La liquidazione controllata coinvolge l’intero patrimonio del sovraindebitato, con esclusione (i) dei crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. in tema di espropriazione forzata presso terzi, ivi compreso il quinto dello stipendio eventualmente ceduto in garanzia[13]; (ii) i crediti per alimenti e per mantenimento, la retribuzione, la pensione e ciò che il debitore guadagna con la propria attività nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia; (iii) delle cose non pignorabili per disposizione di legge; (iv) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i loro frutti, salvo quanto previsto dall’art. 170 c.c. in tema di esecuzione sui beni ricompresi nel fondo patrimoniale.
La misura del mantenimento verrà spesso indicata dal gestore nella relazione iniziale nella prospettazione dell’attivo, ancorché la misura del sostentamento non sia esplicitamente richiesta. Ben difficilmente quest’ultimo smentirà l’originaria ripartizione una volta aperto il concorso nell’istanza da rivolgere al giudice per la fissazione dell’importo del reddito da destinare alla massa.
La conferma del gestore alla figura del liquidatore ha dunque la funzione di ridurre l’imprevedibilità dell’apporto reddituale del debitore per la durata della procedura.
L’importo trova un limite incomprimibile nella frazione impignorabile, ma può essere fissato in un limite più elevato e più favorevole al debitore di fronte a comprovate circostanze (si pensi ad esempio a un elenco di spese mediche per i familiari particolarmente significativo, a un nucleo familiare con molti figli o a un piccolo imprenditore o un professionista che necessiti di risorse da investire per l’attività).
I limiti di pignorabilità dello stipendio e delle pensioni dovrebbero essere i medesimi dell’art. 545 c.p.c. come accertato nel regime della legge 3/2012 dal Tribunale di Milano 10 aprile 2019[14] in sede di reclamo, con la possibilità per il Tribunale di rivederli sono in senso più favorevole per il debitore.
Merita un cenno l’esclusione dei beni costituenti patrimonio separato per i bisogni della famiglia.
L’art. 170 c.c. stabilisce che l’esecuzione sui beni del fondo non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Occorre dunque coordinare l’art. 268, comma 3, CCII con l’art. 170 c.c.
Il creditore titolare di un credito derivante da esigenze famigliari del debitore, a prima vista, sembra poter agire in executivis su beni ricompresi nel fondo patrimoniale anche in pendenza della procedura di liquidazione controllata.
Tale iniziativa verrebbe però paralizzata dal blocco di azioni esecutive e cautelari previsto dell’art. 270, comma 5 CCII, con la conseguenza che, se così fosse, il disposto dell’art. 170 c.c. richiamato dall’art. 268, comma 3 CCII resterebbe lettera morta.
La risposta è allora probabilmente contenuta nell’art. 274 CCII, che attribuisce al liquidatore il potere di esperire o continuare le azioni relative al patrimonio oggetto di liquidazione, ivi comprese le azioni revocatorie ordinarie.
Si può quindi ipotizzare che il liquidatore possa agire per la revoca del fondo patrimoniale e il debitore potrà difendersi dimostrando la notoria destinazione dei beni segregati ai bisogni della famiglia.
Un tema rilevante è l’ammissibilità di una liquidazione controllata in assenza di patrimonio.
Sul tema il Tribunale di Genova del 22 agosto 2022[15] e il Tribunale di Milano 12 gennaio 2023 [16] hanno incidentalmente indicato che non vi era alcun bene da incamerare quale presupposto del sovraindebitamento. Da simili pronunce può desumersi come la giurisprudenza inizi ad avere le prime aperture in rottura con la tradizionale chiusura maturata sotto l’esperienza della legge 3/2012[17].
L’orientamento contrario[18] per la verità fa leva sull’art. 233 CCII, che impone la chiusura della procedura se l’attivo non può prospettare l’incameramento nemmeno delle spese di procedura: di qui se ne trarrebbe un principio di economicità che impedirebbe l’accesso alla liquidazione controllata siccome inefficiente.
Tale orientamento non pare essere condivisibile sotto molteplici profili.
L’art. 276, comma 1, CCII in tema di chiusura della procedura rimanda all’articolo 233 CCII. Quest’ultimo, si è detto che impone la chiusura “quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare neppure in parte i creditori concorsuali”.
Dalla interpretazione letterale, una procedura di liquidazione controllata senza risorse per pagare le spese, e dunque una liquidazione “inefficiente”, si chiude per assenza di attivo se prima è stata aperta, diversamente non avrebbe significato la disposizione.
Da ciò si deduce che, a monte, è ammissibile una istanza in assenza di patrimonio che può essere immediatamente chiusa.
Inoltre l’art. 268, comma 3, CCII prevede la c.d. “eccezione di incapienza” con la quale il debitore ha facoltà di contrastare la domanda di apertura della procedura proposta da un creditore. Su richiesta del debitore l’OCC attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie: tale eccezione, dunque, deve considerarsi un’eccezione in senso proprio e stretto dal momento che solo il debitore può incaricare l’OCC per attestare l’incapienza, non potendo il tribunale nominare il gestore d’ufficio per sollevare l’eccezione senza la collaborazione del debitore. Può pertanto concludersi che qualora il debitore decida di non sollevare l’eccezione di incapienza, la domanda del terzo sia ammissibile nonostante non vi sia patrimonio da liquidare.
Infine perché un diniego del tribunale comporterebbe l’impossibilità per un debitore incapiente “immeritevole”, ovvero privo dei requisiti per l’incapiente, di accedere al beneficio dell’esdebitazione ex art. 283 CCII.
Una simile soluzione lascerebbe un’area soggettiva priva di una procedura concorsuale. Ciò sarebbe in contrasto con l’art. 2 lett c) del codice che fa ricadere sotto l’egida del sovraindebitamento tutte le posizioni soggettive per le quali non è previsto un istituto concorsuale specifico, dunque anche l’incapiente immeritevole.
Un ulteriore approfondimento in tema di accesso alla liquidazione controllata è stato sollevato in dottrina[19] con riguardo al caso in cui il patrimonio liquidabile sia costituito da un unico bene e quest’ultimo sia oggetto di una procedura esecutiva già aggiudicata. Occorre domandarsi se la vendita del bene nel corso della procedura esecutiva lo sottragga alla liquidazione.
Un decreto[20] di apertura di una liquidazione del patrimonio[21], ha enucleato principi sovrapponibili alla liquidazione controllata. Nel provvedimento, il tribunale richiama Cass. 23993/2012 che in tema di conclusione di una procedura esecutiva immobiliare distingue (i) una fase conclusiva del processo espropriativo e (ii) una fase distributiva. La prima si conclude con l’ordine di pagamento impartito dal giudice dell’esecuzione al cancelliere, la seconda con il pagamento. Nel caso esaminato dal Tribunale di Reggio Emilia, l’ordine di pagamento apposto al progetto di distribuzione non aveva ancora avuto esecuzione all’apertura del concorso; pertanto, la somma ricavata dalla vendita forzata del bene poteva essere appresa dalla procedura di liquidazione e distribuita ai creditori in via concorsuale. Deve dunque concludersi che la procedura esecutiva non ancora conclusa con la distribuzione della somma ricavata è dichiarata improcedibile dal giorno dell’apertura della liquidazione ex art. 150 CCII e il liquidatore giudiziale può intervenire nell’esecuzione per chiedere la distribuzione dell’intero ricavato in favore della massa e distribuirlo tra i creditori concorsuali.