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Saggio

La riforma dell’esecuzione forzata e le liquidazioni concorsuali*

Alberto Crivelli, Consigliere della Corte di Cassazione

15 Febbraio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Lo scritto si propone di passare in rassegna le disposizioni del Libro III del codice di procedura civile che sono state oggetto della riforma introdotta con D.Lgs n. 149/2022, per verificare la loro applicabilità, limitata o totale, alla fase liquidatoria delle procedure concorsuali.

The paper aims to review the provisions of Book III of the Code of Civil Procedure that have been the subject of the reform introduced by D.Lgs. n. 149/2022, to verify their applicability, limited or total, to the liquidation phase of insolvency proceedings.
Riproduzione riservata
1 . Premesse generali
Come noto, con il D.Lgs n. 148/2022 è stata apportata una significativa riforma al codice di rito, che tra l’altro ha riguardato anche il libro III inerente al processo esecutivo[1].
Dal momento che le procedure concorsuali, nella loro fase esecutiva, consistono in gran parte in attività liquidativa, che a sua volta si risolve in attività di vendita forzata sottoposta al principio della competitività come da lungo tempo affermato dal SC e ormai sempre prevista ex lege[2], è evidente che le modifiche, talora significative, apportate al suddetto libro III, e in particolare agli artt. 567 segg., che costituiscono null’altro che il paradigma stesso della competitività, non possono almeno in parte che incidere sulle forme di competitività concorsuali, e compito di questo piccolo studio è verificare in quali termini. 
Orbene l’argomento presuppone un breve esame delle forme competitive previste in sede concorsuale. Esse sono, per quanto riguarda 1) la liquidazione giudiziale: a) competitività a schema libero (art. 216, comma 2, CCII); b) competitività in base al codice di rito (art. 216, comma 3, CCII); c) subentro a processo esecutivo in corso proposto nei confronti del debitore (art. 216, comma 10, CCII)[3] d) vendite anteriori all’approvazione del programma di liquidazione (art. 213, comma 6, CCII) che presuppone da un lato l’urgenza della vendita, oggetto di specifica motivazione, e dall’altro l’autorizzazione del G.D., il quale può stabilire specifiche forme competitive, o anche di seguire quelle previste dal codice di rito. La scelta fra le forme sub a) e b) pertiene all’organo che approva il programma, visto che il curatore si limita a proporre: in prima battuta il G.D., che autorizza la trasmissione del programma stesso, e poi il comitato dei creditori. Le norme sulle vendite in tema di liquidazione giudiziale sono applicabili, in quanto compatibili, anche alla 2) liquidazione controllata (art. 275, comma 2, CCII). 
Per quanto riguarda 3) il concordato preventivo, a) se liquidatorio si applicano le forme competitive suddette di cui agli artt. 214 segg., CCII, per il richiamo effettuato dall’art.114 CCII; b) se in continuità, le vendite si effettueranno con competitività a schema libero (art. 84, comma 8, CCII), ma senza i vincoli contenuti in particolare nell’art. 216 CCII (sebbene alcune regole minimali dovranno essere osservate), bensì col rispetto dei tre elementi essenziali della competitività, e cioè 1) adeguata pubblicità, in guisa da prevenire la discrezionalità nella scelta del contraente; 2) massima apertura al pubblico, che involge un meccanismo di trasparenza in base al quale tutte le parti siano a conoscenza dei passaggi e dei risultati; 3) selezione in base a un sistema imperniato sulla gara o comunque sulla miglior offerta, anche qui tramite criteri predeterminati [4]; c) se le vendite vanno effettuate in corso di ammissione (art. 46 CCII) o anteriormente all’omologazione (art. 94 CCII) e in caso d’urgenza (art. 94 u.c., CCII), le forme competitive (eventuali nell’ultimo caso) sono sempre dettate dal decreto autorizzatorio, su proposta dell’imprenditore, previo parere del commissario nel secondo caso; in base al relativo richiamo, tale competitività s’ispira a quella prevista per la liquidazione giudiziale per la generale applicabilità in tali casi dell’art. 114 CCII (che infatti vale se non derogato, per tutte le vendite successive alla mera presentazione della domanda) c) se vi sia già un offerente individuato, si applica lo schema di cui all’art. 91 CCII: pubblicità dell’offerta e c1) in caso di assenza di manifestazioni d’interesse, si procede alla cessione in base al rapporto instaurato col debitore; c2) in caso di manifestazioni d’interesse, si procede ad una gara competitiva secondo le previsioni del decreto di cui all’art. 91, comma 3, CCII. 
Circa il 4) Concordato minore e 5) ristrutturazione dei debiti del consumatore, le vendite devono essere competitive ma sempre a schema libero, ed eseguite dal debitore (salvo diversa previsione del piano allegato alla procedura, che potrebbe prevedere un liquidatore, il quale dovrà allora essere l’OCC in base alle previsioni dell’art. 65 CCII; e salvo, per il concordato minore, la presenza del commissario, nei casi previsti dall’art. 78, comma 2 bis, CCII, sebbene con il controllo e la collaborazione dell’OCC (artt. 71 e 81, CCII). 
Circa poi 6) il concordato semplificato, viene fatto richiamo al disposto dell’art. 114 CCII, in quanto applicabile (art. 25 septies, comma 1, CCII); mentre quanto al 7) piano di ristrutturazione omologato, si applicano, sempre in quanto compatibili, le forme di cui all’art. 84, comma 8, CCII (art. 64 bis, comma 9, CCII). 
Più complesso il discorso rispetto all’accordo di ristrutturazione: se in generale si tratta pur sempre di una procedura concorsuale[5], è vero che nulla si dispone in ordine alle forme liquidative. Peraltro, quando esso è vincolante anche per soggetti non aderenti (incluso l’erario se determinante, per effetto delle regole stabilite dall’art. 63, comma 2 bis, CCII, pur con le modifiche recate dalla L. 10 agosto 2023, n. 103), pare davvero difficile ritenere si possa prescindere dalle regole minime di competitività. 
Ora anzitutto l’intero impianto delle modifiche apportate dalla riforma alla disciplina dell’esecuzione forzata si applica indubbiamente all’ipotesi di mero subentro, disciplinato espressamente solo dal già citato art. 216, comma 10, CCII (che in virtù dei richiami suddetti, è applicabile solo ai casi di liquidazione giudiziale, liquidazione controllata, concordato preventivo liquidatorio e concordato semplificato). In tal caso, infatti, il curatore (od il liquidatore nel caso del concordato) non fanno altro che far proseguire il processo esecutivo in corso, e succedono al creditore in tutte le facoltà ed i termini previsti per lo stesso. 
Molto più complesse sono le osservazioni da farsi in tutti gli altri casi. 
Vediamo allora le singole modifiche e verifichiamo la loro compatibilità con una vendita competitiva a schema libero o con una vendita in base al codice di rito, rispetto alla quale ultima occorre sempre ricordare che l’art. 216 CCII, norma fondamentale in argomento, stabilisce l’applicabilità delle relative forme “in quanto compatibili” (art. 216, comma 3, CCII).
2 . L’abolizione della formula esecutiva (art. 475 c.p.c.)
Scarso rilievo ha per la nostra materia l’abolizione della formula esecutiva, di cui all’art. 475, c.p.c., visto che la liquidazione concorsuale non richiede un titolo esecutivo. La rilevanza di quest’ultimo infatti attiene nelle procedure che ne occupano solo alla prova della legittimazione del creditore alla domanda di liquidazione, e neppure ne è fonte esclusiva, visto che essa può essere ricavata anche da documenti diversi dal titolo[6].
Peraltro, l’abolizione della formula potrebbe incidere in due casi: 1) il processo esecutivo in cui si subentra; b) l’ordine di rilascio emesso in sede di liquidazione controllata, che ancor oggi è definito titolo esecutivo.
Va però ricordato che anche in passato, l’assenza della formula in entrambi i casi avrebbe potuto essere rilevante solo se, nei relativi processi esecutivi (per quanto qui rileva, quello iniziato contro il debitore e quello di rilascio promosso dal liquidatore) l’opponente ex art. 617 c.p.c. avesse allegato la violazione di uno specifico e sostanziale interesse all’osservanza della formalità[7], che francamente non vedo come avrebbe potuto essere individuato, se non forse nel primo caso a scongiurare un reiterato utilizzo del titolo stesso, situazione che però poteva benissimo essere oggetto a quel punto d’opposizione all’esecuzione per assenza del debito. 
Va da sé che anche in tali limitati casi, l’avvenuta abolizione della necessità della formula non incide solo nei processi in corso, ma fa venir meno la relativa necessità anche per quei titoli che fossero stati formati anteriormente al marzo 2022[8], purché ovviamente le copie del titolo siano state rilasciate con attestazione di conformità all’originale.
3 . Il nuovo art. 492 bis, c.p.c.
Più rilevante è invece la modifica all’art. 492 bis, c.p.c.
Va in proposito premesso che l’art. 155 sexies, disp. att. c.p.c., estende espressamente alle procedure concorsuali (ovviamente tranne i casi in cui l’esecuzione sia affidata allo stesso debitore, artt. 71 e 81), la possibilità di chiedere all’ufficiale giudiziario la ricerca con modalità telematiche di beni del debitore, in questo caso ai fini della ricostruzione dell’attivo (e del passivo). 
Tale disciplina, pacificamente, si applica a tutte le procedure suddette, e qualsiasi sia la forma di liquidazione che (poi) verrà prescelta. 
Così il curatore od il commissario (o il liquidatore, la norma si riferisce a tutti e tre), se hanno proposto istanza ex art. 492 bis, c.p.c., potranno ottenere dall’ufficiale giudiziario l’accesso alle banche dati pubbliche di cui all’art. 492 bis, quarto comma, c.p.c., o, se l’accesso diretto non è possibile, potranno procedere, con l’attestazione dello stesso ufficiale giudiziario, a chiedere direttamente al gestore delle relative banche dati (art. 155 quinquies, disp. att., c.p.c.). 
La riforma incide, perché con il nuovo testo dell’art. 492 bis, c.p.c., non si deve più proporre la relativa istanza al presidente del tribunale (o a un giudice da lui delegato, nel nostro caso solitamente il presidente della sezione della crisi d’impresa[9]) che provvede poi ad autorizzare, ma la richiesta è formulata direttamente all’ufficiale giudiziario. Le competenze presidenziali sono ridotte al caso dell’esecuzione anteriore alla notifica del precetto, ma ai fini della ricostruzione dell’attivo questa disposizione è irrilevante.
4 . Modifiche in tema di custodia
In tema di custodia, sempre dando atto della pedissequa applicazione delle norme in caso di subentro, in tutti gli altri casi non ha alcuna rilevanza l’anticipazione della nomina del custode, che oggi avviene entro 15 gg dal deposito della documentazione prevista dall’art. 567, c.p.c. 
Infatti, nelle procedure di liquidazione giudiziale e controllata – neppure quando la liquidazione avvenga nelle forme del codice di rito - non occorre la nomina di un custode, perché questi è rappresentato dal curatore (che infatti ha l’amministrazione dei beni a seguito dello spossessamento, art. 128 comma 1), e quindi non si pone un tema di tempo della nomina, essendo infatti esclusa la figura del debitore-custode (peraltro anche nell’esecuzione forzata ormai ridotta la lumicino, perché si avrà solo nel ristretto arco temporale intercorrente fra il pignoramento e i quindici giorni successivi al deposito della documentazione suddetta, che peraltro deve avvenire unitamente al deposito dell’istanza di vendita, quindi entro 45 giorni). 
La questione riveste maggior delicatezza in caso di concordato, in quanto l’art. 114 CCII non richiama l’art. 128 CCII, sebbene la giurisprudenza abbia sempre avvicinato i poteri gestori del liquidatore a quelli del curatore. Può peraltro ritenersi che una completa assimilazione non si abbia, e pertanto in caso di previsione da parte del piano della vendita con le forme del codice di rito, è opportuno che il G.D. provveda a nominare espressamente il liquidatore come custode. 
In ogni caso il fatto che il curatore (o il liquidatore nei termini che si sono detti) rivesta il ruolo di custode, ovvero la possibilità che ad una simile nomina si giunga (secondo alcuni opportuna in caso di grossi compendi immobiliari[10]: a mio avviso in tali casi è più appropriata la nomina di un coadiutore che si occupi di tali aspetti ex art. 129 CCII) determina il problema dei nuovi compiti di sua collaborazione con l’esperto, sanciti dall’art. 559, terzo comma, c.p.c., in tema di esame della documentazione soprattutto ipo-catastale 
L’art. 559, terzo comma, c.p.c., peraltro, in sé non si può applicare, anzitutto perché formalmente in materia concorsuale non trova spazio l’art. 567 c.p.c., la documentazione cui lo stesso fa riferimento costituendo infatti compendio all’istanza di vendita, atto estraneo alla vendita concorsuale. 
Certo è vero che l’art. 216 CCII stabilisce che l’esperto nominato in ambito concorsuale (si parla di stima, ma è ovvio redatta da un esperto) deve redigere una relazione conforme allo schema del 173 bis disp. att. c.p.c., e quindi di necessità essa deve essere redatta alla luce anche la documentazione prevista dal 567 (certificati catastali e risultanze ipotecarie del ventennio, art. 173 bis, secondo comma, disp. att. c.p.c., ed anche quelle ante ventennio ove solo oltre quest’ultimo arco temporale vi sia l’acquisto che consente il completamento del periodo[11]). Si tratta poi in ogni caso di vendere un bene con procedure competitive, e quindi di vendite forzate che presuppongono una verifica formale della continuità e della titolarità, proprio analogamente a quanto accade a proposito del processo d’esecuzione individuale, verifica che avviene da parte del G.D. in sede di emissione del decreto che dispone la vendita (delegandone di norma le operazioni il curatore) in caso di vendita con le forme del codice di rito, e che avviene invece in caso diverso (cioè vendita in forma competitiva a schema libero) con la specifica autorizzazione di cui all’art. 213, comma 7[12]
Ma appunto l’innovazione non ci riguarda da vicino, perché il dovere di collaborazione del curatore ai controlli dell’esperto poteva tranquillamente essere già affermata in precedenza, sulla base dei doveri che incombono sia sul curatore che sul liquidatore, per il primo nella redazione del programma di liquidazione, la cui redazione richiama la sua responsabilità come stabilito dall’art. 136 CCII; per il secondo sempre sulla base di tale ultima disposizione, richiamata dall’art. 114 CCII. 
Ovviamente tali obblighi sono quelli derivanti dalla sua professionalità, e quindi escludono una verifica - ad esempio – circa la presenza di irregolarità edilizio-urbanistiche, il cui controllo invece ricade interamente tra le responsabilità dell’esperto, per le competenze tecniche specifiche che richiede la stessa, e fors’anche la verifica del fatto che il bene ricada o meno nell’ambito dell’edilizia agevolata e convenzionale[13]. Ma essi di certo ricomprendono la necessità di controllare le risultanze ipo-catastali, nonché di esaminare le risultanze degli altri pubblici registri, quindi certificati di matrimonio e la presenza di locazioni trascritte o comunque opponibili alla procedura. 
Sono poi irrilevanti per il curatore le disposizioni in tema di modi della custodia, a proposito di locazioni e rendicontazione, perché si tratta di compiti suoi propri ricavabili dal codice della crisi. Tali disposizioni però possono assumere una specifica rilevanza nel caso del liquidatore dei beni del concordato, per la più incerta portata dei relativi poteri gestori.
5 . La riduzione dei termini per il deposito della documentazione
Se è vero quanto abbiamo detto prima, è logico che le novità “acceleratorie” rispetto ai termini di cui all’art. 567 c.p.c. sono inapplicabili, salva sempre l’ipotesi del subentro. Nel nostro caso però, vale ricordare che la documentazione deve essere stata esaminata, come s’è detto sopra, e pure le risultanze nella perizia vanno inserite nel fascicolo processuale.
In particolare, il tutto deve essere predisposto e pronto per l’esame giudiziale, quindi rispettivamente prima della richiesta di decreto che dispone la vendita o di sottoposizione dell’atto all’autorizzazione specifica ex art. 213, comma 7, CCII del che occorre dare atto nelle relative richieste. La rilevata mancanza di tale esame giustifica indubbiamente la revoca del curatore o del liquidatore, e sicuramente quella dell’esperto.
6 . L’ordine di liberazione
Più interessante l’argomento dell’ordine di liberazione. 
Anche qui in materia di liquidazione giudiziale e, grazie al richiamo di cui all’art. 114, anche in tema di concordato liquidatorio e semplificato, dispone direttamente l’art. 216 con una disciplina specifica, che peraltro ricalca il nuovo testo dell’art. 560 c.p.c., disposizione che anche topograficamente non rientra nel richiamo alle “vendite” stabilito dal comma 3 del suddetto art. 216 CCII. 
Ovviamente nel nostro caso l’occupazione da parte del debitore è regolata dall’art. 147, espressamente richiamato dalla norma, il che non è senza conseguenze. Infatti,  mentre nel caso dell’esecuzione forzata individuale allorché il debitore abiti l’immobile pignorato, e lo stesso non si renda autore delle violazioni previste dall’art. 560, c.p.c., l’ordine viene spiccato solo al momento dell’emissione del decreto di trasferimento, nel nostro caso l’art. 147, comma 2, prevede solo che la casa di abitazione del debitore non possa essere distratta da tale uso “fino alla sua liquidazione”, il che supera il dubbio circa l’ordine in cui avviene ella liquidazione (la casa può essere liquidata benissimo anche unitamente agli altri beni), ma resta il dubbio se l’ordine di liberazione possa essere emesso solo dopo l’aggiudicazione (il che significa comunque prima del decreto di trasferimento). 
A mio parere, escluso che in tal caso si possa intendere “liquidazione” come sinonimo di “inizio della procedura di liquidazione”, altrimenti la salvezza operata dall’art. 216 non avrebbe senso, si può concludere proprio ritenendo che l’ordine di liberazione possa essere emesso in tal caso solo dopo l’aggiudicazione. E il riferimento espresso al decreto di trasferimento non toglie che l’ordine di liberazione possa essere emesso tanto in caso di vendita a norma del codice di rito quanto con la competitività a schema libero, affiancando nell’un caso il decreto di trasferimento, nell’altro l’atto notarile. 
Nel caso della liquidazione controllata l’argomento invece non si pone, visto che, come si è già osservato, ivi il rilascio deve avvenire – a cura del liquidatore - nelle forme di cui all’art. 605 ss. c.p.c., costituendo il relativo ordine contenuto nella sentenza di apertura (art. 270, comma 2, lett. e) un vero e proprio titolo esecutivo[14]
Nel caso del concordato in continuità, nessuna questione si pone con riferimento ai beni strumentali che non vanno venduti, mentre per quelli da liquidarsi con forme competitive libere non v’è ragione di non estendere l’applicazione del principio sancito dall’art. 216, comma 2, sostituito ovviamente il curatore con il liquidatore. Peraltro se ciò in passato era agevolmente sostenibile allorché il liquidatore fosse stato previsto dal piano (peraltro in assenza di previsione in generale l’esecuzione del piano in continuità era, in base alla legge fallimentare, essenzialmente affidata al debitore anche per quanto riguardava la relativa frazione liquidativa, sebbene in giurisprudenza si registrasse un orientamento contrario[15]), ora tutto è reso più complesso dal fatto che come si è visto, per l’esecuzione della liquidazione in ambito di concordato in continuità si applica l’art. 84, comma 8. Tuttavia, la regola per la liberazione, dettata dall’art. 216, norma in generale appunto non applicabile, appare riferibile anche alla continuità attesa la portata generale della disciplina della liberazione ivi recata e l’affidamento ad un terzo soggetto, appunto il liquidatore, della stessa. In effetti non è questa la sede per approfondire i rapporti fra le norme di cui agli artt. 216 e 84, comma 8, tuttavia può qui riassuntivamente dirsi che da un lato nel dare attuazione nel piano alla competitività prevista dalla seconda norma, l’imprenditore non potrà prescindere da alcuni principi espressi dall’art. 216 CCII; dall’altro nel dettare le regole di dettaglio di tale competitività, non potrà certo “inventare” un sistema di liberazione, che per principio se non spontanea non può che essere regolata dalla legge, e quindi l’applicazione sul punto dell’art. 216, comma 2, appare obbligata. 
L’applicabilità dell’ordine di liberazione in caso di concordato liquidatorio (e per il richiamo operato dall’art. 25 sexies anche per quello semplificato) dovrebbe invece discendere senza problemi dal richiamo operato dall’art. 114. 
Per il p.r.o. valgono analoghe considerazioni, essendo quivi richiamato l’art. 84, comma 8. 
Da ricordare che in tutti questi casi, l’o.d.l. sarà impugnabile dall’interessato ai sensi dell’art. 124 CCII, trattandosi di atto del G.D. 
Essendo invece abbandonate al debitore le forme esecutive delle altre procedure da sovraindebitamento non si può pensare ad un ordine di liberazione, ma purtroppo neppure ad un rilascio sulla base dell’ingiunzione prevista dall’art. 587, c.p.c. Qualche dubbio sorge quando sia stato nominato un liquidatore od un commissario, ma intanto anche qui non vi è spazio per un decreto di trasferimento. Si potrebbe peraltro pensare che, almeno per il concordato minore, ci sia la possibilità di emettere l’ordine di liberazione grazie al richiamo di cui all’art. 74, comma 4. 
In tutti gli altri casi, comunque, unica modalità per ottenere la liberazione del bene, se non spontaneamente consegnato dal sovra-indebitato, sarà dunque costituita da un’esecuzione per rilascio ai sensi degli artt. 605, ss. c.p.c., basata sul titolo notarile di trasferimento, la quale vedrà come unico avente diritto (non il liquidatore come nella controllata ma) l’aggiudicatario. 
La già riferita inapplicabilità dell’art. 560 c.p.c., determina che anche per le vendite per le quali si scelgono le forme del codice di rito, non vale la disciplina (ormai piuttosto succinta) ivi contenuta per la regolazione del diritto di visita degli interessati, che è dunque direttamente quella prevista dall’art. 216, comma 6 (che peraltro ricalca l’abrogato testo proprio dell’art. 560 c.p.c.).
7 . I modelli di avviso di vendita
Circa la modifica dell’art. 570 c.p.c., che ora prevede che l’avviso di vendita sia redatto in conformità a modelli predisposti dal giudice dell’esecuzione, va osservato quanto segue. 
Fermo restando che in tutti gli uffici i giudici delegati si sono da tempo dotati (come del resto i G.E.) di modelli di avvisi di vendita, è evidente che in caso di vendita effettuata a norma del codice di rito, trattandosi di disposizione pienamente compatibile, la disposizione si applica anche in tema concorsuale. 
Per quanto si riferisce invece alle vendite a schema libero, la disposizione non si applica (sebbene in tal caso spesso i tribunali hanno predisposto lo schema di avviso da rispettare anche sulle vendite eseguite in conformità al programma di liquidazione od al piano concordatario), perché l’avviso è atto proprio del curatore, che è una figura diversa dal delegato, trattandosi peraltro non di un mero ausiliare del giudice come invece è quest’ultimo. 
Peraltro, va ricordato che l’art. 216, comma 5, CCII fa espresso riferimento, per ogni tipologia di vendita, ad un “avviso”, che quindi deve esserci, pertanto, si potrebbe ragionevolmente ritenere che la disposizione specifica in esame si applichi anche a tali atti. Ciò potrebbe farsi anche partendo dalla caratteristica della predeterminazione delle regole insita nella competitività, alla cui garanzia è preposta la (sub)regola dell’uniformità. 
Men che meno la norma si applica nel caso della competitività delle procedure da sovraindebitamento, peraltro anch’esse soggette al principio – che possiamo definire generale dipendendo dalla natura predeterminata delle regole di gara che devono caratterizzare qualsiasi vendita competitiva – dell’obbligo di un compiuto avviso, mentre per i concordati preventivi valgono le regole già illustrate a proposito della liquidazione giudiziale. 
Dove previsto, il mancato rispetto dell’obbligo in parola non potrà che essere oggetto di reclamo ai sensi dell’art. 133 CCII. 
È però ovvio che il vero interesse in tali casi si appunterebbe su omissioni di pubblicità previste dallo “schema” e dalle relative ulteriori prescrizioni (es. l’entità della cauzione) e non invece dall’avviso singolo[16]
Peraltro, anche ove la vendita venga eseguita in difformità dalla pubblicità prevista dal modello ma in conformità a quella prevista dall’avviso, se quest’ultimo sia stato sottoposto all’autorizzazione giudiziale, o sia comunque conforme al decreto che dispone la vendita, non ritengo che vi sarebbe spazio per ritenere l’invalidità ex se della vendita. Viceversa, ove si ritenga la vincolatività del modello e, come nel caso delle vendite a schema libero in ambito concordatario, non sia prevista una specifica autorizzazione giudiziale (cfr. retro), la questione di validità della vendita può senz’altro porsi.
8 . Novità in tema di delega
In tema di professionista delegato, la novella modifica significativamente gli artt. 592 bis, 592 ter e 179 ter, disp. att., c.p.c. 
Sotto il primo profilo rilevano il contingentamento dei tempi della delega e l’attribuzione al delegato dei compiti relativi alla fase distributiva, prima solo eventuali (nel senso che prima della riforma da un lato la delega non aveva un termine finale, dall’altro poteva non comprendere la fase distributiva, se non con riferimento alla predisposizione del relativo progetto). 
Il secondo aspetto ci interessa poco, perché la distribuzione in materia concorsuale è disciplinata autonomamente: vi provvedono le norme sul riparto in tema di liquidazione giudiziale; il piano in tema di concordato; l’art. 275, commi 5 e 6, CCII per la liquidazione controllata (dove si prevede l’autorizzazione giudiziale allo “svincolo” dei ricavi delle vendite, il che presuppone la presentazione al giudice di una sorta di piano di riparto); gli artt. 71, comma 2 e 81, comma 2, CCII, in materia di altre procedure da sovraindebitamento (anche qui la procedura si incentra sul provvedimento di svincolo da parte del giudice). 
Invece con riguardo ai tempi per le vendite, l’art. 213, comma 5, CCII stabilisce che gli stessi siano stabiliti dal programma di liquidazione, e che entro otto mesi dall’apertura della procedura si proceda al primo esperimento di vendita, indicando che il termine per la completa liquidazione non può eccedere i cinque anni dal deposito della sentenza di apertura, in casi particolari estendibili a sette. 
La disposizione, in quanto contenuta appunto nell’art. 213, CCII risulta applicabile tanto alle vendite competitive a schema libero quanto a quelle soggette al codice di rito. 
Orbene il nuovo testo dell’art. 592 bis, c.p.c. stabilisce che il giudice fissi un termine finale per il completamento delle operazioni, e che entro un anno siano compiuti almeno tre esperimenti. 
Ne consegue che, in caso di vendita in base alle norme del codice di rito, la regola della fissazione di un termine finale nel provvedimento che dispone la vendita non si può ritenere compatibile neppure in caso di vendite in base al codice di rito, per il quale si applica sempre e solo il termine legale di cinque anni dalla sentenza. D’altronde il termine previsto dall’art. 592 bis, c.p.c., è dettato in relazione ad una vendita individuale, a fronte del fatto che quello stabilito dall’art. 213, CCII tiene conto delle diverse e tendenzialmente maggiori incombenze proprie di una procedura concorsuale. Inoltre, va considerato che il termine finale dell’art. 592 bis c.p.c., essendo riferito ad una delega che ricomprende anche la fase distributiva, è del tutto sganciato da quello proprio della materia concorsuale. 
Quanto alla previsione della celebrazione di almeno tre aste entro un anno dalla delega, invece tale termine può essere ritenuto compatibile, in quanto per il mero incombente in argomento non v’è ragione di riconoscere termini più ampi, nulla peraltro disponendo in proposito il codice della crisi sul punto.
La disposizione poi secondo cui si deve procedere al primo esperimento dell’asta entro 8 mesi dall’apertura, che attiene a tutti i beni di compendio della procedura, è poi pienamente compatibile con quella appena commentata.
Va da sé che invece per le vendite a schema competitivo libero restano applicabili le sole norme dettate dall’art. 213 CCII[17] 
Più complesso l’argomento dell’art. 179 ter, disp. att. c.p.c. La nuova disposizione[18] detta regole per potersi iscrivere nell’elenco dei delegati (e custodi). Premesso che in caso di vendite a schema libero non è previsto un delegato ai sensi dell’art. 591 bis, c.p.c. I riferimenti che sembrano trarsi dall’art. 216 CCII sono frutto di refusi.
È vero che in passato si è talora valorizzata la figura di un “delegato” del curatore[19], facendosi leva soprattutto sulla possibilità di affidare a professionisti “alcune incombenze” della vendita, di cui all’art. 104 ter, L. fall. (disposizione non più ripetuta dall’art. 213, CCII), nonché sul riferimento ai “soggetti specializzati, ma pare evidente che tale “delega” finisce per configurare un atto privo di riferimenti in assenza della fonte giurisdizionale e che tra l’altro pur provenendo dal professionista avrebbe addirittura un effetto maggiore della stessa delega giurisdizionale, perché finirebbe per essere addirittura estesa alla redazione dell’atto di trasferimento. 
D’altronde, quanto ai soggetti specializzati, essi sono solo quelli così definiti dalla legge (sicuramente i soggetti indicati dall’art. 532 c.p.c., probabilmente i gestori della vendita telematica e della pubblicità)[20]. Certo resta la possibilità di nominare eventuali coadiutori ai sensi dell’art. 129 CCII, ma si tratta evidentemente di tutt’altra figura.
Venendo invece alle vendite disciplinate dal codice di rito, ci si deve però domandare cosa accada se un curatore o un liquidatore non siano iscritti e si decida (o il piano preveda) per le vendite in base al codice di rito. 
A mio parere il curatore è il naturale delegato, come si ricava dall’art. 128 CCII già citato, e in base all’art. 129 CCII egli esercita personalmente le sue attribuzioni gestorie.
Il liquidatore poi è nominato proprio e solo per vendere e riscuotere. 
Una difforme soluzione, quindi, finirebbe per scindere tali funzioni dal curatore o dal liquidatore, funzioni invece coessenziali all’ufficio rivestito.
D’altro canto, questi professionisti sono assoggettati a requisiti più stringenti[21] di quelli indicati dall’art. 179 ter disp. att. c.p.c. per essere ammessi all’albo di cui all’art. 356 CCII dei gestori delle procedure concorsuali, procedure che sono in gran parte qualificabili come forme di espropriazione forzata destinate a sfociare in vendite coattive, di norma più complesse di quelle individuali. 
Il delegato quindi, ove nominato – come di norma e salvo speciali esigenze – in persona del curatore o liquidatore, non deve essere scelto di necessità fra gli iscritti di cui all’elenco dell’art. 179 ter disp. att. c.p.c.
9 . I rapporti riepilogativi
Quanto ai rapporti riepilogativi, sempre il novellato art. 591 bis, c.p.c., stabilisce l’obbligo di un rapporto inziale e di uno dopo ciascun esperimento di vendita, il tutto secondo modelli predisposti dal G.E. 
L’argomento però è direttamente regolato dalla materia concorsuale. In proposito il curatore è tenuto, oltre ovviamente alla redazione del programma di liquidazione, alla redazione del rapporto periodico di cui all’art. 130, comma 9, CCII nonché all’informativa susseguente all’esperimento di ciascuna vendita, sia esso dunque positivo come negativo, il tutto entro cinque giorni dalla conclusione del relativo procedimento, a mente dell’art. 216, comma 9, CCII. A sua volta per il liquidatore della liquidazione controllata vale, oltre anche qui al programma di liquidazione, l’obbligo della relazione semestrale di cui all’art. 275, primo comma, CCII. Per il liquidatore nel concordato vale il disposto dell’art. 114, comma 5, che prevede appunto la comunicazione semestrale inerente alle informazioni rilevanti relative all’andamento della liquidazione, oltre a quella finale di cui al successivo comma 6, da depositarsi in esito all’esecuzione del concordato stesso. Tali obblighi sono indubbiamente estesi anche al liquidatore nominato ai sensi dell’art. 84, comma 8, CCII in tema di concordato in continuità.
In tema di altre procedure da sovraindebitamento vi sono gli obblighi informativi semestrali redatti dall’OCC sullo stato dell’esecuzione (art. 81, comma 1, CCII), oltre alla relazione finale da redigersi in esito all’esecuzione della procedura (art. 81, comma 4, CCII). 
Si può anzi dire che le innovazioni introdotte nel codice di rito siano state ritagliate proprio sulla falsariga degli articolati obblighi informativi previsti dal legislatore concorsuale.
Anche i modelli di tali rapporti (con particolare riguardo a quelli di cui all’art. 130, comma 9, CCII) sono già previsti e stabiliti a livello ministeriale, e dunque non abbisognano della disposizione che ne prevede l’uniformità.
10 . La normativa antiriciclaggio
Il legislatore della riforma processuale ha addossato all’aggiudicatario gli obblighi previsti dal D.Lgs. 21-11-2007, n. 231, con l’innesto di un nuovo 3° comma all’art. 585 c.p.c.; ciò ad evitare che le vendite immobiliari possano essere strumento per il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Più precisamente, l’aggiudicatario è tenuto a fornire al professionista (o al giudice) tutte le informazioni prescritte dall’art. 22, D.Lgs. n. 231/2007; deve, cioè, dichiarare se è effettivamente il titolare delle somme versate nelle casse della procedura per il saldo prezzo. Dal proprio canto, il giudice emette il decreto di trasferimento, ex art. 586 novellato, 1° comma, c.p.c., soltanto dopo aver verificato l’avvenuto rispetto di tali obblighi. 
Il legislatore ha dunque inteso escludere che, attraverso le vendite forzate, possa ottenersi la possibilità di riciclare denaro di provenienza illecita. 
Chiaramente la finalità non può che essere comune anche alle procedure concorsuali, siano esse svolte nelle forme del codice di rito che con schemi competitivi liberi. 
In proposito va brevemente richiamato quanto già detto al primo paragrafo in ordine al fatto che le vendite in sede concorsuale (liquidazione giudiziale, liquidazione controllata e concordato, oltre istituti che richiamano rispettivamente gli artt. 114 e 84, comma 8, CCII), possono prevedere, pur nel rispetto del principio di competitività, sia le forme stabilite nel programma di liquidazione o nel piano concordatario, sia quelle previste dal codice di rito. 
Nel secondo caso nulla quaestio, culminando la vendita in un decreto di trasferimento. 
Né si individua alcuna forma o profilo di incompatibilità, e non solo: qui non si tratta di applicare norme del codice di rito a vendite rette dal codice di rito, ma si tratta di individuare obblighi specifici per attività che sono comuni tanto alle vendite in base al codice di rito che a quelle a schema libero, come detto, per identiche finalità. 
Nel primo caso, tralasciando la tesi per cui si potrebbe configurare un atto non negoziale da emettersi su delega del curatore o del liquidatore[22] - in esito alla competitività a schema libero si avrà un atto di trasferimento a mezzo di rogito notarile (trattandosi di immobili), e dunque si può sostenere la diretta applicabilità della disciplina prevista per tale tipologia di atti dalla normativa antiriciclaggio. Infatti, volta che il principio risulta esteso anche alle vendite forzate, non v’è alcuna ragione per esentare i pubblici ufficiali che rogano gli atti di trasferimento conseguenti a vendite competitive a schema libero, dagli oneri di verificazione che normalmente competono loro allorché pongono in essere atti analoghi in caso di vendite ordinarie. 
D’altronde quando in passato si escluse l’applicabilità di tale disciplina[23], ciò veniva giustificato col fatto che la suddetta disciplina speciale di matrice euro-unitaria non potesse riguardare le vendite caratterizzate da coattività e non volontarie, dall'altro, perché l'aggiudicatario non è cliente del professionista delegato (o del curatore), il quale agisce in veste di ausiliario del giudice, svolgendo un'attività giurisdizionale e non meramente professionale, con tutte le difficoltà di adattamento alla peculiarità della fattispecie esecutiva. 
Orbene l’applicazione diretta alla vendita prevista dal codice di rito, paradigma di ogni vendita competitiva coattiva, supera indubbiamente le suddette obiezioni in modo totale. 
La norma comunque non richiede accertamenti particolari, ma solo il riscontro circa la sussistenza della dichiarazione scritta prevista da prefato decreto legislativo.
Venendo allora al merito, alla portata della disposizione, si è già detto che anzitutto la mancata ottemperanza all’obbligo suddetto determina l’astensione del G.D. dall’emissione del decreto di trasferimento (o il legittimo rifiuto del notaio a rogare l’atto conseguente alla procedura competitiva). Sul punto anzitutto non può che ammettersi la natura perentoria del termine: la norma non fa che richiamare il termine previsto dall’art. 585, primo comma, c.p.c., per il versamento del saldo prezzo. Termine che, senza discussione, è perentorio[24]. Un termine perentorio previsto nello stesso articolo certo non può, ai fini di un adempimento altrettanto rilevante, trasformarsi in ordinatorio. Così stando le cose, a fronte dell’inadempienza dunque il giudice non potrà che dichiarare la decadenza dell’aggiudicatario. Tuttavia, a fronte di una simile conseguenza, manca l’altra conseguenza, cioè quella dell’acquisizione della cauzione. Infatti, la stessa è prevista espressamente dall’art. 587 c.p.c., come dipendente del mancato deposito del prezzo, e trattandosi di una sanzione civile, come tale norma di stretta interpretazione, non può certo estendersi analogicamente. Ciò però determina degli inconvenienti, perché addirittura il nuovo meccanismo potrebbe prestare il fianco a manovre di turbativa, visto che poi chi le pone in essere non subisce conseguenze economiche di rilievo.
Nell’attesa di un intervento correttivo sul punto, non resta frattanto che pensare all’applicazione dell’art. 177[25], disp. att., c.p.c., norma che pone a carico dell’aggiudicatario inadempiente una somma, portata in un decreto del giudice che costituisce titolo esecutivo, pari alla differenza fra il prezzo offerto dallo stesso e quello ricavato dalla successiva aggiudicazione. Certo si tratta di una soluzione non del tutto agevole, e che potrebbe anche essere un’arma spuntata visto che magari non vi sarà alcuna differenza, ma come deterrente per le manovre di cui sopra potrebbe avere una sua efficacia, visto che le stesse non possono che avere come obiettivo se non quello di far artatamente ribassare il prezzo d’asta.
La praticabilità della soluzione poi dipende dal fatto che il richiamato art. 177, disp. att., c.p.c., a differenza dell’art. 587, c.p.c., non è riferito al mancato deposito del saldo prezzo, ma genericamente all’inadempienza dell’aggiudicatario, inadempienza che – se storicamente era proprio collegata al mancato versamento del saldo – oggi, al lume del nuovo ultimo comma dell’art. 585, c.p.c., può essere identificata anche (solo) con la mancata dichiarazione ivi prevista. 
Si riscontra a proposito di tali innovazioni una prassi, inaugurata dal Tribunale di Roma, attraverso cui si prevede che la dichiarazione venga resa già in sede di offerta, condizionandone l’ammissibilità. La scelta è indubbiamente nel senso di assecondare la finalità dell’innovazione legislativa, e di ottimizzare le relative conseguenze scongiurando sul nascere ogni possibile finalità defatigatoria o, peggio, atta a turbare l’andamento della procedura competitiva, ma il dato normativo depone per un collegamento dell’onere con la fase del trasferimento e non con quella dell’offerta. Tuttavia, l’anzidetta prassi applicativa dovrebbe suggerire al legislatore virtuoso il miglior modo di disciplinare un onere come quello previsto, affinché possa avere un concreto effetto.
11 . Il reclamo al provvedimento del Delegato
Importante novità è stata introdotta a proposito del reclamo agli atti del professionista, e cioè agli atti posti in essere dal delegato durante le operazioni di vendita (art. 591 ter c.p.c.). L’innovazione consiste nel trasformare il reclamo in parola, fin qui avente carattere non decisorio, in un rimedio soggetto al termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza dell’atto adottato dal delegato, dopodiché non è più possibile esperire lo stesso. La conseguenza sarà allora che eventuali doglianze inerenti, ad esempio, all’aggiudicazione pronunciata dal delegato, non potranno più essere fatte valere in sede di opposizione al decreto di trasferimento, né in caso di mancato esperimento del rimedio del reclamo, né in caso di rigetto del reclamo stesso, come invece avveniva in passato.
Anche qui, tale disciplina sarà applicabile solo quante volte il delegato sia realmente e solo tale: nel subentro e nel caso eccezionale di nomina di un delegato diverso dal curatore.
Quando invece il delegato sarà il curatore, come accade normalmente come s’è detto, egli in realtà agisce in ambiente concorsuale, e l’art. 591 ter, c.p.c. risulta norma incompatibile, per cui deve applicarsi il reclamo previsto dall’art. 133 CCII[26]
Più problematica la soluzione allorché a vendere sia il liquidatore, posto che, come noto, i suoi atti non possono essere reclamati ai sensi del codice della crisi, come si ricava dal mancato rinvio da parte dell’art. 114, comma 2, all’art. 133, CCII. 
In tal caso, a fronte di aggiudicazioni illegittime, non solo l’interessato può far valere la richiesta di sospensione ai sensi dell’art. 216, prima parte, ovvero si può procedere impugnando con i normali strumenti negoziali l’atto di trasferimento, inficiato dall’inosservanza delle regole legali della fase di vendita (ed in primis la pubblicità), come previsto dall’art. 2929 c.c., ma ben può ritenersi, per una compiuta tutela delle parti, che agli atti del liquidatore-delegato vada applicato il disposto dell’art. 591 ter, mentre solo ove il piano preveda forme alternative di competitività, l’impugnazione dell’atto negoziale di trasferimento non dovrebbe avere alternative.
12 . La vendita diretta
La riforma Cartabia ha introdotto con i nuovi artt. 568 bis e 569 bis, c.p.c., la c.d. “vendita diretta”, cioè la facoltà del debitore di indicare un soggetto interessato ad acquistare ad un prezzo pari a quello di stima, con offerta cauzionata depositata, dopodiché se non sopravvengono opposizioni da parte dei creditori (che consistono in realtà in un mero veto) si aggiudica all’offerente suddetto, altrimenti si apre una gara competitiva, la cui procedura può essere oggetto di delega, all’esito della quale si aggiudica all’eventuale miglior offerente. In favore dell’aggiudicatario viene quindi emesso il decreto di trasferimento, a meno che egli non chieda di procedere a rogito. 
Tutto questo meccanismo è intrasportabile nell’esecuzione concorsuale, ancorché sia scelta la vendita col codice di rito, per varie ragioni, sistematiche e formali.
Anzitutto la vendita diretta presuppone un debitore ancora non spossessato, che formula un’istanza con cui chiede di vendere a un soggetto da lui individuato e che con lui ha concordato un’offerta. Questo aspetto potrebbe essere meno problematico in caso di concordato in effetti.
Tuttavia, ad escludere in radice la configurabilità della vendita diretta in ambito concorsuale, tale istituto prevede come momento rilevante ai fini della tempestività dell’istanza in parola l’udienza di cui all’art. 569 c.p.c., e il relativo contraddittorio coi creditori, il che non è nelle procedure concorsuali, in cui anche la vendita secondo le norme del codice di rito è disposta dal giudice con un suo decreto. 
Dopodiché come s’è visto la vendita diretta è condizionata ad un potere di interferenza attribuito in capo ai singoli creditori, dato dalla facoltà di opposizione che, se esercitato, impone determinate forme di vendita. Tale meccanismo però non si concilia con la natura concorsuale della procedura.
13 . Modifiche al rito di cognizione ordinaria
Le modifiche al rito di cognizione ordinaria, specie con riguardo ai termini liberi in caso di citazione (art. 163 bis, nuovo testo, che prevede centoventi giorni) e a comparire del convenuto (nuovo testo dell’art. 166 c.p.c., che prevede ci si debba costituire almeno settanta giorni prima dell’udienza), nonché l’introduzione del procedimento semplificato di cognizione (artt. 281 decies e ss., c.p.c.) determinano indubbiamente delle disarmonie rispetto alle modalità introduttive dei giudizi di merito in tema di opposizioni esecutive, che però non interessano la materia concorsuale.
Resta però la rilevanza per il giudizio divisionale, ove si ritenga che lo stesso anche in sede concorsuale debba seguire la falsariga degli artt. 599 ss, c.p.c.
Ora nel caso di vendite da effettuarsi in base al codice di rito, mi pare evidente che il giudice delegato debba celebrare l’udienza prevista dall’art. 600 c.p.c. (convocazione dei comproprietari), al fine di procedere alla separazione in natura o disporre il giudizio divisionale, a meno che non sussistano eccezionalmente i requisiti per la vendita della quota.
Non è questa la sede per ripercorrere gli approdi della giurisprudenza in tema di ordinanza di divisione[27] che, come noto, costituisce essa stessa atto introduttivo del giudizio divisionale, e che deve essere notificata dal creditore e poi trascritta a sua cura. Va da sé che ritenendo nel nostro caso applicabile la suddetta disciplina, al creditore dovrà essere sostituito il curatore o il liquidatore. 
Orbene in proposito ci si deve porre la questione dell’eventuale applicabilità del rito semplificato, nonché in ogni caso della sopravvivenza del termine di sessanta giorni che deve decorrere dalla notifica all’udienza del giudizio divisionale, come previsto dall’art. 181, secondo comma, c.p.c.
Sotto il primo profilo, come noto, l’art. 281 decies c.p.c. lascia alla parte la decisione di introdurre il giudizio nelle forme semplificate, salvo che il giudice stesso, ai sensi dell’art. 183 bis, c.p.c., può sempre disporre il passaggio a tale rito. 
Orbene non pare che possa il giudice dell’esecuzione, e nel nostro caso il giudice delegato, già in sede di udienza ex art. 600 c.p.c., e sebbene poi per legge sia sempre lui ad essere anche istruttore della causa di divisione, disporre il rito semplificato, posto che appunto l’art. 183 bis, c.p.c., prevede che tale scelta giudiziale sia effettuata nell’ambito del giudizio contenzioso e nel pieno contraddittorio delle parti. 
Il tutto viene peraltro complicato dal fatto che è la stessa ordinanza a costituire atto introduttivo, per cui è difficile incasellare il susseguente giudizio in una forma specifica. 
D’altronde, e qui veniamo alla seconda questione, il termine di sessanta giorni sembra ormai definitivamente anche se implicitamente abrogato perché, se anche si volesse ancora sostenere che si tratta di norma speciale rispetto al disposto dell’art. 163 bis, c.p.c., resta che non si saprebbe dove recuperare il termine a comparire per i convenuti, isto che ormai quello di cui all’art. 166 c.p.c. è del tutto incompatibile (settanta giorni prima…). 
Non resta dunque mi pare se non prevedere che appunto il giudizio sia introdotto con la notifica dell’ordinanza; che questa ormai debba essere notificata nel rispetto del termine previsto dall’art. 163 bis, nuovo testo, c.p.c.; che i convenuti si debbano costituire nel termine di cui all’art. 166, c.p.c. A quel punto, all’udienza il giudice potrà anche decidere per il rito semplificato. 
Con ciò pare evidente che invece l’introduzione nelle forme semplificate da parte del curatore o del liquidatore risulta non praticabile, proprio per la forma particolare dell’atto introduttivo. 

Note:

[1] 
 P. Farina, L’ultima sistemazione dell’esecuzione forzata: una prima lettura della nuova normativa, in Ref, 2023, 1119; R. D’Alonzo, Riforma dell’esecuzione forzata: novità per creditori, debitori e mercato, In executivis, pubbl. 22 ottobre 2022; si vis, A. Crivelli e E. Mercurio, Annotazioni sulla legge di delegazione per la riforma del codice di rito, con Riferimento alle disposizioni in tema di processo esecutivo, in REF, 2021, 1015 ss.; F. Vigorito, Qualche considerazione sulle procedure esecutive dopo la “riforma Cartabia”, IN Questione giustizia, pubbl. gennaio 2023.
[2] 
Da ultimo, in tema di concordato, Cass. 20 ottobre 2020, n. 23139; per quanto riguarda la disciplina di cui al CCII: a) per il concordato in generale, art. 114; per quello in continuità, art. 84, comma 8; per l’ipotesi di concordato con offerente individuato, art. 91; per la fase anteriore all’omologazione, art. 94; per il concordato semplificato, art. 25 septies, comma 1, di rinvio all’art. 114 e per l’offerente pre-individuato art. 25 septies, comma 2); per il p.r.o., art. 64 bis, comma 9, di rinvio all’art. 84, comma 8; per il concordato minore, art. 81; per la ristrutturazione dei debiti del consumatore, art. 71; per la liquidazione controllata, art. 275, comma 2, di rinvio alle forme della liquidazione giudiziale; per quest’ultima, artt. 216 ss.
[3] 
Peraltro, per la cessione di crediti e la vendita di partecipazioni societarie provvede l’art. 215; per la vendita dell’azienda – per la quale può solo prevedersi una competitività a schema libero, non essendo prevista la stessa come oggetto di esecuzione forzata da parte del codice di rito, l’art. 214; per la cessione delle privative provvede invece l’art. 218.
[4] 
Tali requisiti devono caratterizzare qualsiasi tipo di vendita concorsuale, soprattutto quelle a forma libera stabilite dal curatore, ovvero quella autorizzate dagli organi anteriormente all’approvazione del programma di liquidazione. Così Cass. 6 settembre 2019, n. 22383. In dottrina si reperiscono definizioni più dettagliate, come in S. Fazzari, L’atto notarile di trasferimento a seguito di vendita fallimentare, in Studio notariato 16/2011/E, pubbl. CNN, che in proposito fa riferimento a “1. un sistema incrementale di offerte; 2. adeguata pubblicità; 3. trasparenza (attraverso la comunicazione alle parti); 4. regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell'offerente...5. una completa e assoluta apertura al pubblico interessato.” Pur diversamente numerate, si tratta però delle medesime caratteristiche riportate nel testo.
[5] 
Cass. 19 giugno 2018, n. 16161.
[6] 
Ex plurimis Cass. 28 novembre 2018, n. 30827.
[7] 
Tra le tante Cass. 6 dicembre 2022, n. 35867.
[8] 
Ovviamente invece se il processo esecutivo fosse iniziato anteriormente al 1° marzo 2022, la necessità della formula permane. In tal senso cfr. A. Barale, Abrogazione della formula esecutiva e disciplina transitoria: (ipotesi di) un breve vademecum, in IlCaso.it, pubbl. 2 marzo 2023.
[9] 
Vale rammentare peraltro che in tali casi l’autorizzazione veniva rilasciata solitamente in seno alla sentenza dichiarativa del fallimento e poi in quella di apertura della liquidazione, o nel decreto e poi nella sentenza di omologazione del concordato.
[10] 
R. Bellè - A. Cardino, La custodia giudiziale, 2014.
[11] 
Cass. 11 giugno 2019, n. 15597.
[12] 
Sebbene tali disposizioni non siano applicabili in caso di vendite a schema libero in caso di concordato, resta però ferma la necessità dell’acquisizione della documentazione in parola poiché in tali ipotesi le verifiche devono essere effettuate direttamente dal liquidatore, e naturalmente la disamina della continuità e in genere dei titoli verrà effettuata dal notaio in sede di atto di trasferimento.
[13] 
In proposito è pur vero che l’art. 1, commi 176, 177 e 178 della L. n. 178/2020 non pare direttamente applicabile anche al caso delle vendite concorsuali, ma certamente essa trova applicazione nell’ipotesi del subentro di cui all’art. 216, comma 10, CCII. In ogni caso la ricostruzione della portata del riferito intervento normativo non toglie la rilevanza, anche ove il bene sia di compendio a procedura concorsuale, dei vincoli configurati dalle leggi di settore, come già precedentemente configurati, e dunque la necessità di rilevare il ricorrere delle diverse ipotesi è sicuramente presente.
[14] 
La disposizione si spiega solo per la traslazione operata dal legislatore rispetto al previgente art. 14 quinquies, comma 2, lett. e) della L. n. 3/2012, che a sua volta si conformava sulla falsariga dell’art. 560, c.p.c., vigente nel 2012, e che appunto configurava l’ordine di liberazione come titolo esecutivo, disposizione però modificata sotto tal profilo già dal D.L. 3 maggio 2016, n. 59.
[15] 
Cass. 10.8.2017, n. 19925, in Fall., 2018, 35.
[16] 
Sulle problematiche relative alle omissioni pubblicitarie nelle vendite concorsuali, cfr, si vis, A. Crivelli, L’impugnazione dell’aggiudicazione per omissioni o difformità pubblicitarie e dottrina ivi citata; in giurisprudenza, Cass. 6 settembre 2019, n. 22383.
[17] 
Può peraltro ritenersi che tali disposizioni, contenenti norme atte a un’ordinata e tempestiva liquidazione, siano estensibili anche alle vendite competitive a schema libero in altre procedure concorsuali, ed in particolare in caso di concordato.
[18] 
Disciplina da leggersi unitamente alle Linee Guida dettate dalla Scuola Superiore della Magistratura in relazione allo svolgimento dei corsi propedeutici all’iscrizione e quelli da frequentarsi obbligatoriamente quale indispensabile aggiornamento necessario ai fini della conferma: cfr. delibera del 7 aprile 2023.
[19] 
P. D’Adamo, Le vendite competitive all’interno della riforma della liquidazione dell’attivo ed il ruolo del notaio, in Studi e materiali, 2008, 3, 1226 ss.
[20] 
Per completezza può precisarsi che la “delega” ai “soggetti specializzati”, in assenza di una disciplina specifica circa tale figura e in coerenza con il disposto del comma 12 dello stesso art. 216 CCII, che prevede un decreto ministeriale che stabilisca i requisiti di onorabilità e professionalità di tali soggetti, non possono essere i professionisti collegiati, e allo stato dunque come detto coincidono con i ricordati soggetti previsti dal codice di rito, ed in particolare dall’art. 532 c.p.c., che li prevede per vendite di beni particolari (commissionari, intermediari finanziari). In tal senso P. Farina, L’aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate,2012, 386. A tali ipotesi, come pure ricordato nel testo, possono ora aggiungersi i casi dei gestori delle vendite telematiche e della pubblicità, di cui rispettivamente al D.M. n. 32 del 2015 (emesso in attuazione dell’art. 161 ter, disp. att. c.p.c.) e 173 ter, disp. att., c.p.c.
[21] 
Basti pensare che in virtù dell’art. 356 citato la durata minima dei corsi propedeutici all’iscrizione all’albo nazionale è fissata in quaranta ore, laddove nel caso dei delegati le Linee guida dettate dalla Scuola Superiore della Magistratura fissa tale durata in venti ore. Inoltre, va sottolineato come l’albo in parola sia unico nazionale ed istituito presso il Ministero, mentre l’elenco dei delegati è tenuto dal presidente di ogni singolo Tribunale. Anche l’aggiornamento è verificato su base biennale, mentre quello dei delegati è verificato ogni triennio.
[22] 
Si tratta dello sviluppo della tesi già richiamata al paragrafo precedente in ordine alla configurabilità, qui avversata, di una delega da parte del curatore.
[23] 
E. Fabiani, M. Nastri, Vendita forzata e normativa antiriciclaggio, in Consiglio Nazionale Del Notariato, Studi e materiali, n. 1/2020, 261 ss.; Id., Acquisto del bene oggetto di procedura espropriativa o concorsuale e normativa antiriciclaggio, in Rass. esecuz. forz., n. 1/2021, 5 ss.
[24] 
Cass. 10 dicembre 2019, n. 32136.
[25] 
Così propone ad es. G. Caramia, Introduzione della normativa antiriciclaggio nelle vendite coattive, in IlCaso.it.
[26] 
Contra, cfr. A. Paluchowski, sub art. 107 L. fall., in Codice commentato del fallimento, a cura di Lo Cascio, 2011, secondo cui il rimedio dell’art. 36 L. fall. (sostituito oggi appunto dall’art. 133, CCII) sarebbe applicabile solo nel caso di vendite competitive e non in quello di vendite effettuate in base al c.p.c., per la quale ipotesi gli atti del curatore sarebbero impugnabili ai sensi dell’art. 591 ter, c.p.c.
[27] 
Che il giudizio divisionale sia introdotto direttamente a mezzo della notifica dell’ordinanza resa dal G.E. in seno all’udienza ex art. 601, c.p.c., lo si legge in Cass., sez. III, 28 agosto 2018, n. 20817.

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I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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