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Saggio

L’esperto della composizione negoziata della crisi tra strategia e responsabilità*

Giorgio Meo, Ordinario di diritto commerciale presso l’Università LUISS di Roma

22 Dicembre 2025

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Relazione svolta nel Convegno “Il ruolo dei professionisti e i doveri delle parti nella gestione delle crisi d’impresa”, Mantova, 3 ottobre 2025.
Il saggio analizza la figura dell’esperto nella composizione negoziata della crisi, evidenziandone la duplice natura di facilitatore e di soggetto investito di responsabilità pubblicistiche. L’A. approfondisce le criticità derivanti dall’ibridazione del ruolo, le strategie operative necessarie per condurre il negoziato e le implicazioni in termini di diligenza professionale e responsabilità civile. Ne emerge la centralità dell’esperto come direttore della trattativa, chiamato a coniugare indipendenza, competenza tecnica e capacità negoziale per garantire la riuscita del risanamento.
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1 . La metamorfosi del ruolo: tra agevolatore e decisore
La figura dell'esperto nella composizione negoziata della crisi presenta più concomitanti sfaccettature che ne rendono incerti i contorni sul piano della funzione, il che è il riflesso delle caratteristiche dello stesso istituto, che non si esaurisce in una logica di intervento precoce incentrato sul momento negoziale agevolato da una figura terza di stampo fondamentalmente privatistico. 
La sua funzione si colora invece di venature di tipo “processualistico” e “pubblicistico” (nel senso che è a servizio di interessi ulteriori rispetto a quelli delle parti al tavolo), che si esprimono in pareri, relazioni e segnalazioni e che raggiungono il massimo grado nel potere-dovere di annotare il dissenso sulle operazioni straordinarie ritenute incoerenti al piano o pregiudizievoli per i creditori (che le priva dell’ombrello della preclusione dell’azione revocatoria e dalla esenzione penale) e di richiedere l’archiviazione attestando l’insussistenza dei presupposti per la composizione o la non utile prosecuzione delle trattative. 
L’auctoritas della determinazione dell'esperto che chiude la partita ritenendo non esservi più prospettive di esito favorevole può pesare come un macigno sul tentativo di risanamento. Per la sua caratteristica di terzietà rispetto alle parti e di referenzialità che il dictum acquisisce nelle fasi successive alla chiusura del procedimento, la determinazione dell’esperto prende i connotati di un vero e proprio “provvedimento”, destinato a produrre effetti nella sfera delle parti, con la negatività che si tratta comunque di un provvedimento non suscettibile di contraddittorio prima che venga adottato, non di contestazione che vincoli l’esperto a rivederlo, non di reclamo. Non vi è alcuno spazio reale per metterlo in discussione, insomma: lo si riceve così com'è e questo può segnare una pietra tombale sulla composizione e a volte sulle stesse sorti dell’azienda debitrice. 
In un contesto negoziale “puro” l'esperto dovrebbe essere un soggetto super partes, di massima fiducia del debitore, dei creditori e delle altre parti, che ha a cuore la soluzione di una crisi se ve ne sono i presupposti e al quale quindi, come a un medico, bisogna consegnarsi, bisogna dire tutto, perché è l'unico soggetto – si assume, scegliendo la via della CNC – capace di traghettare l'impresa fuori dalle secche della crisi aiutando una negoziazione che stenterebbe altrimenti a decollare e a finalizzarsi. 
Le principali prerogative dell'esperto sono effettivamente pensate in funzione dell'agevolazione della trattativa. Ma per agevolare una trattativa, se assumo essere necessaria una CNC per renderla praticabile e voglio dalla trattativa trarre l'obiettivo che mi prefiggo, ho bisogno di affidarmi al facilitatore: non posso sottacergli qualcosa, non posso raccontargli una metà della storia, non devo “convincerlo” e perciò non posso ingannarlo allo stesso modo in cui non posso ingannare un medico senza farmi del male da solo. 
Introdotte però nella funzione dell'esperto le non marginali venature “pubblicistiche” cui si è fatto cenno – quale riflesso dell’“approfittamento” che l'ordinamento fa della CNC per agevolare l'analisi e scovare casi di impraticabilità e quindi accelerare l'accesso a procedure di maggior rigore o la sanzione ai comportamenti dilatori – l'esperto, che di questa e di quelle procedure ha le chiavi, diventa un soggetto da temere per le parti al tavolo. 
Dal suo convincimento è possibile scaturiscano conseguenze negative per il debitore e anche per alcune parti. Si assume allora, nei suoi confronti, lo stesso atteggiamento che di norma si ha verso un’autorità terza da cui dipendono le proprie sorti, gli si dipinge la storia in modo conveniente, paventandosi il come deciderà gli si allestiscono le informazioni e i documenti in modo da “convincerlo” e ottenerne l’approvazione, proprio come si fa con un soggetto sovraordinato, come un organo di controllo o vigilanza, un commissario giudiziale o addirittura un giudice, che è parte terza e che assume provvedimenti e non dispensa consigli, suggerimenti, agevolazioni a una soluzione privata. 
Anche l’esperto, collocato in questo ruolo, cambia pelle. 
Anziché agevolatore, si sente decisore. 
Anziché impegnarsi con le mani nel cantiere della crisi a cercare soluzioni, si lascia servire le soluzioni e si limita ad esserne una sorta di referee esterno. 
Anziché essere il soggetto di fiducia delle parti perché il suo obiettivo è il buon esito della trattativa (che ha giudicato coerente all’obiettivo di risanamento), diventa un informatore del giudice e riferisce di cose di terzi senza che questi lo sappiano, nei pareri si avventura su tematiche di ammissibilità e legittimazione, si erge a tutore della legge, a giudice della meritevolezza, lasciandosi andare a considerazioni non richieste e di norma mero riflesso di sue personali visioni, dato che si esprime al di fuori di un contesto di contraddittorio. 
Ma quel che è ancor più problematico è che egli stesso opera, per così dire, in modo “contratto”, preoccupato. E si capisce che sia così. Se fosse un semplice agevolatore di accordi altrui, potrebbe agire alquanto rilassato: esercitata la sua funzione secondo le regole del buon mediatore, non dovrebbe temer nulla, se non per averle violate (indipendenza, riservatezza, ecc.). Se invece l’ordinamento, dietro e in aggiunta a quel compito, gi assegna quello di sentinella che deve prendere posizione con potenziali conseguenze nei confronti di terzi, egli è stretto fra l’incudine e il martello: 
- non può operare con l’integralità degli strumenti che si richiederebbero a un mediatore privato, i quali dovrebbero essere incentrati sul principio di segretezza e riservatezza proprio al fine di consentirgli di esprimere il massimo di quanto occorra per trovare soluzioni; 
- gli si chiede invece conto, in primo luogo, dell’esistenza di una chance di buon esito, e questo lo mette in difficoltà e lo irrigidisce, tanto più nel momento iniziale in cui può contare solo sui dati che gli vengono consegnati e già gli si chiede di dire se la procedura può aprirsi, per il fatto di avere delle buone aspettative di successo, o meno. Successivamente, lo si coinvolge per averne il parere ed esprimere valutazioni di congruenza di certi atti a certi obiettivi che fanno parte di quel progetto di risanamento che dovrebbe egli stesso agevolare: gli si chiede in tal modo di fare il consulente del giudice, il che lo responsabilizza e lo fa diventare di gran lunga più prudente. Infine, se le cose vanno male, corre il rischio che gli si metta in conto di non aver arrestato la macchina prima e quindi di aver concorso all’aggravamento della situazione, il che lo allontana ancor più dalle parti e lo induce a guardare con maggiore severità i rischi sottostanti alle ipotesi e agli atti prospettati. 
Qui avviene l’inversione dei fattori che più di tutte può snaturare la figura e quindi l’efficace espletamento del ruolo da parte dell’esperto. 
La soluzione della crisi è fase di impresa, e come tale è soggetta al rischio. Chi, come l’esperto, si convince che le trattative siano un buon viatico per superare la crisi, ne ammette implicitamente il rischio. Se però è indotto a ponderare il rischio sulla base di una prudenza dettata da un’esigenza di autoprotezione per le ipotesi che, col senno del poi, gli si contesti quel che sta facendo oggi senza sapere se le azioni programmate sortiranno gli effetti sperati, non gli si consente di assumere il rischio in modo sano, dunque doverosamente sereno, sulla base di valutazioni coerenti e ragionevoli adottate sulla base del bagaglio informativo disponibile ex ante.
2 . Tipologie di composizione negoziata e impatto sulla funzione dell’esperto
L'esperto è concepito come un veicolo professionale volto ad agevolare il superamento di una fase critica. 
L’area delle criticità che possono trovare composizione all'interno di questo procedimento è tuttavia molto ampia e comprende anche situazioni ben più gravi di quelle precoci. Il ruolo dell'esperto finisce per essere ampiamente segnato dalla tipologia e dal grado della criticità che si trova a gestire. 
Nel CCII trovano dimora tre tipi di composizione negoziata: 
1) il primo è quello propriamente diretto ad affrontare precocemente situazioni di crisi e insolvenza solo probabili. 
Di norma l’imprenditore “sano”, o che comunque può ancora gestire negozialmente le criticità finanziarie, ambisce a una definizione concordata con le principali controparti in ordine al percorso di uscita dalla crisi e delle misure di agevolazione che, rispetto ai vincoli contrattuali preesistenti, le controparti sono disposte a concedere. In questo contesto, anche quando vi siano, e di norma vi sono, criticità finanziarie, l’imprenditore tende a risolverle insieme ai creditori, non in odio agli stessi chiedendo la protezione del tribunale. Anzi, misure del genere non vuole proprio richiederle, perché ostacolerebbero l’armonia di una soluzione concordata con i principali stakeholder
2) la CNC viene però utilizzata anche per fronteggiare situazioni più gravi anche se, almeno al momento dell’apertura, non sono ancora qualificabili come di insolvenza. 
Si tratta di situazioni di crisi finanziaria non solo potenziale ma in atto, tanto da doversi richiedere, per l’utile successo delle trattative, le misure protettive. 
Il legislatore pensa sia ai casi in cui sia già in atto un qualche sacrificio per i creditori a causa della crisi, tanto da introdursi un vincolo di non pregiudicarli senza ragione (art. 16, co. 4), sia ai casi in cui un sacrificio definitivo dei creditori non sia ancora in atto e, per questo, la gestione dell’impresa non debba essere vincolata a rispettarne le posizioni individuali bensì ad assicurare la sostenibilità economico-finanziaria (art. 21, co. 1), dunque una continuità che non si traduca in un pregiudizio del ceto creditorio in generale; 
3) il terzo ambito in cui può operare la CNC è destinato a situazioni ancor più gravi, addirittura di insolvenza concomitante con l’esperimento del tentativo. 
Anche in questi casi l’imprenditore mantiene il potere di gestire l’impresa in via ordinaria e straordinaria ma ai sensi dell’art. 4 dovrà farlo “nel prevalente [l’art. 4 parla di “prioritario”] interesse dei creditori”. Per essere coerente con la logica dell’istituto della CNC deve evidentemente trattarsi di un’insolvenza con radici talmente circoscritte da poter essere utilmente estirpate in caso di buon esito della composizione. 
Il rischio, in questi casi, è altissimo per tutti i partecipanti, esperto compreso, se le cose poi vanno male. Lo stesso esperto, in casi del genere, si trova di fronte al dilemma se coltivare il tentativo, con la conseguenza che, nonostante l’insolvenza, il debitore continuerà a gestire e a compiere perfino le operazioni straordinarie, con l’unico fragile velo del suo potere di annotare il dissenso. 
3 . Strategia e analisi preliminare: conoscere l’impresa e gli attori
La strategia di un esperto dovrebbe quindi articolarsi in fasi coerenti al suo ruolo e al suo obiettivo. 
Per agevolare la negoziazione l’esperto deve innanzitutto capire chi ha davanti: 
- l’azienda (dimensione, articolazione territoriale, caratteristiche del processo produttivo e prodotti, posizionamento competitivo sul mercato, track record, l’organizzazione dell’azienda e il grado di presidio del rischio che essa sa esprimere (gli adeguati assetti e le loro falle); 
- il board (è quello che ha condotto l’azienda al punto attuale? vi sono innesti di professionalità specialiste delle fasi critiche? ne fanno parte anche professionisti che operano normalmente con il ceto finanziatore istituzionale o esponenti designati da questo? sono avvenuti cambi repentini di alcuni top manager, o magari dello stesso CEO, subito prima dell’introduzione della CNC? chi erano? perché sono stati cambiati? forse sono stati allontanati perché si opponevano alla CNC in favore di soluzioni più rigorose o perché condizionavano la loro disponibilità a condurre l’azienda in CNC all’apporto di nuovi mezzi da parte dei soci?); 
- i soci (industriali? fondi d’investimento? speculatori professionali? vi sono stati recenti cambi di proprietà? quelli attuali sono soci capaci di effettuare apporti perché dotati patrimonialmente e liberi, soci che hanno a cuore le sorti dell’azienda nel lungo periodo o soci, di norma intermediari finanziari, che hanno vincoli a non mettere nuove risorse e obiettivi di exit nel medio-breve con una recovery il meno pregiudicata possibile? in quest’ultimo caso, quale funzionario gestisce la partecipazione? che skill ed esperienza ha di situazioni distressed? chi sono i soggetti decisori, i funzionari locali o quelli dell’ente controllante l’intermediario finanziario? sono qui o sono all’estero? che committment hanno gli amministratori locali e che margini di spesa? Si tratta di un intermediario aggressivo che in precedenti casi ha provato a portarsi via l’azienda? hanno scelto amministratori effettivamente indipendenti o soggetti cui hanno già conferito altri incarichi o che investono a loro volta nell’acquisizione di aziende in crisi?); 
- gli organi di controllo (chi sono, che esperienza hanno di fasi di crisi, se esercitano analoghe funzioni, loro o loro associati, a diversi livelli nel gruppo); 
- i principali creditori finanziari (si approda alla CNC dopo che già sono intervenuti accordi con alcuni di loro? a che condizioni? hanno ricevuto in cambio vantaggi o rafforzamenti delle loro posizioni ante-crisi? possono temere che l’impresa sia assoggettata a liquidazione giudiziale? Si sono intromessi nella nomina degli organi sociali? hanno posto vincoli, quali covenants e garanzie, che possono riflettersi sulla libera conduzione dei processi di uscita dalla crisi?); 
- le controparti commerciali, in particolare quelle che maggiormente incidono sulle dinamiche economiche dell’impresa e la cui permanenza nei contratti riveste ruolo strategico (concentrazione dei fornitori e dei clienti e grado di sostituibilità dell’azienda); 
- l’indotto e gli effetti reciproci della crisi (a seconda del livello della catena in cui l’azienda si trova); 
- gli advisor dell’azienda (cosa l’azienda ha effettivamente presidiato? advisor “delle carte” o advisor operativi? operativi lungo l’arco dell’intera azienda o solo a presidio di certe aree? advisor chiamati a gestire e predisporre un piano? con quali obiettivi, dati da chi? advisor che operano prevalentemente lato creditori, in specie finanziari, o lato debitori? in altre procedure di crisi note, che parte assistevano?); 
- i legali (quelli tradizionali dell’azienda, legali imposti dal ceto creditore o specialisti indipendenti di chiara fama?). 
Tutto quanto sopra è indispensabile perché l’esperto si prefiguri gli atteggiamenti che i vari giocatori assumeranno al tavolo, per condurre egli stesso le trattative e non esservi condotto. Senza conoscere gli interlocutori non si può esercitare un ruolo efficace nella trattativa.
4 . Il piano dell’imprenditore e il contributo dell’esperto
L’esperto deve poi avere un quadro affidabile della reale situazione economica-patrimoniale-finanziaria. 
Non è un tema di attestazione (non c’è tempo, è sproporzionata rispetto all’obiettivo, non deve – si tornerà appresso sul punto – attestare la fattibilità del piano, come occorre nelle procedure concorsuali caratterizzate da par condicio e “senza negoziato”, dove è necessario il giudizio di un terzo che il tentativo di uscita dalla crisi non sia a detrimento dei creditori: qui l’obiettivo è meno audace: se si mettono d’accordo, l’azienda sta in piedi per almeno due anni senza pregiudicare i creditori?). 
Deve però esaminare quanto necessario a capire le cause che hanno portato alla CNC, altrimenti non può adeguatamente interloquire per la soluzione negoziata. 
Deve capire quindi, prima di tutto, quale, dei tre sopra indicati, sia il grado della crisi in cui l’impresa si presenta a lui per tentare la carta della CNC, valutazione fondamentale per capire il piano, i presupposti e i rischi, e i soggetti che hanno un ruolo determinante nel consentire o invece ostare alla realizzazione dell’obiettivo 
L’esperto deve capire i punti di forza e quelli di debolezza del processo aziendale, il luogo dove si annida il rischio e le condizioni per la sua ragionevole neutralizzazione: ad esempio, contrattualizzazioni inadeguate (oneri, penali, garanzie), inefficienza della rete agenziale, instabilità della fruizione della proprietà industriale per il fatto di essere esposta al ritiro da parte dei proprietari, rischi di perdita dei contratti (clausole risolutive, clausole di esclusione, riduzione, risoluzione, anche per cross default, diritti di recesso delle controparti, perdita di qualifiche), grado di vincolatività dei covenants sulle scelte operative, crisi del prodotto, insufficiente posizionamento competitivo, discontinuità che abbiano pregiudicato il funzionamento tecnico dei macchinari per il forzato arresto, l’inefficienza dell’organizzazione del lavoro (troppi dirigenti, mal distribuiti? troppo pochi, insufficiente stimolo alla fidelizzazione? rapporti delle maestranze con l’azienda e con la proprietà, caratterizzati da contrapposizione piuttosto che da affiatamento?). 
Un tema rilevante, sotto questo profilo, è quello di quanto l’esperto sia vincolato dal piano presentato dall’imprenditore a servizio della CNC. 
La soluzione dalla crisi fa parte della strategia dell’imprenditore, non dell’esperto. In questo senso l’esperto la riceve, non la fa, né deve misurarne la fattibilità. 
Però il piano prodotto dal debitore è una linea di analisi, non la sola. Il piano può contenere assunzioni non pienamente convincenti, può presentare lacune e incongruenze, elementi sperati valorizzati come certi, può non ponderare adeguatamente il rischio, comunque vede l’uscita dal risanamento con gli occhi dell’imprenditore. In quanto negoziatore, l’esperto deve indurre anche l’imprenditore a muoversi dalla sua posizione, se ravvede che le condizioni che sta ipotizzando sono modificabili in senso più accettabile per le controparti al tavolo. 
L’esperto contribuisce perciò inevitabilmente alla rivisitazione del piano, non lo prende tal quale e non si limita ad attestarne la fattibilità. Dovrebbe piuttosto concorrere a plasmarlo, facendo sì che il negoziato sia condotto in modo tale da dare coerenza a una pianificazione più realistica, efficiente e ragionevole, dunque più coerente all’obiettivo di uscita dalla crisi, così traducendosi in un piano aggiornato che assuma gli esiti della negoziazione. 
Qui sta la fondamentale differenza con il ruolo del piano nelle procedure “strutturate” e del suo attestatore: là il piano è lo strumento su cui fa perno una proposta ai creditori affinché la sua accettazione maggioritaria prevalga sui dissenzienti (concordato preventivo/piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione) o affinché sia reso certo che, se non si aderisce, si verrà pagati nei tempi di legge (accordo di ristrutturazione). il piano è componente essenziale di una proposta già formulata e fissa, non modificabile dai creditori. 
Nella CNC invece il piano è solo un’ipotesi di uscita dalla crisi da mettere sul tavolo della negoziazione, da formare insieme ai creditori e alle parti al tavolo, cioè da modellare a seconda di come va la trattativa. 
E questo consente flessibilità anche nella parte di piano che invece, nei piani a servizio di procedure, è anelastica, vale a dire quella concernente le controparti contrattuali, che i piani “da procedura” devono rigidamente fondare sull’“as is” e non sul come potrebbe evolvere in modo più ragionevole, efficiente e opportuno per l’uscita dalla crisi. In quei piani non vi è negoziato con le controparti contrattuali, qui invece l’esperto ha in mano il boccino per provocarlo e compulsarlo, perché una volta invitate al tavolo anche le controparti contrattuali sono obbligate a rapportarsi con la crisi del contraente secondo correttezza e buona fede, non possono semplicemente dichiararsi inamovibili senza dare un “perché”, di cui l’esperto possa tenere conto nel proporre soluzioni concretamente praticabili.
5 . La direzione del negoziato: tavolo, tempistiche e persuasione
Alla luce di quanto sopra l’esperto deve capire chi è bene partecipi al tavolo. 
Quello che l’esperto è chiamato a dirigere non è solo un negoziato sul credito ma su tutti gli aspetti che condizionano la dinamica involutiva e l’assetto dei rischi che allo stato impediscono la ripresa ordinata della corsa. 
Al negoziato devono essere quindi invitati non solo i creditori, e neppure necessariamente tutti i creditori, ma anche i soci (risalendo, in caso di gruppi, la catena del controllo fino al vertice decisionale). 
Dovrebbero partecipare anche i soggetti che hanno in mano gli elementi di forza rilevanti per l’utile conduzione del processo di risanamento, tra i quali i principali clienti e fornitori. Non è detto però che l’esperto abbia in concreto la possibilità di chiamarli alla trattativa: clienti e fornitori sono “terzi”, se sanno della CNC potrebbero scappare o potrebbero peggiorare le condizioni di pagament, consegna, garanzia, ecc. Prima di chiamarli, l’esperto deve ponderare, con opportune interlocuzioni con l’imprenditore, il grado di rischio che si assume chiamandoli e quale sia viceversa il rischio di insuccesso che potrebbe determinarsi non chiamandoli. 
Formato il tavolo ideale – senza necessità che si tratti di un tavolo unico e contestuale, ovviamente: anche su questo è l’esperto a dover ponderare le più efficienti modalità della trattativa – l’esperto ha il compito di dirigere l’orchestra del negoziato, dunque ad attuare una strategia della negoziazione. All’esperto tocca determinare la tempistica e la sequenza del negoziato, dev’essere abile a cogliere il polso del momento, comprendere se e quando invitare tutti o solo alcuni, se favorire incontri separati e monitorare le negoziazioni che non avvengono in sua presenza. 
Negoziato vuol dire indurre i partecipanti a tenere comportamenti cui non sono obbligati. Quindi la persuasione è fondamentale, e la persuasione viene solo dall’autorevolezza e l’autorevolezza dalla reale indipendenza rispetto a tutte le parti e dalla profondità di analisi, dalla conoscenza dei fatti, dalla capacità di individuare le ricostruzioni di comodo e parziali propinate dalle parti, dalla competenza tecnica nell’individuare le cause e prefigura i rimedi. 
L’esperto dev’essere perciò in grado di capire le esigenze di tutti, di sciogliere le posizioni arroccate aiutando le parti nella scelta di concedere, ma per farlo deve prima capire cosa effettivamente ciascuna di esse può concedere. 
Il negoziato dovrebbe svolgersi in un contesto di libertà, non di coercizione. Alle parti si richiede il rispetto della correttezza e della buona fede. Ciascuna di esse ha quindi diritto ad essere trattata secondo correttezza e buona fede dalle altre parti e dallo stesso esperto, senza agitare lo spettro di conseguenze sfavorevoli, di segnalazioni, di giudizi critici e simili. 
In questa prospettiva sembra di cogliere un segnale in controtendenza nella previsione – introdotta dal Codice sulla scia di orientamenti formatisi nel corso della pandemia (che tuttavia non può dirsi abbiano fatto breccia nel diritto civile generale) – del potere dell’esperto di invitare le parti a rivedere “in buona fede” le condizioni dei contratti a esecuzione continuativa e periodica quando le condizioni sono mutate e sono diventate eccessivamente onerose o squilibrate. Ma così l’esperto esercita un ruolo da giudice, l’invito da lui formulato postula aver giudicato in ordine alla buona fede e allo squilibrio del rapporto. La norma ha in mente un negoziato di forza, basato sull’autorità della valutazione dell’esperto, non un negoziato di buona fede. La disposizione turba il quadro complessivo. Anche in caso di contratti che nel tempo si rivelino inefficienti per l’imprenditore debitore, l’esperto dovrebbe aiutare a comporre non perché c’è squilibrio e perché la mancata correzione integrerebbe gli estremi di un comportamento “non di buona fede” ma perché mantenere il contratto così com’è non aiuterebbe la soluzione e il fallimento del tentativo esporrebbe a conseguenze ancor peggiori la stessa parte “forte”. 
Dirigere il negoziato vuol dire anche esercitare la forza propria del ruolo, specialmente al fine di sventare tentativi velleitari o dilatori. Da questo punto di vista la situazione è diversa a seconda dello stadio di degrado in cui interviene la CNC. L’esperto dovrebbe a tal riguardo essere in grado di svelare le istanze di composizione introdotte per sventare una altrimenti inevitabile dichiarazione di insolvenza e, per non stroncarle in limine, pretendere dai creditori principali e dai soci un impegno preliminare e incondizionato a sostenere il pagamento delle obbligazioni non coinvolte nel negoziato alle scadenze naturali senza complessivo aggravio della situazione patrimoniale. L’esperto si renderebbe altrimenti corresponsabile di consentire la prosecuzione di un negoziato con pressoché nulle probabilità di successo. 
All’esperto corre infatti sempre l’obbligo di garantire, nel corso del tentativo, la ragionevole persistenza dei presupposti. Egli esercita detto ruolo innanzitutto verso le parti, che l’esperto deve richiamare sul rischio del venir meno delle condizioni per proseguire e invitare a correggere comportamenti che potrebbero far naufragare il tentativo conciliativo. Ma lo esercita anche verso il tribunale, al quale è tenuto a garantire che le possibilità di soluzione sono ancora attuali quando rende i pareri sulla conferma delle misure protettive, sull’autorizzazione dei finanziamenti prededucibili e della cessione dell’azienda o di suoi rami, e viceversa a dichiarare l’inattualità delle prospettive di risanamento, anche eventualmente per il non utile prosieguo delle trattative, in vista della revoca delle misure protettive o di richiesta di archiviazione del procedimento. 
6 . Diligenza professionale e responsabilità civile dell’esperto
Tutto quanto sopra autorizza qualche nota conclusiva sulla diligenza professionale richiesta all’esperto. 
Innanzitutto, a ricoprire detto ruolo, in ragione delle peculiarità dell’intervento affidatogli, dovrebbe essere un professionista “di azienda”: la sua “esperienza” dovrebbe stare proprio nell’aver pilotato aziende in fase di criticità fuori dalle secche. Non dovrebbe avere invece il DNA del professionista “del procedimento” di crisi, quali coloro che fanno di mestiere i curatori fallimentari e i commissari giudiziali. 
Nell’esercizio delle sue funzioni l’esperto deve ricoprire un ruolo attivo di impulso, presidio e direzione del negoziato, nella prospettiva di consentire all’azienda di cogliere la chance di un risanamento ragionevolmente praticabile attraverso l’intesa con le principali controparti. Non può limitarsi a ricevere, trincerarsi dietro le comunicazioni e i dati ricevuti. Ha il compito di ricercare, scavare, pretendere chiarimenti, analisi, approfondimenti funzionali al migliore svolgimento del negoziato. Non può restare passivo, come un commissario giudiziale o come un decisore, deve invece agire e rischiare. Non rischiare dovrebbe essere fonte di censura “per omissione”. 
L’esperto dirige il negoziato, non può muoversi “per pareri” e “atti formali”, né proteggere le proprie determinazioni dietro pareri richiesti a terzi (salvo l’effettiva necessità di un ausilio tecnico di cui egli non sia capace). La sua interlocuzione appartiene all’area della gestione, non della decisione: velocità, intuito, sintesi, deformalizzazione devono esserne le cifre caratteristiche. 
Nell’espletare la sua funzione l’esperto non dovrebbe mai concedersi a perdite di indipendenza “in progress”, sfruttando l’incarico per accreditarsi a lavorare su altri files con il vasto mondo con cui entra in contatto. L’esperto dovrebbe essere arbitro di una situazione, indipendente anche dalla sua stessa ambizione a farsi gradire per eventualmente ottenere nuovi incarichi non tanto da esperto (perché è una commissione che nomina e sussiste un tetto di incarichi) ma magari da advisor di altre imprese in crisi o da organo di future procedure. L’esperto non dovrebbe mai vivere la carica come una voce del suo curriculum vitae
Lo specifico carattere professionale della prestazione richiesta all'esperto, soggetto qualificato dall'appartenenza a un particolare registro a cui ha è ammesso grazie a una selezione e alla formazione continuativa, caratterizza di sé anche i profili della responsabilità civile per violazione dei doveri propri della funzione. 
Il perno della responsabilità civile dell'esperto, come di tutti gli attori della composizione, è la finalità dello strumento rispetto al superamento dello squilibrio. In questo, come detto, ruolo centrale riveste la valutazione dell'utile prospettiva di superamento della crisi per effetto della composizione negoziata: valutazione non solo iniziale ma immanente, da ponderare dapprima sulla base delle informazioni date dalle parti, poi, via via che ci si addentra nella trattativa, anche e sempre più sulla base delle informazioni che l'esperto si è procurato durante lo svolgimento della composizione. 
Non sembra che, quale species di responsabilità professionale, quella relativa all'esperto di una composizione negoziata della crisi presenti paradigmi diversi rispetto a quelli generali della responsabilità civile professionale, incentrata sui principi della diligenza specialistica desumibili dalle regole della professione, dalle raccomandazioni e daii principi di comportamento resi da ordini professionali o da organismi sovraordinati, da riconosciute regole di best practice di mercato e dagli orientamenti della giurisprudenza. 
Quel che qualifica la responsabilità civile dell'esperto della composizione negoziata è piuttosto lo specifico contenuto della sua prestazione e quindi la patologia che può dar luogo a pregiudizi risarcibili. 
La prima fondamentale area di responsabilità riguarda il non aver aggiornato la valutazione di fattibilità alla luce degli elementi via via emergenti durante il corso delle trattative e non aver quindi interrotto un processo nel quale si siano già manifestate ragioni di implausibile successo. 
Per converso, l'esperto può incorrere in responsabilità per non avere adeguatamente ponderato le possibilità tuttora aperte dalle trattative in corso per l’utile composizione e quindi per il superamento della fase di criticità e per aver arrestato il tentativo troppo presto. Le chiavi della trattativa sono comunque nelle mani dell'esperto, il quale è l'arbitro che con il suo triplice fischio finale può reimpossessarsi del pallone e chiudere la partita, così impedendo che la stessa si giochi e aprendo la strada alle conseguenze sfavorevoli per tutte le parti al tavolo. Una decisione precipitosa non adeguatamente meditata, spesso accompagnata anche da un'inerzia nel dare impulso a trattative che hanno bisogno di essere innervate dall'originalità e dalla fantasia dell'esperto, può quindi tradursi in un ingiusto sacrificio delle prospettive di risanamento, di cui l'esperto può essere chiamato a rispondere. 
Il fatto sopra rilevato, poi, che quello dell’esperto si configura come una sorta di “provvedimento senza gravame” in quanto esprime, con effetto verso le parti, una valutazione incontrollabile e inappellabile, accentua il rischio di responsabilità per l’esperto, tanto più che ci muoviamo nell’ambito della responsabilità civile professionale generale, e non di quella propria delle funzioni ausiliarie del giudice, con pieno dispiegamento, quindi, dell’area della colpa. 
L'uscita favorevole dal tunnel della crisi, in un corretto contesto di composizione negoziata, è strettamente legata alla prosecuzione delle trattative verso l'obiettivo auspicato. Ciò apre a una particolare sfera di responsabilità a carico dell'esperto che abbia fatto languire le trattative rimanendo in attesa e non svolgendo il ruolo attivo che si richiede alla luce di tutti gli elementi di valutazione sopra descritti. L’esperto, si è detto, è il direttore della trattativa e se sbaglia la partitura può far danni, se non coglie gli snodi critici essenziali e non opera per risolverli fa male il suo lavoro, se interviene tardi o parzialmente può pregiudicare il processo o favorire qualcuno in danno di altri. 
In questo contesto, l'esperto può risultare responsabile anche per aver vanificato le trattative travalicando il suo ruolo assumendo posizioni di tipo decisionale anziché di mero agevolatore, per averti improntato i suoi giudizi a valutazioni di meritevolezza o legalità che non competono alla sua funzione. 
Una considerazione finale. 
L'esperto dev’essere, prima di tutto, un abile negoziatore. E qui si apre una grave falla nel sistema. Salvo sporadiche virtuose eccezioni, i sistemi universitari non assegnano alla negoziazione professionale un ruolo sufficientemente rilevante nei percorsi di formazione delle facoltà giuridiche ed economiche e la stessa formazione professionale degli esperti accreditati stenta a porre al centro le tecniche della negoziazione professionale, con l'indispensabile bagaglio proveniente anche dalle scienze psicologiche, dalle neuroscienze, dalle scienze del comportamento e delle sue componenti emotive. 
Nelle scuole di negoziazione professionale si insegna che la negoziazione commerciale nella quale una parte abbia nelle sue mani le sorti dell'altra non ha nulla di diverso rispetto alla negoziazione da condurre con il terrorista rinchiuso in una stanza con la pistola puntata alla tempia del sequestrato. 
L'esperto dovrebbe, appunto, esser capace con la sua arte peculiare di farsi consegnare arma e ostaggio. 

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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