Giovanni La Croce, Dottore Commercialista in Milano
IL RAPPORTO TRA SCIENZA E DIRITTO NEL CODICE DELLA CRISI: UNA SCIVOLOSA QUESTIONE DI METODO.
2 Settembre 2024
Più in generale si può affermare che il diritto possa fare propri taluni concetti tecnici, traducendoli in normativa giuridica [4].
Tanto che si suole affermare che i principi contabili sono regole tecniche che rappresentano la migliore prassi operativa nella redazione dei documenti contabili, con la funzione di interpretare e integrare le norme di legge, cosa che non sarebbe possibile ove, a seguito di differenti scelte del legislatore, il dettato normativo fosse entrato in antinomia con i principi contabili.
(ii) società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, sebbene non quotati in mercati regolamentati;
(iii) banche, società finanziarie italiane e società di partecipazione finanziaria mista italiane che controllano banche o gruppi bancari, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio, istituti di moneta elettronica ed istituti di pagamento;
(iv) società consolidate da quelle per le quali vige l'obbligo di adozione dei principi contabili internazionali, fatta eccezione per le società minori che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell'art. 2435 bis c.c.;
(v) imprese di assicurazione quotate, ovvero quelle che redigono il bilancio consolidato del gruppo assicurativo [art. 95 del D. lgs. n. 209/2005, “Codice delle assicurazioni private”] – ha previsto che i bilanci delle medesime debbano essere redatti direttamente applicando i principi contabili IAS/Ifrs, senza alcuna trasposizione a livello normativo delle relative disposizioni, neppure di quelle più rilevanti [8].
Scelta ancor più chiara, nel riconoscimento del valore normativo degli insegnamenti della tecnica contabile, avendo egli esteso anche alle società non quotate la possibilità di applicare gli standard internazionali.
Qui di seguito alcuni esempi in ordine sparso:
(i) l’art. 2487 c.c., in tema di modalità di svolgimento della liquidazione dell’ente, non fissa alcun criterio di formazione del piano di liquidazione se non alcuni criteri generalissimi alternativi tra cui optare;
(ii) l’art. 2343 c.c., in tema di valutazione dei conferimenti dei beni in natura, non si occupa di definire i criteri di valutazione che l’esperto designato dal tribunale deve adottare, analogamente dicasi per l’art. 2343 bis c.c. che dispone in tema di valutazione dei beni acquistati dai soci o dagli amministratori nei due anni dall’iscrizione della società al registro delle imprese;
(iii) anche l’art. 2437 c.c., in tema di determinazione del valore delle azioni del socio recedente, non fissa le modalità con cui gli amministratori, salvo che per il caso speciale di azioni quotate nei mercati regolamentati, debbono procedere alla valutazione;
(iv) così anche per la relazioni con cui gli esperti devono, ai sensi dell’art. 2501 sexies c.c. valutare il rapporto di cambio in caso di fusione e la capacità della incorporante di rimborsare l’eventuale debito contratto per l’acquisizione dell’incorporata [9].
In particolare, pare aver dato troppo credito, per quanto riguarda la cogenza dei richiami ai contenuti nel “Decreto dirigenziale”, a quella che al più può essere qualificata come una voce di dottrina (molto originale), ma non certo uno standard.
(NB: le note sono riportate nel commento che segue.)
2 Settembre 2024 23:17
[2] N. Irti e E. Severino, "Dialogo su diritto e tecnica", Roma-Bari, 2001, pag. 20.
[3] F. Ledda, "Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica", in Dir. proc. amm., 1983, pagg. 389/390.
[4] Ibidem.
[5] E. Severino, "La filosofia futura", Milano, 1989, 68/70; U. Galimberti, "L’etica del viandante", Milano, 2023, pag. 131, il quale afferma: “il mezzo tecnico si autonomizza da qualsiasi fine e diventa il primo fine, che subordina a sé tutti gli altri fini che solo con la tecnica si possono conseguire. Infatti, finché la tecnica a disposizione dell’uomo era appena sufficiente a raggiungere quei fini in cui si esprimeva la soddisfazione dei bisogni umani, la tecnica era un semplice mezzo, il cui significato era interamente assorbito dal fine, ma quando la tecnica aumenta quantitativamente , al punto di rendersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine, allora muta qualitativamente lo scenario, perché non è più il fine a condizionare la ricerca dei mezzi tecnici, ma è l’accresciuta disponibilità tecnica a mettere a disposizione qualsiasi fine che per suo tramite può essere raggiunto”; G. Anders, "L’uomo è antiquato", Vol I: "Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale", Torino, 2003, pag. 262.
[6] Il L. Antonini, "Il problematico rapporto tra scienza e diritto: i fronti aperti, la questione del metodo" , in "La Domanda inevasa", a cura di L. Violini, Bologna, 2016, pag. 77.
[7] P. G. Monateri, "Il diritto e le scienze dello spirito", in "Scienza e diritto nel prisma del diritto comparato", a cura di G. Comandè e G. Ponzanelli, Torino, 2004, pag. 19.
[8] Per completezza va considerato come l'art. 1, comma 1070 della legge di bilancio 2019 ha stabilito che “I soggetti di cui all’articolo 2 [del D.lgs. 38/2005] i cui titoli non siano ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato hanno facoltà di applicare i principi contabili di cui al presente decreto”.
[9] Tipo di valutazione molto simile a quella cui è chiamato il “professionista indipendente” attestatore dei piani di risanamento.
[10] Così decisamente pervasiva è la scelta del legislatore del CCII, che con il correttivo ultimo si è spinto finanche a definire il “valore di liquidazione” in totale antitesi a quanto si può rinvenire nei testi di economia aziendale.
[11] La costruzione e validazione di un piano di risanamento non presentano alcuna distinzione, quanto a principi di redazione, rispetto ad un business plan ordinario.
[12] Di rango primario o secondario poco importa.
[13] Per altro, la specifica critica ai principi dedotta dall’illustre autore: “I Principi di Attestazione, ai §§ 6.1.9 e 6.9.1., per quanto richiedano l’esame dell’andamento corrente, non enfatizzano il tema in misura adeguata in relazione alla sua effettiva rilevanza, né esso pare sempre adeguatamente colto nel vaglio dei percorsi attestativi”, appare essa stessa infondata, stante la chiarezza e completezza dello specifico principio: “L’Attestatore considera in ogni caso l’andamento del current trading ai fini di svolgere le prime verifiche sull’evoluzione aziendale. Tale analisi costituisce un utile indicatore le cui risultanze dovranno essere valutate nel contesto da parte dell’Attestatore anche ai fini di formarsi un fondato convincimento sulla fattibilità del Piano.”
[14] Par. 3, art 4 della direttiva: “Gli Stati membri possono mantenere o introdurre una verifica di sostenibilità economica a norma del diritto nazionale, purché tale verifica abbia la finalità di escludere il debitore che non ha prospettive di sostenibilità economica, e possa essere effettuata senza pregiudicare gli attivi del debitore.”
5 Settembre 2024 14:50
I Principi per la redazione dei piani di risanamento (l'attuale versione, essendo del maggio 2022, fa riferimento alla Legge Fallimentare, al D.L. 118/2021 ed al decreto dirigenziale del 28/09/2021, per cui ci si attende un aggiornamento) contengono una tavola sinottica che associa ai paragrafi dei Principi di redazione, "i cui contenuti sono da prendere come riferimento per lo sviluppo del Piano, i punti della lista di controllo particolareggiata prevista dal Decreto dirigenziale del 28 settembre 2021", precisando che per "tutto quanto non previsto dalla check-list in termini di contenuti e indicazioni operative necessarie alla redazione di un attendibile e coerente piano di risanamento deve essere fatto riferimento alle indicazioni contenute nel presente Principio".
I Principi per la redazione dei piani di risanamento non si pongono dunque in contrasto con la check-list e ciò anche se questa riguarda la sola composizione negoziata, ma - in quanto applicabili a tutti gli strumenti - si pongono l'obiettivo dichiarato di completarla e svilupparla, considerato anche che la lista di controllo deve essere "adeguata anche alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese". Il richiamo ai Principi di redazione (ed al CCII) contenuto nei Principi di attestazione in ordine alla verifiche sul Piano non implica, di conseguenza, l'esclusione della verifica del rispetto della check-list dai controlli che deve fare l'Attestatore e ciò poiché le valutazioni sul rispetto dei Principi di redazione sono, per quanto sopra esposto, di più ampia portata, andandole ad includere. Mi pare che la scienza aziendalistica sia andata, anche stavolta e per fortuna, oltre il dato normativo.
21 Settembre 2024 19:18
I Principi per la redazione dei piani di risanamento (l'attuale versione, essendo del maggio 2022, fa riferimento alla Legge Fallimentare, al D.L. 118/2021 ed al decreto dirigenziale del 28/09/2021, per cui ci si attende un aggiornamento) contengono una tavola sinottica che associa ai paragrafi dei Principi di redazione, "i cui contenuti sono da prendere come riferimento per lo sviluppo del Piano, i punti della lista di controllo particolareggiata prevista dal Decreto dirigenziale del 28 settembre 2021", precisando che per "tutto quanto non previsto dalla check-list in termini di contenuti e indicazioni operative necessarie alla redazione di un attendibile e coerente piano di risanamento deve essere fatto riferimento alle indicazioni contenute nel presente Principio".
I Principi per la redazione dei piani di risanamento non si pongono dunque in contrasto con la check-list e ciò anche se questa riguarda la sola composizione negoziata, ma - in quanto applicabili a tutti gli strumenti - si pongono l'obiettivo dichiarato di completarla e svilupparla, considerato anche che la lista di controllo deve essere "adeguata anche alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese". Il richiamo ai Principi di redazione (ed al CCII) contenuto nei Principi di attestazione in ordine alla verifiche sul Piano non implica, di conseguenza, l'esclusione della verifica del rispetto della check-list dai controlli che deve fare l'Attestatore e ciò poiché le valutazioni sul rispetto dei Principi di redazione sono, per quanto sopra esposto, di più ampia portata, andandole ad includere. Mi pare che la scienza aziendalistica sia andata, anche stavolta e per fortuna, oltre il dato normativo.
La questione è epistemologica, cioè riguarda il linguaggio e il metodo del ragionamento scientifico, dunque la tenuta della sua sua struttura formale.
Se si intede ragionare di finanza aziendale, occorrere che il linguaggio consolidato nella comunità scientifica che se ne occupa non sia “violato”, perché altrimenti la scienza perde la sua obiettività per tramutarsi in puro soggettivismo.
Ebbene, se si analizza il linguaggio del test pratico dove, secondo il “decreto dirigenziale”, dovrebbero confluire le risultanze numeriche della check list, vi si rinviene un ricorso a terminologie scientifiche cui viene attribuito un significato diverso da quello universalmente riconosciuto. Con la conseguenza che il testo (test) proposto non può essere decodificato secondo codici standardizzati, cioè codici che ammettono una sola interpretazione.
- Ecco alcune esemplificazioni:
Ora, che il costo degli investimenti futuri per garantire la continuità non possa essere considerato un debito già esistente da ristrutturare pare una tale ovvietà che non occorrerebbero commenti ulteriori, se non la sottolineatura che il redattore del test ha mescolato all’interno di uno di stock patrimoniale (il debito da ristrutturare), contaminandolo, un fabbisogno fianaziario (impiego) a venire, violando così le categorie epistemologiche della: precisione, concatenazione, condensazione e deagentivizzazione;
🔻analoghe considerazioni valgono, mutatis mutandis, per i valori di cui alle lett. f. e g. del test sotto riportato, che sono fonti di copertura del debito da ristrutturare e non sue componenti negative . L’errore epistemologico è il medesimo, seppure di segno inverso;
🔻significativa, sempre riguardo alla mancanza di precisione scientifica del suo linguaggio è l’affermazione secondo la quale nell’entità del debito da ristrutturare andrebbero considerate solo le rate di mutuo e di leasing in scadenza nei successivi due anni, come se le rate successive non debbano trovare nel piano di ristrutturazione la loro puntuale copertura. Evidente la fallacia epistemologica per cui la misurazione temporale delle chance di risanamento di un’impresa in crisi può limitarsi a due anni;
🔻che dire, ancora, della voce di cui alla lett. h., ossia riguardo all’eventuale previsione nel debito da ristrutturare del margine operativo negativo del primo anno “comprensivo delle componenti non ricorrenti” ? Nel linguaggio scientifico riconosciuto si tratta di un fabbisogno che deve trovare copertura, di norma, in una nuova finanza e non di un debito da ristrutturare, ma tant’é, il pensiero dell’agente pare tendere fortemente a prevalere sulla contraria necessità di deagentivizzazione;
🔻in chiusura, poi, l’affermazione che l’entità del debito di cui alla lett. [A] può essere ridotta, ai fini del test, del valore degli stralci che si ritiene di ottenere rende evidente come a comporre il suo totale non potevano concorrere valori che non essendo stock non avrebbero potuto essere oggetto di stralci.
Le ambiguità semantiche e metodologiche proseguono anche nella prospettazione delle fonti di copertura:
🔻là dove si afferma che i flussi di cassa attesi debbano prescindere da quelli derivanti dalle iniziative industriali il cui onere è stato posto, pur erroneamente, all’interno del “debito da ristrutturare”. In ogni caso, risulterebbe violata la regola (categoria) della concatenazione: da un lato si considera nel totale [A] il fabbisogno per i nuovi investimenti industriali ma a copertura se ne escludono i benefici;
🔻anche l’elisione delle componenti non ricorrenti nella determinazione dei flussi di cassa a servizio del debito pare una conclusione influenzata da un eccesso di soggettivismo, giacché le componenti non ricorrenti determinano, secondo il linguaggio scientifico della finanza aziendale e le sue metodologie, un assorbimento di cassa che riduce, pur temporaneamente, l’entità dei flussi disponibili per il rimborso del debito, di là della loro straordinarietà;
🔻da ultimo, nel test, non v’è traccia del fabbisogno finanziario per il pagamento degli interessi passivi, che, al contrario, incidono negativamente sull’entità dei flussi disponibili per il rimborso del debito.
La disambiguazione del test pratico sarebbe stata assai agevole se l’agente, anziché proporre un percorso logico al di fuori dei consolidati parametri epistemologici, avesse fatto ricorso, come modello, al budget di cassa puntuale - mensilizzato per cogliere le eventuali punte di fabbisogno stagionale o straordinario - che la comunità scientifica utilizza da sempre al fine di verificare la “rimborsabilità” di uno o più debiti.
Si sarebbe potuto anche ricorrere a formule sintetiche, pur meno precise ma pur sempre riconosciute nella comunità scientifica, come il rapporto PFN/Ebitda, considerando in tal caso la PFN determinata: (+) dal debito ristrutturato, comprensivo di quello non stralciato, [+] dai costi della ristrutturazione; [+] dai fabbisogni di circolante, [+] dal fabbisogno per investimenti, [-] dagli apporti di nuovo equity, [-] dalle entrate finanziarie dei disinvestimenti (spero di non essermi dimenticato nulla).
Tutto ciò dovrebbe portare a ritenere opportuno un, pur tardivo, coinvolgimento del CNDCEC per riformulare, secondo consolidati canoni epistemologici, sia il test pratico sia la check list.