In considerazione della ricostruzione (riportata nel precedente paragrafo 2.1) sulla “natura duale” che caratterizzava l’originario comma 4 dell’art. 55 del TUIR previgente e che ora caratterizza il comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR, nel prevedere un trattamento fiscale delle riduzioni dei debiti derivanti da procedure liquidatorie distinto rispetto a quello inerente alle sopravvenienze derivanti da istituti di risanamento, si deve ritenere che l’esclusione da tassazione indicata dal primo periodo del comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR concerne anche quelle discendenti dall’omologazione del concordato semplificato liquidatorio, seppur in assenza di una espressa menzione di tale procedura.
Si tratta, infatti, di una procedura concorsuale che, indipendentemente dalla sua natura autonoma o meno, presenta sotto il profilo sostanziale le medesime caratteristiche del concordato preventivo con cessione dei beni, in relazione al quale il legislatore del TUIR ha escluso in radice la rilevanza fiscale della sopravvenienza derivante dall’esdebitazione generata da tali procedure.
Tra le disposizioni disciplinanti il concordato preventivo che si applicano al concordato semplificato, infatti, l’art. 25 sexies richiama espressamente l’art. 117 del Codice della crisi, che stabilisce testualmente quanto segue: “Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso”. È da detta norma che discende l’effetto esdebitatorio che contraddistingue i “concordati giudiziali”, tanto nella liquidazione giudiziale quanto nella fase preventiva rispetto a essa. Ed è a questa accezione che il comma 4 dell’art. 55 del TUIR previgente intendeva riferirsi al momento della sua introduzione nell’ordinamento delle imposte sui redditi, allorché le uniche forme di concordato contemplate dall’ordinamento giuridico erano rappresentate dal concordato fallimentare, dal concordato con cessione dei beni e dal concordato con garanzia. Ed è sempre ai “concordati liquidatori” che continua a riferirsi tuttora il comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR, che nel secondo periodo, con una locuzione analogamente atecnica, si riferisce ai “concordati di risanamento”; viceversa nel primo periodo dispone in merito ai “concordati giudiziali liquidatori”, ovverosia ai concordati da cui deriva la liquidazione del patrimonio del debitore, i cui effetti a seguito della omologazione si producono coattivamente nei confronti di tutti i creditori (anche su quelli che non vi hanno aderito), ivi compresi - come peraltro rammentato dalla stessa Agenzia – i concordati regolati da “procedure estere equivalenti” che, giocoforza hanno un nomen iuris (e probabilmente non solo la denominazione) differente da “concordato fallimentare o preventivo liquidatorio”.
Infatti, in questi casi l’effetto esdebitatorio conseguente all’omologazione del concordato non può – di regola – generare alcun reddito per l’impresa debitrice, perché è diretto unicamente a riassorbire il deficit patrimoniale gravante sulle stessa. Tale deficit corrisponde, infatti, alla differenza negativa tra il valore di liquidazione attribuibile alle attività dell’impresa debitrice e i debiti maturati dalla stessa al momento di accesso alla procedura concordataria con esclusiva finalità liquidatoria, per cui (fatta eccezione per il raro caso di emersione di un “residuo attivo” che in quanto tale dovrebbe concorrere a formare il reddito, quanto meno secondo l’orientamento preferibile) nemmeno si pone il problema di dover determinare il reddito maturato nel corso di una procedura concorsuale destinata a terminare con un patrimonio netto esattamente pari a zero o, a seconda dell’esito della liquidazione, addirittura con la permanenza di un patrimonio netto negativo.
Dalle considerazioni che precedono discende quindi che:
i) i termini “concordato fallimentare”, “concordato preventivo” e “concordato di risanamento” utilizzati nel comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR vanno intesi nel senso di “concordato giudiziale” ovverosia di “concordato soggetto a omologazione da parte dell’autorità giudiziaria”, in cui rientra certamente anche il “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” di cui all’art. 25 sexies del Codice della crisi;
ii) la detassazione integrale e incondizionata delle sopravvenienze attive da esdebitazione prevista dal primo periodo del citato comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR è una conseguenza diretta della - ed è indissolubilmente connessa alla - natura liquidatoria del concordato giudiziale che prevede l’integrale liquidazione del patrimonio dell’impresa debitrice e, in quanto tale, è insuscettibile di esprimere capacità contributiva (salvo che in presenza di un residuo attivo all’esito della liquidazione); natura liquidatoria che certamente ricorre nel caso del “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” di cui all’art. 25 sexies del Codice della crisi, che può infatti essere solo liquidatorio.
Alla medesima conclusione sopra esposta si giungerebbe, peraltro, anche nel caso in cui non si condividesse la ricostruzione sulla distinta ratio sottostante il primo e il secondo periodo del comma 4 ter dell’art. 88, e dunque laddove si considerasse anche il primo periodo come una norma di esenzione/agevolazione tributaria, diretta a favorire la soluzione di accertate crisi d’impresa sollevando il debitore dall’onere impositivo gravante in generale sull’esdebitazione[3].
Infatti, anche in base a questa diversa opinione (che comunque è da rigettare alla luce delle risultanze degli atti parlamentari dapprima descritte e delle considerazioni ivi espresse) varrebbe in toto quanto dapprima rappresentato in ordine all’espressione atecnica di “concordato fallimentare o preventivo liquidatorio” presente dall’art. 88, comma 4 ter, primo periodo, del TUIR, con cui il legislatore tributario ha inteso riferirsi in generale ai concordati giudiziali liquidatori. Pertanto, in tale disposizione rientrano naturaliter, e dunque senza dover ricorrere in alcun modo a un’interpretazione estensiva o analogica della stessa ma anche solo in base alla sua interpretazione semplicemente letterale, le riduzioni dei debiti conseguenti all’omologa del “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”.
Tant’è che la stessa Agenzia delle Entrate, nell’ambito della circolare n. 26/E del 22 marzo 2002, ha mostrato di condividere questa interpretazione con riferimento al concordato proposto ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, cioè all’interno della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza. In tale occasione l’Agenzia, infatti, senza entrare nel merito della natura attribuibile alla disposizione allora contenuta nel comma 4 dell’art. 55 del TUIR, corrispondente all’attuale comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR (ovverosia se si trattasse di una disposizione costituente diretta espressione di un principio generale insito nell’ordinamento delle imposte sui redditi oppure se costituente norma di esenzione o agevolazione tributaria), evidenziò che nell’allora vigente legge fallimentare il termine “concordato” era sempre utilizzato senza ulteriore specificazione con riferimento al concordato fallimentare (artt. 124 e seguenti), al concordato preventivo (artt. 160 e seguenti), all’amministrazione controllata (art. 192) e alla liquidazione coatta amministrativa (artt. 214 e 215), per indicare quelle fattispecie che attraverso l’accordo tra debitore e creditori determinano la cessazione della procedura concorsuale. Tutte le suddette tipologie di concordato, osservò l’Agenzia, “sono ispirate alla medesima ratio. Esse, infatti, favoriscono un accordo tra il debitore ed i creditori finalizzato ad eliminare l’insolvenza, rispettando la par condicio creditorum, ed evitare l’avvio o la prosecuzione di procedure concorsuali complesse, dispendiose e finalizzate prevalentemente alla liquidazione della struttura produttiva. In ogni caso, inoltre, nel concordato viene garantito il soddisfacimento integrale dei crediti privilegiati e parziale di quelli chirografari, attraverso un particolare accordo raggiunto tra debitore e creditori chirografari ed assoggettato ad un controllo di legalità e convenienza da parte dell’autorità giudiziaria, o di vigilanza, a tutela degli interessi di tutti i creditori” (l’affermazione concernente il pagamento integrale dei creditori privilegiati era ovviamente riferita all’obbligo all’epoca stabilito dalla legge fallimentare). In ragione di ciò, l’Agenzia concluse per la piena simmetria tra il concordato disciplinato dall’art. 124 e seguenti della legge fallimentare e le altre procedure concordatarie contenute nella stessa legge fallimentare, da un lato, e la particolare forma di concordato disciplinata dal D.Lgs. n. 270/99,nell’ambito della quale l’imprenditore può essere autorizzato dall’autorità di vigilanza a proporre il concordato, ritenendo applicabile l’art. 55, comma 4, del TUIR all’epoca vigente alle riduzioni dei debiti discendenti dall’omologazione di detto tipo di concordato, seppur non trattandosi letteralmente né di un concordato fallimentare né di un concordato preventivo.
Ne discende quindi, secondo i principi espressi - seppur con riguardo a una diversa fattispecie - dalla stessa Agenzia delle Entrate, che anche in base alla semplice lettera dell’art. 88, comma 4 ter, TUIR, le sopravvenienze conseguite nel concordato semplificato sono da considerare detassate.
Tale detassazione risulta del tutto naturale anche sotto il profilo teleologico, in ragione dell’identità funzionale e dell’affinità strutturale esistenti tra tale tipo concordato e il concordato preventivo liquidatorio.
Infatti, il concordato semplificato liquidatorio condivide con il concordato preventivo liquidatorio la medesima funzione, ovverosia quella di consentire la ristrutturazione dei debiti anche mediante la liquidazione del patrimonio dell’impresa debitrice, purché essa sia per i creditori più conveniente della liquidazione giudiziale disciplinata dagli artt. 121 e seguenti. In considerazione della comune funzione e della comune finalità delle procedure di cui trattasi, non sussiste pertanto alcuna ragione per escludere dalla detassazione prevista dal citato comma 4 ter le riduzioni dei debiti derivanti dal concordato semplificato, non assolvendo esso una funzione diversa né perseguendo esso finalità diversa rispetto al concordato preventivo liquidatorio, al concordato preventivo in continuità, agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 57 del Codice Crisi e finanche al piano attestato di risanamento: in tutti questi casi, infatti, la riduzione dei debiti è la misura necessaria per consentire all’impresa debitrice di uscire dalle crisi in cui si trova o di ristrutturare i propri debiti, nell’interesse proprio, dei suoi creditori e, a seconda dei casi, anche della collettività.
L’inapplicabilità delle disposizioni del comma 4 ter dell’art. 88 al concordato semplificato liquidatorio si rivelerebbe perciò illegittima anche sotto il profilo costituzionale, visto che il concordato semplificato e gli istituti attualmente menzionati dal comma 4 ter appaiono effettivamente rispondere a una medesima ratio e presentano l’elemento oggettivo comune costituito dalla risoluzione della crisi, sebbene disciplinati da regole parzialmente diverse. Inoltre, essa si potrebbe rivelare foriera di effetti distorsivi della libera concorrenza, con conseguente violazione dell’art. 41 Cost., attribuendo un regime fiscale più favorevole alle imprese che fanno ricorso agli istituti al momento espressamente elencati dall’art. 88, comma 4 ter, del TUIR.
L’esclusione della detassazione delle riduzioni dei debiti derivanti dal concordato semplificato, dunque, integrerebbe una irragionevole e ingiustificata discriminazione rispetto al regime fiscale accordato a quelle derivanti dagli altri istituti contemplati dal comma 4 ter, che il giudice delle leggi sarebbe chiamato a rimuovere dichiarandone l’illegittimità o, meglio, salvo non censurarne la legittimità sotto il profilo costituzionale solo in virtù di un’interpretazione adeguatrice - che la eliminerebbe in radice – in base alla quale la detassazione di cui trattasi sia da considerare applicabile anche alle sopravvenienze da esdebitazione conseguite a seguito della omologazione del “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” di cui all’art. 25 sexies del Codice della crisi.
Del resto, sono pacificamente ritenuti applicabili anche al concordato semplificato liquidatorio i reati fallimentari punibili in caso di concordato preventivo. Pertanto, se l’equiparazione tra i due istituti è operata persino in questo ambito, in cui le norme sono necessariamente di stretta interpretazione, a maggior ragione tale equiparazione deve essere accolta anche nel diritto tributario.
Si deve perciò concludere che, trovando causa nell’effetto esdebitatorio discendente da un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, le sopravvenienze attive da esdebitazione conseguenti all’omologazione del concordato semplificato liquidatorio non concorrono a formare il reddito dell’impresa debitrice ai sensi dell’art. 88, comma 4 ter, primo periodo, del TUIR, indipendentemente dalla natura attribuibile a detta norma, cioè sia che si tratti della diretta espressione di un principio generale insito nell’ordinamento delle imposte sui redditi, come a nostro avviso è corretto ritenere, sia che si tratti di un’esenzione o agevolazione tributaria, rientrando comunque il concordato semplificato tra le procedure oggetto della norma, in quanto “concordato giudiziale”.
Dalla mancata menzione del concordato semplificato liquidatorio nell’art. 88, comma 4 ter, del TUIR ovvero nell’art. 14, comma 5, del D.L. n. 118/2021 (poi trasfuso nel comma 5 dell’art. 25 bis del Codice della crisi) non si può quindi in alcun modo dedurre l’imponibilità delle riduzioni dei debiti discendenti dall’omologazione di tale procedura, che invece sono da considerare anch’esse non imponibili.
La mancata menzione della stessa è infatti dovuta al fatto che, per i motivi esposti, di essa, in base alle già vigenti disposizioni dell’art. 88, non vi è bisogno per escludere dall’imposizione le sopravvenienze attive di cui trattasi; tant’è che l’esigenza di un’integrazione di tali disposizioni è stata esclusa dallo stesso legislatore quando ha introdotto nell’ordinamento il concordato semplificato, sul presupposto della riconducibilità di questo istituto al concordato preventivo. Una conferma di quanto testé affermato deriva dall’art. 9, comma 1, lett. a), n. 3), della legge delega, che - con finalità ricognitiva e non innovativa - prevede l’applicazione espressa delle disposizioni contenute nel comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR a tutti gli istituti disciplinati dal Codice della crisi e, quindi, anche al concordato semplificato liquidatorio. Poiché lo schema del relativo decreto legislativo è pronto da tempo, si tratta solo di consentire al legislatore delegato di trovare il modo di adeguare il testo del comma 4 ter dell’art. 88 del TUIR alle diverse novità introdotte con il Codice della crisi (come del resto già accaduto in occasione della riforma organica delle procedure concorsuali risalente agli anni 2005 e 2007), precisando a scanso di equivoci – a beneficio soprattutto di istituti diversi dal concordato semplificato - quanto è in realtà già chiaro, in particolare relativamente a quest’ultima procedura.
È circostanza da escludere in radice che la previsione destinata a essere introdotta in attuazione dell’art. 9 della legge delega possa essere erroneamente considerata innovativa, escludendone conseguentemente, mediante un semplicistico e decontestualizzato ragionamento “a contrario”, la possibilità di applicazione anche anteriormente alla sua entrata in vigore. Infatti, la circostanza che il citato comma 4 ter non menzioni, o non menzioni ancora espressamente, il concordato semplificato liquidatorio non esclude in alcun modo che le sopravvenienze di cui trattasi non siano già detassate, per i motivi esposti nei precedenti paragrafi, e in particolare in considerazione della natura liquidatoria del concordato semplificato, che prevede l’integrale liquidazione del patrimonio dell’impresa debitrice e, in quanto tale, è insuscettibile di esprimere capacità contributiva (salvo che in presenza di un residuo attivo all’esito della liquidazione).