v Sopravvenienze attive da riduzione di debiti (art. 9 comma 1 lett. a) n. 3 L. n. 111/2023)
Con la norma di principio e di indirizzo il governo viene delegato a estendere a tutti gli istituti disciplinati dal CCII (quindi sia liquidatori che di risanamento) l’applicazione:
· dell’art. 88, comma 4 ter, Tuir in tema di sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti del debitore sottoposto ai detti istituti.
La relazione illustrativa ricorda come la norma attualmente in vigore prevede la totale detassazione delle sopravvenienze attive derivanti da riduzione di debiti in caso di debitori sottoposti ad alcuni istituti con carattere liquidatorio (in particolare il concordato fallimentare ex art. 124 e ss. L. fall. ora concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 240 e ss. CCII e il concordato preventivo liquidatorio ex art. 160 e ss. L. fall. ora concordato preventivo ex art. 84, comma 4, CCII o per effetto di procedure estere equivalenti previste da stati con i quali esiste adeguato scambio di informazioni).
L’art. 25 bis CCII prevede, per la composizione negoziata, l’applicazione di tale norma.
Nel caso di istituti che non hanno finalità liquidatorie, nell’attuale contesto normativo [(concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis L. fall., ora concordato preventivo ex art. 84, commi 2/3, CCII, accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 bis L. fall. pubblicato nel registro delle imprese ora accordi di ristrutturazione debiti ex art. 57-60-61, comma, 5 CCII; piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d) L. fall. pubblicato nel registro delle imprese ora accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento ex art. 56 CCII) o di procedure estere equivalenti], la riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo di cui all’art. 84 Tuir, senza considerare il limite dell’80%, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’ACE, e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati di cui all’art. 96, comma 4, Tuir. A tal fine rilevano anche le perdite trasferite nel consolidato nazionale di cui all’art. 117 Tuir non ancora utilizzate.
Considerata la filosofia della delega quanto alla distinzione tra procedure liquidatorie rispetto a quelle di risanamento potrebbe essere modificato il comma 4 ter dell’art. 88 del Tuir per conservare l’attuale distinzione tra sopravvenienze attive totalmente detassate (per imprese destinate all’estinzione) rispetto a sopravvenienze attive parzialmente detassate (per imprese destinate al risanamento).
Da ciò ne consegue la necessità di individuare gli istituti previsti dal CCII che determinano l’estinzione dell’impresa rispetto a quelle che prevedono la continuità gestionale.
Ricordando quanto in precedenza indicato, gli istituti di gestione della crisi che non comportano l’estinzione dell’impresa per i quali la detassazione rileva solo in parte dovrebbero individuarsi nei seguenti:
- composizione negoziata della crisi nel caso in cui si attui il risanamento ex artt. 23 e 25 bis, comma 5, CCII;
- accordi di ristrutturazione dei debiti: ordinari (artt. 57-59 CCII), agevolati (art. 60 CCII), a efficacia estesa (art. 61 CCII) con effetto di risanamento;
- accordi in esecuzione di piani di risanamento ex art. 56 CCII;
- concordato minore ex art. 74 e ss CCII con effetto di risanamento;
- concordato preventivo in continuità sia diretta che indiretta, posto che la finalità della norma è quella di favorire gli istituti non estintivi dell’impresa;
- piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione di cui all’art. 64 bis e quater CCII con finalità di risanamento;
- concordato preventivo con assuntore ex art. 84 CCII che prevede la continuazione dell’attività di impresa;
- concordato nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione coatta amministrativa ex artt. 240 e 314 CCII in cui si attui risanamento e recupero dell’impresa.
Per alcuni di questi istituti, dal punto di vista fiscale, la natura liquidatoria andrà individuata non sulla base della qualificazione giuridica ma in funzione al fatto che da essa derivi l’estinzione dell’impresa debitrice.
Per l’individuazione degli istituti di carattere prettamente liquidatorio si veda elenco a seguire:
- la liquidazione giudiziale ex art. 121 e ss CCII;
- la liquidazione coatta amministrativa ex art. 293 e ss. CCII;
- la liquidazione controllata nel sovraindebitamento ex art. 268 e ss CCII;
- concordato preventivo liquidatorio ex comma 4, art. 84 CCII;
- concordato minore liquidatorio ex art. 74, comma 2, CCII;
- concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 sexies e septies CCII;
- l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi prettamente liquidatoria.
v Perdite su crediti (art. 9, comma 1, lett. a) n. 3 L. n. 111/2023)
Viene prevista l’estensione a tutti gli istituti considerati dal CCII delle disposizioni previste dall’art. 101, comma 5, Tuir in merito alle perdite su crediti nel caso di debitore sottoposto a uno dei detti istituti (quindi sia a quelli liquidatori che di risanamento).
Per quanto attiene alla composizione negoziata l’art. 25 bis CCII già ne prevede l’applicazione.
Di rilievo è l’indicazione della relazione illustrativa che, nel chiarire l’argomento, prevede: “La legge delega estende inoltre, la deducibilità automatica delle perdite su crediti nelle ipotesi in cui il debitore sia assoggettato a tutti gli istituti liquidatori ovvero di risanamento previsti dal CCII.
A legislazione vigente, infatti, la deduzione automatica è possibile solo se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o un piano attestato o è assoggettato a procedure estere equivalenti, previste in stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni; qualora, invece, il debitore acceda a un istituto del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza diverso da quelli sopra menzionati, esplicitamente indicati nell’articolo 101, comma 5, del TUIR, le perdite su crediti sono deducibili secondo la regola generale, cioè solo se risultanti da elementi certi e precisi”.
Si ricorda che il comma 5 dell’art. 101 Tuir nella attuale versione prevede che le perdite su crediti sono deducibili nella determinazione del reddito di impresa, in via generale, se risultano da elementi certi e precisi, oppure, in ogni caso, senza onere probatorio, quando il debitore, alternativamente:
- é assoggettato a una procedura concorsuale;
- ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 bis L. fall.;
- ha concluso un piano attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d) R.D. 16/3/1942 n. 267;
- è assoggettato a procedure estere equivalenti previste in stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni.
Tale beneficio rileva inoltre, ex comma 5, art. 25 bis CCII, nella composizione negoziata della crisi.
Alla luce della legge delega sembrerebbe che il beneficio sia esteso a tutti gli istituti disciplinati dal CCII.
Si è usato il condizionale posto che la relazione illustrativa al governo sulla delega fiscale prevede espressamente che: “qualora invece, il debitore acceda ad un istituto del CCII diverso da quelli sopra menzionati, esplicitamente indicati nell’art. 101 comma 5 del Tuir, le perdite sui crediti sono deducibili secondo le regole generali, cioè se risultanti da elementi certi e precisi”.
Ne conseguirebbe che, quanto agli istituti di gestione della crisi (CCII), contrariamente al chiaro tenore di cui all’art. 9, comma 1, lett. a) n°3 della legge delega, gli istituti per i quali rileverebbe la automatica deducibilità fiscale per il creditore sarebbero quelli oggi previsti dal comma 5 dell’art. 101 Tuir con l’aggiunta della composizione negoziata della crisi ex CCII, con la evidente difficoltà di individuare, nell’ambito del CCII, gli altri istituti assimilabili a quelli attualmente previsti e cioè: procedura concorsuale, accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ex art. 182 bis L. fall., piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d) L. fall. e procedure estere equivalenti ( in particolare si ricorda che nel CCII non rileva una definizione di “procedure concorsuali”).
Anche in questo ambito, stante lo spirito della delega, si tratterà (forse) di individuare gli istituti liquidatori (estinzione dell’impresa) rispetto a quelli di risanamento, con riconoscimento solo ai primi della possibilità per il creditore di dedurre integralmente le perdite su crediti.
Ai fini dell’individuazione della data di maturazione del diritto alla deducibilità fiscale delle perdite su crediti per il creditore rilevano, allo stato attuale, (sulla base di un documento circolato come relazione al decreto legislativo) le seguenti indicazioni:
- dalla data della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale;
- dal provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
- dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo;
- dalla data di omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti;
- dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della domanda di accesso al piano di ristrutturazione soggetto ad omologa;
- dalla data del decreto che dispone l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi;
- dalla data certa degli atti e dei contratti di cui all’art. 56 co5 CCII (Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento).
- dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui al comma 2 dell’art. 25 sexies (concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio);
- dalla data di presentazione della domanda di cui all’art. 76 CCII (concordato minore);
- dalla data di pubblicazione della proposta ai sensi dell’art. 70 CCII (ristrutturazione dei debiti del consumatore);
- dalla data della sentenza di apertura della procedura di cui all’art. 270 CCII (liquidazione controllata dei soggetti sovraindebitati ex art. 268 CCII);
Il beneficio fiscale testé analizzato rileva anche nella composizione negoziata della crisi ex comma 5, art. 25 bis CCII al determinarsi di alcuni eventi procedurali; trattasi:
- contratto con uno o più creditori;
- accordo stragiudiziale firmato anche dall’esperto;
a partire per entrambe le fattispecie dalla data della loro pubblicazione nel registro delle imprese.
v Esame di tema non previsto nella delega. Le plusvalenze e le minusvalenze
La norma che, nell’ambito delle attuali procedure concorsuali tratta delle plusvalenze e delle minusvalenze è il comma 5 bis dell’art. 86 Tuir che recita:
“La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”.
Si ricorda che in un primo momento, la norma era stata interpretata solo come soluzione al problema della rilevanza fiscale della cessio bonorum, dibattuto in costanza della normativa fiscale previgente al D.P.R. n. 917/1986. L’intervento del legislatore, quindi, venne salutato come un’interpretazione chiarificatoria dell’irrilevanza fiscale della (formale) cessione dei beni ai creditori, con la conseguenza che la concreta vendita dei beni stessi a opera del liquidatore giudiziale dava invece luogo all’evidenziazione di plusvalenze e minusvalenze rilevanti fiscalmente.
Peraltro, nonostante il parere contrario dell’Amministrazione delle Finanze, l’attenzione degli interpreti fu attratta da un diverso significato della norma, nel senso di conferire irrilevanza fiscale alle plusvalenze e alle minusvalenze realizzate -in corso di concordato preventivo- nel momento dell’effettiva vendita dei beni a terzi, momento in cui si concretizza il passaggio di proprietà.
In tale situazione di dibattito interpretativo è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5112 del 3 aprile-4 giugno 1996; tale sentenza, con l’autorevolezza del collegio giudicante da cui proviene, dopo avere analizzato la portata retroattiva del comma 6 dell’art. 54 (D.P.R. n. 917/1986 nella versione vigente a tutto il 31 dicembre 2003), per effetto del disposto dell’art. 36 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, afferma che la previsione della norma fiscale, relativamente al concordato preventivo con cessione dei beni, non può che riferirsi alle plusvalenze realizzate in sede di liquidazione, considerato che “… Appare evidente che neppure quella sopra puntualizzata alla lettera (a) (plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso) può essere realizzata dalla cessione dei beni ai creditori, dal momento che la cessione a titolo oneroso prevista dal legislatore come presupposto per la tassazione delle plusvalenze implica l’alienazione del bene e quindi un effetto che, per quanto si è detto, nel caso della cessione dei beni ai creditori non può in alcun modo determinarsi”.
Pertanto la norma, per avere significato applicativo, secondo la Suprema Corte, non può che riferirsi alle cessioni dei beni attuate su impulso del liquidatore giudiziale nelle fasi successive all’omologazione del concordato preventivo, cessioni le cui plusvalenze non risultano assoggettabili a tassazione.
Prosegue la Corte precisando che detta interpretazione scaturisce anche dal parere della Commissione dei Trenta sullo schema del T.U. (art. 127), da cui si desume “che l’obiettivo che si intendeva raggiungere con la disposizione in esame era proprio quello di ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”.
Le conseguenze di tale importante sentenza sono che la liquidazione dei beni, anche tramite cessione dell’azienda, nella fase post omologa, non determina plusvalenze tassabili.
Conforme alla sentenza citata rilevano: in giurisprudenza, anche la Commissione Centrale, sez. XVIII, del 7 ottobre 1994, n. 3985; in dottrina, Leo Monacchi Schiavo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, ed. Giuffré, relativamente alal sola ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni; G. Falsitta, La responsabilità del curatore, ed. Giuffré 1988.
Nell’ambito delle novità introdotte dal D.L. n. 35/2005, che, come in precedenza osservato, prevede, rispetto al regime previgente, una forma di concordato preventivo che può prescindere dalla classica “cessione di beni ai creditori”, considerato un piano di risanamento diversamente modulato (rif. Art. 160), la norma in esame va interpretata, a parere di chi scrive, in senso estensivo.
Infatti, in tutte le forme di concordato preventivo previste dal nuovo regime che presuppongono, per la realizzazione del piano, vendite di beni, di aziende ecc. anche tramite il conferimento (che, ai fini fiscali, è assimilato alla cessione), le connesse plusvalenze realizzate non dovrebbero, ai sensi della norma in esame, essere soggette a tassazione ai fini delle imposte sui redditi.
Ciò sembra trovare conforto nelle indicazioni contenute nella citata sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che ricomprende nella portata della norma la cessione in genere dei beni aziendali, estendendola ai casi di cessione di beni effettuata successivamente alla chiusura del concordato, ma in esecuzione dello stesso.
Come inoltre chiarito dall’Agenzia delle Entrate con ris. n. 29 dell’1 marzo 2004 (facendo riferimento anche alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I civile, del 4 giugno 1996, n. 5112), la ratio di tale norma è quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concorsuale”.
Di conseguenza, sembra desumersi che, anche a parere del Ministero, la disposizione, malgrado la sua ambigua formulazione, riguarda non sola la cessione dei beni ai creditori, ma anche il trasferimento a terzi dei beni ceduti in esecuzione della proposta. (Cass. 16 ottobre2006, n. 22168).
Le plusvalenze rileveranno civilisticamente e andranno poi riprese tra le variazioni in diminuzione in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Non mancano tuttavia interpretazioni più restrittive: l’Agenzia delle Entrate (con risposta da interpello n. 462/2019) ritiene che la disposizione di cui al comma 5 dell’articolo 86 del TUIR abbia natura di norma speciale rispetto alle ordinarie regole di determinazione del reddito di impresa circoscritta da circoscrivere all’ipotesi in cui “dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa” con la conseguenza “ che alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni … nell’ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale, siano applicabili le regole generali di determinazione del reddito d’impresa, con la conseguenza che le stesse concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza”.
Considerate le novità previste dall’art. 9 della legge delega sia con riferimento alla determinazione del reddito che degli aspetti connessi alle dichiarazioni fiscali di cui si è detto in precedenza, si presume che la disposizione recata dal su richiamato comma 5 dell’art. 86 Tuir dovrebbe essere abrogata, essendo il trattamento delle plusvalenze e delle minusvalenze realizzate nella procedura di concordato preventivo liquidatorio, assorbito dai criteri di determinazione del reddito stabiliti dal nuovo art. 183 Tuir che trovano sicura applicazione a tale tipo di procedura.
Si auspica che l’impostazione ipotizzata venga applicata anche alle altre forme di concordati preventivi liquidatori quali:
- Il concordato minore liquidatorio ex art. 74, comma 2, CCII;
- Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ex art. 25 sexies e septies CCII;
Si ha notizia che, al fine di favorire il risanamento delle imprese, verrà previsto, con specifica disposizione, che le plusvalenze conseguite dalle imprese assoggettate a istituti di gestione delle crisi ex CCII di carattere non liquidatorio (compreso l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale, e la composizione negoziata della crisi conclusasi con una delle soluzioni previste dall’art. 23 CCII) potranno concorrere alla formazione del reddito oltre che per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate, anche in quote costanti in tale esercizio o in quelli successivi non oltre il nono purché siano previste nel piano di risanamento depositato a norma di legge.