è stata concepita dal legislatore come mezzo per recuperare al bilancio statale risorse pubbliche originariamente impegnate in interventi di sostegno pubblico all’economia.
Sappiamo tutti, infatti, come tali interventi siano sempre a rischio di essere considerati dalla Commissione UE alla stregua dei vietati  “aiuti di Stato”.
Giova, allora, ricordare che costituisce aiuto di Stato qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza.
La previsione della surroga, quindi, accompagnata da un diritto di prelazione quasi assoluto risponde(va), proprio alla necessità evitare ogni contestazione in tal senso da parte della Commissione UE. Se così è, predicare la legittimità della rinuncia al diritto di surroga da parte dell’ente statale non può non apparire una pericolosa fuga in avanti che porterebbe la norma, così applicata in concreto, sotto la lente UE.
Né può autorizzare una simile declinazione la struttura irrazionale della disposizione da me denunciata nell’avvio del blog.
Analogamente pericoloso sarebbe forzarne la ratio, poiché non sarebbe la prima volta che la condanna da parte della Corte di Giustizia UE  perviene a seguito della contestazione di un uso del pubblico incentivo in modo difforme rispetto alle disposizioni normative che lo avevano introdotto.
 Nell’ottica del “buon ristrutturatore”
Non essendo, per altro, la prima volta che il nostro Paese subisce i richiami, anche tardivi, da parte della Commissione UE, ragionando nell’ottica del “buon ristutturatore”, riterrei azzardato fondare un piano di risanamento su un presupposto quanto meno incerto, fragilissimo, se non giuridicamente (secondo il diritto UE) inesistente.
 E qui veniamo al nocciolo della questione – sempre avuto a riferimento le scelte del consulente – della sua responsabilità nei confronti del proprio cliente e dei creditori.
Suppongo che il suo (del professionista non avventurista) piano prevederà la rinuncia al diritto di surroga da parte dello Stato garante escusso dalla banca garantita che avesse accettato una riduzione del proprio credito. 
Dal momento che tale attesa sarebbe quanto meno dubbia, penso anche che quel professionista avveduto darà conto, pure, delle ragioni per cui l’ente pubblico garante abbia interesse a rinunciare alla surroga. 
Non solo, il piano darà anche conto di come ottenere, nell’ambito delle trattative della Composizione negoziata, tale rinunzia.
Riguardo alla prima questione tenderei ad escludere che il “ristrutturatore attrezzato” vorrà proporre il ritrito argomento della centralità del salvataggio dell’impresa: la normativa europea, infatti, lo esclude, anzi lo vieta.
Ed allora dovrebbe confrontarsi con lo scenario alternativo, spiegando perché in caso di sottomissione dell’impresa alla LG il garante pubblico resterebbe con un “mucchio di mosche in mano” nonostante il suo credito sia assistito da un  “super” privilegio generale.
Da questo punto di vista, non è possibile escludere che al di fuori dell’id plerumque accidit si possa verificare che il secondo privilegio generale non sia soddisfatto nell’ambito di una LG, ma non è possibile legittimare una linea di condotta generale sulla base di un’eccezione.
Dunque, lato ente pubblico garante occorrerebbe che, ove escusso per l’intero 80%, esso non possa recuperare dalla LG neppure un solo euro in più di quanto il piano prevede di destinare alla banca garantita in qualità di creditore chirografario,  considerando che nella ipotetica LG  il soddisfacimento degli altri creditori chirografi sarebbe postergato al proprio credito di regresso.
Ciò potrebbe essere obiettivamente possibile in astratto, ma, anche in tale residuale ipotesi, si dovrebbe tenere conto di una ulteriore circostanza: ossia che alla medesima ristrutturazione potrebbe pervenirsi per il tramite di un concordato preventivo, dove la ricchezza dovrebbe essere distribuita secondo il doppio meccanismo della priorità assoluta sul “valore di liquidazione” e della priorità relativa sul “valore eccedente.
Col che il compito del consulente dell’impresa in crisi – se avveduto - si complicherebbe ulteriormente non poco. Stante la collocazione prioritaria del credito di regresso lo Stato garante avrebbe, infatti, interesse – anche a sollievo delle responsabilità dei propri funzionari – che la distribuzione delle risorse avvenisse sotto l’occhiuto controllo del tribunale e non del solo esperto, con cui, per altro, non avrebbe mai neppure parlato . Non va dimenticato in proposito che, contrariamente a quanto accade per i tributi – che hanno un grado di protezione inferiore -, la rinuncia al diritto di regresso non troverebbe conforto in nessun tipo di attestazione terza di convenienza.
Possiamo ora passare alla seconda questione, ossia come prevedere, nel piano, di ottenere il consenso del garante pubblico.
Mi par di capire – ma posso aver male interpretato – che del consenso del garante se ne dovrebbe occupare la banca garantita, dato che si è affermato che il garante non può essere chiamato al tavolo delle trattative, o, comunque, avrebbe diritto a non parteciparvi, se non previamente escusso. E di escussione non se ne vuol sentir parlare. Qui si aprono questioni estremamente delicate.
Da un lato ci si verrebbe a trovare difronte a un piano la cui ragionevole perseguibilità dipenderebbe dalla rinuncia alla surroga da parte del garante pubblico, senza che la rinuncia sia oggetto di trattativa nell’ambito della Composizione negoziata. Un’antinomia insuperabile, almeno a mio parere, poiché eversiva della stessa natura della CN, che pretende un negoziato trasparente, condotto secondo principi di buona fede e correttezza, sotto la regia dell’esperto. 
Dall’altro, quest’ultimo sarebbe privato degli strumenti necessari a valutare se, lato garante pubblico, si siano fatti, o no, progressi verso la condivisione del piano che, rammentiamoci, prevederebbe una rinuncia totale al credito di regresso. L’esperto dovrebbe fidarsi delle percezioni de relato della banca garantita, ma, sempre a mio parere, ove si affidasse al racconto di un terzo violerebbe gravemente il proprio mandato. 
Quanto sino a questo momento argomentato mi porta a ritenere che un piano di ristrutturazione che fondi le sue possibilità di successo su un’attesa rinuncia di un creditore eventuale che non partecipa alle trattative della CN sia un piano quanto mai “ballerino”.
 Della responsabilità del consulente e dell’esperto
È ora possibile affrontare il tema della responsabilità del consulente dell’impresa, e anche dell’esperto, laddove il piano di ristrutturazione avesse le caratteristiche sopra esposte, e alla fine del percorso – senza che né l’uno, né l’altro abbiano interloquito con lo Stato garante (voglio escludere, per prudenza, l’ipotesi che lo abbia fatto solo il professionista senza coinvolgere l’esperto) – la rinuncia al regresso non pervenisse e si aprisse in conseguenza la LG di quell’impresa.
 Al ricorrere di tale ipotesi si potrebbe ritenere, senza patemi d’animo, che le trattative siano state condotte secondo principi di buona fede e correttezza? Che le condizioni di risanamento fossero ragionevoli e tali siano restate durante tutto il percorso della CN?
 Si può dissentire – leggerò con attenzione le ragioni – ma personalmente sarei portato a dare ai quesiti una risposta negativa per tre ordini di motivi: (i) era noto ab origine che la disposizione sulle garanzie statali così interpretata si poteva risolvere in un vietato “aiuto di Stato”, da cui il diniego; (ii) la negoziazione della rinuncia è avvenuta al di fuori della stanza della CN; (iii) l’esperto è stato privato di ogni possibilità di verificare, nell’arco dei 6/12 mesi del suo mandato, la posizione del garante pubblico rispetto alla richiesta di rinuncia al regresso, con conseguente sua responsabilità per non aver assolto pienamente ai propri doveri.
A mio parere, quindi, sarebbe in ogni caso preclusa ogni possibilità di ricorrere al concordato semplificato per assenza di buona fede nelle trattative. 
Non solo. Se fossi il curatore della successiva dichiarata LG svolgerei nei confronti del professionista e dell’esperto quantomeno l’eccezione di inadempimento e, ove ne ricorressero le condizioni, ipotizzerei a loro carico, nella relazione ex art. 130 CCII, anche il concorso in bancarotta, se non altro di carattere preferenziale per i pagamenti effettuati in favore di creditori chirografari in presenza di un rischio concreto del possibile insorgere di un credito statale super privilegiato, lasciando in disparte eventuali super compensi percepiti dal consulente. 
Prima di affrontare temi “mercatistici”, fossi io il “ristrutturatore” di turno, pondererei, quindi, con grande prudenza il confezionamento di un piano che prevedesse contemporaneamente la rinuncia al regresso dell’ente pubblico garante e la sua non partecipazione al tavolo delle trattative della CN.
 Il mercato (questo sconosciuto)
Veniamo ora agli aspetti di mercato e misuriamo la forza degli interessi in gioco, per capire se, usando il metro del “buon padre di famiglia”, potremmo ritenere probabile l’evento della rinuncia al diritto di regresso da parte dell’ente pubblico, anche senza considerare le criticità giuridiche.
La banca garantita all’80% non ha particolare interesse – salvo nell’ipotesi di una proposta di soddisfacimento almeno pari a tale percentuale, con pagamento, per altro,  illico te immediate – ad accettare trattamenti inferiori e, per di più rateizzati, e promettere, al contempo, di ottenere la rinuncia al regresso del garante. 
Escutere la garanzia sarebbe, al contrario, il comportamento più naturale secondo le prassi di mercato. 
Di contro per MCC/Sace il regresso assistito dal super privilegio costituirebbe la condotta mercatistica tipica.  
Al contrario si pretende che un piano di risanamento possa fondare la sua ragionevolezza sull’assunzione che dei soggetti economici professionali – lasciando in totale disparte gli eventuali obblighi giuridici che incombono su di loro – agiscano al di fuori delle regole di mercato, facendo recedere i loro interessi adeguatamente tutelati dalla legge difronte a quelli dell’impresa in crisi. 
Occorre, dunque, che si spieghino le ragioni perché ciò possa ragionevolmente accadere.
L’equivoco
Da tutto quanto sopra emerge con nitidezza l’equivoco di fondo: ossia che in un ambito estraneo alle regole del concorso tra gli interessi configgenti in gioco debba accordarsi la preminenza a quelli dell’impresa in crisi, occorrendo anche forzando le regole stesse del concorso. 
Siamo al solito: “il salvataggio dell’impresa in crisi è bene in sé” e prevale su ogni altro “bene della vita” o interesse economico, che, al suo cospetto, devono recedere anche in una posizione più deteriore rispetto a quella che le regole del concorso gli attribuirebbero, ove il concorso si aprisse. 
Come, però, ho più volte sostenuto, se nell’ambito degli strumenti giudiziali per il superamento della crisi possono ravvisarsi norme (che a me non piacciono) che legittimano l’affermazione che il salvataggio dell’impresa costituisce un valore superiore, è indubbio come tale super-valore trovi dei limiti insuperabili nelle disposizioni che regolano quegli istituti. 
Ne consegue che lo stesso non può dirsi riguardo alla CN dove sono assenti regole di concorso e dove ciascun creditore ha solo l’obbligo di partecipare alle trattative secondo principi di buona fede e correttezza, ma non di aderire alle proposte del proprio debitore, se non perché le giudica conformi ai propri migliori interessi rispetto a quella concreta situazione.
L’aspetto macroeconomico
 Venerdì ho qui pubblicato un articolo del Corriere della Sera che offre uno spaccato del fenomeno delle garanzie statali sui prestiti alle imprese: 294 miliardi di garanzie rilasciate, 6 miliardi di garanzie escusse, proroga dei termini di rimborso dei prestiti garantiti. 
Il primo dato che colpisce è l’entità, in valore assoluto, delle escussioni: 6 miliardi, a cui si deve aggiungere un altro 1 miliardo e spiccioli perso dalle banche, trasferiti a imprese che nell’arco di un quinquennio sono finite in default. 
Da questi dati emerge che ove gli enti garanti rinunciassero al regresso si consoliderebbe un intervento a sostegno di imprese, poi “fallite”, di entità tale da non poter non essere considerato un aiuto di Stato, con l’aggravante che così ingenti risorse pubbliche, diversamente destinabili alla sanità pubblica, sarebbero state assegnate a imprese che, con ogni probabilità, si trovavano in difficoltà già al momento dell’ottenimento del finanziamento assistito dalla garanzia statale. 
Ecco perché ipotizzare che il garante pubblico rinunci al diritto di regresso verso l’impresa in CN verrebbe a costituire una seconda violazione del divieto agli aiuti di Stato. 
Ed ancora, dall’articolo del Corriere della Sera emerge anche della volontà del governo di porre un freno al rilascio delle pubbliche garanzie a sostegno delle imprese, sicché ipotizzare, in un quadro di revisione dello strumento stesso, che lo Stato rinunci al diritto di regresso assistito dal super privilegio, sarebbe ulteriormente assai imprudente.

🔶 🔶 🔶
 
A voi la parola, dunque…
                                                    
EGREGIO GIOVANNI, EGREGI TUTTI

Il blog meriterebbe di diventare almeno un webinar.
Ci vorrebbe un moderatore di eccezione e un eccellente esperto di conclusioni.
Apprezzo lo sforzo interpretativo di Giovanni che prova a difendere la sua onorevole tesi indossando talvolta il cappello della UE e altra volta quello della Corte dei Conti, sempre quello di paladino delle casse dello Stato.

Io, da Napoli, volo molto più basso e anzi resto con i piedi molto per terra in quanto sono in attesa che MCC validi una delibera bancaria che ha accettato uno stralcio al 55%.
In tale caso il piano dimostra l'estrema convenienza sia per la banca che per il creditore pubblico dell'accordo transattivo.
Secondo le disposizioni operative nei 30+10 giorni il deliberante di MCC può decidere se aderire all'accordo oppure no.
E allora nel lasciare la discussione (con la speranza nel cuore) vi chiedo: "chi sarebbe responsabile dei minori introiti per tutti di una liquidazione giudiziaria qualora questa si aprisse a seguito del diniego di MCC ?

Se vi siete trovati a darvi la mia stessa risposta provate a rileggere Giovanni :
" E allora, il credito sotto il profilo economico – che è quello che conta – è sostanzialmente un credito privilegiato ancor prima dell’escussione, poiché l’escussione è un evento inevitabile. L’unica variabile è quella temporale, cioè quando in concreto la banca si rivolgerà, dopo l’inadempimento del suo debitore, al garante per recuperarlo, ovviamente nei limiti della quota garantita»

Ebbene potreste arrivare alla mia medesima conclusione (che molto probabilmente differente da quella di Giovanni e cioè:
1) L'escussione non è affatto inevitabile in quanto in caso di accettazione della proposta da parte di MCC non vi sarà una escussione totale (che legittimerebbe l'automatica azione di regresso).

2)  L'espressione "rinuncia al regresso"  di cui si è più volte parlato va correttamente inquadrata come accettazione di una minore perdita per effetto dell'accordo della banca con il creditore.

Speriamo di vederci dal vivo (nel caso a Roma sede di Unioncamere per il quarto anniversario della CNC il 13 novembre 2025). Diversamente l'avvocato Pezzano ci potrebbe organizzare un webinar ???
Scherzo

Un caro saluto in stima a tutti i blogger


Giovanni La Croce, dottore commercialista

17 Ottobre 2025 10:54

EGREGIO GIOVANNI, EGREGI TUTTI

Il blog meriterebbe di diventare almeno un webinar.
Ci vorrebbe un moderatore di eccezione e un eccellente esperto di conclusioni.
Apprezzo lo sforzo interpretativo di Giovanni che prova a difendere la sua onorevole tesi indossando talvolta il cappello della UE e altra volta quello della Corte dei Conti, sempre quello di paladino delle casse dello Stato.

Io, da Napoli, volo molto più basso e anzi resto con i piedi molto per terra in quanto sono in attesa che MCC validi una delibera bancaria che ha accettato uno stralcio al 55%.
In tale caso il piano dimostra l'estrema convenienza sia per la banca che per il creditore pubblico dell'accordo transattivo.
Secondo le disposizioni operative nei 30+10 giorni il deliberante di MCC può decidere se aderire all'accordo oppure no.
E allora nel lasciare la discussione (con la speranza nel cuore) vi chiedo: "chi sarebbe responsabile dei minori introiti per tutti di una liquidazione giudiziaria qualora questa si aprisse a seguito del diniego di MCC ?

Se vi siete trovati a darvi la mia stessa risposta provate a rileggere Giovanni :
" E allora, il credito sotto il profilo economico – che è quello che conta – è sostanzialmente un credito privilegiato ancor prima dell’escussione, poiché l’escussione è un evento inevitabile. L’unica variabile è quella temporale, cioè quando in concreto la banca si rivolgerà, dopo l’inadempimento del suo debitore, al garante per recuperarlo, ovviamente nei limiti della quota garantita»

Ebbene potreste arrivare alla mia medesima conclusione (che molto probabilmente differente da quella di Giovanni e cioè:
1) L'escussione non è affatto inevitabile in quanto in caso di accettazione della proposta da parte di MCC non vi sarà una escussione totale (che legittimerebbe l'automatica azione di regresso).

2)  L'espressione "rinuncia al regresso"  di cui si è più volte parlato va correttamente inquadrata come accettazione di una minore perdita per effetto dell'accordo della banca con il creditore.

Speriamo di vederci dal vivo (nel caso a Roma sede di Unioncamere per il quarto anniversario della CNC il 13 novembre 2025). Diversamente l'avvocato Pezzano ci potrebbe organizzare un webinar ???
Scherzo

Un caro saluto in stima a tutti i blogger


“Paladino delle casse dello Stato”. 
Da liberale, mai qualificazione mi fu più gradita!

Antonio Pezzano, Avvocato in Firenze

20 Ottobre 2025 11:01

Temo ci sia un equivoco di fondo, ferma la condivisibilità di molte delle considerazioni di principio di Colui che ha aperto questo interessante Blog.
 
Allorché si dà corso, per tempo, ad una CN, di regola si mira al salvataggio della continuità diretta.
 
Spesso per far ciò, è inevitabile che siano mantenuti in vita - dunque né sospesi né revocati -   i rapporti bancari di anticipazione, come chiaramente sancisce, quale regola automaticamente applicabile ex lege, l’ art. 16, comma 5, CCII (salva  l’eccezione del rispetto delle regole di vigilanza bancaria specificatamente invocate ed aggiungerei dimostrate, visto che nulla, almeno per ora, sanciscono in caso di CN e men che mai allorché non si invochino le misure protettive o cautelari contro le banche).
 
Orbene, altrettanto ricorrentemente le banche quantomeno alla sospensione delle linee di credito… ricorrono (non curanti di tale effetto ex lege; per chi avesse voglia di divertirsi sul tema, pur se più specificatamente rispetto al c.p. e p.r.o., e quindi con riferimento all’ art. 94-bis CCII, permettetemi il rinvio su questo portale all’articolo scritto con l’amico Max Ratti, "Divieto di clausole “ipso facto” nel concordato in continuità: art. 94 bis, concorsualità dei contratti e disciplina di vigilanza bancaria" )
 
Ecco allora che, temendo si possa giungere addirittura alla revoca delle linee di credito  - e con la revoca alla necessità per la banca dell’escussione entro un certo termine della garanzia pubblica  (ove sussistente) - risulta più che oculata/appropriata, per non dire dovuta, l’eventuale scelta di invocare le misure cautelari conseguenziali, ovviamente anche rispetto al rischio di escussione dei garanti pubblici.
 
D’altra parte, nella fase iniziale la CN si basa su quello che ancora è un solo un progetto di piano, che solo nel confronto con tutte la parti interessate - quindi anche MCC/SACE, piaccia loro o meno, stante la chiara novella dell’art. 4, comma 1 e 4, CCII -  può aspirare a divenire (o in ipotesi non divenire) un vero e proprio piano, tenendo anche conto, ovviamente, dei diritti prelatizi che con la rivalsa, post escussione, il garante potrebbe attivare.
 
Che poi in tema di MCC esistano delle  Disposizioni Operative  (comunque - quanto ovviamente - recessive rispetto alle fonti  di rango poziore, come in ogni caso anche nelle stesse precisato : “Ferme restando tutte le ipotesi precedenti, in riferimento a determinate fattispecie, è fatto salvo il rispetto della normativa primaria cogente e delle eventuali peculiarità in essa contenute.”; v. Parte VI, par. B.1.2, cap. finale), è solo apprezzabile, anche se dovrebbero essere molto più semplificate/chiare, quanto meglio adattate al CCII, come pare avverrà a breve.
 
Come è apprezzabile, anche in logica art. 97 Cost., che prevedano anche la possibilità di un accordo trilatero (debitore, banche e garante pubblico), tenuto anche conto che non si pone alcun problema di aiuto di Stato se gli Organi Preposti del MCC (dopo un’istruttoria, che definire curata non rende completamente l’idea; v. Parte VI, par. C. 1, n. 4) giungano alla conclusione che l’accordo sia la soluzione meno dannosa per l’Erario nel caso di crisi sottoposta all’ esame.
 
Che poi sia auspicabile che il procedimento  di cui all’art. 23, comma 2 bis, CCII venga esteso agli accordi (anche) con tali creditori pubblici - come con gli  Enti previdenziali - mi pare cosa intuitiva.

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  • 6. opposizione al marketing diretto;
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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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