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Saggio

La liquidazione controllata*

Fabio Cesare, Avvocato in Milano

26 Aprile 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
La liquidazione controllata costituisce una rilevante evoluzione della precedente liquidazione de patrimonio disciplinata dalla L. n. 3/2012. La collocazione sistematica all’interno del codice della crisi, l’apertura ai creditori della legittimazione attiva determina conseguenze sistematiche di rilievo, non ultima la possibilità che l’istituto possa diventare una forma di recupero del credito più equa rispetto all’esecuzione individuale.
Riproduzione riservata
1 . Inquadramento e contesto normativo
La liquidazione controllata abroga, supera e razionalizza la pregressa disciplina dettata dalla L. n. 3/2012 sulla liquidazione del patrimonio recependone tuttavia alcune elaborazioni emerse nella prassi applicativa e dal precoce innesto del codice della crisi nella previgente disciplina.
L’intento sistematico del legislatore della riforma è testimoniato anche dalla nuova definizione dell’istituto: la vecchia liquidazione del patrimonio, diventa liquidazione controllata, plasmata sulla sorella maggiore, la liquidazione giudiziale.
Il profilo nominalistico non è l’unica motivazione che induce a colmare le lacune dell’istituto in esame con le norme dell’erede del fallimento: anche la collocazione dell’istituto nel capo IX del Titolo V (artt. da 268 a 277 CCII), dedicato alla liquidazione giudiziale, rimarca l’intento di disciplinare in modo omogeneo i due istituti[1].
L’appartenenza della species liquidazione controllata all’interno del genus liquidazione giudiziale non ha una valenza meramente teorica. Il rimando delle norme disciplinanti la procedura maggiore induce a ritenere che nel caso in cui vi sia una lacuna nella liquidazione controllata, o anche quando una disciplina o un istituto non siano previsti potranno applicarsi gli articoli della liquidazione giudiziale. 
In ogni caso, sono molteplici i rimandi specifici: l’art. 270, comma 5, CCII espressamente rinvia agli artt. 143 CCII (in tema di sostituzione processuale del debitore da parte del liquidatore e interruzione dei procedimenti pendenti), nonché agli art.150 e 151 (dedicati, rispettivamente, al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali e il concorso dei creditori).
Tra le differenze più notevoli con la liquidazione del patrimonio, bisogna ricordare che gli artt. 268 ss. CCII non prevedono alcuna norma per disciplinare i beni sopravvenuti nel corso della procedura, a differenza dell’art. 14 undecies L. n. 3/2012. Ad avviso di parte della dottrina[2] tale lacuna può essere colmata attraverso l’applicazione analogica dell’art. 142, comma 2, CCII, ai sensi del quale “sono compresi nella liquidazione giudiziale anche i beni che pervengono al debitore durante la procedura, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni”.
La soluzione mi pare discenda dalla natura successoria o segregativa dell’istituto, tema di sistema sul quale non sono state registrate al momento particolari riflessioni.
La mancata riproduzione dell’art. 14 undecies della legge 3/2012, che destinava alla procedura i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi, dovrebbe far propendere per una ricostruzione più assimilabile al fenomeno della segregazione e meno vicino alla successione, ancorché vi siano elementi sistematici di segno opposto come l’interruzione delle controversie in corso, ex art. 143 CCII, richiamato dall’art. 270 primo comma CCII.
Mi pare che la tesi della successione tra patrimonio del debitore e quello della procedura possa essere definitivamente accantonata per l’impossibilità in capo al liquidatore giudiziale di ottenere un centro di imputazione fiscale autonomo, non previsto attualmente dalla legislazione tributaria e che esclude una soggettività autonoma della procedura rispetto al debitore.
Ove si acceda alla tesi della separazione se nel corso della procedura dovessero sopravvenire beni non appresi dal liquidatore, essi dovrebbero rimanere dunque nella disponibilità del debitore, perché questi ne sarebbe comunque il centro di imputazione fiscale.
In questa prospettiva dovrebbero prospettarsi due masse distinte, una precedente all’apertura del concorso intesa a soddisfare i creditori e un’altra costituita dai beni sopravvenuti, nella quale potrebbe rientrare la porzione di reddito destinata al sostentamento e i beni sopravvenuti stessi.
Se invece la liquidazione controllata dovesse essere inquadrata come fenomeno successorio, e dunque si dovesse accedere all’applicazione analogica dell’art. 142, comma 2, CCII i beni sopravvenuti dovrebbero essere destinati al concorso. 
La ricostruzione della liquidazione controllata come massa separata rispetto al patrimonio del debitore si pone in (ulteriore) eccezione con il principio della garanzia generica dell’art. 2740 cc. Il debitore, infatti, risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri salvo precise eccezioni disposte dal comma 2, tra le quali manca il riferimento esplicito ai beni sopravvenuti nel corso di una procedura liquidatoria[3].
La procedura dovrebbe pertanto porsi come temporanea eccezione al principio della garanzia patrimoniale generica proprio perché prodromico all’esdebitazione, che ne costituisce la definitiva demolizione.
Ove l’esdebitazione non dovesse essere accordata, la separazione patrimoniale della procedura verrebbe meno, e la garanzia patrimoniale  generica riprenderebbe la sua estensione anche sul patrimonio del debitore formatosi dopo l’apertura del concorso.
2 . Perimetro applicativo
La liquidazione controllata è riservata al consumatore, professionista, impresa minore, impresa agricola, start-up innovativa (D.L. n. 179/2012) e a ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale, alla liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali, esclusi gli enti pubblici (artt. 65 e 2, comma 1, lett. c), CCII). Il codice delinea un sistema chiuso che ricomprende dunque in via residuale nel sovraindebitamento tutti i soggetti non assoggettabili in astratto a una procedura liquidatoria specificamente individuata. 
Secondo un principio generale che prevede la preminenza delle procedure regolatorie, la liquidazione controllata è dichiarata aperta solo se è stato verificato che il debitore non ha presentato in precedenza una domanda di accesso alle procedure di cui al Titolo IV (i.e. non ha effettuato l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi)[4].
Presupposto oggettivo per l’accesso alla liquidazione controllata è lo stato di sovraindebitamento, definito dall’art. 2, comma 1, lett. c), CCII come lo stato di crisi o insolvenza in cui versa il sovraindebitato[5]. Per i soggetti privi di contabilità, potrebbe determinarsi qualche difficoltà nella focalizzazione dei flussi e di conseguenza dello squilibrio finanziario quale presupposto del sovraindebitamento. In simili situazioni, è sufficiente verificare l’inettitudine dei flussi reddituali rinvenibili dalle verifiche dei conti correnti a coprire le uscite per identificare uno stato di crisi, che ben potrebbe essere confermato da una esecuzione pendente.
3 . I legittimati attivi
I soggetti legittimati ad attivare la liquidazione controllata sono (i) il debitore stesso, (ii) il creditore (art. 268, comma 1, CCII).
Nella precedente formulazione la norma attribuiva legittimazione attiva anche al P.M., ma il D.Lgs. n. 83/2022 che ha recepito la direttiva Insolvency ha fatto venire meno la legittimazione attiva dell’autorità inquirente[6]. 
Mentre il debitore può proporre domanda di accesso alla procedura anche quando è in stato di crisi, per il creditore il CCII prevede ulteriori condizioni: (i) il debitore dev’essere in stato di insolvenza; (ii) l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria deve essere superiore ad euro cinquantamila, quest’ultima essendo una mera condizione di procedibilità che può essere verificata d’ufficio anche tramite l’accesso ai registri descritti nell’art 42 CCII, ovvero le banche dati dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS, che la cancelleria dovrebbe acquisire d’ufficio.
È dunque onere del creditore provare l’irreversibilità della crisi, ovvero l’evidenza di inadempimenti o altri fatti esterni in grado di dimostrare che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.  
La  domanda del debitore non necessita della difesa tecnica, salvo quanto disposto dall’art. 271 CCII per il concorso di procedure; è invece necessaria l’assistenza dell’OCC, il quale (i) entro 7 giorni dal conferimento dell’incarico del sovraindebitato deve darne notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante; (ii) a corredo del ricorso deve redigere una relazione che esponga una valutazione sulla completezza e sull’attendibilità della documentazione depositata insieme alla domanda e che illustri la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore (art. 269 CCII). 
Si registrano orientamenti restrittivi sulla difesa tecnica: qualche pronuncia ha ritenuto inammissibile il deposito dell’istanza da parte del difensore[7]. Si tratta di un orientamento senz’altro errato, poiché affermare che la difesa tecnica non è necessaria non significa che essa renda inammissibile un ricorso. L’atto introduttivo raggiunge il suo scopo e non può essere dichiarato inefficacie ex art. 156 c.p.c. anche se l’atto viene depositato dal difensore con la relazione del gestore allegata.
L’opportunità della difesa tecnica del difensore è anche condizione del controllo dell’OCC-gestore sulla documentazione a corredo della domanda. Infatti, mentre nelle L. n. 3/2012, la documentazione minima da allegare al ricorso era ben specificata (cfr. art. 9, comma 2-3 L. n. 3/2012), il CCII prevede genericamente il deposito di un ricorso per l’apertura della procedura.
Si deve intendere che in punto documentazione a corredo dell’atto introduttivo si applichi l’art. 39 CCII in tema di ricorso unitario, che definisce l’elenco dei documenti da allegare a tutti i ricorsi del CCII. 
La mancata previsione di un corredo documentale specifico e a pena di inammissibilità per l’istituto in esame potrebbe comportare, la presentazione all’OCC di domande non idonee[8] se il gestore deve attestare la “completezza” e “l’attendibilità” della documentazione: il rimando all’elenco documentale dell’art. 39, non sembra applicabile al debitore-persona fisica, e comunque non specifica quale carenza documentale debba intendersi a pena di inammissibilità, il che potrebbe generare qualche dubbio interpretativo. 
Di più, mentre la L. 3/2012 prevedeva che la relazione dell’OCC fosse “particolareggiata”, ovvero contenesse l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni o l’esistenza di atti del debitore impugnati ecc, l’art. 269 CCII si limita a prevedere che la relazione contenga una valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione a corredo della domanda nonché l’esposizione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore. 
La risposta va trovata proprio nella genericità delle disposizioni, e nell’assenza di esplicite sanzioni processuali di inammissibilità per carenze documentali. Essa è dunque espressione della volontà del legislatore di snellire la procedura che del resto non può essere dichiarata inammissibile per la mancanza di documenti di pertinenza del debitore se l’istante è il creditore che non può avervi accesso.
Pertanto, si potrebbe concludere che non esiste un corredo minimo documentale da produrre a pena di inammissibilità del ricorso, soprattutto perché nessuna norma commina l’arresto della procedura per carenze documentali e il principio di conservazione degli atti processuali impone che le inammissibilità, così come le nullità, debbano essere espressamente comminate dalla legge come disposto dall’art. 156 c.p.c.
4 . La relazione del gestore-OCC
La relazione dell’OCC riveste un duplice contenuto, informativo e valutativo. 
Posto però che nel CCII manca una norma come l’art. 15, comma 10, L. 3/2012 che permetteva all’organismo di composizione della crisi di accedere alle banche dati, all’anagrafe tributaria, alle centrali rischi e alle altre banche dati pubbliche, la rappresentazione non potrà che essere orientativa e non definitiva.
La situazione patrimoniale andrà meglio rappresentata dopo la definizione dello stato passivo, anche perché l’illustrazione della situazione del debitore senza margini di approssimazione non è considerata funzionale all’apertura del concorso: l’elenco dei creditori deve essere aggiornato dopo la sentenza a norma dell’art. 270 CCII lett. c) e l’inventario deve essere completato dal liquidatore giudiziale, il che presuppone l’incompletezza dell’attivo e del passivo come prospettati nel ricorso.
Sono state elaborate lodevoli e acute proposte[9] per consentire l’accesso alle banche dati in favore del gestore: si è proposto di ricorrere ai principi generali per permettere l’accesso all’anagrafe tributaria da parte dell’OCC perché possa essere considerata tuttora vigente la possibilità di accedere alle banche dati.
Il tema è a mio avviso di secondo momento: la ricostruzione del patrimonio del debitore nella fase istruttoria è giocoforza approssimativa e dovrà essere puntualizzata in seguito all’apertura. Diversamente concludendo, il tempo necessario per accedere alle informazioni dell’anagrafe tributaria costituirebbe un ulteriore costo e un ulteriore rallentamento della procedura non giustificato dai benefici di una piena ricostruzione, che ben può essere effettuata dopo la sentenza della liquidazione controllata. Anzi è il legislatore a imporre una rettifica dei crediti concorsuali e dell’inventario, il che presuppone che esso possa essere legittimamente incompleto nella domanda di apertura e nella relazione del gestore.
All’interno della relazione può essere utile descrivere le cause che hanno condotto al sovraindebitamento, escludendo che questo sia stato causato con malafede, frode o colpa grave, ma solo per la successiva esdebitazione, che prevede all’art. 282 secondo comma la verifica del dolo e della colpa grave nell’origine del debito come requisito ostativo[10].
Il successivo decreto di esdebitazione può infatti essere reclamato ai sensi dell’art. 124 CCII dai creditori. Dunque, nel caso in cui già nella fase della redazione della relazione l’OCC dovesse emergere una responsabilità del debitore in grado di escludere l’esdebitazione, sarebbe utile evidenziare ogni circostanza ostativa alla successiva procedura in modo da preparare il debitore e informare i creditori a riguardo[11] così da consentire l’eventuale opposizione.
L’attività dell’OCC non è infine richiesta nel ricorso proposto da un creditore, poiché senza adeguati poteri e senza la collaborazione del debitore non è possibile per il gestore ricostruire il patrimonio del resistente.
5 . Concorso e conversione di procedure
Proprio in ragione del carattere residuale della liquidazione controllata sancito dal principio generale di prevalenza delle procedure regolatorie su quelle liquidatorie (art. 7 secondo comma CCII), l’art. 271 CCII stabilisce che in presenza di una domanda di liquidazione controllata proposta dal creditore il debitore possa chiedere termine per depositare un ricorso per la ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 CCII) o il concordato minore (art. 74 CCII).
L’intenzione di ricorrere a uno di questi due ultimi istituti determina la sospensione della procedura di liquidazione controllata e, ove accolta, l’improcedibilità del ricorso presentato dal creditore. 
Il comma primo stabilisce che se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori e il debitore chiede l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi da sovraindebitamento, il giudice concede un termine per l’integrazione della domanda.
La possibilità di concedere “un termine per l’integrazione della domanda” ricorda lo schema della domanda di “sovraindebitamento in bianco” all’interno della liquidazione controllata instaurata da un terzo; il debitore resistente nella liquidazione controllata deve peraltro formulare la richiesta del termine con un difensore. Si tratta di attività contenziosa e dunque la difesa tecnica è necessaria.
Con l’istanza corredata dai documenti dell’art. 39 CCII, il debitore   manifesta la sola intenzione di depositare un ricorso per la ristrutturazione dei debiti del consumatore o per concordato minore in funzione difensiva con riserva di scegliere la procedura più consona e i suoi contenuti entro un termine assegnato dal giudice.
Ulteriore punto critico riguarda la durata del termine concesso dal giudice per l’integrazione della domanda. 
L’interpretazione letterale induce a ritenere che si tratti di un termine la cui durata è affidata alla discrezionalità del giudice dopo aver instaurato un contradditorio e aver valutato le esigenze del debitore. Altri ritengono[12], che la durata del termine debba essere quantomeno ricompresa tra 30-60 giorni prorogabili fino ad ulteriori 60 giorni, corrispondenti al periodo del c.d. prenotativo ex art. 44, comma 1, CCII vista l’unitarietà del procedimento definita da CCII. 
Il decorso infruttuoso del termine stabilito dal giudice dovrebbe poi comportare la declaratoria di inammissibilità del ricorso per la regolazione della crisi e l’apertura della liquidazione controllata senza la necessità di fissazione i un’apposita udienza.
Qualche criticità deriva da un difetto di coordinamento tra norme degli istituti di regolazione della crisi da sovraindebitamento e della liquidazione controllata.
Infatti, il giudice competente per la ristrutturazione dei debiti del consumatore e per il concordato minore è il tribunale in composizione monocratica (artt. 67, comma 6 e 76, comma 6 CCIII); giudice competente per la liquidazione controllata è invece il tribunale in composizione collegiale (art. 270 CCII).
Il debitore che intenda resistere a un istanza di liquidazione controllata si troverebbe a dover depositare una domanda di accesso alle procedure di sovraindebitamento dinnanzi a un giudice in composizione diversa da quella ordinaria, il che potrebbe comportare incertezze circa il regime delle impugnazioni: a ciò soccorre il richiamo operato dall’art. 271 CCII che richiama l’art. 50-55 CCII  in tema di impugnazioni nel procedimento unitario e che dispone il reclamo sempre in Corte d’Appello entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto (di accoglimento o di rigetto).
La liquidazione controllata può essere aperta anche a seguito della conversione di procedure di regolazione della crisi da sovraindebitamento (ristrutturazione dei debiti del consumatore o concordato minore) per frode, falsità o inadempimento definitivo alle obbligazioni nascenti con l’ammissione alle predette procedure (artt. 73 e 83 CCII).
In tal caso l’istanza può essere depositata anche dai creditori e dal pubblico ministero (quest’ultimo solo in caso di frode).
6 . L’apertura della liquidazione controllata
Ricorso e procedimento seguono il procedimento unitario di cui agli art. 40 e ss. CCII.
Il tribunale dichiara l’apertura della liquidazione controllata con sentenza, che ha un contenuto analogo a quella dichiarativa della liquidazione giudiziale.
Con la sentenza, infatti, il tribunale (i) nomina il giudice delegato; (ii) nomina il liquidatore giudiziale, di regola confermando l’OCC: il giudice può designare un altro professionista solo in presenza di giustificati motivi da comunicare al presidente del tribunale; (iii) ordina al debitore il deposito entro sette giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie oltreché dell’elenco dei creditori; (iv) assegna ai terzi che vantano diritti sui beni del debitore e ai creditori risultanti dall’elenco depositato un termine non superiore a 60 giorni (prorogabile di ulteriori 30 giorni ai sensi dell’art. 272, comma 1 CCII) entro il quale, a pena di inammissibilità, devono trasmettere al liquidatore, via pec, la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo; (v) ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore o il terzo ad utilizzare alcuni di essi (tale provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura del liquidatore anche per l’eventuale rilascio dell’immobile); (vi) dispone, a cura del liquidatore, la pubblicazione della sentenza sul sito internet del tribunale e, nel caso in cui il debitore sia un’impresa, nel registro delle imprese; (vii) ordina, quando vi sono beni immobili o mobili registrati, la trascrizione della sentenza, a cura del liquidatore, presso gli uffici competenti.
La sentenza è notificata al debitore, ai creditori e ai titolari di diritti sui beni oggetto di liquidazione (art. 270, commi 1, 2 e 4).
Al liquidatore si applicano le disposizioni dettate dal Codice delle leggi antimafia in materia di nomina e requisiti dell’amministratore giudiziario (artt. 35, comma 4 bis; 35.1 e 35.2 D.Lgs. n. 159/2011).
7 . Oggetto della liquidazione controllata
La liquidazione controllata coinvolge l’intero patrimonio del sovraindebitato, con esclusione (i) dei crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. in tema di espropriazione forzata presso terzi, ivi compreso il quinto dello stipendio eventualmente ceduto in garanzia[13]; (ii) i crediti per alimenti e per mantenimento, la retribuzione, la pensione e ciò che il debitore guadagna con la propria attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia; (iii) delle cose non pignorabili per disposizione di legge; (iv) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i loro frutti, salvo quanto previsto dall’art. 170 c.c. in tema di esecuzione sui beni ricompresi nel fondo patrimoniale.
La misura del mantenimento verrà spesso indicata dal gestore nella relazione iniziale nella prospettazione dell’attivo, ancorché la misura del sostentamento non sia esplicitamente richiesta. Ben difficilmente quest’ultimo smentirà l’originaria ripartizione una volta aperto il concorso nell’istanza da rivolgere al giudice per la fissazione dell’importo del reddito da destinare alla massa.
La conferma del gestore alla figura del liquidatore ha dunque la funzione di ridurre l’imprevedibilità dell’apporto reddituale del debitore per la durata della procedura.
L’importo trova un limite incomprimibile nella frazione impignorabile, ma può essere fissato in un limite più elevato e più favorevole al debitore di fronte a comprovate circostanze (si pensi ad esempio a un elenco di spese mediche per i familiari particolarmente significativo, a un nucleo familiare con molti figli o a un piccolo imprenditore o un professionista che necessiti di risorse da investire per l’attività).
I limiti di pignorabilità dello stipendio e delle pensioni dovrebbero essere i medesimi dell’art. 545 c.p.c. come accertato nel regime della legge 3/2012 dal Tribunale di Milano 10 aprile 2019[14] in sede di reclamo, con la possibilità per il Tribunale di rivederli sono in senso più favorevole per il debitore.
Merita un cenno l’esclusione dei beni costituenti patrimonio separato per i bisogni della famiglia.
L’art. 170 c.c. stabilisce che l’esecuzione sui beni del fondo non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Occorre dunque coordinare l’art. 268, comma 3, CCII con l’art. 170 c.c.
Il creditore titolare di un credito derivante da esigenze famigliari del debitore, a prima vista, sembra poter agire in executivis su beni ricompresi nel fondo patrimoniale anche in pendenza della procedura di liquidazione controllata.
Tale iniziativa verrebbe però paralizzata dal blocco di azioni esecutive e cautelari previsto dell’art. 270, comma 5 CCII, con la conseguenza che, se così fosse, il disposto dell’art. 170 c.c. richiamato dall’art. 268, comma 3 CCII resterebbe lettera morta.
La risposta è allora probabilmente contenuta nell’art. 274 CCII, che attribuisce al liquidatore il potere di esperire o continuare le azioni relative al patrimonio oggetto di liquidazione, ivi comprese le azioni revocatorie ordinarie.
Si può quindi ipotizzare che   il liquidatore possa agire per la revoca del fondo patrimoniale e il debitore potrà difendersi dimostrando la notoria destinazione dei beni segregati ai bisogni della famiglia.
Un tema rilevante è l’ammissibilità di una liquidazione controllata in assenza di patrimonio. 
Sul tema il Tribunale di Genova del 22 agosto 2022[15] e il Tribunale di Milano 12 gennaio 2023 [16] hanno incidentalmente indicato che non vi era alcun bene da incamerare quale presupposto del sovraindebitamento. Da simili pronunce può desumersi come la giurisprudenza inizi ad avere le prime aperture in rottura con la tradizionale chiusura maturata sotto l’esperienza della legge 3/2012[17]. 
L’orientamento contrario[18] per la verità fa leva sull’art. 233 CCII, che impone la chiusura della procedura se l’attivo non può prospettare l’incameramento nemmeno delle spese di procedura: di qui se ne trarrebbe un principio di economicità che impedirebbe l’accesso alla liquidazione controllata siccome inefficiente.
Tale orientamento non pare essere condivisibile sotto molteplici profili. 
L’art. 276, comma 1, CCII in tema di chiusura della procedura rimanda all’articolo 233 CCII. Quest’ultimo, si è detto che impone la chiusura “quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare neppure in parte i creditori concorsuali”. 
Dalla interpretazione letterale, una procedura di liquidazione controllata senza risorse per pagare le spese, e dunque una liquidazione “inefficiente”, si chiude per assenza di attivo se prima è stata aperta, diversamente non avrebbe significato la disposizione.
Da ciò si deduce che, a monte, è ammissibile una istanza in assenza di patrimonio che può essere immediatamente chiusa. 
Inoltre l’art. 268, comma 3, CCII prevede la c.d. “eccezione di incapienza” con la quale il debitore ha facoltà di contrastare la domanda di apertura della procedura proposta da un creditore. Su richiesta del debitore l’OCC attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie: tale eccezione, dunque, deve considerarsi un’eccezione in senso proprio e stretto dal momento che solo il debitore può incaricare l’OCC per attestare l’incapienza, non potendo il tribunale nominare il gestore d’ufficio per sollevare l’eccezione senza la collaborazione del debitore. Può pertanto concludersi che qualora il debitore decida di non sollevare l’eccezione di incapienza, la domanda del terzo sia ammissibile nonostante non vi sia patrimonio da liquidare. 
Infine perché un diniego del tribunale comporterebbe l’impossibilità per un debitore incapiente “immeritevole”, ovvero privo dei requisiti per l’incapiente, di accedere al beneficio dell’esdebitazione ex art. 283 CCII.
Una simile soluzione lascerebbe un’area soggettiva priva di una procedura concorsuale. Ciò sarebbe in contrasto con l’art. 2 lett c) del codice che fa ricadere sotto l’egida del sovraindebitamento tutte le posizioni soggettive per le quali non è previsto un istituto concorsuale specifico, dunque anche l’incapiente immeritevole.
Un ulteriore approfondimento in tema di accesso alla liquidazione controllata è stato sollevato in dottrina[19] con riguardo al caso in cui il patrimonio liquidabile sia costituito da un unico bene e quest’ultimo sia oggetto di una procedura esecutiva già aggiudicata. Occorre domandarsi se la vendita del bene nel corso della procedura esecutiva lo sottragga alla liquidazione. 
Un decreto[20] di apertura di una liquidazione del patrimonio[21], ha enucleato principi sovrapponibili alla liquidazione controllata. Nel provvedimento, il tribunale richiama Cass. 23993/2012 che in tema di conclusione di una procedura esecutiva immobiliare distingue (i) una fase conclusiva del processo espropriativo e (ii) una fase distributiva. La prima si conclude con l’ordine di pagamento impartito dal giudice dell’esecuzione al cancelliere, la seconda con il pagamento. Nel caso esaminato dal Tribunale di Reggio Emilia, l’ordine di pagamento apposto al progetto di distribuzione non aveva ancora avuto esecuzione all’apertura del concorso; pertanto, la somma ricavata dalla vendita forzata del bene poteva essere appresa dalla procedura di liquidazione e distribuita ai creditori in via concorsuale. Deve dunque concludersi che la procedura esecutiva non ancora conclusa con la distribuzione della somma ricavata è dichiarata improcedibile dal giorno dell’apertura della liquidazione ex art. 150 CCII e il liquidatore giudiziale può intervenire nell’esecuzione per chiedere la distribuzione dell’intero ricavato in favore della massa e distribuirlo tra i creditori concorsuali. 
8 . Effetti dell’apertura della liquidazione controllata
L’apertura della liquidazione controllata produce effetti analoghi a quelli della liquidazione giudiziale.
Il deposito della domanda sospende, ai soli fini del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali, maturandi sui crediti chirografari, fino alla chiusura della liquidazione (art. 268, comma 5, CCII). 
Ai sensi dell’art. 270, comma 5, CCII trovano applicazione (i) l’art. 143 CCII, che determina l’interruzione dei rapporti processuali pendenti; (ii) l’art. 150 CCII che dispone il blocco di tutte le azioni esecutive e cautelari anche dei creditori con causa o titolo successivo al momento dell’apertura della liquidazione controllata; (iii) l’art. 151 CCII che prevede l’apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del debitore e che ogni credito, anche quello esentato dal blocco delle azioni esecutive e cautelari, deve essere accertato dagli organi della procedura secondo il procedimento di accertamento del passivo.
Il legislatore disciplina i contratti pendenti al momento di apertura della procedura di liquidazione controllata in modo più semplificato rispetto alla liquidazione giudiziale (art. 270, comma 6, CCII).
La normativa prevede una fase intermedia, la sospensione del contratto, e subordina alla valutazione di opportunità e convenienza il subentro del liquidatore nell’accordo, sentito il debitore.
In caso di subentro, si può ritenere che i relativi diritti e obblighi andranno a vantaggio e a carico dei creditori della procedura, mentre in caso di scioglimento il contraente avrà diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto alcun risarcimento del danno.
Sul tema occorrerebbe distinguere tra i contratti che proseguiranno e verranno onorati dal debitore con il reddito sottratto alla massa nella misura stabilita dal giudice ex art. 268 quarto comma lett.a) e b), come il contratto di locazione per l’abitazione principale e i contratti che invece non riguardano la prosecuzione dell’attività negoziale libera del debitore, come ad esempio i contratti dell’impresa soggetta alla liquidazione controllata.
Solo per questi ultimi, mi pare sia predicabile la sospensione e il subentro, diversamente si verificherebbe una inammissibile e ultronea intromissione del liquidatore giudiziale nell’attività negoziale del debitore estranea al concorso.
Ciò trae conferma anche dal rinvio dell’art. 270, comma 5, CCII all’art. 143 CCII: nella liquidazione controllata, l’interruzione dei processi pendenti riguarda i rapporti di diritto patrimoniale compresi nella procedura, e dunque non le controversie che riguardano attività negoziali estranee al concorso, come ad esempio il procedimento di convalida di sfratto dell’abitazione del debitore, che non ha contenuto patrimoniale e non riguarda la procedura.
Diversamente, il blocco delle azioni esecutive stabilito dall’art. 270 quinto comma che rimanda agli artt. 150 e 151 CCII non conosce eccezioni: nemmeno con il mutuo fondiario può costituire un’eccezione perché la liquidazione controllata non è richiamata dalla disposizione fondativa del privilegio processuale dell’art. 41 TUB[22], da considerarsi norma speciale insuscettibile di applicazione analogica. Ai sensi dell’art. 150 CCII nessun creditore, infatti, dal giorno dell’apertura della procedura di liquidazione controllata può agire in via esecutiva o cautelare e ciò non solo per i crediti maturati prima dell’apertura bensì anche “per i crediti maturati durante” la liquidazione: pertanto anche i crediti prededotti devono essere registrati nello stato passivo per  essere pagati. La ratio della norma si fonda sulla volontà del legislatore, nell’ottica di avvicinamento della liquidazione controllata alla liquidazione giudiziale, di evitare che attraverso l’esercizio di azioni esecutive e cautelari alcuni creditori possano essere soddisfatti al di fuori del concorso e dunque sviare parte del patrimonio. 
A riguardo, va specificato che l’art. 277 CCII ricalca la precedente disposizione dell’art. 12 duodecies L. n. 3/2012, che attribuiva la prededuzione per i crediti relativi ad attività effettuate in funzione o in occasione della liquidazione. Si tratta all’evidenza di una disposizione che deroga all’art. 6 CCII. Mentre nella ristrutturazione dei debiti del consumatore e nel concordato minore i crediti sorti in funzione (legale, perito per gli immobili ad esempio) sono prededotti nella misura del settantacinque per cento e a condizione che sia aperto il concorso, nella liquidazione controllata essi devono sempre considerarsi al di fuori del concorso per espressa previsione di legge.
9 . La fase esecutiva
Dopo la sentenza di apertura, il liquidatore giudiziale deve accettare la carica come il curatore, dichiarando la propria indipendenza nelle forme dell’art. 126 CCII, pur non richiamato dalla liquidazione controllata ma da applicarsi analogicamente.
Il ministero infatti, impone un atto di accettazione della carica che ben potrebbe rivelarsi antieconomica per il professionista che potrebbe essere indotto a declinare la proposta di nomina, imponendo l’immediata individuazione di un altro liquidatore giudiziale.
Di fronte alle prime incertezze, il Ministero della Giustizia ha chiarito che non è dovuto un secondo contributo unificato per la fase esecutiva dopo quello utilizzato per il deposito-, nonostante le richieste di alcune cancellerie.[23]
Dopo aver curato la pubblicazione della sentenza sul sito del tribunale e nel registro delle imprese, il liquidatore (i) aggiorna l’elenco dei creditori a norma dell’art. 272, già  depositato in bozza ai sensi dell’art. 270, comma 2, lett. c): l’elenco aggiornato ha la funzione di individuare i destinatari della notifica della sentenza e dell’avviso per l’insinuazione al passivo; (ii) completa l’inventario dei beni del debitore; (iii) redige il programma di liquidazione entro novanta giorni dall’apertura che il giudice delegato dovrà approvare; per la forma del programma di liquidazione, il legislatore rinvia espressamente alla liquidazione giudiziale (art. 272 CCII); il liquidatore deve comunque seguire le regole generali sulla vendita dei beni nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili, secondo il principio della necessaria competitività delle vendite, funzionale al miglior esito della liquidazione, esclusa ogni forma di trattativa privata (art. 275, comma 2 CCII).
Previa autorizzazione del giudice delegato, il liquidatore può esperire o continuare le azioni indicate dalla legge che riguardino il patrimonio oggetto della liquidazione, ivi comprese le azioni revocatorie ordinarie (art. 274 CCII). Il potere di esercitare azioni revocatorie ordinarie ex art. 2901 c.c. certifica ulteriormente il fatto che, diversamente da quanto previsto dalla L. n. 3/2012 per la liquidazione del patrimonio (cfr. art. 14 quinquies, comma 1), nella liquidazione controllata il compimento di atti tesi a frodare le pretese creditorie non costituisce più un requisito ostativo di accesso oggetto di preliminare valutazione del giudice[24], posto che peraltro l’istanza può essere presentata dal terzo creditore e sarebbe paradossale che il debitore si difendesse allegando la sua frode per paralizzare  la richiesta di apertura della liquidazione controllata.
Il liquidatore forma, inoltre, lo stato passivo, una volta scaduto il termine decadenziale non superiore a 60 giorni (prorogabile di ulteriori 30 giorni ai sensi dell’art. 272, comma 1 CCII) per la trasmissione delle domande di ammissione al passivo.
Successivamente predispone il progetto di stato passivo in modo autonomo, salvo che vi siano contestazioni non superabili in sede di osservazioni al relativo progetto. Solo in tal caso, la questione viene trasmessa al giudice delegato dal liquidatore e questi decide con decreto motivato, reclamabile davanti al collegio.
Le domande tardive sono inammissibili soltanto se vi è prova del deposito del ricorso entro il termine di sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ha determinato il ritardo, senza la quale la domanda è inammissibile (art. 273 CCII).
Ogni 6 mesi il liquidatore deposita la relazione semestrale con cui riferisce al giudice delegato in ordine all’esecuzione del programma di liquidazione (art. 275, comma 1 CCII).
Terminata l’esecuzione, il liquidatore presenta al giudice il rendiconto.
Se il giudice delegato lo approva, liquida il compenso del liquidatore; se non approva il rendiconto, indica gli atti necessari al compimento della liquidazione o le opportune rettifiche da apportare al rendiconto.
Approvato il rendiconto, il liquidatore procede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione previa formazione di un progetto di riparto, da comunicare al debitore e ai creditori con termine non superiore a 15 giorni per osservazioni.
Se non vi sono osservazioni entro il termine, il liquidatore comunica il progetto di riparto al giudice, che senza indugio ne autorizza l’esecuzione.
Le eventuali osservazioni dovranno essere composte dal liquidatore, eventualmente modificando il riparto; ove le contestazioni non siano superabili, esse dovranno essere rimesse al giudice delegato, che provvede con ordinanza reclamabile nelle forme dell’art. 124 CCII.
La procedura si chiude con decreto, deve ritenersi previa istanza del liquidatore.
10 . Esdebitazione (cenni)
Ai sensi dell’art. 282 CCII, l’esdebitazione opera di diritto ed è pronunciata decorsi 3 anni dalla sentenza di apertura della liquidazione controllata o con il decreto di chiusura se emesso anteriormente. 
Nel caso in cui la liquidazione controllata si concluda prima del decorso dei tre anni l’art. 281, comma 1, CCII prevede che il tribunale contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura e verificata la sussistenza delle condizioni, dichiara inesigibili i debiti non soddisfatti nel concorso.
Le condizioni per l’accesso al beneficio sono definite per richiamo all’esdebitazione per l’imprenditore soggetto a liquidazione giudiziale (art. 280 CCII).
Il consumatore, inoltre, non deve aver determinato il sovraindebitamento con colpa grave, dolo o malafede né aver beneficiato dell’esdebitazione nei due anni precedenti o essere stato esdebitato con altri istituti nei cinque anni anteriori.
Scompare l’apprezzamento di una qualche misura di pagamento ai creditori concorsuali, precedentemente prevista dall’art. 14 terdecies, lett. f), L. n. 3/2012 quale condizione per l’accesso al beneficio.
Si deve pertanto concludere che il diritto all’esdebitazione, sancito dall’art. 279 CCII sia consentito da una liquidazione controllata priva di attivo da distribuire, perché diversamente il legislatore avrebbe mantenuto la precedente condizione ostativa del riparto minimo ai creditori quale condizione di accesso.
L’interesse pubblico economico legato alla richiesta di esdebitazione, riversato nel diritto all’esdebitazione è il portato anche della direttiva Insolvency, che all’art 21 sancisce che la trasformazione dei debiti in obbligazioni naturali debba essere automatica dopo tre anni e debba intervenire senza l’intervento dell’autorità giurisdizionale.
In questo modo si spiega l’esdebitazione “di diritto” ex art. 282 CCII: essa è dichiarata perché si determina in modo automatico nel mondo del diritto senza che l’intervento del giudice sia determinante.
L’istituto è stato oggetto di qualche sporadica riflessione in dottrina[25]. In particolare è stato sostenuto che visto l’automatismo, è sufficiente lo spirare di suddetto termine perché il giudice conceda il beneficio anche qualora sussista una delle condizioni ostative di cui ai citati art. 280 e 282 CCII; ai creditori pertanto rimarrebbe la possibilità di impugnare (nelle forme di cui all’art. 124 CCII) il provvedimento entro 30 giorni decorrenti dalla comunicazione della chiusura della liquidazione controllata. 
Le condizioni per l’esdebitazione di cui agli all’art 280-282 si devono così considerare presuntivamente esistenti: i creditori potranno poi opporsi se dovessero ritenere insussistenti i presupposti, preventivamente informati dalle relazioni riepilogative del liquidatore giudiziale. 
Lo stesso art. 282, comma 2, CCII prevede che l’esdebitazione non operi nelle ipotesi di cui all’art. 280 e nei casi in cui il debitore abbia causato la situazione di sovraindebitamento con dolo, colpa grave o malafede se consumatore; deve dunque considerarsi implicito un vaglio del tribunale finalizzato ad escludere la sussistenza delle condizioni ostative, avente natura di accertamento. Tanto più che il comma terzo concede al debitore la possibilità di impugnare, nello stesso termine e nella stessa forma concessa ai creditori, il provvedimento “con cui il tribunale dichiara la sussistenza delle preclusioni”.   
L’esdebitazione opera trasformando le obbligazioni non soddisfatte dal concorso in obbligazioni naturali e, quindi, inesigibili.
Per i creditori che non hanno proposto insinuazione al passivo l’effetto è limitato alla porzione di credito eccedente il riparto percepito dagli altri creditori.
11 . Considerazioni conclusive
A differenza delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, la ristrutturazione dei debiti del consumatore e il concordato minore, che costituiscono strumenti alternativi del solo debitore, la liquidazione controllata, al pari della liquidazione giudiziale, rappresenta uno strumento residuale per la definizione della crisi da sovraindebitamento aperto anche all’iniziativa di terzi.
Ne consegue che le condizioni di accesso debbano essere considerate meno stringenti rispetto alle altre procedure di sovraindebitamento del codice della crisi, poiché essa non si risolve in un beneficio per il sovraindebitato ma in un’opportunità di liquidazione collettiva a favore di tutti i creditori, con le modalità distributive tipiche del concorso e non dell’esecuzione individuale per tutti i creditori e non solo per gli intervenuti nell’esecuzione individuale
Il riconoscimento della legittimazione attiva anche ai creditori (e non più al solo debitore come nella vigenza della L. n. 3/2012) sposta il baricentro dell’istituto da strumento di difesa del debitore a strumento di esitazione del credito.
L’intento di assicurare a tutti i creditori una tutela effettiva all’interno del concorso per il debitore civile risponde, d’altronde, ad un principio di giustizia sociale espresso da una lungimirantissima dottrina, che a cavallo delle due guerre, così definiva l’insolvenza del debitore civile: “Finché l’attivo di un patrimonio eccede il passivo, il legislatore può lasciare che ogni creditore eserciti spontaneamente il proprio diritto. Ma quando quel patrimonio non basta per tutti, la libertà delle esecuzioni individuali costituisce un premio ai creditori più pronti, più vicini, meno scrupolosi, a scapito dei più benevoli, dei più lontani, che per lo più giungeranno dopo che il patrimonio del debitore è esaurito. Un dovere di giustizia sociale impone in quel frangente al legislatore l’obbligo di costituire una massa di tutti i beni del debitore, affinché si ripartiscano fra tutti i suoi creditori nella stessa misura, e questi siano compagni nelle perdite come furono compagni nella fiducia verso il debitore comune” (VIVANTE).

Note:

[1] 
F.M. Cocco, Vademecum per la liquidazione controllata del sovraindebitato, in ilfallimentarista.it, 23 novembre 2022.
[2] 
D. Manente, B. Baessato, La disciplina delle crisi da sovraindebitamento (a cura di), 2021, ed. I, 481 ss.
[3] 
D. Manente, B. Baessato, La disciplina delle crisi da sovraindebitamento (a cura di), 2021, ed. I, 481 ss.
[4] 
F.M. Cocco, Vademecum per la liquidazione controllata del sovraindebitato, in Ilfallimentarista.it, 23 novembre 2022. 
[5] 
Il Tribunale di Genova in due sentenze reperibili in Ilcaso.it, rispettivamente del 18 e 22 agosto 2022, ha dichiarato aperta la liquidazione controllata essendo il debitore in stato di sovraindebitamento “come risulta dall’esistenza di assenza di patrimonio liquidabile, precetti ed esecuzioni infruttuose per assenza di beni tutte circostanze che dimostrano come il debitore non abbia più credito di terzi e mezzi finanziari propri per soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni”.
[6] 
Il riferimento alla legittimazione del p.m. nell’art. 271 CCII deve considerarsi un refuso dovuto alla mancanza di coordinamento dell’ultima versione del testo.
[7] 
In tema di ricorso per la ristrutturazione dei debiti del consumatore, ha dichiarato inammissibile la domanda Trib. Grosseto, 19 settembre 2022, Est. Frosini, In Ilcaso.it.
[8] 
Cfr. in questo senso F.M. Cocco, Vademecum per la liquidazione controllata del sovraindebitato, in Ilfallimentarista.it, 23 novembre 2022, secondo la quale “la mancata fissazione di documenti minimi da allegare determina una situazione finanche troppo liquida per il debitore (salvo che non sia assistito da un professionista)”.
[9] 
Si veda G. Limitone, La necessità di accesso alle banche dati nel sovraindebitamento, Ilcaso.it, 2023.
[10] 
D. Manente, B. Baessato, La disciplina delle crisi da sovraindebitamento (a cura di), 2021, ed. I, 481 ss.
[11] 
Cfr. (nt), 7. 
[12] 
D. Manente, B. Baessato, La disciplina delle crisi da sovraindebitamento (a cura di), 2021, ed. I, 481 ss.
[13] 
Si veda Corte costituzionale Corte Costituzionale, 10 marzo 2022, n.65, mi si permetta di rimandare a F. Cesare, La Corte Costituzionale equipara assegnazione e cessione del quinto come crediti di massa, ilfallimentarista.it, 2022.
[14] 
Reperibile in Ilcaso.it.
[15] 
Cfr. nota 5.
[16] 
Si veda A. Mancini, Liquidazione controllata del sovraindebitato: e’ ammissibile in carenza di beni o redditi futuri, In Ilcaso.it, 2023. Si veda anche F. Cesare, La liquidazione controllata, www.Ilfallimentarista.it, 2022, Primi orientamenti in tema di liquidazione controllata¸ nella stessa Rivista, 2023.
[17] 
Si veda ancora per la giurisprudenza non ammissiva della liquidazione del patrimonio senza beni Mancini, A. Liquidazione controllata del sovraindebitato: è ammissibile in carenza di beni o redditi futuri, In Ilcaso.it, 2023.
[18] 
Sono contrari Tribunale Rimini, 23 Dicembre 2022 e Tribunale di Mantova, decreto del 27.9.2022.
[19] 
F. Ioverno, Liquidazione controllata e procedura esecutiva individuale, in Ilfallimentarista.it, 9 novembre 2022.
[20] 
Cfr. Tribunale di Reggio Emilia 17 maggio 2022, sul punto stabilisce che “deve ritenersi ammissibile la liquidazione del patrimonio ai sensi dell’art. 14 ter L. n. 3/2012 anche quando il debitore metta a disposizione della massa dei creditori il ricavato della vendita forzata di un immobile in una procedura esecutiva immobiliare ancora pendente (..)”.
[21] 
Sul punto la dottrina v. (nt. 12) ritiene che la conclusione alla quale è giunto il giudice estensore del decreto (Trib. Reggio Emilia) sia suscettibile di applicazione anche per quanto riguarda la liquidazione controllata dal momento che il CCII non ha apportato modifiche in tema di effetti dell’apertura della liquidazione rispetto alla legge 3/2012. 
[22] 
Per una prima disamina della giurisprudenza che nega il privilegio fondiario si veda F. Cesare, L. Calò, Inapplicabilità del privilegio fondiario al sovraindebitamento, In Ilfallimentarista.it, 2018.
[23] 
Si tratta del provvedimento del 7 febbraio 2023 del Ministero della Giustizia in risposta a un quesito del Tribunale di Torino. 
[24] 
F.M. Cocco, Vademecum per la liquidazione controllata del sovraindebitato, in Ilfallimentarista.it, 23 novembre 2023.
[25] 
A. Mancini, Liquidazione controllata: durata della procedura ed effetti esdebitatori (Breve nota a Tribunale di Bologna 29 settembre 2022 e Tribunale di Padova 20 ottobre 2022), in Ilcaso.it, 4, 21 novembre 2022.

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