Diversa è la questione circa la giurisdizione in presenza di contestazioni riguardanti l’entità dei crediti tributari, unitamente ad interessi e sanzioni, che, per come emerge dal cd. “consolidamento” del debito tributario riconducibile al sub-procedimento di transazione fiscale, forma oggetto dell’accordo e del calcolo delle maggioranze per la sua approvazione (e, quindi, anche del vaglio circa la rilevanza o meno, a tal fine, del voto dissenziente del Fisco).
Si tratta, evidentemente, di un profilo che non ha alcun legame con quello – certamente diverso – dell’opposizione alla mancata adesione alla transazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Ciononostante la Cassazione, in relazione al concordato preventivo, ha affrontato anche questo aspetto e in particolare, nell’ordinanza Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8504 – richiamando la precedente sentenza Cass. civ., Sez. I, 13 giugno 2018, n. 15414 – ha affermato che, in ordine a controversie insorgende relative all’entità del debito tributario (per esempio in conseguenza delle certificazioni amministrative, ovvero dell’emanazione di atti impositivi, sanzionatori o della riscossione), oppure a controversie già insorte (es. liti pendenti), la regola di riparto della giurisdizione è quella fissata dall’art. 90 D.P.R. n. 602/1973 [27], che indica quale rimedio volto ad evitare conflitti di pronunce e vuoti di tutela l’accantonamento dei crediti erariali contestati.
Il richiamo operato da quest’ultima disposizione all’art. 181, comma 3, primo periodo, L. fall., infatti, deve attualmente intendersi rivolto all’art. 180, comma 6, L. fall., secondo il quale “Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo”.
Ad avviso della Suprema Corte, dunque, nel giudizio di omologazione del concordato al Tribunale è preclusa qualsiasi delibazione sulla sussistenza e l’ammontare dei crediti tributari contestati, ed anche qualsiasi valutazione circa l’opportunità di disporre o meno accantonamenti a tutela di tali crediti, i quali sono da intendersi obbligatori per legge. Semmai, la sua cognizione potrà estendersi a profili che riguardano l’idoneità della documentazione prescritta dalla legge ai fini della certificazione dei crediti tributari (rilasciata, rispettivamente, da parte dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agente della riscossione), ovvero l’eventuale estinzione di quest’ultimi per prescrizione[28].
Proprio nel caso deciso dal Tribunale di Bergamo, qui in commento, il Collegio ha escluso le sanzioni tributarie dal computo dei crediti erariali, ritenendo di fatto insufficiente la documentazione prodotta dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’inserimento delle sanzioni nell’elenco dei crediti della procedura, in quanto mai irrogate dall’Amministrazione finanziaria con un provvedimento.
Peraltro, una conferma dell’assunto della Cassazione, oltre che dalla nota regola – sancita all’art. 2 D.Lgs. n. 546/1992 – dell’esclusività della giurisdizione tributaria con riferimento alle questioni relative all’an ed al quantum dei tributi, può trarsi dall’art. 31 del D.Lgs. n. 46/1999, in virtù del quale “Le disposizioni previste dagli articoli 88 e 90, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come sostituiti dall’art. 16 del presente decreto, non si applicano se le contestazioni relative alle somme iscritte a ruolo sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario”.
Parte della dottrina, d’altro canto, non ha ritenuto pienamente soddisfacente il chiarimento espresso dalla Cassazione, evidenziando come l’art. 90 DPR n. 602/1973, che impone l’iscrizione provvisoria dei crediti tributari contestati nell’elenco dei creditori ai fini del voto e del calcolo delle maggioranze[29], faccia riferimento alle sole somme iscritte a ruolo (o agli avvisi di accertamento direttamente esecutivi[30]), mentre tutti gli atti riguardanti il merito della pretesa e la sua determinazione, ove contestati, devono essere devoluti al giudice tributario[31].
Le considerazioni svolte, si ribadisce, esulano dalla originaria questione relativa all’impugnabilità del diniego dell’Amministrazione finanziaria alla transazione fiscale, poiché evidenziano una problematica che, in quanto riferita alla esatta determinazione del debito tributario complessivo da inserire nelle procedure concordatarie, si presenta prima della formulazione della proposta e del voto, e comunque a prescindere dal fatto che il voto dell’Erario alla transazione sia favorevole o meno.
In ogni caso, il richiamato orientamento dottrinale stimola la riflessione circa diversi interrogativi sui quali occorre pronunciarsi.
Si tratta, cioè, di capire se il contribuente-debitore che abbia intrapreso l’iter della transazione fiscale, ricevute le certificazioni dei debiti tributari da parte degli Enti preposti (cd. consolidamento), possa contestare anche atti diversi dal ruolo o dall’accertamento esecutivo, quali, ad esempio, gli (eventuali) avvisi di irregolarità riferiti alle dichiarazioni non ancora controllate, i ruoli vistati ma non ancora trasmessi all’Agente della riscossione, o la certificazione rilasciata dall’Agente dalla quale risultino ruoli riportati in pregresse cartelle di pagamento mai notificate.
Viepiù, è necessario stabilire se tali contestazioni, ove ritenute ammissibili, diano luogo, al pari di quelle riferite ai ruoli, agli accantonamenti in favore dell’Erario e, inoltre, se le contestazioni, in generale, debbano intendersi tali soltanto a seguito del concreto avvio dell’azione giudiziale dinanzi al giudice tributario, il che presupporrebbe – a rigore – la sussistenza di atti autonomamente impugnabili ai sensi dell’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992.
Un determinante ausilio alla soluzione di tali questioni può trarsi dalle elaborazioni prospettate, in relazione a problematiche del tutto similari, nell’ambito dell’ammissione al passivo del fallimento dei crediti tributari[32].
Difatti, se è vero che nella procedura concordataria, a differenza del fallimento (ora “liquidazione giudiziale”), non è previsto formalmente alcun procedimento giudiziale al fine di individuare i soggetti legittimati a partecipare al concorso sul patrimonio del debitore e verificarne i crediti[33], è anche vero che una verifica – sebbene incidentale – si impone onde evitare che le valutazioni circa la fattibilità del piano ed il reale grado di soddisfazione delle pretese (sia parte dei creditori contestati che di quelli non contestati), funzionali al voto, siano distorte[34].
Orbene, posto che l’obiettivo del cd. consolidamento del debito tributario, prescritto a seguito dell’avvio del procedimento di transazione fiscale, ha l’obiettivo di accertare l’entità del debito complessivo ad una certa data[35], è evidente che, similmente a quanto accade ai fini dell’insinuazione del passivo del fallimento, al debitore non può essere negato il diritto di contestare il debito tributario complessivo risultante dalle certificazioni rilasciate dagli Enti preposti, a prescindere dal preciso riferimento al ruolo oppure all’accertamento esecutivo[36].
Basti pensare, in proposito, proprio a quanto verificatosi nella vicenda sottoposta all’esame del Tribunale di Bergamo, in commento. L’inserimento, nell’ambito del consolidamento del debito tributario complessivo, delle somme per sanzioni tributarie mai irrogate con alcun provvedimento, ancorché riconducibili a tributi dovuti, avrebbe potuto essere contestato dal contribuente-debitore, per non correre il rischio -ove il Commissario giudiziale e il giudice fallimentare, a differenza del caso concreto, avessero ritenuto adeguata la documentazione prodotta dall’Amministrazione a corredo della dimostrazione del credito sanzionatorio- di un eventuale computo di crediti per sanzioni, mai venuti giuridicamente ad esistenza, ai fini del voto e della determinazione dell’esposizione debitoria complessiva.
L’ammissibilità di siffatte contestazioni, come evidente, ha l’obiettivo di assicurare la parità di trattamento tra i creditori dell’imprenditore in crisi, evitando che il debitore, nella redazione della proposta, debba offrire all’Erario un pagamento che non ritiene dovuto.
Tuttavia, stante l’impossibilità per il Tribunale di vagliare, anche incidentalmente, le obiezioni riguardanti il merito delle pretese tributarie, in quanto devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario, si rende applicabile, in relazione ad ogni contestazione, la disciplina sugli accantonamenti di cui all’art. 180, comma 6, L. fall., da ritenersi obbligatori e non sindacabili da parte del giudice fallimentare. Ciò in quanto il Tribunale, nell’omologare il concordato, potrebbe decidere se prescrivere o meno gli accantonamenti solo all’esito di una valutazione (incidentale) avente ad oggetto l’esistenza dei crediti contestati[37], valutazione che – si ribadisce – gli è preclusa con riguardo ai crediti tributari.
Resta da stabilire se la contestazione di natura tributaria, per produrre gli effetti suddetti, debba tradursi in una immediata instaurazione della controversia dinanzi alle Corti di giustizia tributarie, sicché gli accantonamenti siano, di fatto, equiparati a quelli previsti per le liti tributarie pendenti[38].
A tal proposito, si ritiene che le contestazioni producano effetti immediati che prescindono dal concreto avvio dell’azione giudiziale, sollecitando, di conseguenza, l’emissione (da parte dell’Agente) di atti di riscossione autonomamente impugnabili ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, destinati a consolidarsi ove non ritualmente impugnati dal debitore nel termine previsto a pena di decadenza.
Diversamente opinando, invero, si impedirebbe concretamente al debitore-contribuente, in maniera gravemente lesiva del diritto di difesa oltre che della par condicio creditorum, di contestare i debiti tributari che non ritiene dovuti ma che non sono riportati in atti immediatamente impugnabili davanti al giudice tributario (si pensi ai già richiamati casi in cui il debitore voglia contestare gli avvisi di irregolarità riferiti alle dichiarazioni non ancora controllate, i ruoli vistati ma non ancora trasmessi all’Agente della riscossione, la certificazione rilasciata dall’Agente dalla quale risultino ruoli riportati in pregresse cartelle di pagamento mai notificate, o l’intervenuta decadenza ai fini della notifica di cartella dei pagamento riferita ai ruoli).
Non sembra, peraltro, risolutiva, sotto quest’ultimo profilo, la nota teoria della “impugnazione facoltativa” affermatasi nella giurisprudenza di legittimità[39], valorizzata per affermare l’immediata impugnabilità dinanzi al giudice tributario, sebbene non rientranti nell’elenco di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992, dei documenti aventi una funzione ricognitiva del debito tributario, ivi compresa la base documentale ed informativa che consente di formulare la proposta di transazione fiscale[40].
Tale opzione ermeneutica, invero, oltre al rischio di provocare declaratorie di inammissibilità del ricorso tributario, sembra essere quanto meno sminuita dalla recente introduzione nell’art. 12 D.P.R. n. 602/1973 del comma 4 bis (per opera dell’art. 3 bis D.L. n. 146/2021, conv. con L. 17 dicembre 2021 n. 215)[41], il quale, dopo aver chiarito espressamente (ove vi fossero dubbi) la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, ha fortemente limitato l’impugnabilità del ruolo e della cartella che si assume invalidamente notificata, anche nei casi in cui il contribuente ne abbia avuto conoscenza attraverso l’estratto di ruolo o in altri modi irrituali (come potrebbe accadere – evidentemente – attraverso la documentazione ricevuta dagli Enti preposti ai fini della redazione della proposta di transazione).
La suddetta disposizione, in particolare, ha consentito l’impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento per vizi di notifica in soli tre casi (i.e. dimostrato pericolo di pregiudizio ai fini: della partecipazione a procedure d’appalto; della riscossione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione per effetto delle verifiche ex art. 48 bis D.P.R. n. 602/1973; della perdita di un beneficio nei rapporti con la pubblica amministrazione).
Tali limitazioni sono riferite ai casi di “diretta” impugnazione del ruolo e della cartella per censure riguardanti la notificazione, così evitando che, avutane conoscenza irrituale, il contribuente introduca azioni finalizzate all’accertamento negativo del credito, ad esempio per decadenza e/o prescrizione della pretesa erariale iscritta a ruolo[42].
Pertanto, ferma restando la possibilità di contestare la notifica della cartella di pagamento in sede di impugnazione dell’atto successivo (ritualmente notificato), la novella ha inteso circoscrivere la tutela anticipata avverso il ruolo e la cartella di pagamento irritualmente conosciuti (ad esempio, attraverso l’estratto di ruolo o proprio attraverso la documentazione ricevuta dagli Enti preposti ai fini della redazione della proposta di transazione), così evitando di derogare in tutti i casi (con inevitabile proliferazione di controversie) al carattere impugnatorio del processo tributario, delineato all’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992[43].
Occorre, d’altro canto, rilevare che la richiamata modifica normativa, in quanto inserita del D.P.R. n. 602/1973, riguarda espressamente le imposte sui redditi, onde si potrebbe opinare che, con riguardo alle impugnazioni aventi ad oggetto imposte indirette (come ad esempio l’Iva, solitamente rilevante nella crisi d’impresa), non valgano le previste limitazioni. Tuttavia, ad avviso della giurisprudenza di legittimità, le disposizioni previste nell’ambito delle imposte dirette devono ritenersi applicabili anche ai tributi indiretti[44].