Tutto quanto sopra autorizza qualche nota conclusiva sulla diligenza professionale richiesta all’esperto.
Innanzitutto, a ricoprire detto ruolo, in ragione delle peculiarità dell’intervento affidatogli, dovrebbe essere un professionista “di azienda”: la sua “esperienza” dovrebbe stare proprio nell’aver pilotato aziende in fase di criticità fuori dalle secche. Non dovrebbe avere invece il DNA del professionista “del procedimento” di crisi, quali coloro che fanno di mestiere i curatori fallimentari e i commissari giudiziali.
Nell’esercizio delle sue funzioni l’esperto deve ricoprire un ruolo attivo di impulso, presidio e direzione del negoziato, nella prospettiva di consentire all’azienda di cogliere la chance di un risanamento ragionevolmente praticabile attraverso l’intesa con le principali controparti. Non può limitarsi a ricevere, trincerarsi dietro le comunicazioni e i dati ricevuti. Ha il compito di ricercare, scavare, pretendere chiarimenti, analisi, approfondimenti funzionali al migliore svolgimento del negoziato. Non può restare passivo, come un commissario giudiziale o come un decisore, deve invece agire e rischiare. Non rischiare dovrebbe essere fonte di censura “per omissione”.
L’esperto dirige il negoziato, non può muoversi “per pareri” e “atti formali”, né proteggere le proprie determinazioni dietro pareri richiesti a terzi (salvo l’effettiva necessità di un ausilio tecnico di cui egli non sia capace). La sua interlocuzione appartiene all’area della gestione, non della decisione: velocità, intuito, sintesi, deformalizzazione devono esserne le cifre caratteristiche.
Nell’espletare la sua funzione l’esperto non dovrebbe mai concedersi a perdite di indipendenza “in progress”, sfruttando l’incarico per accreditarsi a lavorare su altri files con il vasto mondo con cui entra in contatto. L’esperto dovrebbe essere arbitro di una situazione, indipendente anche dalla sua stessa ambizione a farsi gradire per eventualmente ottenere nuovi incarichi non tanto da esperto (perché è una commissione che nomina e sussiste un tetto di incarichi) ma magari da advisor di altre imprese in crisi o da organo di future procedure. L’esperto non dovrebbe mai vivere la carica come una voce del suo curriculum vitae.
Lo specifico carattere professionale della prestazione richiesta all'esperto, soggetto qualificato dall'appartenenza a un particolare registro a cui ha è ammesso grazie a una selezione e alla formazione continuativa, caratterizza di sé anche i profili della responsabilità civile per violazione dei doveri propri della funzione.
Il perno della responsabilità civile dell'esperto, come di tutti gli attori della composizione, è la finalità dello strumento rispetto al superamento dello squilibrio. In questo, come detto, ruolo centrale riveste la valutazione dell'utile prospettiva di superamento della crisi per effetto della composizione negoziata: valutazione non solo iniziale ma immanente, da ponderare dapprima sulla base delle informazioni date dalle parti, poi, via via che ci si addentra nella trattativa, anche e sempre più sulla base delle informazioni che l'esperto si è procurato durante lo svolgimento della composizione.
Non sembra che, quale species di responsabilità professionale, quella relativa all'esperto di una composizione negoziata della crisi presenti paradigmi diversi rispetto a quelli generali della responsabilità civile professionale, incentrata sui principi della diligenza specialistica desumibili dalle regole della professione, dalle raccomandazioni e daii principi di comportamento resi da ordini professionali o da organismi sovraordinati, da riconosciute regole di best practice di mercato e dagli orientamenti della giurisprudenza.
Quel che qualifica la responsabilità civile dell'esperto della composizione negoziata è piuttosto lo specifico contenuto della sua prestazione e quindi la patologia che può dar luogo a pregiudizi risarcibili.
La prima fondamentale area di responsabilità riguarda il non aver aggiornato la valutazione di fattibilità alla luce degli elementi via via emergenti durante il corso delle trattative e non aver quindi interrotto un processo nel quale si siano già manifestate ragioni di implausibile successo.
Per converso, l'esperto può incorrere in responsabilità per non avere adeguatamente ponderato le possibilità tuttora aperte dalle trattative in corso per l’utile composizione e quindi per il superamento della fase di criticità e per aver arrestato il tentativo troppo presto. Le chiavi della trattativa sono comunque nelle mani dell'esperto, il quale è l'arbitro che con il suo triplice fischio finale può reimpossessarsi del pallone e chiudere la partita, così impedendo che la stessa si giochi e aprendo la strada alle conseguenze sfavorevoli per tutte le parti al tavolo. Una decisione precipitosa non adeguatamente meditata, spesso accompagnata anche da un'inerzia nel dare impulso a trattative che hanno bisogno di essere innervate dall'originalità e dalla fantasia dell'esperto, può quindi tradursi in un ingiusto sacrificio delle prospettive di risanamento, di cui l'esperto può essere chiamato a rispondere.
Il fatto sopra rilevato, poi, che quello dell’esperto si configura come una sorta di “provvedimento senza gravame” in quanto esprime, con effetto verso le parti, una valutazione incontrollabile e inappellabile, accentua il rischio di responsabilità per l’esperto, tanto più che ci muoviamo nell’ambito della responsabilità civile professionale generale, e non di quella propria delle funzioni ausiliarie del giudice, con pieno dispiegamento, quindi, dell’area della colpa.
L'uscita favorevole dal tunnel della crisi, in un corretto contesto di composizione negoziata, è strettamente legata alla prosecuzione delle trattative verso l'obiettivo auspicato. Ciò apre a una particolare sfera di responsabilità a carico dell'esperto che abbia fatto languire le trattative rimanendo in attesa e non svolgendo il ruolo attivo che si richiede alla luce di tutti gli elementi di valutazione sopra descritti. L’esperto, si è detto, è il direttore della trattativa e se sbaglia la partitura può far danni, se non coglie gli snodi critici essenziali e non opera per risolverli fa male il suo lavoro, se interviene tardi o parzialmente può pregiudicare il processo o favorire qualcuno in danno di altri.
In questo contesto, l'esperto può risultare responsabile anche per aver vanificato le trattative travalicando il suo ruolo assumendo posizioni di tipo decisionale anziché di mero agevolatore, per averti improntato i suoi giudizi a valutazioni di meritevolezza o legalità che non competono alla sua funzione.
Una considerazione finale.
L'esperto dev’essere, prima di tutto, un abile negoziatore. E qui si apre una grave falla nel sistema. Salvo sporadiche virtuose eccezioni, i sistemi universitari non assegnano alla negoziazione professionale un ruolo sufficientemente rilevante nei percorsi di formazione delle facoltà giuridiche ed economiche e la stessa formazione professionale degli esperti accreditati stenta a porre al centro le tecniche della negoziazione professionale, con l'indispensabile bagaglio proveniente anche dalle scienze psicologiche, dalle neuroscienze, dalle scienze del comportamento e delle sue componenti emotive.
Nelle scuole di negoziazione professionale si insegna che la negoziazione commerciale nella quale una parte abbia nelle sue mani le sorti dell'altra non ha nulla di diverso rispetto alla negoziazione da condurre con il terrorista rinchiuso in una stanza con la pistola puntata alla tempia del sequestrato.
L'esperto dovrebbe, appunto, esser capace con la sua arte peculiare di farsi consegnare arma e ostaggio.