L'art. 7, comma 4, lettera a) della Legge 155/2017 recante "Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza" prevedeva che il legislatore delegato potenziasse la liquidazione giudiziale mediante l’adozione di misure volte, tra l'altro, ad: “escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1”.
L'art. 150 del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza dispone che: “salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante la liquidazione giudiziale, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura”.
La norma, quindi, riproduce pressoché testualmente il tenore dell'art. 51 L.F., limitandosi a sostituire l'espressione “liquidazione giudiziale” a quella di “fallimento”, posto che è fatta salva la possibilità di circostanze particolari espressamente previste dalla Legge.
Non essendo stato modificato l’art. 41 T.U.B., a prima vista parrebbe doversene arguire che l'azione esecutiva individuale del creditore fondiario sia tuttora consentita anche dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, proprio come accade nell'attuale disciplina fallimentare.
In realtà vi sono almeno due argomenti che, in progressione tra loro, consentono di ritenere che la delega sia stata attuata, con conseguente legittimità costituzionale della norma, e che l’esecuzione del credito fondiario possa proseguire, ma solo per i fallimenti tuttora in corso o dichiarati in forza di ricorsi presentati anteriormente alla entrata in vigore del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza.
Sotto un primo profilo, la scelta di non modificare il testo dell’art. 41 del T.U.B., infatti, non può essere casuale, considerato che l’art. 369 CCII modifica puntualmente tutte le disposizioni del T.U.B., eliminando i riferimenti alla legge fallimentare e sostituendole con i riferimenti ai corrispondenti istituti del nuovo CCII. Tuttavia, nel fare ciò, “salta” l’art. 41, il quale a differenza delle altre norme, nel testo oggi vigente continua a far riferimento alla possibilità di iniziare e proseguire la esecuzione individuale anche in pendenza di fallimento.
La scelta non solo non può essere casuale, ma si armonizza anche con l’art. 7 della legge delega, il quale, come si è detto, mandava al legislatore delegato di disporre l'esclusione dell'operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari, ma gli imponeva al contempo di preservare il privilegio processuale fondiario sino alla scadenza del 2° anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto o dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega medesima.
Del resto, la norma ha perfettamente senso proprio nell’attuale sistema, laddove le procedure già dichiarate - e quelle che lo saranno in forza di ricorsi presentati anteriormente al 15 luglio 2022 - sono fallimenti e non liquidazioni giudiziali.
Nell’ambito di tali procedure, la modifica della norma con la sostituzione della espressione “fallimento” con quella di “liquidazione giudiziale” avrebbe dunque comportato, anzitutto, la improcedibilità delle esecuzioni fondiarie che fossero pendenti e da iniziarsi nell’ambito dei fallimenti in corso e in corso di dichiarazione: infatti, la riserva di cui all’art. 51 l. fall. non avrebbe più trovato la norma di riferimento nell’art. 41 T.U.B.
Tale norma avrebbe invece costituito una deroga rilevante secondo il nuovo art. 150 CCII e quindi si sarebbe realizzato il mantenimento del privilegio processuale fondiario nelle nuove procedure di liquidazione giudiziale.
In sostanza, si sarebbe ottenuto il risultato di escludere il privilegio fondiario nell’immediato e ripristinarlo per il futuro.
Ma è evidente che, così operando, il legislatore avrebbe disposto in modo esattamente contrario a quanto prevede la legge delega, la quale, invece, stabilisce il principio della esclusione, per il futuro, dei privilegi processuali, ma da attuarsi con gradualità e quindi con salvezza, per lo meno, delle procedure in corso.
La norma sarebbe stata dunque in palese contrasto con la legge delega e, dunque, irrimediabilmente incostituzionale.
Sotto altro profilo, è noto l’insegnamento della Corte Costituzionale secondo il quale, nel dubbio interpretativo, deve privilegiarsi l’esegesi costituzionalmente orientata della norma rispetto a quella che la porrebbe in contrasto con la Carta Fondamentale.
Pare dunque evidente che il privilegio processuale fondiario sia destinato a proseguire per le procedure rette dalla legge fallimentare, ma che debba invece considerarsi abrogato per le liquidazioni giudiziali disciplinate dal CCII.