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Saggio

Le possibili soluzioni a disposizione del curatore rispetto al trust istituito dal disponente fallito in proprio*

Annapaola Tonelli, Avvocato in Bologna

29 Novembre 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Modena, 26 aprile 2023, Est. Cifarelli

Visualizza: Trib. Bologna, 17 agosto 2020, Est. Rossi

La nota propone alcune soluzioni per il curatore che si trovi davanti un trust valido ed opponibile alla curatela, istituito dall’ accomandatario, successivamente fallito in proprio, con beni di sua proprietà e a beneficio dei creditori sociali. Nello specifico si evidenziano, attraverso un confronto fra il diritto dei trust e il diritto concorsuale, gli effetti conseguenti alla prevalenza delle norme pubblicistiche, rispetto al negozio privatistico, facendo divenire il curatore la sola figura verso la quale possa essere diretta l’obbligazione fiduciaria enunciata dal disponente. In ragione della natura di bare trust acquisita dal trust originario e della posizione absolutely entitled sul fondo in trust del curatore, si prospettano le possibili azioni del curatore, tutte in grado di ricomprendere alla massa attiva, i beni del fallito segregati nel trust. Vieni da ultimo analizzato un caso diverso, rappresentato dal trust istituito dal disponente, poi fallito in proprio, a vantaggio di sé stesso e dei suoi famigliari, rappresentando la soluzione strategica adottata dal curatore, con il supporto del giudice delegato e con la collaborazione del trustee, che ha permesso una rapida acquisizione dei beni all’attivo, senza avviare alcuna azione giudiziale.
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1 . Premesse
La recente decisione del Tribunale di Modena 26 aprile 2023[1], unitamente ad un caso inedito che ha interessato il Tribunale di Bologna nel 2020, ci offrono l’occasione per condividere una riflessione in punto alle soluzioni che possa adottare il curatore allorché si imbatta in un trust istituito da un disponente, successivamente fallito in proprio.
Il tema è di estrema attualità attesa la crescente frequenza con la quale vengono istituiti trust liquidatori, alternativi alla liquidazione civilistica, aventi ad oggetto beni sociali, o beni di proprietà dell’imprenditore illimitatamente responsabile, e poi segua il fallimento (o liquidazione giudiziale) della società, esteso a quest’ultimo.
Dopo un convulso susseguirsi di decisioni di merito[2] che hanno tentato di individuare il rimedio più efficace in queste situazioni[3], la Corte di Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 10105 del 9 maggio 2014[4] che rappresenta un vero e proprio spartiacque, avendo individuato con chiarezza le soluzioni adottabili, distinguendo la validità del trust liquidatorio, alternativo alla soluzione civilistica, istituito dalla impresa in bonis, rispetto alle misure volte a sanzionare i trust “anticoncorsuali” istituiti dall’impresa insolvente.
In questo contesto, si possono individuare due fattispecie di trust istituito dall’imprenditore, fallito in proprio, con beni suoi personali: quella che abbia quali beneficiari, il fallito stesso e i suoi famigliari (di cui rappresenta un esempio il caso trattato al § 6) e quella che individui quali beneficiari i creditori sociali. 
In particolare, vorremmo prospettare delle soluzioni alternative all’ inefficacia, revocatoria fallimentare o ordinaria che, per quanto concerne la vicenda modenese, potrebbero essere di utilità, trattandosi di un curatore che non potendo più azionare nessuno dei rimedi suddetti, voleva comunque ricomprendere nella massa attiva, i beni del fallito confluiti nel trust.
Dobbiamo altresì doverosamente rammentare che le soluzioni che prospettiamo furono suggerite dalla dottrina[5] sin dal 2010, mentre la decisione del Tribunale di Modena raggiunge una diversa conclusione, a nostro parere, non satisfattiva.
A tale conclusione si perviene a seguito di una disamina del rapporto giuridico e sostanziale che viene ad esistenza allorquando si debba affrontare una delle sfide più delicate per un giurista, rappresentata dalla interazione fra diritto dei trust e diritto concorsuale, in considerazione del fatto che il primo è una della massime espressioni di autonomia negoziale e l’altro rappresenta una procedura strettamente pubblicistica del tutto sottratta all’autonomia dei privati.
2.1 . Il trust
La vicenda che può ritenersi conclusa con la sentenza modenese è molto risalente nel tempo ed ebbe origine da un trust autodichiarato, retto dalla legge di Jersey ed istituito nel 2005, dal socio accomandatario di una S.a.s. in liquidazione (che chiameremo rispettivamente Tizio e Beta) con beni di sua personale proprietà. 
Nello specifico occorre precisare, per spiegare le ragioni che vedono coinvolti provvedimenti di due diversi fori che, mentre il fondo in trust è composto da un immobile sito in Reggio Emilia, Beta ha sede legale in Modena. 
La volontà perseguita da Tizio con l’istituzione del trust risulta chiaramente espressa nell’atto istitutivo, essendo volta a destinare il ricavato derivante dalla vendita dell’immobile (ed alcuni arredi in esso contenuti) di sua proprietà, al soddisfacimento di tutti i creditori sociali di Beta qualora la liquidazione dell’attivo societario, portata avanti dal liquidatore, non fosse risultata sufficiente. 
La struttura del trust si articola in due fasi, a ciascuna delle quali corrisponde una causa precisa.
La prima fase esprime una causa di garanzia in favore dei creditori sociali, intendendo il disponente assicurare loro, per il tramite del vincolo di destinazione impresso sull’immobile, il soddisfacimento dei rispettivi crediti con “anche” il ricavato derivante dalla vendita del bene in trust. Questa fase si protrae in un lasso di tempo per nulla indeterminato o lasciato al caso, avendola il disponente espressamente limitata entro un lasso di tempo preciso, che chiama “data di liquidazione”, durante il quale il trust rimane statico, mantenendo la forma dell’autodichiarato, in attesa del completamento della procedura liquidatoria civilistica portata avanti dal liquidatore di Beta.
La seconda fase subentra al maturarsi della “data di liquidazione” quando, completata la liquidazione dell’attivo sociale, dovessero risultare creditori insoddisfatti. A partire da questo momento, il trust persegue una causa solutoria che si articola in specifici adempimenti previsti nell’atto istitutivo: cambia il trustee, succedendogli nell’ufficio una trust company professionale che ha già accettato la carica sin dall’istituzione del trust, cessando pertanto la forma dell’autodichiarato, e il trust diviene dinamico, dovendo il nuovo trustee avviare senza indugio la liquidazione dei beni in trust per poi distribuirne il ricavato ai creditori.
Coerentemente con queste previsioni, l’atto istitutivo prevede che sino alla “data di liquidazione i Beneficiari Potenziali” del trust sono i creditori della Società che assumono poi la qualifica di effettivi “Beneficiari del trust” a partire dalle “ore 00:00 del giorno successivo alla data di liquidazione, ciascuno in misura corrispondente al suo credito”.
Un aspetto di rilevanza sostanziale ai fini del ragionamento che segue è dato proprio da questa clausola, dalla quale si coglie l’intenzione del disponente di esprimere un’obbligazione fiduciaria in favore di tutti i creditori di Beta, senza alcuna esclusione o divisione in categorie.
Vi è poi un’ulteriore clausola dell’atto istitutivo che recita: “chiunque fra i creditori eserciti azioni giudiziarie o extragiudiziarie nei confronti della Società, del liquidatore, degli amministratori passati o dei soci accomandatari allo scopo di soddisfare il proprio credito, perderà la posizione di Beneficiario Potenziale o di Beneficiario” sulla quale ci soffermeremo al § 5.
2.2 . Le vicende giudiziarie conclusesi con la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia 27 agosto 2011
La decisione modenese fa espresso riferimento alla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia 27 agosto 2011[6] che, coperta da giudicato, ha fatto stato fra le parti, inducendo il Tribunale di Modena a trarre precise conclusioni a riguardo.
È opportuno un breve riassunto dei fatti accaduti al fine di comprendere la ratio di entrambe le decisioni. 
Dopo l’istituzione del trust, la liquidazione di Beta avviene per il tramite di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L. fall., omologato dal Tribunale di Modena. Nel mentre, il creditore di Beta, Alfa S.p.a, ottiene un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti della Società e del socio accomandatario Tizio, iscrivendo ipoteca giudiziale sull’immobile in trust ed iniziando l’esecuzione forzata a Reggio Emilia; nel procedimento interviene una banca creditrice di Beta.
In questo momento storico, il trust è ancora nella fase statica, mantenendo la forma dell’autodichiarato, con Tizio nella doppia veste di disponente e trustee.
Tizio, in qualità di trustee, si oppone nel merito al decreto ingiuntivo e propone altresì opposizione ex art. 615 c.p.c., assumendo che il cespite colpito dal pignoramento sia stato assoggettato al vincolo del trust (segregato quindi in un patrimonio separato, rispetto a quello suo personale) con atto trascritto presso la Conservatoria dei Pubblici Registri Immobiliari avente data certa anteriore al pignoramento. Chiede pertanto la sospensione dell’esecuzione.
Per contro Alfa S.p.a. insiste per il rigetto dell’istanza di sospensione, assumendo l’invalidità del trust perché privo dell’ufficio di guardiano (a suo dire il trust sarebbe di scopo e non con beneficiari, sicché l’assenza di un guardiano sarebbe in contrasto con la legge regolatrice) e, soprattutto, perché finalizzato a realizzare interessi non meritevoli per l’ordinamento giuridico, contrari a norme imperative e rappresentati dall’intento abusivo e fraudolento di sottrarre i beni ai creditori.
Il giudice dell’esecuzione rigetta l’istanza di sospensione, con ordinanza ex art. 624, comma 1 c.p.c.[7], con alcune motivazioni che sebbene espresse in fase di sommaria cognizione, già anticipano alcuni aspetti sostanziali dell’intera vicenda, con effetti che si riverbereranno nella successiva sentenza qui commentata. 
Precisa infatti il giudice che il trust debba ritenersi con beneficiari, non di scopo, e che sussista un vincolo sui beni opponibile al creditore, in quanto trascritto anteriormente al pignoramento. 
Nell’ordinanza si legge: “l’istituzione del trust appare finalizzata ad un interesse meritevole di tutela: quello di proteggere il patrimonio per evitare che creditori free-riders, rimasti estranei all’accordo di ristrutturazione, che vantano crediti contestati (è incontroversa la pendenza di opposizione avverso il decreto ingiuntivo…) possano costituire diritti di prelazione (ipoteche) o agire in executivis sui cespiti, facendo naufragare il negozio concluso con la maggioranza…. Il programma negoziale del trust … appare mirato ad introdurre un temporaneo blocco delle azioni esecutive e cautelari individuali, effetto garantito dalla legislazione nazionale per il solo concordato preventivo, e, lungi dal voler essere strumento per frodare i creditori o per eludere la par condicio (tanto che sembra arduo ipotizzare l’esito favorevole di un’azione revocatoria), individua proprio questi ultimi quali beneficiari; peraltro, il conferimento in trust fornisce una suppletiva garanzia di non dispersione dei beni ed attribuisce ai creditori beneficiari un controllo sull’operato del trustee che difetta, invece, nell’accordo di ristrutturazione (laddove i creditori sono esposti anche ad operazioni di sottrazione/occultamento della garanzia patrimoniale che possono trovare rimedio, a volte, solo con l’esperimento di una lunga e costosa azione revocatoria)…. Non può escludersi, perciò, l’astratta meritevolezza degli interessi sottesi al trust in questione, che mira ad assicurare effetti che l’ordinamento già riconnette ad istituti similari e che già sono allo studio del legislatore anche per gli accordi di ristrutturazione”.
Segue la causa di merito ex art 616, comma 1 c.p.c., nella quale l’opposta Alfa S.p.a. chiede che sia dichiarata la nullità, simulazione assoluta o non riconoscibilità del trust perché esclusivamente finalizzato a frodare i creditori. 
Per contro, il trustee opponente chiede l’accertamento dell’insussistenza del diritto dell’opposta di procedere all’esecuzione forzata e quindi la dichiarazione di invalidità del pignoramento e conseguente cancellazione dell’ipoteca giudiziale nel Pubblico Registro Immobiliare.
A latere il trustee promuove una causa autonoma per ottenere la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria e Alfa S.p.a. si costituisce, proponendo un via riconvenzionale le stesse domande di nullità o simulazione proposte nell’altro procedimento; stante la parziale coincidenza di petitum e causa petendi, le cause vengono riunite.
Nel procedimento così riunitosi intervengono il notaio rogante l’atto istitutivo, che aderisce alle tesi difensive del trustee, e il creditore Gamma S.r.l. che, ponendosi in posizione del tutto contrapposta a quella di Alfa S.p.a, insiste per la cancellazione dell’ipoteca giudiziale iscritta sull’immobile in trust; questo intervento è contestato da Alfa S.p.a. 
Altresì interviene ex art. 111, comma 3 c.p.c. la Delta S.r.l. in qualità di nuovo trustee, medio tempore subentrata nell’ufficio.
La causa giunge a termine con la sentenza del 27 agosto 2011, poi passata in giudicato, che si dimostra di estrema importanza, non solo per gli effetti che produce nelle vicende successive ma anche per la sua generale rilevanza in relazione ai principi che riguardano il trust interno.
Non potendo in questa sede ripercorrere le motivazioni in diritto che hanno determinato il giudice reggiano a riconoscere piena validità al trust, respingendo le domande di nullità, invalidità e simulazione avanzate dai creditori (questioni che, come poi vedremo, vengono richiamate dal Tribunale di Modena) risulta comunque di interesse, per il contesto dei trust che accedano a situazioni di crisi di impresa, riassumere il contenuto di alcuni passaggi della motivazione.
Un primo aspetto di particolare rilievo attiene alle argomentazioni che hanno ad oggetto la forma del trust autodichiarato, della quale il giudice non solo ne conferma la validità, ma precisa che nel caso di specie, la segregazione patrimoniale attuata dal disponente, nominandosi trustee su beni propri, gli ha fatto perdere le prerogative del proprietario, assumendo per contro poteri fiduciari, non verso sé stesso, ma in quanto soggetto passivo di un’obbligazione fiduciaria verso di creditori.
Si tratta di uno dei tanti aspetti che se fossero stati colti dalla curatela attrice, l’avrebbero indotta a sostenere argomentazioni difensive diverse.
Con riferimento alle domande di Alfa, volte all’accertamento di fini ripugnanti e immeritevoli di tutela del trust, con conseguente sua non riconoscibilità in quanto contrastanti con le norme inderogabili della lex fori sulla protezione dei creditori in caso di insolvenza (art. 15, comma 1, lett. e della Convenzione) il giudice si addentra in un articolato e minuzioso ragionamento.
Per quanto qui di interesse, il Tribunale evidenzia la necessità di valutare nel concreto la causa perseguita dal trust istituito da Tizio, esaminando il programma negoziale[8] esplicitato nell’atto istitutivo. 
Nello specifico il giudice osserva come il disponente avesse dichiarato di voler: “favorire la liquidazione armonica della società, prevenendo azioni giudiziarie e procedure concorsuali” e come, per raggiungere tale finalità, avesse: “segregato i propri beni personali nominandosi trustee nell’interesse dei creditori della [•] ; nel caso in cui la società non fosse in grado, col proprio patrimonio, di soddisfare interamente le ragioni creditorie al momento della ‘data di liquidazione’ (31/12/2008), al trustee era attribuito il compito di alienare i beni in trust per pagare il debito residuo e sino a tale data al trustee era precluso qualsivoglia atto di trasferimento dei beni in trust se non previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria (e ciò al fine ‘di rassicurare i beneficiari potenziali che vi sono beni destinati alla soddisfazione dei loro crediti nei confronti della società’)”. 
In altri termini il Tribunale valorizza l’intento segregativo perseguito dal disponente, finalizzato a proteggere le trattative in corso negli accordi di ristrutturazione, per il tramite di “una specie di auto-pignoramento” liberamente posto in essere dal debitore “pur non essendo tenuto verso i creditori sociali se non dopo l’escussione del patrimonio della società, artt. 2304 e 2318 c.c.,”,  tale da rendere i suoi beni personali inalienabili e definitivamente destinati al soddisfacimento dei creditori. 
Le fasi operative nelle quali il trust è suddiviso, la prima statica che esprime una causa di garanzia, la seconda dinamica che persegue una causa solutoria, risultano concretamente possibili, a parere del giudice, grazie all’ “autopignoramento” dei propri beni effettuato dal disponente, con una soluzione del tutto protesa verso i creditori e per nulla in danno degli stessi.
A parere del giudice, anche l’omologa degli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis L. fall. proposti da Beta, allorquando il trust era già esistente, costituisce un ulteriore indizio di conferma, anche da parte del tribunale omologante, che il trust non sia né fraudolento, né immeritevole di tutela[9].
Sono poi rigettate le contestazioni di Alfa nei confronti dell’intervento ad audiuvandum della Gamma S.r.l., ritenendo il Tribunale che la medesima avesse piena legittimazione, in quanto beneficiaria del trust, a sostenere le domande del trustee. 
Pregevole il passaggio in diritto che riguarda questo aspetto, avendo motivato la legittimazione sulla base dell’evidente interesse di Gamma, quale creditore- beneficiario, alla vendita dei beni in trust sul libero mercato, al di fuori dell’asta pubblica e senza l’aggravio di ipoteche.
Da ultimo il Tribunale, nel passaggio della motivazione in cui rigetta la tesi del trust di scopo, qualificandolo correttamente per il diritto dei trust come trust con beneficiari, si sofferma lungamente sulla natura e qualificazione delle posizioni beneficiarie risultanti dal trust, affermando che: “l’atto istitutivo individua dei soggetti agevolmente identificabili come appartenenti alla categoria, per altro chiusa, dei creditori della...”.
Per effetto di questa sentenza, il trust rimane in piedi, l’ipoteca giudiziale viene cancellata, si succedono alcune persone nell’ufficio di trustee e, nel tempo a seguire, Beta, dopo aver infruttuosamente tentato la via dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L. fall., fallisce nel 2014 avanti il Tribunale di Modena, con estensione del fallimento all’accomandatario Tizio, disponente del trust.
3 . La sentenza del Tribunale di Modena 26 aprile 2023
Mentre sopravviene il fallimento di Beta, i vari trustees succedutisi non riescono a mettere in vendita i beni in trust che quindi rimangono coperti dal vincolo.
Nel 2016 il curatore radica la causa conclusasi con la sentenza in commento, citando il trustee, i creditori insinuati al passivo fallimentare, fra i quali alcuni creditori particolari del disponente/accomandatario (nel frattempo deceduto) e i creditori sociali non insinuatisi, per ottenere in via principale l’accertamento della nullità, inefficacia, simulazione del trust e, in via subordinata, la sua cessazione con, in ogni caso, acquisizione all’attivo fallimentare del fondo in trust. Si costituiscono solo alcuni dei convenuti, fra i quali il trustee, che si oppone alla domanda attorea e il creditore Alfa che invece la sostiene.
Nelle conclusioni rassegnate dalla curatela si legge che: “la sopravvenienza del fallimento rende nullo il trust in quanto contrario a norme imperative di diritto pubblico ed esclusivamente finalizzato a sottrarre agli organi della procedura fallimentare” mentre, con riferimento alla domanda subordinata di cessazione del trust conclude: “Previo accertamento della impossibilità del trust di raggiungere le proprie finalità, tenuto conto della volontà del curatore divenuto unico beneficiario, voglia disporre la consegna di tutti i beni in trust così come individuati nell’atto istitutivo ponendo così fine al trust”.
Analogamente, sebbene con alcune differenze, il creditore Alfa, dopo aver chiesto in via principale il medesimo accertamento di nullità o simulazione del trust, chiede che: “previo accertamento dell’impossibilità del Trust... di conseguire le proprie finalità e preso atto della volontà dichiarata dal Curatore fallimentare di ottenere il trasferimento del fondo in trust, anche a norma dell’art. 43 Trust Jersey Law, disporre la consegna al Curatore medesimo del fondo in trust e comunque di tutti i beni segregati col Trust..., ponendo così fine al trust”.
Gran parte delle argomentazioni spese dal Tribunale modenese attengono alle domande principali di nullità e simulazione del trust che il giudice rigetta in toto, ritenendole coperte dal giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia 27 agosto 2011 che, ai sensi dell’art. 2909 c.c., fra stato fra le parti e loro aventi causa.
Tali argomentazioni esulano dall’oggetto di queste note, rinviando per esse alla lettura del provvedimento, se non per un passaggio di particolare interesse.
A parere infatti del curatore, probabilmente consapevole del rischio del giudicato in relazione alle domande principali, sarebbe sussistito un fatto nuovo tale da rendere ammissibile una nuova pronuncia su una questione definitivamente decisa, rappresentata dal fatto che nel corso degli anni, i trustees succedutisi nell’ufficio, non avevano dato luogo a nessuna attività liquidatoria, dimostrandosi così nel concreto, la pura finalità fraudolenta del trust teorizzata nella prima causa.
Da tali assunti si discosta nettamente il Tribunale, affermando che la validità del trust in relazione alla sua causa concreta risulta coperta dal giudicato di meritevolezza formatosi sulla decisione reggiana sicché, il mancato avvio di attività liquidatoria da parte del trustee, non rileva sul piano della compatibilità del trust con la lex fori, trattandosi di mere vicende attuative del programma negoziale enunciato. 
Lo scrutinio eseguito dal Tribunale di Reggio Emilia sulla causa concreta perseguita dal disponente con l’istituzione del trust, per altro di molto antecedente il sopravvenuto fallimento, è, a parere del giudice modenese, del tutto pregiudicato dal giudicato formatosi sulla sua meritevolezza e liceità, precludendo indagini ulteriori.
I passaggi della sentenza che qui interessano si ravvisano dal punto B.8 in poi della motivazione.
Comincia il giudice chiedendosi se il sopravvenuto fallimento del disponente ed avvio del processo fallimentare, non abbia reso inopponibile alla massa gli effetti segregativi determinati dal trust, seppur validamente istituito, e quindi il diritto del curatore di acquisire all’attivo i beni in trust.
A tale domanda il giudice dà una risposta negativa, in quanto la pubblicità legale ha prodotto l’effetto di rendere opponibile alla curatela l’atto trascritto anteriormente, ancor più considerando che non si ricava dal nostro ordinamento giuridico una norma che consenta al fallimento: “di evitare gli effetti validamente generati dall’atto anteriore”.
A seguire, il giudice esamina i fondamenti giuridici della pretesa azionata dal curatore e, più in dettaglio, da Alfa S.p.a. che ha indicato nell’ art. 43 (3) della Legge di Jersey la norma che consentirebbe al curatore di ottenere la cessazione anticipata del trust, sul presupposto che le posizioni beneficiarie si sarebbero del tutto concentrate sulla sua figura.
Anche a tale richiesta il Tribunale risponde negativamente affermando che: “non v’è perfetta coincidenza fra i beneficiari del trust ed i creditori insinuati nel fallimento”. 
In particolare, afferma che la pretesa vantata dalla curatela di: “rappresentare e impersonare tutte le posizioni beneficiarie del trust liquidatorio” sarebbe smentita per i: “beneficiari del trust non insinuati al passivo fallimentare” che “vantano, ancora all’attualità, il diritto prevalente di ottenere dal trustee l’attuazione del “compito di alienare i beni in trust per pagare il debito residuo”, che include i loro crediti. Essi sono, pertanto, ancora beneficiari, in quanto tali portatori di un interesse non rappresentato dal fallimento, ma anzi in conflitto” sicché, conclude: “gli interessi del ceto creditorio che il curatore rappresenta... non “esauriscono il complesso degli interessi economici sui beni vincolati”.
Ne consegue la statuizione di carenza di legittimazione attiva del curatore a proporre la domanda di cessazione anticipata del trust ai sensi dell’art. 43 (3) della Legge di Jersey.
4 . Considerazioni sulle motivazioni rese dal Tribunale di Modena
Ricorrono ragioni in diritto dei trust e nel diritto fallimentare che inducono a dubitare sulle conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale.
Ciò è probabilmente è dipeso da argomentazioni poste a sostegno della domanda attorea, e dei convenuti che vi hanno aderito, che si dimostrano decentrate rispetto alle questioni giuridiche riferibili alla fattispecie complessivamente considerata e che si possono distinguere in 3 temi: l’ erroneo presupposto della sopravvenuta impossibilità per il trust di perseguire il suo scopo in ragione dell’intervenuto fallimento di Tizio, un mancato confronto fra il contenuto delle posizioni beneficiarie e la figura del curatore, l’aver ritenuto il curatore terzo rispetto alla segregazione patrimoniale attuata dal trust, sui beni del disponente, in ragione del giudicato formatosi sulla validità del trust stesso.
4.1 . Sulla impossibilità per il trust di perseguire il suo scopo
Sostiene il curatore, e alla medesima conclusione perviene anche il creditore aderente alla domanda della curatela, che il trust non potesse più perseguire lo scopo per il quale era stato istituito.
Su questo aspetto si dissente.
Atteso l’indiscusso fine perseguito dal disponente con l’istituzione del trust: destinare il suo patrimonio al pagamento di tutti creditori sociali, nessuno escluso, si ritiene che tale obiettivo non sia affatto venuto meno con il sopravvenuto suo fallimento in proprio.
La questione va analizzata sotto profili giuridici del tutto diversi.
Il fallimento, norma di ordine pubblico in alcun modo derogabile da negozi privatistici, non può che prevalere sull’atto negoziale privato che il trust rappresenta, con l’effetto che la soluzione privatistica diviene obbligata, ex lege del foro, a cedere il passo alle regole previste dal processo fallimentare. 
In proposito scrisse infatti la dottrina: “E’ infatti ancora là dal venire la sottrazione del regime dell’insolvenza dal controllo pubblicistico, che comporta l’applicazione dei suoi principi fondanti, in tema di par condicio creditorum, formazione del riparto e procedura di liquidazione dell’attivo, e certo non può ritenersi che le aperture privatistiche portate dalla riforma abbiano fatto venir meno questi principi”[10].
Ciò impone di pagare i soli crediti sociali che abbiano superato lo scrutinio giudiziale del procedimento di ammissione al passivo e che si completa con l’individuazione dei creditori esclusi e degli ammessi, facendo assurgere questi ultimi al ruolo di creditori concorsuali, da soddisfarsi in moneta fallimentare secondo i principi della par condicio.
Potranno quindi soddisfarsi sull’attivo fallimentare i soli creditori concorsuali, rimanendo esclusi, sia i creditori non ammessi, sia quelli che non abbiano fatto domanda di ammissione al passivo: tertium non datur.
Ma non è tutto atteso che l’intero procedimento potrà ritenersi completato solo quando, maturati i termini di legge per le possibili opposizioni, i diritti riconosciuti ai creditori concorsuali acquisiranno definitività in forza dell’esecutività dello stato passivo.
È solo a decorrere da questo momento che la classe dei creditori diviene chiusa e definitivamente accertata.
Il soggetto legittimato a pagare i creditori concorsuali è poi unicamente il curatore che, in particolare, è un pubblico ufficiale, obbligato dalla legge a soddisfarli con “moneta fallimentare”, costituita dal ricavato derivante dalla liquidazione dell’attivo che solo il medesimo può effettuare e nei soli modi previsti dalla legge.
In conclusione, si può affermare che lo scopo perseguito dal disponente, contrariamente a quanto assume il curatore, sia rimasto perfettamente conseguibile, con la sola particolarità data dal fatto che possa essere portato a compimento dal solo curatore, all’interno del processo fallimentare, in ragione del sopravvenire di una norma di ordine pubblico che prevale sul negozio privatistico rappresentato del trust. 
Un primo paradosso che la sentenza modenese ha prodotto è la sopravvenuta impossibilità di conseguire lo scopo voluto dal disponente.
Sono infatti venuti ad esistenza due categorie di creditori, concorsuali e non, e due masse attive, sebbene entrambe costituiscano l’intero patrimonio del fallito. 
Tali creditori, secondo paradosso, hanno diversi diritti, avendo la categoria dei concorsuali diritto ad essere soddisfatti sulla sola massa attiva fallimentare, secondo le regole della par condicio applicate dal pubblico ufficiale/curatore, mentre i creditori non ammessi hanno un diritto che si indirizza su una massa (il fondo in trust) sottratta ai primi, per il tramite di pagamenti effettuati da un trustee, nell’esercizio di un ufficio privatistico, al di fuori delle regole della par condicio.
Terzo paradosso (ma non ultimo, come diremo nel prosieguo) il principio della responsabilità patrimoniale universale del debitore, che tanto il disponente intendeva assicurare, risulta disatteso dai fatti accaduti, risultando sottratta alle ragioni di taluni creditori, una parte del suo patrimonio.
4.2 . Sulle posizioni beneficiarie venute ad esistenza con il trust: l’obbligazione fiduciaria
In ragione della premessa di cui al paragrafo che precede, ci si deve chiedere ora di quali strumenti possa beneficiare il curatore del fallito che si trovi di fronte ad un trust istituito dal medesimo con beni propri.
Sin dal lontano 2010, la dottrina[11] aveva esaminato il problema prospettando tre ipotesi: verificare se fosse possibile un’applicazione in via analogica dell’art. 78 L. fall.[12], se fosse possibile sostenere una sopravvenuta sanzione di nullità a carico del trust e, ragionando su un fronte del tutto opposto, se si potesse legittimamente considerare la posizione del curatore quale successore di tutte le posizioni beneficiare originariamente spettanti ai beneficiari del trust[13]. 
La possibile applicazione analogica dell’art. 78 L. fall. lascerebbe al curatore la decisione se subentrare o sciogliere il rapporto producendo, in tale ipotesi, l’obbligo per il trustee di ritrasferire il fondo in trust al disponente fallito e quindi al curatore. 
Tale soluzione non è stata tuttavia ritenuta appagante in quanto è risultato carente il presupposto della pendenza in relazione ai beni in trust, divenuti ormai di proprietà di un terzo, diverso dal fallito[14].
Per quanto attiene invece ad una sopravvenuta nullità a carico del trust, è stato condivisibilmente ritenuto difficile che un trust originariamente lecito, possa divenire successivamente nullo in ragione del sopravvenuto fallimento del disponente. Se infatti: “…il trust ha uno scopo meritevole di tutela – non essendo la causa in concreto perseguita dal disponente diretta ad eludere norme imperative o quelle inderogabili della disciplina legale dell’insolvenza, secondo la lex fori e, quindi, non in contrasto con gli artt. 13 e 15 della Convenzione dell’Aja di cui si discute – non si comprende come possa divenire incompatibile la segregazione volontaria con la successiva segregazione ex lege derivante dal fallimento del disponente, sino ad essere configurata quale causa di nullità sopravvenuta del “rapporto” di trust. Incompatibilità ancor meno convincente se si considera che l’effetto traslativo dei beni si è già verificato e, pertanto, i beni stessi sono estranei alla massa dell’imprenditore fallito, operando la segregazione, difatti, nel patrimonio del trustee”[15].
Seconda una prospettiva del tutto diversa, l’Autore[16] esplora la terza ipotesi, proponendo tre possibili opzioni a disposizione del curatore: a) rinunciare alla posizione beneficiaria; b) ricorrere all’ applicazione della nota regola del diritto dei trust per la quale i beneficiari che esauriscano tutte le posizioni beneficiare, possono in qualsiasi momento porre termine anticipatamente al trust; c) lasciare che il trust operi secondo il programma stabilito.
Le prime due conducono di fatto al medesimo risultato, per la terza invece, seppur suggestiva, l’autore esprime concrete riserve sul piano pratico.
Per comprendere le prime due, occorre una breve digressione in diritto dei trust che ci riporta all’ art. 43 (3) della Legge di Jersey, la cui applicazione è stata invocata dalla curatela secondo argomentazioni diverse da quelle qui proposte.
Il punto di approdo del ragionamento che andiamo ad esporre è rappresentato dal fatto che le posizioni beneficiare previste nel trust, in favore di tutti i creditori sociali, con il sopravvenire del fallimento del disponente, sono state automaticamente sostituite da un’unica posizione beneficiaria, quella del curatore, in rappresentazione del ceto creditorio. 
Potremmo dire che si è attuata una sorta di surroga ex lege del curatore nelle posizioni beneficiarie dei creditori, essendo il primo, in forza dell’applicazione di una norma di ordine pubblico interna del foro, il solo legittimato a rappresentarle.
Tale ragionamento trova un pieno conforto non solo nel diritto dei trust ma anche nell’ art. 43 (3) della Legge di Jersey che recita: “Without prejudice to the powers of the court under paragraph (4) and notwithstanding the terms of the trust, where all the beneficiaries are in existance and have been ascertained and none are interdicts or minors they may require the trustee to terminate the trust and distribute the trust property among them”[17].
Tale norma rappresenta la codificazione di uno dei precetti fondanti l’equity, risalente alla nota rule Saunders v Vautier[18], che ha riconosciuto ai beneficiari, se tutti d’accordo, maggiorenni e se esaurisco nel loro complesso le posizioni beneficiarie previste nel trust, di porre termine in qualsiasi momento anticipatamente al trust, esprimendo una volontà rispetto alla quale il trustee nulla può opporre[19].
Il presupposto applicativo che si riscontra sia nell’ art. 43 (3) sia nella rule, è che la domanda pervenga da una classe chiusa e definita di beneficiari, ossia quando vi è certezza che nessuna altra persona, diversa dai beneficiari esistenti, possa vantare la titolarità di una posizione beneficiaria nel trust.
Come giustamente aveva affermato il giudice reggiano, la classe dei beneficiari individuata dal disponente era certamente chiusa, in quanto avente ad oggetto tutti i creditori sociali di Beta, indistintamente intesi. Questa considerazione risulta conforme anche alle caratteristiche che devono avere i beneficiari per la Legge regolatrice del trust: persone indentificate o identificabili (art. 10 della Legge di Jersey).
Trasferendo questo assunto nel contesto della legge del foro entro il quale il trust opera, la prima domanda da porsi è quando si verifichi il presupposto della definitività della classe dei beneficiari ossia quando, in altri termini, possa dirsi di essere in presenza di una classe di beneficiari chiusa per la legge italiana.
Trattandosi di impresa fallita, questa condizione si verifica quando diviene esecutivo lo stato passivo.
In questo esatto momento, il diritto dei trust trova un punto di convergenza con il diritto fallimentare, risultando la classe chiusa per entrambi i sistemi giuridici sicché l’obbligazione fiduciaria, espressa dal disponente, risulta definitivamente diretta verso la classe dei creditori concorsuali.
Resta da verificare in che modi e secondo quali principi di diritto si possa individuare un ulteriore punto di convergenza fra i due sistemi che consenta di pagare i creditori concorsuali, rispettando le norme del foro sulla responsabilità patrimoniale universale del fallito, considerato che una parte del suo patrimonio è soggetto ad una segregazione patrimoniale, prodotta da un trust ritenuto valido, in forza di sentenza passata in giudicato.
L’analisi da compiersi non può che incentrarsi sul contenuto alle posizioni beneficiarie che il trust ha fatto venire ad esistenza, in rapporto al sopravvenuto fallimento, facendoci rinvenire un ulteriore punto di convergenza fra il diritto dei trust e quello concorsuale.
È infatti evidente come l’apertura della procedura concorsuale comporti che l’obbligazione fiduciaria enunciata dal disponente, inizialmente diretta verso tutti i creditori sociali, possa ora indirizzarsi verso il curatore fallimentare, unica persona legittimata dalla legge italiana a rappresentare i creditori[20].
Il trust ha quindi il curatore quale unico beneficiario assumendo, secondo il diritto dei trust, la natura di bare trust (trust nudo) che viene ad esistenza quando vi sia un solo beneficiario, nel cui esclusivo interesse il trustee è tenuto ad amministrare e gestire il fondo in trust.
Rammentando allora il diritto riconosciuto ai beneficiari che assolvano alle condizioni di cui alla rule Saunders v Vautier  (o di cui all’art. 43 (3) della Legge di Jersey) di cessare anticipatamente il trust, non può che derivarne, quale logica conseguenza, il medesimo incondizionato diritto in capo all’unico beneficiario di un bare trust, godendo questi di una posizione absolutely entitled sul fondo in trust[21].
 Fra le soluzioni prospettate dall’ Autore citato[22], ricordiamo che la prima è rappresentata dalla rinuncia alla posizione beneficiaria da parte del curatore mentre la seconda è data dalla domanda di cessazione anticipata del trust in forza della rule Saunders v Vautier ovvero, nel caso di specie, ex art. 43 (3) della Legge di Jersey.
Sebbene entrambe le soluzioni portino al medesimo risultato, è opportuno distinguerne gli effetti pratici, seguendo il percorso dettato dal diritto dei trust che ha trovato piena conferma in una significativa sentenza della Corte di Cassazione[23].
La posizione beneficiaria è pacificamente qualificata, per il diritto dei trust, come un diritto di credito[24] e tale qualifica è stata ribadita dalla Corte di Cassazione[25] e dalla giurisprudenza di merito[26].
Il titolare di un diritto di credito può liberamente rinunciarvi, come espressamente prevede l’art. 10 (a) della Legge di Jersey. 
Qualora ciò avvenisse, in caso di bare trust, accadrebbe che il trust risulterebbe privo di beneficiari con l’effetto, per il trustee, di non poter portare a compimento l’obbligazione fiduciaria, divenendo costretto a dichiarare la cessazione del trust per impossibilità di perseguire lo scopo. 
In tale modo si produce (come rammenta anche la Corte di Cassazione citata, facendo propri i principi di diritto dei trust) un automatic resulting trust (o trust di ritorno) in favore del disponente.
In altri termini, i beni ritornano in capo al disponente dal che, qualora il curatore optasse per questa soluzione, l’implicita conseguenza di acquisizione dei beni alla massa fallimentare.
Nel diverso caso in cui il curatore optasse per la richiesta di cessazione anticipata, avvalendosi dell’art. 43 (3) della Legge di Jersey, dovrebbe contestualmente chiedere il trasferimento dei beni in trust in suo favore sicché: “parimenti il fondo gli verrà assegnato dal trustee e si produrrà il medesimo effetto”[27].
Per concludere, la domanda formulata dal curatore nella causa de qua risulta mal posta.
Non è infatti vero che il fondo avrebbe dovuto essergli consegnato sul presupposto che l’intervenuto fallimento avesse reso impossibile il perseguimento dello scopo del trust. 
Tutt’altro, lo scopo è rimasto perfettamente perseguibile ma, per le leggi del foro, si può portare a compimento solo per il tramite della procedura concorsuale, norma di connotazione pubblicistica inderogabile che prevale sul negozio privatistico.
A seguire, il curatore avrebbe dovuto precisare che per la sopravvenuta natura di bare trust ascrivibile al trust di specie, la sua posizione beneficiaria absolutely entitled sul fondo in trust lo ha legittimato a scegliere fra le opzioni della rinuncia alla posizione beneficiaria, ex art. 10 (a) della Legge Jersey, in tale ipotesi chiedendo che, accertato e dichiarato il resulting trust in favore del disponente, per gli effetti i beni venissero acquisiti alla massa fallimentare, ovvero la domanda di cessazione anticipata ex art. 43 (3) della Legge di Jersey con consegna dei beni in trust a sue mani.
4.3 . Sull’ esistenza di un fondo separato ritenuto opponibile al fallimento
All’inizio di questo paragrafo abbiamo indicato un terzo motivo che può aver indotto in errore il tribunale: aver ritenuto che il fondo in trust fosse opponibile alla curatela in quanto riferito ad un trust dichiarato valido con sentenza passato in giudicato. 
Scorrendo le argomentazioni del tribunale, la segregazione patrimoniale sarebbe risultata opponibile alla curatela sicché sarebbero venuti ad esistenza due categorie di creditori: quella concorsuale, da soddisfarsi sulla massa attiva secondo i precetti pubblicistici, e quella dei non ammessi, da soddisfarsi con il fondo separato.
Il ragionamento non è condivisibile, non trova conforto nelle norme del diritto fallimentare e, soprattutto, risulta inconferente.
A nostro parere il curatore non può considerarsi un terzo estraneo rispetto ai beni in trust in quanto tale estraneità presupporrebbe che il medesimo risulti esclusi dai soggetti verso i quali l’obbligazione fiduciaria enunciata dal disponente è diretta.
Per le ragioni esposte nel paragrafo che precede, tale assunto non risulta condivisibile, assommando invece il curatore su di sé tutte le posizioni beneficiarie del trust. 
A ciò si deve aggiungere come l’accertata validità del trust abbia espressamente prodotto l’implicito accertamento sulla legittimità delle posizioni beneficiarie. Il curatore pertanto, essendo per la legge del foro la sola persona che le può rappresentare, risulta parimenti l’unico soggetto che abbia legittimazione sostanziale e processuale, nonché interesse, alla domanda di cessazione anticipata del trust ex art. 43 (3) della Legge di Jersey o alla rinuncia della posizione beneficiaria ex art. 10 (a).
Giunti a questo punto si può evidenziare un ulteriore paradosso prodottosi: la scelta squisitamente autonoma e privatistica di alcuni creditori di non concorrere nella ripartizione dell’attivo, nell’unica sede preposta di legge, assume una valenza assoluta, persino derogatoria dei precetti fallimentari in questo contesto, avendo permesso a costoro di soddisfarsi su parte del patrimonio del fallito in via esclusiva rispetto ai creditori concorsuali.
4.4 . Una norma spesso dimenticata: l’art. 15, comma 2 della Convenzione
Si ritiene opportuno rammentare una norma ulteriore che le parti in causa avrebbero dovuto tenere in considerazione. 
Ci riferiamo all’art. 15, comma 2 della Convenzione che recita: “Qualora le disposizioni del precedente paragrafo[28]siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici”.
Tale norma non ha trovato adeguato riscontro nelle decisioni giurisprudenziali italiane se non in una decisione del Tribunale di Bologna, poi confermata in appello[29], nella quale si legge: “… occorre rilevare l’esistenza di un principio di favor trust esplicitato all’art. 15, 2° della Convenzione che invita il giudice ad una valorizzazione dello strumento, o quanto meno del suo fine, laddove possibile”.
Il favor trust opportunamente segnalato dal tribunale bolognese impone al giudice, anche in presenza di un trust non riconoscibile o comunque invalido per la legge del foro, di scrutinare i fini che il disponente voleva perseguire con il ricorso allo strumento sicché, qualora li ritenesse meritevoli, sarebbe tenuto a preservarne il valore per il tramite di altri mezzi giuridici.
Se questa norma fosse stata considerata, si sarebbe immediatamente compresa l’infondatezza del presupposto dell’impossibilità per il trust di perseguire il suo scopo, sostenuto dalla curatela. 
A seguire, si sarebbe invece compreso come fosse rimasto possibile preservare i meritevoli fini perseguiti dal disponente (sulla cui legittimità non si possono aver dubbi, essendo coperti dal giudicato) attraverso la valorizzazione della posizione beneficiaria acquisita dal curatore. 
In tal modo si sarebbe permesso a tutti i creditori di soddisfarsi sul patrimonio del fallito, restando esclusi solo coloro che avevano autonomamente deciso (non certo per imposizione di qualcuno) di non concorre nella ripartizione dell’intero attivo fallimentare.
5 . Sulla perdita delle posizioni beneficiarie
Al paragrafo 2.1 abbiamo evidenziato come dall’atto istitutivo di trust risultasse una clausola volta ad escludere dalla posizione beneficiaria, i creditori che avessero impugnato il trust.
Sul punto si è pronunciato d’ufficio il Tribunale di Reggio Emilia, ritenendola una disposizione nulla, decretandone la nullità parziale, perché contrastante con l’ordine pubblico ex art. 18 della Convenzione. 
Nel dettaglio, richiamando una tesi dottrinale, il giudice ritiene che detta clausola sia volta tout court ad impedire al beneficiario di rivolgersi all’autorità giudiziaria, ponendosi del tutto in contrasto con i principi dell’ordinamento.
Sebbene la questione risulti coperta dal giudicato, non si aderisce alla motivazione espressa dal giudice.
La clausola non può ritenersi tesa ad impedire al beneficiario il diritto costituzionalmente riconosciutogli di agire a tutela delle proprie ragioni avanti il suo giudice naturale.
La questione a nostro parere può intendersi in una prospettiva diversa per la quale forniamo un semplice esempio.
Si pensi all’ipotesi del trust istituito dal padre, rimasto vedovo, in favore dei suoi 3 figli, nel quale faccia confluire il suo intero patrimonio prevedendo che, al termine del trust, i beni vengano assegnati ai figli in parti eguali fra loro; quindi 1\3 ciascuno. Si pensi ora ad una clausola prevista nell’atto istitutivo che preveda la cessazione della posizione beneficiaria a carico del figlio che, dopo la morte del padre, dovesse agire in riduzione per avere subito la quota di legittima.
In alcun modo detta clausola è volta ad impedire l’esercizio dell’azione di riduzione da parte del discendente, che certo otterrà giudizialmente la quota di legge di sua spettanza, ma questi avrà perso il quantm in più che gli sarebbe spettato nel caso in cui non avesse agito contro il trust.
I suoi diritti di erede legittimo non sono stati in alcun modo compromessi o limitati dal trust istituito da padre che, semplicemente, l’ha lasciato libero di scegliere.
Parimenti accade nel caso di specie: il creditore mantiene la titolarità del suo credito, potendo liberamente decidere se rispettare le volontà del disponente o agire in via autonoma come free rider.
Del resto, è lo stesso giudice reggiano ad affermare in un passaggio della sua motivazione che la decisione del disponente di autopignorarsi”, vincolando i suoi beni a vantaggio dei suoi creditori, è frutto di una sua libera scelta, alla quale non è in alcun modo costretto dalla legge “se non dopo l’escussione del patrimonio della società, artt. 2304 e 2318 cc”.
Non pare quindi peregrino poter ravvisare nella decisione del disponente di istituire il trust, un intento volto a garantire ai creditori un quid pluris rispetto all’ordinamento che permetterebbe, in assenza di azioni esecutive individuali da parte di free riders, la migliore soddisfazione possibile da parte di tutti i creditori.
Se questo assunto fosse corretto e lecito, risulterebbe altrettanto comprensibile che il Disponente abbia posto in contropartita al vantaggio che assicura a tutti i beneficiari, nessuno escluso, il rispetto delle disposizioni del trust.
Qualora un creditore decidesse di non accettarle, gli rimarranno i rimedi giudiziali previsti dall’ordinamento, che liberamente potrà azionare, senza che nulla glielo possa impedire.
6 . Il caso del trust istituito dal fallito in favore di sé stesso e dei suoi famigliari
Casi diversi da quelli trattati dal giudice reggiano, attengono al trust istituito dal disponente fallito, del quale siano beneficiari, il disponente stesso ed i suoi famigliari. 
Si tratta dei casi di trust “famigliare” in frode ai creditori.
Una vicenda conforme a questa ipotesi ha interessato il Tribunale di Bologna nella quale il curatore, su impulso del giudice delegato, invece di avviare tout court  l’azione di inefficacia ex art. 64 L. fall., ha previamente contattato i beneficiari al fine di verificare la loro disponibilità, ai sensi della rule Saunders v Vautier, di cessare anticipatamente il trust, assumendo l’ unanime decisione di assegnare i beni immobili inclusi nel fondo segregato, al disponente, così evitando la via giudiziale.
In particolare, nel caso di specie, i falliti in proprio erano il disponente e sua madre; beneficiari, i figli del primo ed entrambi i falliti, mentre i beni in trust erano di esclusiva proprietà del disponente
Essendo i falliti ricompresi fra i beneficiari, il curatore ha dovuto individuare una strada che permettesse la cessazione del trust nel rispetto del diritto concorsuale, considerando anche la posizione del trustee, del tutto estraneo a tale situazione, nella quale si era improvvisamente trovato.
Le norme prese in esame sono stati gli artt. 42 e ss. L. fall., che trattano degli effetti del fallimento per il fallito e, in particolare, è stato considerato l’art. 44, comma 1, L. fall. che rende inefficaci, rispetto ai creditori concorsuali, gli atti depauperativi del patrimonio conclusi dai falliti perché in violazione della par condicio creditorum. 
Tale norma conferisce al solo curatore la legittimazione attiva alla domanda giudiziale di inefficacia, indicando quale legittimato passivo l’accipiens, ossia il terzo che abbia incassato somme del fallito, che sia divenuto proprietario di suoi beni o che abbia pagato un debito a mani del fallito e non del curatore[30].
Nonostante il curatore non ravvisasse nel caso in questione alcuna di queste fattispecie: i beni erano divenuti di proprietà del trustee, non dei falliti, e per effetto della cessazione del trust, il patrimonio di uno dei falliti si sarebbe incrementato, sicché l’operazione risultava nel complesso nell’interesse dei creditori e non contro di loro, ha valutato comunque di non poter prescindere da una teorica applicazione della norma. 
E’ infatti indubbio che il trustee sarebbe rimasto direttamente responsabile verso il curatore in quanto la dichiarazione di inefficacia di atti depauperativi del patrimonio del fallito produce, quale conseguenza implicita e senza necessità di corrispondente richiesta espressa, l'obbligo di restituire i beni ceduti o, qualora sia materialmente impossibile, la corresponsione dell'equivalente pecuniario[31]. Per tutelare quindi sia il trustee, sia il notaio rogante l’atto, pareva opportuna la presenza del curatore all’ atto di cessazione, al fine di sentirlo dichiarare di non opporsi al trasferimento dei beni in capo al fallito e potersi così eseguire la prima trascrizione in Conservatoria in favore del Disponente -fallito e, immediatamente dopo, la trascrizione della sentenza di fallimento, senza soluzione di continuità.
Presentata al giudice delegato l’articolata operazione ipotizzata, il giudice[32] autorizzava a procedere nei termini suddetti, apprezzando l’efficienza della soluzione che evitava alla procedura le spese della dichiarazione giudiziale di inefficacia.
Tuttavia, pochi giorni prima della data di stipula convenuta, la madre del disponente cambiava idea, comunicando che non avrebbe espresso il consenso richiesto ai sensi della rule Saunders v Vautier, rendendo così impossibile la cessazione anticipata del trust.
Di fronte a questa sopravvenuta ostilità di uno dei beneficiari, il trustee, consapevole della delicatezza della situazione venutasi a creare e volendo evitare che il curatore azionasse la via giudiziale, decideva di avvalersi dell’opportunità fornita dall’art. 25 L. fall. che, attribuendo al giudice delegato specifici poteri a fini di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura, al n. 2) del comma 1, gli consente di emettere, o provocare: “dalle competenti autorità i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio, ad esclusione di quelli che incidono su diritti di terzi che rivendichino un proprio diritto incompatibile con l’acquisizione”.
Costituendo presupposto, per l’applicazione della norma, l’insussistenza di un terzo che rivendichi diritti su beni che dovrebbero essere nell’attivo fallimentare, il trustee confermava per iscritto al curatore di non contestare la spettanza dei beni in trust al fallimento, permettendo così al giudice delegato di emettere un provvedimento ai sensi degli artt. 25, comma 1, n. 2 e 64, comma 2, L. fall., diretto alle autorità rappresentate dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate – Servizio di Pubblicità Immobiliare e dal Direttore del Registro delle Imprese di Bologna, affinché provvedessero alle trascrizioni necessarie a far acquisire gli immobili alla procedura.
Nella istanza del curatore al giudice delegato, dove riportava la dichiarazione del trustee e la richiesta di emettere un provvedimento ai sensi delle norme richiamate, veniva allegata un’ordinanza del Tribunale Reggio Emilia del 13 Ottobre 2016[33] che aveva trattato delle modalità pratiche di attuazione della trascrizione in un caso analogo, prevedendo due note: la prima (contraddistinta dal codice 617 - sentenza dichiarativa di fallimento) a favore della massa dei creditori e contro il fallito e la seconda (con codice 600 - "atto") indicante nell'oggetto "apprensione dei beni al fallimento ex art. 64, secondo comma, L. fall." ancora a favore della massa dei creditori, ma contro sia il fallito, sia il suo avente causa.
Il 18 agosto 2020 il giudice delegato[34], accoglieva l’istanza del curatore, emettendo un’ordinanza ai sensi degli artt. 25, comma 1 n.2) e 64, comma 2, L. fall. nella quale ordinava al Direttore dell’Agenzia delle Entrate – Servizio di Pubblicità Immobiliare e dal Direttore del Registro delle Imprese di Bologna di trascrivere sugli immobili in trust, la sentenza di fallimento.
7 . Conclusioni
Le ragioni in diritto che abbiamo prospettato, in relazione alla vicenda definitasi con la sentenza del Tribunale di Modena del 26 aprile 2023, ci portano a concludere in senso opposto rispetto alla decisione raggiunta dal giudice, ritenendo pienamente sussistente la legittimazione ed interesse ad agire del curatore che, trovando di fronte un trust validamente istituito dal disponente successivamente fallito in proprio, voglia acquisire i beni in trust all’attivo fallimentare.
Il diverso caso del trust istituito dai falliti in favore di loro stessi e dei loro famigliari dimostra per contro come si possa giungere ad una soluzione vantaggiosa per i diritti dei creditori, senza adire la via giudiziale, qualora vi sia la collaborazione del trustee e la volontà del curatore, supportato dal giudice delegato, di percorre una via innovativa rispetto alle tipiche azioni di inefficacia. 
In conclusione, emerge come il diritto dei trust non sia per nulla costituito da un insieme di regole e disposizioni, per definizione incompatibili con il diritto concorsuale, anche nei casi estremi di trust opponibili alla procedura o in palese frode ai creditori.
È per contro vero che ogni singola questione che dovesse prospettarsi spalanca la porta ad ambiti nuovi e particolarmente complessi dal punto di vista della loro ricostruzione sistematica, dovendosi procedere nel rispetto di disposizioni che attengono a due contrapposte discipline. 
Tuttavia, esaminandole approfonditamente, si può trovare inaspettatamente una soluzione di pregevole efficienza mentre, sempre più frequentemente, la via della revocatoria o dell’inefficacia si dimostra di minor soddisfazione.

Note:

[2] 
Trib. Parma 3 marzo 2005, in Trust e Attività Fiduciarie, 2005, p. 533; Trib. Mondovì 16 settembre 2005, in Trust e Attività Fiduciarie, 2009, p. 182; Trib. Napoli 19 novembre 2008, in Trust e Attività Fiduciarie, 2009, p. 636; Trib. Milano, sez. Legnano, 8 gennaio 2009, in Trust e Attività Fiduciarie, 2009, p. 634; Trib. Milano 30 giugno 2009 in Trust e Attività Fiduciarie 2010, p. 80; Trib. Milano 16 giugno 2009, in Trust e Attività Fiduciarie 2009, p. 533; Trib. Milano 30 luglio 2009, in Trust e Attività Fiduciarie, 2010, p. 80; Trib. Milano 17 luglio 2009, in Trust e Attività Fiduciarie, 2009, p. 628; Trib. Milano 22 ottobre 2009, in Trust e Attività Fiduciarie, 2010, p. 77; Trib. Milano 29 ottobre 2010 in Trust e Attività Fiduciarie, 2011, p. 146; Appello Milano 29 ottobre 2009 in Trust e Attività Fiduciarie, 2010, p. 274; Trib. Alessandria, 24 novembre 2009 in Trust e Attività Fiduciarie, 2010, p. 171; Trib. Reggio Emilia 14 marzo 2011 in Trust e Attività Fiduciarie, 2011, p. 630; Trib. Brindisi 28 marzo 2011, in Trust e Attività Fiduciarie, 2011, p. 643; Trib. Mantova 25 marzo 2011, Trust e Attività Fiduciarie, 2011, p. 529; Trib. Bolzano 17 giugno 2011, in Trust e Attività Fiduciarie, 2012, p. 177; Trib. Bolzano 23 luglio 2011, in Trust e Attività Fiduciarie, 2012, p. 178; Trib. Monza 15 febbraio 2012, in Ilcaso.it; Trib. Napoli 28 novembre 2013, in Il Fallimento, 2014, p. 567; Trib. Cremona 8 ottobre 2013 in Trust e Attività Fiduciarie, 2014, p. 303; Trib. Milano 12 settembre 2013, in Trust e Attività Fiduciarie, 2014, p.307; Trib. Treviso 2 settembre 2013, in Trust e Attività Fiduciarie, 2014, p. 310; Trib. Milano 27 maggio 2013, in Trust e Attività Fiduciarie, 2014, p. 46; Trib. Bolzano 8 aprile 2013 in Trust e Attività Fiduciarie, 2014, p.49; Trib. Ravenna 4 aprile 2013, in Trust e Attività Fiduciarie, 2013, p. 632; Trib. Milano 22 gennaio 2013, in Trust e Attività Fiduciarie, 2013, p. 537; Appello Catania 21 novembre 2012, in Trust e Attività Fiduciarie, 2014, 62; Trib. Reggio Emilia 2 maggio 2012, in Trust e Attività Fiduciarie, 2012, p. 496; Trib. Milano 12 marzo 2012, in Trust e Attività Fiduciarie, 2013, p. 49.
[3] 
Sulle fattispecie di trust liquidatori a quel tempo esistenti, si rinvia a A. Farolfi, Il trust liquidatorio secondo le risultanze della prassi e della giurisprudenza, in Trust e Attività Fiduciarie, 2014, p. 616.
[4] 
In Trusts e attività fiduciarie, 2014, 4, p. 416, commentata da G. Fanticini, L’ ingloriosa fine del trust liquidatorio istituito dall’impresa insolvente: tam quam non esset, p. 585.
[5] 
M. Atzori, Riflessioni finali sui trust liquidatori, Relazione al V Congresso Nazionale dell’Associazione il Trust in Italia, Sestri Levante 2011, pubblicata in Moderni sviluppi dei trust, Atti del V Congresso Nazionale dell’Associazione il Trust in Italia, Quaderni di Trusts e attività fiduciarie, 11, Milano, 2011, p. 549.
[10] 
M. Atzori, cit. p. 559.
[11] 
M. Atzori, cit. p. 564.
[12] 
Alcuni autori hanno ritenuto applicabile al trust istituito prima del fallimento l’art. 78 L. fall.: E Scoditti, Trust e fallimento, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, p. 472; F. Tedioli, Trust con funzione liquidatorio e successivo fallimento dell’impresa, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, p. 494.
[13] 
In favore di questa terza soluzione sono M. Atzori cit, S. Bartoli, Due sentenze di beni societari costituiti in trust, in Corriere di Merito 2010, 4, 388 e ss., D. Muritano, Note sul trust istituito da imprese in crisi (in funzione liquidatoria) Studio n.161/2011 del Consiglio Nazionale del Notariato, approvato l’1 marzo 2011, 11 e ss., A. Busani, C Fanara, G.O. Mannella, Trust e crisi d’impresa, Milano, 2013, p. 90.
[14] 
In questo senso M. Atzori cit. Dello stesso parere L Panzani, Trust nell’esperienza giuridica italiana: il punto di vista della giurisprudenza e degli operatori, Relazione tenuta presso il Consiglio Superiore della Magistratura all’incontro di studio sul tema: I c.d. patrimoni di scopo: : fondo patrimoniale, patrimonio destinato a uno specifico affare e “trust” tra diritto interno e modelli stranieri, Roma 11-13 ottobre 2010, 17; D. Muritano cit. p.11; D. Galletti, Trust liquidatorio e (in)derogabilità del diritto concorsuale, Relazione al V Congresso Nazionale dell’Associazione il Trust in Italia, Sestri Levante 2011, pubblicata in Moderni sviluppi dei trust, Atti del V Congresso Nazionale dell’Associazione il Trust in Italia, Quaderni di Trusts e attività fiduciarie, 11, Milano, 2011, p. 555.
[15] 
Così T. Manferoce, Trust e procedure concorsuali, Relazione tenuta presso il Consiglio Superiore della Magistratura all’incontro di studio sul tema I c.d. Patrimoni di scopo: fondo patrimoniale, patrimonio destinato a uno specifico affare e “trust” tra diritto interno e modelli stranieri Roma 11 – 13 ottobre 2010.
[16] 
M Atzori, cit. p. 564.
[17] 
Traduzione vs. l’italiano: “Fermi restando i poteri della Corte di cui al comma (4) e anche in deroga a quanto previsto dall’atto istitutivo, laddove tutti i beneficiari siano in vita, siano stati individuati e nessun di loro sia interdetto o minore, essi possono richiedere al trustee di cessare il trust e distribuire i beni in trust tra di loro”.
[18] 
Saunders v Vautier [1841] 4 Beav 115, 49 ER 282, in Trusts e attività fiduciarie 2004, p. 294.
[19] 
Per la ricostruzione storica che la rule Saunders v Vautier rule Saunders v Vautier ha avuto nel corso del tempo si rinvia agli scritti di M. Lupoi e M. Graziadei, Una ricerca sulla collocazione storica di Saunders v Vautier nel diritto inglese, in Trusts e attività fiduciarie in rete, 2023, p. 1 e M. Lupoi, La fortuna di Saunders v Vautier in Trusts e attività fiduciarie in rete, 2023, p. 232.
[20] 
M. Atzori, cit. p. 566, scrive infatti che le posizioni beneficiarie inizialmente riferibili a tutti i creditori sociali: “vengono automaticamente sostituite da un’unica posizione beneficiaria, quella del curatore, in rappresentazione del ceto creditorio”. Nello stesso senso si è espresso M. Lupoi in Due parole tecniche sull’atto istitutivo di un trust liquidatorio e sui trust nudi, in Trusts e attività fiduciarie, 2011, p. 211.
[21] 
In presenza di bare trust, il beneficiario risulta absolutely entitled sul fondo in trust, con l’effetto che il trustee tiene il fondo in trust a sua totale disposizione, divenendo obbligato a dar seguito e forma a qualsiasi sua richiesta fra le quali, senza dubbio, la più importante è rappresentata dalla richiesta di cessazione anticipata del trust con consegna a sue mani del fondo in trust. Sul punto si rinvia a A. Tonelli, Il trust, i patrimoni segregati e gli altri strumenti fiduciari, in Wealth Planning, a cura di A. Vasapolli e A. Chianale, Milano, 2021 p. 335 del quale è in corso di stampa la 2° edizione.
[22] 
M. Atzori, cit. p. 566. Nello stesso senso si sono poi successivamente espressi D. Muritano cit. e A. Busani, C. Fanara, G.O. Mannella cit.
[23] 
Cass. 30 marzo 2021 n. 8719 in www.filodiritto.it, con nota di A. Tonelli, Il giudice di legittimità ci dà una lezione di diritto dei trust.
[24] 
In diritto dei trust la posizione beneficiaria è considerata un bene mobile ed in particolare un diritto di credito. Sul punto si rinvia a Lewin on Trusts, 20th ed., London, 2020, 21-001; M. Lupoi, Istituzione del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Milano, 2020, p. 134.
[25] 
Cass. 30 marzo 2021 n. 8719 cit.
[26] 
C Appello Roma 16 novembre 2021 in www.il-trust-in-italia.it.
[27] 
M. Atzori, cit. p. 566.
[28] 
Il primo comma dell’art. 15 elenca le materie alle quali nessun trust potrà derogare se, in applicazione delle regole di conflitto del foro, si tratti di materie sottratte all’autonomia negoziale, quali: a) la protezione di minori e incapaci, b) gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio, c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima, d) il trasferimento di proprietà e le garanzie reali, e) la protezione di creditori in caso di insolvibilità, f) la protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede.
[29] 
Trib. Bologna 9 gennaio 2014, est. A. Atzori, in Trusts e attività fiduciarie, 2014, p.293, confermata da C. Appello Bologna 11 gennaio 2019, est. A. De Cristoforo, in Trusts e attività fiduciarie, 2019, p. 67 con nota di A. Tonelli, L’ultimo comma dell’art.2 della Convenzione e la posizione del disponente, p.39. La sentenza di I grado è pubblicata anche in P. Panico, International trust laws, Oxford, 2017, p.74, dove si legge: “A significant element in the court’s decision was the circumstance that a protector had disclaimed his right to sue the trustee or to bring any actions in relation to the trust….However, it indicates an effective way to challenge a trust in a non-trust jurisdiction where it can be enforced only if it meets the requirements of the Hague Convention or some equivalent private international law provision. If in the opinion of a competent court the extent of the reserved powers is such that the trustee is not in control of the trust property, the purported trust is not recognized and therefore unenforceable".
[30] 
La Corte di Cassazione con la sentenza n.7477 del 20 marzo 2020, in Ilcaso.it, ha rammentato che: “I pagamenti avvenuti dopo il fallimento e riconducibili, anche indirettamente, al fallito, perché effettuati con suo denaro, su suo incarico ovvero in suo luogo, sono inefficaci, ai sensi dell'art. 44 L. fall., e le conseguenti domande di accertamento della loro inefficacia e di restituzione delle somme indebitamente versate in violazione della "par condicio creditorum" vanno proposte nei confronti dell'"accipiens", che è l'unico legittimato passivo, essendo l'effettivo beneficiario dell'atto solutorio, e non, invece, contro il soggetto eventualmente deputato dal medesimo fallito alla sua esecuzione.” E nello stesso senso Cass. 19 luglio 2016 n. 14779 in Fall, 2017, p. 988.
[31] 
Cass. 29 luglio 2014 n.17196, in Fallimento, 2015, p.290 e Cass. 14 ottobre 2015 n.20742, in Fallimento, 2016, p.1006.
[32] 
Il provvedimento è dell’1 agosto 2020, G.D. dott. M. Atzori.
[33] 
In Ilcaso.it.
[34] 
Il giudice delegato di questo secondo provvedimento è la dott.ssa A.M. Rossi.

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