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Saggio

L’esdebitazione dell’incapiente*

Monica Attanasio, Presidente della Sezione procedure concorsuali nel Tribunale di Verona

12 Gennaio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’A. indaga, alla luce degli orientamenti ermeneutici e giurisprudenziali emersi, il controverso tema dell’esdebitazione del cd. sovraindebitato incapiente.
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L’esdebitazione costituisce il principale, se non l’unico obiettivo del debitore sovraindebitato, rispondendo al tempo stesso ad un interesse della collettività, sia che le ragioni se ne vogliano ravvisare in istanze di tipo sociale (offrire una seconda opportunità a chi è schiacciato dai debiti, evitando che vada a popolare, in maniera irreversibile, il numero di soggetti e famiglie in stato di povertà assoluta o prossime alla soglia della povertà assoluta), sia che si ritengano, invece, prevalenti istanze di tipo macroeconomico (recuperare tali soggetti al mondo del lavoro, rendendoli soggetti produttivi ed attivi, anche nel mercato del consumo)[1].
Questo obiettivo può essere conseguito in diversa maniera, posto che accanto all’esdebitazione in senso stretto – di cui ora ci occupiamo – vi sono i cd. effetti esdebitatori.
Questi ultimi presentano in comune tra loro la caratteristica di prodursi automaticamente, quale conseguenza dello svolgimento di una procedura concorsuale, senza avere bisogno né di una specifica istanza del debitore diretta all’esdebitazione, né di apposito provvedimento giudiziale che la dichiari: è il caso, per le procedure maggiori, del concordato preventivo e semplificato, degli accordi di ristrutturazione dei debiti, del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, e, per le procedure minori, del piano di ristrutturazione del consumatore e del concordato minore. Altro tratto comune è rappresentato dalla base negoziale della procedura, anche se, come noto, il piano del consumatore ed il concordato semplificato non rispondono a questo modello.
L’esdebitazione in senso stretto postula, al contrario, un’istanza, un ricorso del debitore, o comunque un procedimento destinato a concludersi, previa valutazione dei requisiti di volta in volta stabiliti dal legislatore, in un provvedimento del tribunale che nega o concede il beneficio. Col Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (d’ora in poi soltanto Codice della crisi o CCII) uno di questi tratti caratteristici è venuto meno, giacché il tribunale, anche in assenza di un’istanza dell’interessato, è chiamato a pronunciarsi al riguardo una volta decorsi tre anni dall’apertura della liquidazione controllata, ed in ogni caso al momento della chiusura della procedura di liquidazione giudiziale o controllata (cfr. gli artt. 281 e 282, comma 2); resta invece fermo l’altro elemento caratterizzante, atteso che, sebbene nella rubrica dell’art. 282 si parli di “esdebitazione di diritto”, il comma 2 di tale articolo chiarisce che il beneficio può essere concesso a mezzo di apposito provvedimento giudiziale, previo riscontro dei relativi presupposti. 
Altro tratto comune all’esdebitazione cd. ordinaria è il fatto di far seguito ad una procedura concorsuale di tipo liquidatorio (il fallimento e la liquidazione del patrimonio un tempo, e, oggi, la liquidazione giudiziale e controllata), caratteristica che è invece assente nell’esdebitazione del debitore incapiente, assenza che è, del resto, ovvia e necessitata conseguenza della mancanza di attivo (l’assenza di “utilità” da poter offrire ai creditori è, per l’appunto, uno dei requisiti di accesso al beneficio), ed alla quale si accompagna, altrettanto inevitabilmente, la mancanza della primaria finalità di ogni procedura concorsuale: il soddisfacimento dei creditori. A cagione di ciò, si esclude che l’istituto in questione sia una procedura concorsuale, col corollario di rendere dubbia la regola di distribuzione delle eventuali utilità sopravvenute nel quadriennio dalla concessione del beneficio, se, cioè, quella dettata dall’art. 2740 c.c., ovvero un mero criterio di proporzionalità[2].
La possibilità di conseguire la liberazione dai debiti, come effetto automatico dello svolgimento di una procedura concorsuale o come esito finale di un procedimento a ciò dedicato, è stata introdotta nel nostro ordinamento, come noto, assai prima per le imprese maggiori che per quelle minori e per il debitore civile. Per le prime, inoltre, le procedure con effetti esdebitatori sono di più antica istituzione rispetto all’esdebitazione in senso stretto. Quest’ultima, infatti, venne prevista soltanto con la riforma del 2006, e proprio questo aspetto della riforma costituì l’occasione per la ripresa del dibattito relativo alla necessità/opportunità di regolare anche la crisi dei soggetti non fallibili, accordando anche ad essi la possibilità di liberarsi dai debiti.
Istanze, queste, già da tempo presenti nel dibattito dottrinale, e che hanno infine portato alla L. n. 3/2012: già all’epoca della riforma del 2006, tale dibattito vedeva la netta contrapposizione tra chi si esprimeva in senso favorevole all’esdebitazione, e chi invece vi vedeva un sovvertimento di principi fondanti il diritto delle obbligazioni e della responsabilità patrimoniale, una fonte di incertezza nelle relazioni giuridiche, addirittura una forma di espropriazione (dei crediti); dibattito rinnovatosi, ed in parte riprodottosi nei medesimi termini, con riguardo al debitore civile. Attualmente, il contrasto non è più tanto tra fautori e detrattori dell’istituto, ma si è piuttosto spostato sul piano della maggiore o minore severità dei requisiti richiesti per l’accesso al beneficio[3].
Istituto che, in effetti, presenta, sul piano del diritto positivo, rilevanti tratti di premialità, a partire da quella che è stata la sua prima apparizione nel nostro ordinamento (e cioè l’esdebitazione ex art. 142 L. fall.). Ciò, nel momento stesso in cui per le procedure con effetti esdebitatori tali profili venivano eliminati, o quanto meno rimodulati; è noto, infatti, che il concordato preventivo, un tempo concepito come procedura dedicata all’imprenditore onesto ma sfortunato, non conosce più quale requisito di accesso la meritevolezza, meritevolezza che, peraltro, non è sparita, ma ha assunto una diversa configurazione, e cioè non più quella di attributo della condotta pregressa del debitore, ma regola di comportamento cui egli è tenuto in funzione ed in occasione della procedura, e che è declinata, in primis, come corretta e completa rappresentazione della propria situazione patrimoniale [4].
 
2. In materia di sovraindebitamento, tra i principi e i criteri direttivi che la L. n. 155/2017 indicava al legislatore delegato, vi era quello di “consentire al debitore meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno futura, di accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni, laddove sopravvengano utilità” (art. 9, comma 1, lett. c).
I tratti essenziali del nuovo istituto sono, dunque, già tutti presenti nella legge delega: vi ha dato attuazione l’art. 283 del Codice della crisi, riproducendo al comma 1 i requisiti tratteggiati dal legislatore delegante, cui sono state aggiunte disposizioni, di natura procedurale, intese a stabilire come ed a chi deve essere richiesto il beneficio, e, altre, dirette a definire presupposti e modalità di attuazione dello “obbligo  di  pagamento  del  debito  entro  quattro  anni

3. Ai sensi dell’art. 283, comma 1, CCII, “Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore complessivamente al dieci per cento. Non sono considerate utilità, ai sensi del periodo precedente, i finanziamenti, in qualsiasi forma erogati
Il destinatario del beneficio è, dunque:
- Il debitore;
- Persona fisica;
- Meritevole;
- Incapiente.

3.1.
Il “debitore”
La rubrica dell’art. 283 era, originariamente “Debitore incapiente”, ma il correttivo approvato con D.lgs. n. 147 del 26 ottobre 2020 l’ha sostituita con quella “Esdebitazione del sovraindebitato incapiente”.
Tanto chiarisce che beneficiari dell’esdebitazione cd. a costo zero possono essere, non tutti i debitori contemplati nell’art. 1, comma 1, del Codice della crisi, ma solo quelli che, fra essi, possono avere accesso ad una procedura di sovraindebitamento, e cioè i soggetti che nel Codice sono individuati nell’art. 2, comma 1, lett. c).
A questa conclusione, peraltro, si sarebbe pervenuti anche senza la modificazione della rubrica dell’art. 283, dal momento che tale articolo è collocato nella Sezione II del Capo X, dedicata alla “Esdebitazione del sovraindebitato” (e oggi, sempre per effetto delle modifiche introdotte col D.lgs. n. 147/2020, alle “Disposizioni in materia di esdebitazione del soggetto sovraindebitato”). Del resto, nella legge delega tale speciale forma di esdebitazione è contemplata nell’art. 9, dedicato al “Sovraindebitamento”.
La platea dei soggetti che può accedere alla misura è, ciò non ostante, assai ampia: escluse le persone giuridiche, rimangono tutti gli altri soggetti indicati nell’art. 2, comma 1, lett. c), CCII: si tratta del consumatore, del professionista, dell’imprenditore (individuale) minore, dell’imprenditore (individuale) agricolo, anche se sopra soglia, delle start up, purché esercitate in forma di impresa individuale, dei soci illimitatamente responsabili di società di persone.
Di fatto, i soli debitori che ne rimangono esclusi sono gli imprenditori individuali sopra soglia.
 
3.2 Il “debitore persona fisica”
Il beneficio in questione è pensato per, e limitato a, i debitori persone fisiche.
Si tratta di una limitazione che si pone in linea con la tradizione che questo istituto ha avuto nel nostro ordinamento, dal momento che identico limite era posto dall’art. 142 L. fall.  
La preclusione all’accesso all’esdebitazione delle persone giuridiche non è, tuttavia, determinata da ragioni logiche o giuridiche, tant’è vero che, se invece che all’istituto dell’esdebitazione si pone mente agli effetti esdebitatori, ci si avvede che di questi ultimi fruiscono anche, e nella prassi principalmente, persone giuridiche. Col Codice della crisi, inoltre, l’esdebitazione “ordinaria” è è consentita anche alle società ed agli enti collettivi (v. l’art. 278, comma 4).
Per l’esdebitazione a costo zero la limitazione non appare, tuttavia, irragionevole, in quanto legata alla connotazione marcatamente e prevalentemente sociale di tale istituto.
 
3.3 Il “debitore meritevole”
In che cosa consista la meritevolezza richiesta per accedere al beneficio é chiarito dal comma 7 dell’art. 283: al fine di compiere la relativa valutazione il giudice, “assunte le informazioni ritenute utili”, verifica “l’assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento”.  
La formula adoperata dal legislatore è dunque sovrapponibile a quella che compare nell’art. 69, comma 1, CCII e registra, qui come nel piano di ristrutturazione del consumatore e nell’esdebitazione cd. ordinaria, un’attenuazione del rigore del precedente regime, ove l’accesso al piano del consumatore e la concessione del beneficio potevano essere impedite dalla colpa, anche lieve, del debitore.
Funzionali a queste valutazioni sono, poi, le informazioni che devono essere fornite dalla relazione dell’OCC, non a caso prescritte – anche in tal caso con formule equipollenti – sia dall’art. 68, comma 2, che dall’art. 283, comma 4: l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni; l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione presentata a corredo della domanda (quest’ultima, in quanto diretta anche ad intercettare possibili atti in frode, quali l’occultamento o la sottrazione di attivo).
Il contenuto della relazione dell’OCC si presenta identico, nell’un caso e nell’altro caso, pure per le indicazioni concernenti la valutazione del merito creditizio del debitore compiuta dal creditore al momento della concessione del finanziamento (v., rispettivamente, l’art. 68, comma 3, e l’art. 283, comma 5, CCII), la qual cosa parrebbe singolare, atteso che, a differenza di quanto accade nel piano di ristrutturazione del consumatore, nonché nel concordato minore, nell’esdebitazione dell’incapiente non è prevista alcuna sanzione processuale a carico del finanziatore che abbia omesso, o malamente compiuto, la predetta valutazione.
In ciò si è ravvisata una lacuna, da colmare mediante un’applicazione analogica delle norme che limitano la legittimazione all’impugnazione del creditore che abbia colpevolmente determinato o aggravato l’indebitamento[5]. Questa soluzione è divenuta, tuttavia, difficilmente praticabile a seguito della modifica, disposta dal correttivo del 2020, degli artt. 69, comma 2, e 80, comma 4, CCII: al creditore colpevole la presentazione di opposizione o reclamo è preclusa non più in maniera indiscriminata (salva soltanto la possibilità di far valere cause di inammissibilità determinate da comportamenti dolosi del debitore), ma solo per contestare la convenienza della proposta, valutazione di convenienza del tutto estranea all’esdebitazione del debitore incapiente: il creditore che, con l’opposizione, affermasse la possibilità che il proprio credito sia soddisfatto dal debitore, contesterebbe, non la convenienza, ma l’esistenza stessa della situazione di incapienza, e, quindi l’esistenza di una condizione di accesso al beneficio. A monte, poi, le disposizioni dettate dagli artt. 69, comma 2, e 80, comma 4, devono ritenersi di carattere eccezionale, e per questo insuscettibili di applicazione analogica.
Pare, dunque, più ragionevole ritenere che l’indagine circa il comportamento del creditore rilevi (solo ovvero anche, com’è nel caso del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore) a fini diversi, e segnatamente al fine dell’espressione del giudizio sulla meritevolezza del debitore.
Che la condotta colposa del creditore possa incidere sulla valutazione della meritevolezza del debitore può del resto desumersi, per quel che riguarda il piano del consumatore, dalla collocazione della norma nell’art. 69, dedicato alle “Condizioni soggettive ostative”, immediatamente dopo la disposizione che definisce i confini del concetto di meritevolezza[6]. E’, poi, la stessa formula adoperata dal legislatore nel descrivere il creditore colpevole, quella cioè del creditore “che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento”, ad imporre che, nell’indagine sulle cause del sovraindebitamento, si tenga conto (anche) delle valutazioni a suo tempo compiute (o omesse) dal finanziatore.
L’accertamento ed illustrazione di tale condotta può dunque ritenersi funzionale, al pari delle altre verifiche che l’OCC è chiamato a compiere e che riguardano più direttamente il comportamento del debitore, alla valutazione della meritevolezza di quest’ultimo; ciò, peraltro, non nel senso che il riscontro della colpa del creditore possa tradursi, automaticamente, nel riconoscimento della meritevolezza del debitore, ma in quello che si tratta di uno degli elementi che compongono il quadro che il giudice è chiamato a valutare a tal fine. In effetti, la colpa del creditore potrebbe risultare “assorbente” rispetto a quella del debitore, ovvero tale da far refluire quest’ultima nell’ambito della colpa lieve: il fatto che la concessione del credito sia avvenuta malgrado l’assenza di merito creditizio potrebbe essere conseguenza di un’incapacità del debitore di valutare adeguatamente le proprie capacità reddituali e di rientro dell’esposizione debitoria, a causa di deficienze di ordine culturale, ovvero di particolari contingenze dell’esistenza che ne hanno pregiudicato una capacità di giudizio altrimenti e normalmente posseduta[7].

3.4 Il “debitore incapiente”
L’esdebitazione a costo zero è riservata al “debitore incapiente”, e tale è il debitore che “non sia in grado di offrire ai creditori nessuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”.
Il termine “utilità”, già presente nell’art. 161, comma 2, lett. c), L. fall., e, oggi, nell’art. 84, comma 3, CCII, ha ampio significato, ma, nell’esdebitazione dell’incapiente, è escluso che possano venire in considerazione ipotesi quale quella contemplata dal citato art. 84 ( la prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali col debitore); esso vale, semmai, ad includere nella valutazione in questione le azioni giudiziarie; specularmente, del resto, l’art. 268, comma 3, CCII, nel consentire al debitore (persona fisica) di sottrarsi all’apertura della liquidazione controllata richiesta dal creditore dimostrando l’insussistenza di attivo da destinare ai creditori, fa espressa menzione dell’esercizio di azioni giudiziarie.
Le utilità, la cui assenza è richiesta ai fini della concessione del beneficio, ed il cui sopravvenire nei successivi quattro anni determina, a date condizioni, la persistenza dell’obbligo di pagamento, potranno quindi consistere in beni, mobili o immobili, in crediti, anche futuri, nei vantaggi che possono conseguire al proficuo esercizio di azioni; ne restano, invece, esclusi i finanziamenti, per espressa previsione del comma 1 dell’art. 283, e la ragione ne è che essi generano un obbligo restitutorio[8].
La valutazione dello stato di incapienza deve, poi, essere compiuta, non solo all’attualità, ma anche in visione prospettica: l’incapienza deve sussistere pure “in prospettiva futura”. Non sono, tuttavia, precisati né l’arco temporale di riferimento, né la natura, assoluta ovvero relativa, di tale valutazione: la norma non dice, infatti, se tale prognosi debba essere espressa in termini di certezza o quasi certezza, tenendo conto dell’età, formazione culturale e professionale del debitore, della sua pregressa esperienza lavorativa, etc., ovvero in termini più blandi e relativi, consentendo così di considerare incapiente non solo il debitore del tutto privo di capacità lavorativa o le cui possibilità di rioccupazione siano affatto esigue, ma anche quello privo all’attualità di un reddito nonché di una prossima e concreta possibilità di occupazione o rioccupazione, sempre che egli non sia rimasto inerte ma si sia attivamente adoperato al fine di porre termine al proprio stato di disoccupazione[9].
La ratio della disposizione sembra far propendere per questa seconda soluzione, e nello stesso senso parrebbe deporre il fatto che essa contempli la possibilità che il debitore venga successivamente a disporre di utilità da destinare ai creditori: l’art. 283, comma primo, ultimo periodo, stabilisce, infatti, che qualora nei quattro anni successivi alla pronuncia del decreto sopraggiungano utilità rilevanti, le quali consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10%, l’obbligo di pagamento permane e, a tal fine, è altresì previsto che il debitore è tenuto a presentare, nei termini e con le modalità indicate nel decreto di concessione del beneficio, una dichiarazione circa le sopravvenienze rilevanti (comma 7), e che l’OCC debba a sua volta vigilare sul tempestivo deposito di tale dichiarazione, nonché verificare, su richiesta del giudice, se vi sono state sopravvenienze rilevanti (comma 9).
 
3.4.1 A mente dell’art. 283, comma 2, la valutazione di rilevanza delle utilità sopravvenute, da compiersi su base annua, deve tener conto (oltre che delle spese di produzione del reddito) delle esigenze di mantenimento del debitore e della sua famiglia, ma la determinazione ne è affidata all’applicazione di criteri predeterminati e fissi[10]. Nulla il legislatore specifica, invece, a proposito delle modalità di valutazione dell’incapienza, e cioè della presenza o assenza di “utilità da offrire ai creditori”, malgrado che la titolarità di redditi non sia di per sé ostativa alla qualificazione del debitore come “incapiente” – tant’è che con la domanda devono essere indicati gli stipendi, le pensioni, i salari e tutte le altre entrate del debitore e del suo nucleo familiare (comma 4, lett. d).
La soluzione accolta dal comma 2 presenta l’indubbio vantaggio della certezza ed uniformità di applicazione della norma, ma è suscettibile di dar luogo a storture: il criterio adottato varia esclusivamente in funzione del numero dei componenti del nucleo familiare, trascurando di considerare – banalmente – le diversità del costo della vita esistenti sul territorio nazionale, ed ignorando, inoltre, le particolari esigenze che il debitore e/o il suo nucleo familiare potrebbero presentare, ad es. in ragione delle necessità di cura o di assistenza sue o di un componente della sua famiglia, risultandone così svantaggiate le persone e famiglie cd. fragili.
Storture mitigate – ma non eliminate – dal fatto che il superamento della soglia di reddito così determinata non è di per se solo sufficiente a far (ri)sorgere l’obbligo del sovraindebitato di pagare i propri debiti, a tal fine essendo altresì necessario che la quota di reddito eccedentaria consenta di soddisfare i creditori in misura non inferiore complessivamente al 10%[11]: appare, infatti, difficile che tali condizioni possano realizzarsi congiuntamente, in particolare in presenza di un indebitamento di consistente entità – col chè si palesa, peraltro, altra incongruenza, data dal fatto che, quanto più è maggiore l’entità dell’indebitamento, tanto più sarà probabile che il beneficiario della misura rimanga esente dall’obbligo di soddisfare i creditori in caso di sopravvenienze.
In ogni caso, ciò rende palese che questa particolare modalità di determinazione della quota di reddito destinata a sopperire alle esigenze di mantenimento del debitore e della sua famiglia non è esportabile al di fuori dell’ambito suo proprio, quello, cioè, dell’individuazione delle “utilità rilevanti” che, sopravvenute nel quadriennio successivo alla concessione del beneficio, determinano l’obbligo di pagamento[12]. 
La lettera della norma è, del resto, chiaramente in questo senso: il termine “utilità” è utilizzato nel primo comma sia per definire il concetto di “debitore incapiente” (e cioè il “debitore … che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità”), sia per sancire l’obbligo di pagamento nel caso in cui le utilità sopravvenute siano “rilevanti”, ma il secondo comma, nel dettare il criterio di cui sopra si è detto, si occupa esclusivamente della “valutazione della rilevanza di cui al comma 1”. 
Lo stesso legislatore, insomma, ha ritenuto di limitare l’applicazione del criterio indicato nel comma 2 alla sola ipotesi della sopravvenienza di utilità, e non anche al fine della valutazione, al momento della concessione o del diniego del beneficio, della presenza o assenza di utilità da offrire ai creditori, valutazione che resta quindi affidata, in questa come in tutte le altre ipotesi in cui il giudice è chiamato a compierla, al suo prudente apprezzamento.
 
3.4.2. Il sovraindebitato titolare di soli redditi può, dunque, anch’egli ottenere, in costanza degli altri requisiti, il beneficio della cd. esdebitazione a costo zero; può farlo, in particolare, allorquando il reddito da lui percepito sia interamente assorbito dalle esigenze di mantenimento suo e della sua famiglia, ovvero quando la quota che ne sopravanza sia appena sufficiente a coprire le spese di procedura. 
Il debitore che sia titolare soltanto di redditi può, al tempo stesso, continuare ad accedere alla procedura di liquidazione controllata, giacché il Codice della crisi non ha inciso sulle ragioni che, nella vigenza della L. n. 3/2012, hanno indotto la giurisprudenza di merito a ritenere ammissibile la cd. liquidazione senza beni[13]. 
In verità, più che di assenza di beni, si dovrebbe in questo caso parlare di assenza di beni da liquidare, intendendo l’attività di liquidazione in senso stretto, e cioè quale attività volta alla trasformazione in danaro di beni mobili o immobili, materiali o immateriali[14]. Il termine liquidazione è però utilizzato dal legislatore concorsuale in senso più ampio, tant’è che l’art. 213 CCII – come già sia l’art. 104 ter L. fall. – impone al curatore di indicare nel programma di liquidazione le azioni che intende esercitare. Non è poi dubbio che dell’attivo delle procedure concorsuali facciano parte anche i crediti, sebbene la loro acquisizione richieda un’attività, non di liquidazione in senso stretto, ma di riscossione: nel CCII se ne fa espressa menzione nell’art. 213, comma 3, a proposito del programma di liquidazione della procedura di liquidazione giudiziale e, per la liquidazione controllata, l’art. 274, comma 1, stabilisce che il liquidatore esercita ogni azione diretta al recupero dei crediti.
Gli stipendi o pensioni, per la parte eccedente quanto necessario per il mantenimento del debitore e della sua famiglia, sono nient’altro che crediti futuri, rientranti nell’accezione di beni sopravvenuti di cui all’art. 142 CCII. Del resto, la loro acquisizione all’attivo è espressamente prevista, per la liquidazione giudiziale, dall’art. 146, comma 1, lett. b) e, per la liquidazione controllata, dall’art. 269, comma 1, lett. b) – norme che replicano, rispettivamente, l’art. 46 della legge fallimentare e l’art. 14 ter, comma 5, della L. n. 3/2012.
La tesi contraria all’ammissibilità di una procedura di liquidazione del sovraindebitato in assenza di beni da liquidare finisce così col fondarsi sulla superfluità della figura del liquidatore allorquando l’attivo è costituito soltanto da quota parte di stipendi o pensioni, ma, a parte la considerazione che i compiti del liquidatore non si esauriscono nell’attività di liquidazione, essa trascura di considerare che, in tal modo, l’accesso alla procedura, e la conseguente possibilità di esdebitazione, verrebbe consentito a chi, oltre ad una quota di stipendio o pensione, riesca ad offrire, in ipotesi, un solo bene di poco valore, e negato invece ai percettori di un reddito che sopravanzi le esigenze di mantenimento nonché i costo della procedura – e che per questo non potrebbero essere definiti incapienti ex art. 283.
Il problema diviene allora, e semmai, quello di stabilire se al debitore incapiente sia data facoltà di accedere indifferentemente, a sua scelta, alla esdebitazione cd. a costo zero ovvero alla procedura di liquidazione controllata, e quindi se sia o meno ammissibile una liquidazione controllata non solo senza beni, ma senza attivo di qualsivoglia natura[15].
L’assimilazione della procedura liquidatoria minore a quella maggiore, fortemente accentuata dal Codice della crisi, potrebbe indurre a ritenerlo, giacché non vi è dubbio che il fallimento in passato e la liquidazione giudiziale attualmente potevano e possono aprirsi anche in mancanza di qualsiasi attivo. Specifici indici favorevoli ad una soluzione positiva della questione potrebbero, poi, rinvenirsi nel disposto degli artt. 268, comma 3, e 276, comma 1, CCII – quest’ultimo, laddove rinvia all’art. 233, e quindi anche all’ipotesi contemplata nella lett. d) –, nonché nel fatto che ai fini dell’esdebitazione, sia nella liquidazione giudiziale che in quella controllata, non è più richiesto il soddisfacimento, almeno in parte, dei creditori[16].
Quest’ultimo rilievo non appare, però, persuasivo: in disparte le tesi per le quali l’esdebitazione “ordinaria” richiederebbe tuttora un qualche soddisfacimento dei creditori[17], vi è che la possibilità di esdebitarsi malgrado il mancato soddisfacimento dei creditori non è in rapporto di correlazione necessaria con la possibilità di apertura della procedura liquidatoria in assenza di attivo. Ed invero, nell’esdebitazione ex art. 283, l’incapienza è (deve essere) attuale, ed il sopraggiungere di utilità future una mera eventualità non preventivabile in via prospettica; il rapporto è invertito nella liquidazione controllata: la presenza di attivo, o la sua futura acquisizione, può sussistere (ed anzi deve, per quanto di seguito si verrà ad esporre) al momento dell’apertura della procedura, ed il mancato soddisfacimento dei creditori dipendere da eventi avversi verificatisi nel corso del suo svolgimento, non imputabili al debitore e non prevedibili ex ante (quali ad es. un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una malattia che impedisca la prosecuzione dell’attività lavorativa o che comporti spese che vanno ad erodere la quota di reddito destinata ai creditori, il perimento di beni o la loro sopravvenuta incommerciabilità, etc.).
A sua volta, la regola dettata dall’art. 268, comma 3, è espressione del principio di efficienza ed economicità delle procedure concorsuali, quello stesso principio che giustificava, e tuttora giustifica, la chiusura della procedura non appena accertata l’impossibilità di acquisire attivo da destinare al soddisfacimento dei creditori concorsuali nonché al pagamento dei crediti e delle spese in prededuzione[18]. 
Se il principio è lo stesso, non lo è, invece, la sua attuazione: nella liquidazione giudiziale l’insufficienza dell’attivo conduce alla chiusura anticipata della procedura, ma non ne preclude l’apertura, perché vengono in questo caso in considerazione interessi di stampo pubblicistico, quali la repressione di (eventuali) condotte penalmente rilevanti[19] e l’eliminazione dal mercato di imprese decotte. Nella liquidazione controllata tale esigenze non si pongono[20], ed è per questo che il legislatore ha potuto dare attuazione al principio in parola evitando la stessa apertura della procedura.
Il principio di efficienza ed economicità è, però, principio di carattere generale, in quanto tale applicabile, in via di analogia iuris, anche al di là dell’ipotesi espressamente disciplinata dall’art. 268, comma 3.
Ciò tanto più in quanto, nel caso in cui l’attivo manchi del tutto o sia appena sufficiente a coprire le spese di procedura, lo svolgimento di quest’ultima sarebbe priva di qualsiasi ragion d’essere: l’attività di realizzo dell’attivo e quella della sua distribuzione ai creditori non potrebbero compiersi, e ciò renderebbe a sua volta superfluo l’accertamento del passivo, in quanto strettamente funzionale alle esigenze della procedura e privo di qualsiasi efficacia al di fuori di essa. Lo svolgimento della procedura liquidatoria neppure risponderebbe ad un interesse del debitore – quello di conseguire la liberazione dai debiti –, giacché il debitore incapiente può presentare domanda ex art. 283 CCII, mentre il ricorso da parte sua alla procedura di liquidazione controllata comporterebbe un inutile aggravio dei costi professionali e finirebbe con l’assorbire le poche risorse disponibili. 
Si aggiunga, infine, che ammettere alla liquidazione controllata il debitore che nulla può offrire ai creditori significherebbe consentirgli di aggirare il limite sancito dal comma 1 dell’art. 283, laddove configura l’esdebitazione a costo zero quale beneficio che può essere ottenuto un’unica volta.
 
4. La domanda di esdebitazione è presentata, a mente dell’art. 283, comma 3, per il tramite dell’OCC.
Non è precisato se sia o meno necessario il patrocinio di un legale, e ad una risposta negativa sembra ostare la regola stabilita in via generale dall’art. 9, comma 2. Difficile, poi, trarre argomenti dalla disciplina prevista per l’esdebitazione ordinaria, dal momento che lì l’esdebitazione deve essere pronunciata d’ufficio al momento della chiusura della procedura liquidatoria o, nel caso di liquidazione controllata, una volta decorsi tre anni dalla sua apertura.
Per affermare la non necessità dell’assistenza legale potrebbe, tuttavia, valorizzarsi il fatto che la norma prevede che la domanda si propone per il tramite dell’OCC[21], ovvero l’assenza di carattere contenzioso del procedimento, almeno sino alla pronuncia del decreto del giudice che concede o nega l’esdebitazione. Resterebbe tuttavia, e pur sempre, la necessità del patrocinio di un difensore nella fase che si innesta successivamente alla pronuncia del decreto: in questo caso, infatti, decorsi trenta giorni dalla comunicazione del decreto al debitore ed ai creditori, ai fini della sua conferma o revoca deve essere instaurato il contraddittorio, nelle forme ritenute più opportune; la stessa cosa vale, a maggior ragione, per il successivo, eventuale reclamo avverso il provvedimento di conferma o revoca.
Ci si può, inoltre, domandare se sia ammissibile un’esdebitazione familiare, se cioè l’esdebitazione possa rientrare tra le procedure familiari contemplate dall’art. 66 CCII, cosa che potrebbe rappresentare utilità per i debitori in termini di costi, e può inoltre comportare una deroga alle regole di competenza per territorio. Ad una siffatta conclusione si potrebbe pervenire solo sulla base di un’applicazione, non diretta, ma analogica, dell’art. 66, trattandosi di norma collocata tra le disposizioni di carattere generale in tema di procedure di sovraindebitamento che, come chiarito dal disposto dell’art. 65, comma 1, comprendono solo la ristrutturazione dei debiti del consumatore, il concordato minore e la liquidazione controllata.
Nulla si dice circa la competenza, per materia e territorio, ma essa non può che essere quella stabilita dall’art. 27: la domanda deve quindi essere presentata al tribunale del luogo di residenza o domicilio del debitore. 
Quanto all’individuazione del soggetto competente a decidere, l’indicazione fornita dalla norma è, di per sé, ambigua, perché il termine “giudice” non chiarisce se si sia inteso far riferimento al giudice in composizione monocratica ovvero collegiale[22].
Tuttavia, nel lessico del Codice della crisi il termine “giudice” viene utilizzato, in contrapposizione a quello “tribunale”, per identificare il giudice monocratico. Ed infatti, sempre in tema di esdebitazione, sia l’art. 281, comma 1, che l’art. 282, comma 1 – dedicati all’esdebitazione rispettivamente nella liquidazione giudiziale e controllata – individuano l’organo giudicante nel “tribunale”, coerentemente col fatto che si tratta dell’organo competente a decretarne l’apertura e la chiusura. Per converso, nelle norme che disciplinano il piano di ristrutturazione del consumatore ed il concordato minore, procedure che si svolgono innanzi al tribunale in composizione monocratica (come precisato, rispettivamente, dall’art. 67, comma 6 e 76, comma 6), è sempre adoperato il termine “giudice”[23].
Il procedimento che porta alla concessione o al diniego del beneficio è, poi, bifasico: il giudice decide con decreto comunicato al debitore e ai creditori e, in caso di opposizione proposta entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione, dopo aver instaurato il contraddittorio nelle forme ritenute più opportune (che non necessariamente, quindi, dovrebbero consistere nella fissazione di un’udienza, potendo risolversi nella mera concessione di termini a tutte le parti per il deposito di osservazioni), conferma o revoca il decreto, con provvedimento a sua volta reclamabile ai sensi dell’art. 50 CCII. 
La prima fase non pare richiedere la fissazione di un’udienza né, in ogni caso, l’instaurazione di una qualche forma di contraddittorio. Ciò non comporta, tuttavia, problemi di costituzionalità della norma, com’è stato in passato per il procedimento di esdebitazione nel fallimento[24], essendo la “parità delle armi” assicurata nella seconda fase, innescata dalla proposizione dell’opposizione. Si tratta, quindi, di un procedimento a contraddittorio eventuale e posticipato, che si aggiunge agli altri già presenti nel nostro ordinamento.
Va, infine, osservato che il comma 8 pare limitare la legittimazione alla proposizione dell’opposizione ai soli creditori[25], ma, o si tratta di un mero refuso, superabile mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata, ovvero l’intenzione del legislatore è quella di rendere il decreto di diniego del beneficio impugnabile dal debitore direttamente mediante reclamo alla corte d’appello.
 
5. La fase successiva alla concessione del beneficio è quella che presenta maggiore problematicità, giacchè la disciplina ad essa dedicata è estremamente scarna.
L’art. 283 si limita, infatti, a stabilire le condizioni in presenza delle quali (ri)sorge l’obbligo di pagamento dei creditori (commi 1 e 2), a prevedere che col decreto di accoglimento della domanda il giudice indica le modalità ed il termine entro il quale il debitore, a pena di revoca del beneficio, deve presentare una dichiarazione annuale in ordine alla sopravvenienze rilevanti (comma 7), e ad assegnare all’OCC un compito di vigilanza sul tempestivo deposito di tale dichiarazione, nonché, su richiesta del giudice, di verifica dell’esistenza di sopravvenienze rilevanti (comma 9).
Va innanzi tutto osservato che non sono previste, qui e nell’esdebitazione cd. ordinaria, cause di revoca del beneficio nell’ipotesi in cui emergano atti di frode commessi dal debitore prima della sua concessione[26]. Di revoca si parla unicamente nel comma 7, per il caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale sulle utilità rilevanti, ove positiva, ipotesi che, a rigore, neppure comprende comportamenti ostruzionistici e pregiudizievoli per i creditori, quali la presentazione di una dichiarazione falsa, la rinuncia all’eredità, il rifiuto di destinare ai creditori le utilità sopravvenute.
Soprattutto, poi, nulla è detto circa le modalità con le quali, una volta insorto nel corso del quadriennio l’obbligo di pagamento dei creditori, si possa far luogo a tale soddisfacimento, ed ancor prima, nell’eventualità in cui le utilità sopravvenute consistano, come possibile, in beni, alla loro liquidazione, oppure all’acquisizione della parte di reddito eccedente la quota determinata ai sensi del comma 2 che il debitore si rifiuti di versare spontaneamente.
Tre possono essere le possibili soluzioni.
Per la prima, la distribuzione ai creditori delle utilità sopravvenute dovrebbe avvenire nell’ambito del procedimento aperto con la domanda di esdebitazione, secondo le modalità stabilite dal giudice. 
La seconda soluzione consisterebbe nel ritenere che la sopravvenienza di utilità rilevanti comporti l’effetto di porre nel nulla l’esdebitazione ottenuta, e quindi di esporre nuovamente il debitore alle aggressioni dei creditori, salva la possibilità per lo stesso di accedere, ex novo, ad una procedura di sovraindebitamento. 
La terza, porterebbe a ritenere che la sopravvenienza di utilità rilevanti comporti una sorta di conversione del procedimento in liquidazione controllata.
Nessuna di queste soluzioni può, però, ritenersi pienamente appagante, per la mancanza di sufficienti addentellati normativi.
In particolare, la prima si scontra col fatto che l’art. 283 affida al giudice la sola determinazione delle modalità e dei tempi di presentazione della dichiarazione annuale, sì che rimarrebbe priva di fondamento normativo un’attività di liquidazione di beni (o di recupero di crediti) sopravvenuti. La seconda, sconta la mancata previsione di ipotesi di revoca del beneficio diverse da quella prevista dal comma 7 e porta, inoltre, ad un appesantimento degli oneri a carico del sovraindebitato. La terza, infine, sicuramente preferibile alle altre in quanto consentirebbe di ricondurre nell’alveo di regole già note e sperimentate l’attività di realizzo dell’attivo e della sua distribuzione ai creditori, al tempo stesso evitando che il debitore debba intraprendere un nuovo percorso processuale per giungere all’esdebitazione, potrebbe difficilmente contare sull’applicazione analogica di disposizioni 
 
6. Un’ulteriore questione interpretativa riguarda gli effetti dell’esdebitazione.
Tradizionalmente, essa è esclusa per alcune tipologie di crediti (cfr., infatti, l’art. 142, comma 3, L. fall.), e sebbene con il Codice della crisi ne sia stato ridotto il novero, l’esclusione è stata confermata per gli obblighi di mantenimento e alimentari, per i debiti da risarcimento dei danni da fatto illecito, e per le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
La relativa disposizione – art. 278, comma 7 – è però contenuta in sezione dedicata a “Condizioni e procedimento della esdebitazione nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata”, di talchè essa parrebbe non operare per l’esdebitazione dell’incapiente.

Note:

[1] 
La letteratura sul tema è vasta; tra i più recenti contributi cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, D. Benincasa, L’esdebitazione del sovraindebitato e del debitore incapiente, in La nuova disciplina del sovraindebitamento, Bologna, 2021, p. 392 e segg.; R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Il Fallimento, 2021, 3, 293 e segg.; G. Bettazzi, La “liberazione” dai debiti nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata, in Il Fallimento, 10, 2022, 1322 e segg.
[2] 
Nel primo senso G. D’amico, Il sovraindebitamento nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Contratti, 2019, 331; nel secondo, F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi d’impresa, Milano, 2019, 76, e C.L. Appio,  L’esdebitazione del sovraindebitato incapiente: una seconda chance per il debitore meritevole, in ilcaso.it,: il primo fa peraltro salva l’ipotesi della sopravvenienza di un bene gravato da pegno o ipoteca, in cui il credito prelazionario andrebbe in ogni caso soddisfatto con priorità sul ricavato della vendita, e, la seconda, ritiene possibile che, col decreto che concede il beneficio, il giudice stabilisca modalità di pagamento dei creditori rispettose del principio della par condicio.
[3] 
Così D. Benincasa, L’esdebitazione del sovraindebitato e del debitore incapiente, in La nuova disciplina del sovraindebitamento, cit., 395.
[4] 
Cfr. Cass.,7 dicembre 2016, n. 25165; Cass., 14 giugno 2018, n. 15695; Cass.,10 ottobre 2019, n. 25458; Cass., 13 aprile 2022, n. 12115; Cass., 30 maggio 2023, n. 15230.
[5] 
Così F. Cesare, L’esdebitazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in ilfallimentarista.it.
[6] 
In questo senso, Corte d’Appello di L’Aquila, 9 marzo 2023, in Il Fallimento, 2023, 7, 945. 
[7] 
Per queste ed altre considerazioni sul requisito soggettivo mi sia consentito rinviare al mio scritto La meritevolezza, in La nuova disciplina del sovraindebitamento, cit., 125 e segg.
[8] 
Argomentando a contrario, si può ritenere che, laddove l’apporto di un terzo sia a fondo perduto, allora al debitore può essere consentito accedere alla liquidazione controllata, in quanto in grado di offrire una qualche utilità ai creditori; in senso contrario, v., però, Trib. Rimini 8 dicembre 2020 e 15 gennaio 2021, in ilcaso.it.
[9] 
Nella L. n. 3/2023, l’aver svolto, nel corso di un quadriennio dall’apertura della liquidazione del patrimonio, un’attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie competenze ed alla situazione di mercato o, in ogni caso, l’aver cercato un’occupazione e non aver rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego, costituiva uno dei requisiti richiesti ai fini dell’esdebitazione (art. 14 terdecies, comma 1, lett. e); requisito non riproposto dal Codice della crisi, né per l’esdebitazione nella liquidazione controllata né per quella cd. a costo zero, ma la definizione di incapienza contenuta nell’art. 283 – il non essere in grado di offrire ai creditori utilità alcuna – allude ad una condizione oggettiva e non dipendente dalla volontà (o meglio dalla mancanza di volontà) del debitore. Cfr. al riguardo Trib. Milano, 30 settembre 2022, inedita, citata da A. Mancini, Liquidazione controllata del sovraindebitato: è ammissibile in carenza di beni o redditi futuri? (Note intorno a Tribunale di Milano 12 gennaio 2023), in ilcaso.it.
[10] 
Il comma 2 dell’art. 283 stabilisce, infatti, che: “La valutazione di rilevanza di cui al comma 1 deve essere condotta su base annua, dedotte le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in misura pari all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza dell’ISEE di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159”.
[11] 
Laddove il correttivo del 2020 ha chiarito, aggiungendo nel testo della norma l’avverbio “complessivamente”, che la soglia del 10% deve riguardare non i singoli crediti, ma l’ammontare delle passività. 
[12] 
Il criterio è stato invece utilizzato da parte della giurisprudenza di merito anche a diversi fini, ed in particolare al fine della determinazione della somma destinata al mantenimento del debitore e della sua famiglia ex art. 268, comma 4, lett. b); così, infatti, Trib. Pescara, 8 febbraio 2023, Trib. Vicenza, 20 febbraio 2023, e Trib. Velletri, 13 marzo 2023, tutte in ilcaso.it. In senso critico rispetto a questo orientamento cfr. M. Zanoletti, Il criterio soglia ex art. 283 II co. C.C.I.I.: un vestito per tutte le stagioni, in ilcaso.it.
[13] 
E, anzi, secondo M. Montanari, L. Baccaglini e V. Baroncini, La liquidazione del patrimonio del debitore non fallibile, in La nuova disciplina del sovraindebitamento, cit., 328, nota 31, questa soluzione interpretativa trova nel Codice della crisi ulteriore supporto nel disposto dell’art. 268, comma 3, il quale “non distingue in ragione dei modi o dei canali attraverso cui sarebbe possibile acquisire attivo; sicché, anche dove questo debba avvenire attraverso la percezione di redditi da lavoro o da pensione, alla procedura si dovrebbe comunque potere far luogo”. In passato, l’indirizzo menzionato nel testo è sempre stato maggioritario: cfr., tra le tante Trib. Grosseto, 3 aprile 2019, in unijuris.it; Trib. Verona, 21 dicembre 2018, in ilcaso.it; Trib. Milano, 16 novembre 2017, in ilcaso.it;. nello stesso senso, più di recente, Tribunale Perugia, 31 Luglio 2023, e Tribunale Arezzo, 3 Marzo 2023, tutte in ilcaso.it; in senso contrario, Trib. Bergamo, 9 novembre 2019, in ilcaso.it; Trib. Bergamo, 6 novembre 2019, in Fall., 2020, 572; Trib. Mantova, 18 giugno 2018, in ilcaso.it e, in dottrina, S. Leuzzi, La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati fra presente e futuro, in inexecutivis.it.
[14] 
Nel prosieguo del testo si continuerà tuttavia ad usare la denominazione, invalsa nella prassi, di “liquidazione senza beni”, cui si contrapporrà quella di “liquidazione senza attivo”.
[15] 
Nel senso dell’ammissibilità v. Trib. Mantova, 9 febbraio 2023, Trib. Bologna, 3 luglio 2023, Trib. Perugia, 31 luglio 2023, e Trib. Forlì, tutte in ilcaso.it, nonché Corte Appello Milano Sez. IV, 21 aprile 2023, in Il Fallimento, 2023, 8-9, 1081; diversamente Trib. Palermo, 30 settembre 2022, in Il Fallimento, 2023, 8-9, 1081, che argomenta dal principio di economicità ed efficienza delle procedure concorsuali, come già in precedenza Trib Piacenza, 20 giugno 2022 e Trib. Rimini, 23 dicembre 2022, entrambe in ilcaso.it, nonché Trib. Bologna, 13 luglio 2023, in ilcaso.it, che nel concedere il beneficio dell’esdebitazione ex art. 283 osserva che “in questa sede ad assumere valore determinante è il riscontro – allo stato positivamente acquisito – che il sovraindebitato non abbia alcuna utilità da offrire ai propri creditori … quale presupposto oggettivo che distingue l’esdebitazione dell’incapiente rispetto all’ordinaria liquidazione controllata del patrimonio del sovraindebitato (artt. 268 e ss CCI), pur ammessa anche in presenza di soli flussi reddituali”. Analoga divergenza di opinioni è riscontrabile in dottrina: si esprimono da ultimo in senso rispettivamente favorevole e contrario F. Canazza, Ammissibilità dell’apertura della liquidazione controllata in assenza di beni (e di redditi), in il Fallimento, 2023, 6, 833 e segg. e P. Gitto, Sull’accesso del debitore incapiente alla liquidazione controllata del sovraindebitato: soluzioni giurisprudenziali contrastanti” in il Fallimento, 2023, 8-9, 1085 e segg., cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici.
[16] 
Le principali argomentazioni spese a favore dell’ammissibilità della liquidazione senza attivo spese nei provvedimenti citati nella nota precedente si fondano, infatti, su queste disposizioni; analogamente in dottrina si è evidenziato che l’art. 268, comma 3, impone l’apertura della procedura malgrado l’assenza di attivo in difetto della proposizione da parte del debitore della “eccezione di incapienza”, e che il rinvio all’art. 233 operato dall’art. 276, comma 1, non avrebbe, diversamente, significato alcuno, e il rinvio all’art. 233 operato dall’art. 276, comma 1, non avrebbe, diversamente, significato alcuno (così F. Cesare, La liquidazione controllata, in Dirittodellacrisi.it), ovvero si è ravvisato un ulteriore motivo dell’ammissibilità dell’apertura della procedura liquidatoria in assenza di attivo “nella formulazione degli artt. 278 e 282 CCII, i quali, ai fini dell’esdebitazione, - a differenza di quanto previsto sotto il regime della L. 27 gennaio 2012, n. 3 – omettono qualsivoglia riferimento al soddisfacimento, anche solo parziale, dei creditori (così P. Gitto, Sull’accesso del debitore incapiente alla liquidazione controllata del sovraindebitato: soluzioni giurisprudenziali contrastanti, cit., 837).
[17] 
Cfr. S. De Matteis, L’esdebitazione del sovraindebitato nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Corr. giur., 2020, 1386, e D. Vattermoli, L’esdebitazione, in La riforma del fallimento, Guida giuridica Italia oggi, Serie Speciale, 256.
[18] 
Cfr. rispettivamente, l’art. 118, comma 1, n. 4, L. fall., e l’art. 233, comma 1, lett. d) CCII, articolo quest’ultimo che non solo è richiamato dall’art. 276, comma 1, con riserva di compatibilità, ma che potrà comunque trovare applicazione nella liquidazione controllata, tutte le volte che si verifichi uno degli eventi avversi di cui sopra si è detto.
[19] 
Tant’è vero che alla chiusura si può, in tal caso, pervenire omettendo l’accertamento del passivo, ma non il deposito della relazione iniziale sulle cause del dissesto e le responsabilità anche penali dell’imprenditore o di altri soggetti, come oggi opportunamente precisato dal comma 6 dell’art. 130. CCII.
[20] 
Le fattispecie di reato di cui agli artt. 322 e segg. del Codice continuano ad essere confinate nell’ambito della procedura liquidatoria maggiore, ed il rischio della propagazione dell’insolvenza ritenuto tuttora inesistente o tollerabile nel caso di debitori diversi dall’imprenditore maggiore.
[21] 
Tuttavia, la medesima dicitura si rinviene nell’art. 76, comma 1, CCII, e non vi è dubbio che la presentazione di una domanda di concordato minore richieda l’assistenza di un legale.
[22] 
Mentre nel vigore della L. n. 3/2012, in cui l’istituto dell’esdebitazione dell’incapiente è stato trapiantato, in via anticipata rispetto all’entrata in vigore del Codice della crisi, dalla L. n., era chiaro che si trattava del giudice monocratico, poiché il reclamo avverso la decisione di conferma o revoca doveva proporsi innanzi al tribunale.
[23] 
In questo senso già A. Napolitano, La liquidazione controllata del sovraindebitato e l’esdebitazione, in Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di A. Crivelli, R. Fontana, S. Leuzzi, A. Napolitano, F. Rolfi, 2020, 270; in giurisprudenza cfr. Trib. Brescia, 9 ottobre 2022 e Trib. Pordenone, 13 dicembre 2022 e 21 aprile 2023.
[24] 
[1] L’art. 143, comma 1, L. fall. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Cost. n. 181 del 2008 nella parte in cui non prevedeva la notificazione ai creditori concorrenti e non integralmente soddisfatti del ricorso, proposto entro l’anno dalla chiusura del fallimento, diretto alla concessione del beneficio dell’esdebitazione e del decreto di fissazione dell’udienza; dubbi di costituzionalità potrebbero invece porsi per l’esdebitazione nella liquidazione giudiziale ed in quella controllata, in cui – come già nell’art. 143 L. fall.., prima dell’intervento della Consulta – è prevista la sola reclamabilità del decreto di concessione del beneficio, a suo tempo ritenuta dalla Corte inidonea ad escludere profili di incostituzionalità della norma, in quanto “a prescindere sia dai brevissimi termini entro i quali essa è legittimamente esercitabile sia dalla problematica compatibilità costituzionale di una forma di tutela giurisdizionale di tipo esclusivamente impugnatorio (in cui, cioè, l’onere probatorio incomberebbe sul reclamante) – e non già, come altrove, oppositorio – tale facoltà può essere resa concretamente possibile solo nell’ipotesi in cui coloro che hanno interesse a farne uso siano a conoscenza della esistenza del provvedimento impugnato”; si tratta allora di stabilire se gli adempimenti pubblicitari che sono stati aggiunti dal cd. decreto Insolvency (iscrizione nel registro delle imprese o pubblicazione in apposita area del sito web del tribunale o del Ministero della giustizia) siano o meno sufficienti a tal fine, all’uopo considerato che essi determinano una mera presunzione legale di conoscenza dell’atto che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto “compatibile con il diritto di difesa del destinatario nei soli casi in cui l’individuazione di questi, ed il conseguente ricorso a mezzi di comunicazione diretta dell’atto stesso risultino impossibili o estremamente difficoltosi”, ma non invece quando i soggetti interessati all’impugnativa sono non solo individuabili, ma già individuati – com’è il caso dei creditori ammessi al passivo e solo parzialmente soddisfatti – giacché, in tal caso, l’onere di diligenza imposto ai creditori è “incomparabilmente più gravoso e gravido di conseguenze pregiudizievoli di quello cui deve sottoporsi l’ufficio che sia tenuto a dare conoscenza” dell’atto impugnabile  (cfr. Corte Cost., sentenze nn. 224/2004, 154/2006 e 279/2010). 
[25] 
Tale disposizione, infatti, dopo aver stabilito che “Il decreto è comunicato al debitore e ai creditori, i quali possono proporre opposizione nel termine di trenta giorni”, prevede l’instaurazione del contraddittorio tra “i creditori opponenti ed il debitore”.
[26] 
Diversamente, l’art. 14 terdecies, comma 5, della L. n. 3/2012 stabiliva che il provvedimento di esdebitazione era revocabile in qualsiasi momento, su istanza dei creditori, qualora fosse risultato che nei cinque anni precedenti all’apertura della procedura o nel suo corso il debitore aveva commesso atti in frode ai creditori, o pagamenti o altri atti dispositivi o simulazione di titoli di prelazione allo scopo di favorire alcuni creditori, ovvero in caso di scoperta di sottrazione o dissimulazione di parte rilevante dell’attivo, o di simulazione di attività inesistenti, o di aumento o riduzione dolosa o con colpa grave del passivo.  Sul punto cfr. R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della crisi, cit., 306, la quale osserva che “il requisito soggettivo di carattere premiale della condotta del debitore che si riveli essere meritevole diventa un punto di equilibrio fragile, qualora non ne sia consentita la revocabilità in conseguenza della scoperta di atti di frode”, evidenziando “dubbi possibili per difetto di ragionevolezza ex art. 3 Cost. in mancanza di correttivi adeguati che, anche in caso di scoperta successiva di condotte fraudolente da parte del debitore lascino intatti gli effetti di definitiva inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti. In tale prospettiva l’opzione della dottrina maggioritaria che nega la possibilità di ricondurre l’esdebitazione ai modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento può fornire il sostrato sistematico necessario a giustificare, in una prospettiva de iure condendo, la revocabilità del beneficio, purché circoscritta a condotte di malafede o di abusivo ricorso all’istituto tipizzate dal legislatore (e non a clausole generali foriere di incertezze applicative come quella dell’abuso del diritto) e per un periodo di tempo definito e delimitato”.

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Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

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